giovedì 30 giugno 2016

Classe 2 Storia B

Classe 2 Storia Parte B
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I REGNI ROMANO BARBARICI
(476 – 568)

I regni romano barbarici nascono e si sviluppano dalla disgregazione sociale, politica e civile dell’Impero Romano d’Occidente. I loro capi riescono infatti a fare breccia nelle deboli difese delle province occidentali più esterne dell’Impero e si fanno riconoscere legittimi dominatori dai popoli che abitavano la zona. Caratteristica dei regni romano barbarici è l’incerta condizione giuridica: infatti i capi barbari dovrebbero essere soggetti all’autorità dell’Impero Romano, ma in realtà non tutti sono stati approvati da Costantinopoli. Il sistema di stanziamento delle tribù barbariche è sancito dalla hospitalitas, ossia quasi una spartizione o coabitazione federata, tra il governo romano e il capo tribù. Gli invasori potevano però solo imporre la loro presenza, ma non potevano imporre alcuna tradizione politico-amministrativa, poiché ne erano privi. Nelle tribù barbare era assente il concetto di stato ed erano lontani anni luce dalla civiltà e dalla giurisprudenza del diritto romano. La rozza struttura della legge barbarica si reggeva sulle istituzioni della faida (la vendetta di sangue), del guidrigildo (il riscatto), e dell’ordalia (il duello giudiziario, che diventerà il giudizio di Dio con la diffusione del Cristianesimo).
Le classi sociali finiscono per essere livellate verso l’alto e verso il basso, con la conseguente scomparsa delle classi intermedie: le due suddivisioni fondamentali erano arimanni o liberi e aldii o semiliberi; tra gli arimanni spiccavano i nobili o adalingi, mentre i poveri preferivano rinunciare alla libertà personale per mettersi sotto la protezione di un nobile (patronato). Praticamente si formano due grosse concentrazioni sociali, formate da entrambe le etnìe, una aristocratica e una proletaria, che necessita della protezione di un potente.

OSTROGOTI

Nel 476 il re degli Eruli, Odoacre, depone Romolo Augustolo e si fa riconoscere patrizio romano, e quindi legittimo governatore dell’Italia, dall’imperatore d’Oriente Zenone, a cui invia le aquile imperiali, segno dell’Impero Romano d’Occidente. Un gesto fortemente simbolico, che testimonia un vero e proprio passaggio di consegne e che segna la fine definitiva dell’Impero Romano d’Occidente. Per difendere i territori appena conquistati, Odoacre sottomette la Dalmazia e il regno balcanico dei Rugi: questi ultimi chiedono aiuto al re degli Ostrogoti Teodorico. Preoccupato di una possibile invasione ostrogota, Zenone non esita a rigettare l’alleanza con Odoacre spingendo Teodorico a muovere guerra contro gli Eruli.
Teodorico muove quindi verso il territorio italiano, nel 488 supera l’Isonzo, nel 490 l’Adda e dopo aver superato Verona assedia Ravenna fino al 493. Lo stesso anno finge un accordo per governare in diarchìa con Odoacre, ma pochi giorni dopo lo fa uccidere durante un banchetto. Rimasto solo, Teodorico ottiene da Zenone le insegne imperiali e il ruolo di collega dell’Imperatore sul suolo italiano. Merito di Teodorico, il cui regno durò trent’anni, è la capacità di ar coesistere nel suo governo gli elementi germanici e romani. Bisogna sottolineare che Teodorico, nonostante sia stato appoggiato da Zenone agisce effettivamente come se fosse a capo di uno stato indipendente. La sua politica interna si sviluppa con intenti di pacificazione, ma non di integrazione, tra le due etnìe: ai Goti sono affidate le armi, ai Romani gli incarichi politico-amministrativi e le magistrature civili. L’economia italiana è in questo periodo caratterizzata dal latifondo e da un livello di produzione abbastanza inferiore. Il latifondo prospera perché sotto Odoacre i soldati germanici ricevevano delle terre come premio ma le cedevano ai rricchi possidenti locali in cambio di un canone periodico. La scomparsa di una classe media porta un grave scompenso nell’economia del periodo, che viene risollevata in parte sotto Teodorico, attraverso sgravi fiscali e incentivi per gli agricoltori e tramite una regolamentazione delle attività agricole principali. La riapertura del corridoio marittimo est-ovest estende i benefici ai Franchi confinanti, con una vivace impennata del mercato import-export nel Mediterraneo (oro, lana, schiavi, legname, argento, rame).
Nel 500 l’Editto di Teodorico impone ai Goti la legge di Roma, e si mantiene il vetusto codice ostrogoto solo per i pochi casi non contemplati dal diritto romano.
Teodorico cade però in disgrazia con la condanna dell’eresia ariana (525) che lo porta a scontrarsi con la Chiesa: di qui la condanna al confino nel 526. Erede dell’impero era il giovanissimo Atalarico, affidato alle reggenze della madre Amalasunta, figlia del deposto imperatore. Il giovane nipote di Teodorico viene sottratto alla vita di corte per essere addestrato al più rigido costume gotico e muore dopo poco tempo. La madre Amalasunta resta quindi l’unica erede ma, poiché i Goti non volevano essere governati da una donna, è costretta a sposare il cugino Teodato, che nel 534 la ripudia e la fa poi uccidere nell’esilio di Bolsena. Amalasunta riesce però prima di morire a chiedere l’aiuto del nuovo imperatore d’Oriente Giustiniano, che interviene sconfiggendo l’esercito gotico (cfr. la guerra greco-gotica). La dominazione bizantina in Italia dura poco, e viene interrotta con l’arrivo dei Longobardi nel 568.

FRANCHI

Nel V secolo i Franchi, provenienti dalle regioni del basso Reno, invadono la Gallia. Erano distinti in Salii e Ripuarii. Nel 486 Clodoveo dei Salii dà il via alla dinastia dei Merovingi, così detti dal loro capostipite Meroveo, morto nel 451. Nel 486 Clodoveo batte il generale gallo-romano Siagrio, e si impossessa dei territori tra la Loira e la Senna; strappa agli Alamanni l’alto Reno (battaglia di Tolbiac, 496) e ai Visigoti l’Aquitania (battaglia di Vouillè, 507); l’unica zona ancora in mano ai Visigoti era la Settimania, ossia la zona meridionale dell’odierna Francia, che chiudeva quindi ai Franchi l’accesso al Mediterraneo.
A differenza dagli Ostrogoti i Franchi riescono a fondersi con le tribù autoctone celto romane, soprattutto in virtù del Cristianesimo a cui si convertono, tanto che Clodoveo venne considerato un paladino antiostrogoto della religione cristiana. La giurisprudenza merovingia manca però di una legislazione unitaria, per quanto Clodoveo avesse regolamentato le norme del suo regno con la Legge Salica; inoltre quella merovingia era una monarchia ereditaria, e ciò mette in crisi l’unità del regno alla morte di Clodoveo.
Clodoveo viene riconosciuto console dell’Impero dall’imperatore d’Oriente Anastasio; alla sua morte, nel 511, il suo regno diventa però oggetto di divisioni e contese tra gli eredi. Nel 537 il regno si estende finalmente alla Provenza, che garantisce un effettivo sbocco al mare. Il regno franco è riunificato da Clotario I nel 558, ma dopo la sua morte le contese tra la monarchia e l’aristocrazia locale lo smembrano in tre parti, Austrasia, con capitale Reims, Neustria, con capitale Parigi, e Borgogna, con capitale Orléans.

SASSONI, ANGLI E JUTI

Sono tre tribù che sbarcano dalle coste tedesche e danesi in Britannia, abbandonata dalle legioni romane nel 410, dove fondano una eptarchìa costituita da sette piccoli regni:

Kent (Juti);
Essex, Sussex, Wessex (Sassoni);
Est-Anglia, Mercia, Northumbria (Angli).

Gli autoctoni celto-romani sono spinti verso le zone di Cornovaglia, Scozia e Galles, e soprattutto oltre la Manica nell’odierna Bretagna (donde il nome) a nord della Francia. Il carattere della vita politica della Britannia è distinto a seconda delle zone occupate, poiché ogni gruppo mantiene inalterate le proprie usanze. 

VISIGOTI E VANDALI

I Visigoti si stanziano nella Gallia meridionale, soprattutto nella cinta pirenaica. Il loro regno raggiunge l’apice con Eurico (466-484) prima e poi Alarico II (484-507), che ebbero il merito di riportare alla luce gli antichi ordinamenti germanici, proposti come Codex Euricianus (470) e Breviarium Alariciarum (506); la loro capitale era Tolosa. Respinti a più riprese dai Franchi, finiscono con il perdere la parte meridionale del regno per mano di Bisanzio, finchè la situazione non viene ricomposta da Leovigildo (568-586), che porta la capitale a Toledo. La presenza visigota a Toledo fu facilitata dalla conversione del popolo al Cristianesimo, che cementa una forte intesa con l’alto clero.
I Vandali erano stanziati in Africa, ma la potenza del loro regno dura finchè era in vita il loro capo, Genserico. Sotto Genserico il regno vandalico diventa molto agguerrito nel Mediterraneo, ma alla sua morte, nel 477, il regno viene travagliato dalle tensioni tra le opposte fazioni cristiana e ariana, ed è quindi accorpato da Giustiniano all’Impero Romano d’Oriente nel 534.

Scomparsa l’unità politica dell’Impero resta solo l’unità spirituale garantita dalla Chiesa di Roma, che si fa appunto garante dell’unità del popolo, anche in ambito civile e temporale. Il vescovo di Roma manifesta la sua supremazia sugli altri vescovi; a partire da Leone I (474) è chiamato Papa ed è eletto dal popolo romano. Il problema è però rappresentato dal fatto che l’imperatore di Costantinopoli continua a mantenere una effettiva tutela sulle genti occidentali, tutela che non gli viene contestata nemmeno dai barbari invasori, e ciò determina in molti casi un detrimento delle condizioni del clero o un conflitto di interessi. Sul fronte delle eresie va ricordato che la maggior parte dei popoli barbarici professava le antiche dottrine germaniche come Teodorico o era convertito all’Arianesimo, condannato da Costantino a Nicea nel 325. Ma i rapporti con la Chiesa erano buoni: i Franchi furono uno dei primi popoli a convertirsi al cattolicesimo romano. I Goti di Teodorico rimasero invece fedeli alle proprie tradizioni religiose; i rapporti con Roma si mantennero discreti fino alle persecuzioni anticristiane ordite dall’imperatore di Costantinopoli Giustino.
Uno degli strumenti più efficaci con cui la Chiesa riuscì a tenere salde le proprie strutture durante il periodo dei regni romano barbarici era rappresentato dal movimento del Monachesimo, costituito da Benedetto da Norcia, negli ultimi anni del regno di Teodorico (circa 520/526): Benedetto fondò l’abbazia di Montecassino e elaborò la Regola, condensata nella famosa massima “ora et labora” che compendia l’attività benedettina. Questo movimento produsse indubitabili vantaggi sul piano culturale, col recupero degli antichi manoscritti curato dagli amanuensi copisti, secondo i noti dettami dell’enciclopedismo medioevale ispirato da Severino Boezio.
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L’IMPERO D’ORIENTE
(476 – 867)

Mentre l’Impero d’Occidente va frantumandosi sotto i colpi sempre più incessanti dei nuovi arrivati di origine germanica, l’Impero d’Oriente si espande, a danno dei territori confinanti. Per un certo periodo l’imperatore Zenone (regno: dal 474 al 491) e il suo successore Anastasio I (regno: dal 491 al 518) si disinteressano dell’occidente, sotto la pressione dei continui assedi dei Bulgari, un popolo di stirpe mongolica giunto nei Balcani al seguito di Attila; le cose cambiano col nuovo imperatore Giustino I (regno: dal 518 al 527) che prepara il ricongiungimento dell’Italia all’impero d’Oriente con una manovra politico-religiosa. Giustino riesce infatti a riconciliarsi col vescovo di Roma, il papa Giovanni I, e con l’aristocrazia romana, perseguitando i Goti di confessione ariana che non si erano appunto convertiti al Cristianesimo; Teodorico risponde facendo perseguitare i Cristiani, e facendo prigioniero lo stesso Giovanni I. prima della sua morte Giustino associa al trono come “collega” il nipote Flavio Pietro Sabazio, che nel 527 sale al trono col nome di Giustiniano (regno: dal 527 al 565).
Giustiniano, coadiuvato dalla brillante compagna Teodora, prosegue il compito di riunificazione dell’Impero iniziato da Giustino, arginando le invasioni di Bulgari e Slavi e assicurandosi nel 532 una pace perpetua, dietro pagamento di un tributo, col re persiano Cosroe; con le spalle dunque finalmente coperte strappa ai Vandali la provincia d’Africa con Sardegna, Corsica e Baleari, e si volge verso l’Italia ostrogota.
Come si ricorderà dopo la morte di Teodorico la figlia di questi, Amalasunta, unica erede al trono dopo la prematura scomparsa del giovanissimo Atalarico, era stata costretta per ragioni governative a sposare il cugino Teodato. Teodato si sbarazza della moglie e resta solo a governare l’Italia; ma la regina, avvertendo il pericolo imminente, fa in tempo a chiamare in aiuto Bisanzio. Il generale Belisario, inviato da Giustiniano, sbarca in Sicilia, mentre un altro esercito di Bisanzio, da nord, assedia Ravenna. A questo punto i Goti decidono di liberarsi da Teodato e acclamano re Vitige, che riesce a fermare Belisario a Roma, ma è costretto a ripiegare su Ravenna, dove, sia per la decimazione dell’esercito, sia per un tradimento, viene sconfitto nel 540 da Belisario e inviato a Bisanzio come prigioniero di guerra. Le gelosie della corte travolgono però anche Belisario, che è costretto a lasciare la Penisola per fronteggiare un nuovo assedio dei Persiani.
L’esercito bizantino, rimasto sguarnito, subisce una pesante revanche da parte dei Goti, che nel 542 proclamano re Baduila, detto Totila (= l’immortale). Totila riesce a tener testa a Belisario, nel frattempo tornato a guidare le truppe in Italia, e pre radicare nel popolo la resistenza agli invasori decide di togliere terre ai latifondisti  per consegnarle ai contadini italici. Belisario è sostituito nel 548 da Narsete, che riesce a sconfiggere e uccidere Totila a Tagina (Gualdo Tadino, in Umbria) nel 552. A Totila succede Teia, ma l’esercito gotico è ormai decimato e viene sconfitto presso Napoli. Dispersi, i Goti finiscono con il fondersi con la popolazione locale o ripassano le Alpi, mentre qualcuno tenta la carriera di soldato mercenario.
L’impero di Bisanzio conta ora anche l’Italia e inizia a guardare alla Spagna. Giustiniano muore nel 565 e gli succede Giustino II (regno: dal 565 al 578) che però non riesce a mantenere l’assetto del riunificato impero: nel 568 deve rendere ai Visigoti la Spagna, e sempre nello stesso anno, arrivano in Italia i Longobardi. Alla morte di Giustino II salgono al trono prima Tiberio II (regno: dal 578 al 582) poi Maurizio (regno: dal 582 al 602) che istituisce gli esarcati (governatorati) di Ravenna e Cartagine e conquista nel 601 l’Armenia. Maurizio è però spodestato e ucciso nel 602 dall’usurpatore Foca (regno: dal 602 al 610) che viene a sua volta rovesciato da Eraclio (regno: dal 610 al 641) che sostituisce al titolo imperiale quello di basileus. Eraclio respinge l’offensiva persiana e contrattacca fino a Ninive ma nel frattempo la Persia è conquistata dagli Arabi. Per arginare la minaccia di una nuova invasione Eraclio rinuncia alla regione balcanica lasciandola agli Slavi e preferisce coprire la regione orientale, ma gli Slavi riconoscono comunque la supremazia di Bisanzio. Morto Eraclio sale al trono Costantino II (regno: dal 641 al 668) mentre gli Arabi invadono Cirenaica ed Egitto, avvicinandosi pericolosamente a Costantinopoli tra il 674 e il 678.
Segue un cinquantennio tra i più critici dell’impero che si conclude solo con l’ascesa al trono di Leone III Isaurico (regno: dal 717 al 741) che ferma l’avanzata araba presso Akroinos nel 740 e rafforza i confini dell’impero, ma si scontra con la Chiesa romana a causa del suo appoggio per gli iconoclasti seguaci del monofisismo, che lo porta a confiscare molte proprietà ai monasteri. Nel 741 sale al trono Costantino V (regno: dal 741 al 775) ma la situazione in Italia precipita con l’avanzare dei Longobardi, che nel 751 prendono Ravenna. Nell’800 il re dei Franchi Carlo Magno è incoronato ufficialmente Imperatore iniziando la storia del Sacro Romano Impero e nell’812 anche Bisanzio gli riconosce autorità con la nomina del re carolingio a basileus, fatta dall’imperatore bizantino Michele I (regno: dall’811 all’813). La fine definitiva dei rapporti tra Roma e Bisanzio si avrà nell’867 con lo Scisma di Fozio, durante l’ultimo anno di regno di Michele III (regno: dall’824 all’867).

Nonostante il nome l’Impero Romano d’Oriente non aveva nulla di romano a parte la tradizione giuridica, ripescata da Giustiniano nella stesura del Corpus Iuris Civilis del 528, affidata al giurista Triboniano: tutta la struttura amministrativa e burocratica era infatti di derivazione orientale. Erano presenti un dux, che gestiva il potere militare in ogni provincia, e un iudex, che gestiva il potere civile. La caratteristica imperatoriale era quella di un monarca assoluto, senza l’intercessione di un ceto senatorio; sotto l’imperatore sedevano vari funzionari, diplomatici e ministri, oltre a una ristretta cerchia di latifondisti e di imprenditori, al di sotto dei quali sono servi e contadini che lavorano in genere nelle grandi proprietà terriere. Sul piano militare, scomparsa la fanteria, emerge la cavalleria, mentre le coste sono controllate da un efficace esercito navale.
Dal punto di vista amministrativo Giustiniano non va ricordato solo per la grandiosa riforma giuridica ma anche per l’istituzione della Prefettura d’Italia, con capitale Ravenna, il cui governo è riordinato con la Prammatica Sanzione del 554. La Prefettura è retta da due funzionari, uno civile o patrizio e uno militare o prefetto del pretorio, mentre sotto Maurizio l’Italia diventa un esarcato e le due cariche si fondono in quella dell’esarca. Eraclio compie quindi una ulteriore trasformazione e divide il territorio in distretti militari detti temi, a capo dei quali pone uno stratigos con compiti anche civili; ai soldati, o stratioi, reclutati sul territorio, viene promesso e assegnato un appezzamento di terreno, alienabile per via ereditaria. Questa svolta rappresenta l’inizio della feudalizzazione, con la nascita di una nobiltà terriera militare, opposta alla nobiltà burocratica dei funzionari imperiali, il cui capo effettivo è il cosiddetto dromos.
La chiesa di Bisanzio si distingue dalla chiesa di Roma poiché il capo della religione è l’imperatore, e i poteri temporale e spirituale sono riuniti in un solo potere detenuto dall’imperatore stesso (cesaropapismo). Fedele all’uso imperiale romano-occidentale Giustiniano cercò un accordo col papa, ma si dovette scontrare con l’eresia monofisita che divideva l’Oriente in due fazioni, accentuando lo spirito separatista, finchè lo scontro arrivò nella stessa Bisanzio dove si crearono due partiti, Verdi e Azzurri, favorevoli e contrari all’eresia. Roma condanna il monofisismo a Calcedonia nel 451: dopo Giustiniano Eraclio cerca di mediare le cose affermando che Cristo ha due nature ma una sola volontà, ma la Chiesa condanna anche il monotelismo nel 681. Caratteristica del monofisismo orientale era l’iconoclastìa, che porterà alla guerra delle immagini sacre nel 726, guerra che celava in realtà il pretesto per un maggiore controllo dello Stato sulla Chiesa e sui suoi beni.
Nell’867 il patriarca di Costantinopoli Fozio stabilisce la nullità della discendenza dello Spirito santo anche dal Figlio e sancisce la separazione tra le due Chiese: il papa Nicolò I condanna Fozio come eretico nell’863. Lo scisma rientra nell’886, ma le sue premesse dottrinali sfoceranno in un nuovo scisma nel 1054. 
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I LONGOBARDI
(568 – 774)

Le famiglie dei Longobardi arrivano in Italia nel 568, diciotto anni dopo l’assetto dato da Giustiniano alla penisola. Il territorio longobardo è diviso in ducati: Friuli, Trento, Pavia, Bergamo, Milano e Torino a nord, (Bergamo, Milano e Torino costituivano il nucleo centrale con Pavia del regno longobardo), Tuscia e Spoleto al centro, e Benevento a sud; sono invece in mano bizantina i territori della cosiddetta Romania, comprendenti l’Esarcato, attualmente l’Emilia Romagna,  la Pentapoli, le “cinque città” di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona, e i territori di Veneto, Liguria, Puglia, Calabria e Ducato Napoletano; Roma è formalmente bizantina ma di fatto governata dal papa.
La longobarda è una stirpe germanica di fede ariana, che si muove da est attraverso la Pannonia, scacciata dagli Avari, e che giunge alle Alpi Giulie da cui poi scende nella penisola italiana. I Longobardi erano poco numerosi, forse quarantamila guerrieri, ed erano guidati da Alboino.
Politicamente e amministrativamente i Longobardi erano divisi in farae, che legavano diverse famiglie legate da vincoli di consanguineità; più farae costituivano una unità etnico-militare  che era governata da un capo, detto dux, solitamente un aristocratico appartenente agli adalingi. Era tra i duces che l’assemblea eleggeva il rex, il quale si avvaleva della collaborazione di una specie di consiglio della corona formato dai gasindi, dei guerrieri devoti. Occorre sottolineare che le usanze longobarde vedevano il popolo come un exercitus: i Longobardi non erano probabilmente una tribù stanziale e davano molta importanza ai ruoli assunti nell’ambito della tribù. Solo chi portava le armi e faceva il guerriero era degno di considerazione, e entrava nel novero degli arimanni, ossia degli uomini liberi, mentre chi non era un guerriero faceva parte degli aldii o semiliberi.
Le deboli difese bizantine si arrendono e lasciano campo libero ai nuovi arrivati, mentre i nuclei preesistenti si ritirano nei territori protetti da Bisanzio. Alboino era sposato a Rosmunda, la figlia del re Cunimondo, da lui ucciso. Rosmunda, che era stata costretta a sposare l’usurpatore, fa però uccidere il marito nel 572, con l’appoggio di Bisanzio, e ad Alboino succede il duca di Bergamo Clefi, che però regna solo due anni. Alla morte di Clefi succede un periodo di vacanza del trono, durata dieci anni, voluta dai duchi longobardi che temevano che il potere regio limitasse la loro autorità sui ducati, finchè nel 584 la situazione difensiva, pregiudicata da un attacco congiunto dei Franchi e dei Bizantini, costringe l'assemblea a eleggere rex il figlio di Clefi, Autari, marito della brillante e colta regina Teodolinda.
Dopo la morte di Clefi, avvenuta nel 590, Teodolinda, che era cattolica, si risposa con Agilulfo, riconosciuto re dei Longobardi, che riprende la campagna espansionistica. Oltre a Bisanzio Agilulfo assedia ripetutamente Roma, e solo l’intervento del papa Gregorio I Magno scongiura la sconfitta: Gregorio, consigliere di Teodolinda, convince la regina a convertire il suo popolo al cattolicesimo, cosa che avviene nel 603.  Alla morte di Agilulfo segue un lungo periodo di instabilità, che si conclude nel 636 con l’ascesa al trono di Rotari. Oltre a occupare Genova e la Liguria, nonché parte delle coste venete, Rotari dà al popolo longobardo la prima legislazione della sua storia con l’Editto di Rotari del 643. Negli ultimi decenni del VII secolo il popolo longobardo è diviso da guerre di religione tra i cattolici e gli ultimi irriducibili ariani, mentre i duchi incalzano sempre più il potere regio.
Il periodo di massimo fulgore del regno longobardo si ha tra il 712 e il 744 durante il regno di Liutprando. Bisanzio era impegnata nella famosa guerra delle immagini, che vedeva i Bizantini italiani contro Leone III Isaurico, e il re longobardo ne approfitta per invadere Esarcato e Pentapoli. Singolare è la volontà di Liutprando di non toccare i territori romani: nel 728 il re dona il castello di Sutri al pontefice Gregorio II, e ai presunti timori di una possibile invasione longobarda si accompagna la donazione (742) al patrimonio di San Pietro di parecchie città di Esarcato e Pentapoli: in tal modo Liutprando conserva la fiducia dei duchi, che vedono limitato il potere del loro rex e nello stesso tempo conserva una strategica alleanza col papa Zaccaria. Con questa donazione viene stipulata una tregua ventennale tra lo stato romano e il regno longobardo.
Alla morte di Liutprando segue il breve regno di Rachis che, per incomprensioni con il papa, è costretto a ritirarsi a Montecassino; gli succede Astolfo (749-756) che riesce a cacciare i Bizantini da Ravenna ponendo fine definitivamente alla dominazione bizantina nell’Italia settentrionale. La manovra di Astolfo preoccupa però il papa Stefano II che, sentendosi accerchiato, chiede aiuto al re dei Franchi Pipino il Breve, il quale sconfigge Astolfo nel 756 e conquista Esarcato e Pentapoli, che poi donerà allo stesso pontefice. I territori della Chiesa vanno così a formare un interessante argine antilongobardo che di fatto separa in due la Penisola. Alla morte di Astolfo viene eletto rex il duca di Tuscia Desiderio, il quale per tenersi buoni gli avversari concede in sposa la figlia Ermengarda a Carlo, figlio di Pipino il Breve; ma Carlo, ripudiata la moglie, determina la fine del regno longobardo sconfiggendo il suocero.

Abbiamo detto già della particolare struttura sociale longobarda, in cui i duces erano riconosciuti capi assoluti. La forza di questi comandanti militari traeva origine dalla divisione dei territori conquistati, che andavano a costituire i cosiddetti ducati, in cui il dux sceglie come residenza i locali del vecchio municipium romano, riducendo gli autoctoni al rango di aldii. Parte delle terre viene donata al re, per rafforzare il demanio regio. Nell’Italia meridionale ci sono diversi temi, i distretti militari di chiara derivazione bizantina, guidati militarmente da uno stratego e difesi da truppe solitamente assoldate in loco (le scholae), mentre il potere civile è detenuto dai vescovi.
Possiamo dire che i Longobardi suggellano il loro stanzialismo con l’Editto di Rotari, perché nei 388 articoli il re longobardo introduce il diritto romano riguardo la proprietà privata e elimina la giustizia privata, ponendosi garante dell’ordine del regno. Il vecchio ceto latifondista romano è progressivamente sostituito dai nuovi dominatori che prendono possesso delle grandi proprietà terriere, le antiche villae, ora chiamate curtes, e divise in pars dominica, riservata al signore e pars massaricia, riservata ai lavoranti, o massarii, che lavoravano i poderi o mansi in cui si divideva la curtis. Il sistema curtense longobardo non si distingue dal latifondo romano e propone lo stesso tipo di economia chiusa ossia si produceva quanto serviva.
Il vero ceto latifondista era rimasto quello della Chiesa, che aveva ulteriormente allargato i confini con le donazioni e i lasciti. Nonostante si sviluppi una certa attività commerciale di esportazione esterna alle curtes il baratto resta ancora un valido mezzo di compravendita. L’attività commerciale era svolta dai mercatores, che di solito vendevano minutaglie o il surplus dei prodotti degli amministratori delle curtes.
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GLI ARABI
(570 – 1258)

Alla metà del VI secolo, l’Arabia conosce un cambiamento di clima, che trasforma l’ambiente fertile della penisola in una zona desertica; nel territorio sono presenti alcune città e varie oasi la cui popolazione è stanziale, ma la maggior parte dei nuclei residenti è costituito da beduini, dediti all’allevamento e generalmente nomadi. La struttura sociale del mondo arabo si riflette nelle tribù, solitamente rivali tra di loro. A dare unità al mondo arabo è il profeta Maometto. Nato da una famiglia di mercanti, Maometto sposa giovanissimo la ricca vedova Khadigia da cui si fa mantenere economicamente per dedicarsi liberamente alla speculazione religiosa, speculazione che culmina nella rivelazione monoteista che fa da base all’Islamismo, la religione da lui fondata. Maometto inizia a predicare alla Mecca nel 610 dove dominava la tribù dei Quraysh, ma la sua predicazione non è gradita dall’oligarchia mercantile e politeista, e Maometto è costretto a lasciare la Mecca e a rifugiarsi nel 622 a Jatrib, che verrà detta Medina-el-Nabi (= la città del Profeta). Questa data  della cosiddetta Egira, cioè la fuga, che rappresenta l’inizio della cronologia islamica. A partire da questa data ha dunque inizio la riunificazione del mondo arabo, basata non più sui vincoli di sangue ma su quelli religiosi. La predicazione maomettana viene accolta con molto fervore e il Profeta potè rientrare coi suoi seguaci alla mecca già nel 630, ma morì improvvisamente due anni dopo, nel 632, a Medina.
Morto Maometto si apre il problema della successione. Il potere passa ai califfi, o luogotenenti del Profeta, capi spirituali e politici, eletti tra i seguaci più attivi della religione musulmana. Il primo successore è Abu-Bekr, che regna nei due anni successivi alla scomparsa del Profeta e inizia l’ambizioso disegno espansionistico che porterà gli Arabi a impadronirsi del Medioriente. Sotto il regno di Omar (634-644) ecco i primi territori conquistati, che sono la Siria e la Palestina strappati all’imperatore bizantino Eraclio, a cui seguono la Persia e l’Egitto. Morto Omar sale al trono Otman, degli Omayyadi, che nel 645 conquista la Cirenaica. Accusato di nepotismo Otman viene assassinato nel 656 dagli oppositori Abbasidi, guidati dallo zio e dal genero di Maometto, Abul-al-Abbas e Alì; Alì sposta la capitale da Medina a Cufa, ma si scontra con un altro omayyade, Muawija (661-680), e alla fine cade pugnalato da un radicale.
Esaurita la discendenza diretta del Profeta la dinastia omayyade diventa ereditaria e la sede del califfato viene spostata a Damasco. A Muawija succede Yazid I (680-683) che soffoca la rivolta degli Sciiti e quindi Abd al-Malik (685-705) che allarga il dominio arabo all’Africa settentrionale conquistando Cartagine nel 698. Nel 705 viene eletto Walid I, che regna fino al 715: con lui gli arabi arrivano fino all’Indo nel 711, lo stesso anno in cui il generale Tarik passa lo Stretto di Gibilterra dando inizio alla campagna contro i Visigoti. Nel 717 l’Occidente si trova così stretto nella manovra a forbice dell’esercito arabo che assedia a est Costantinopoli e a ovest la Penisola Iberica, tranne il piccolo regno cristiano delle Asturie. Nel 718 Leone III Isaurico ferma l’invasione araba ad Antiochia, e lo stesso fa Carlo Martello nel 732 a Poitiers, dove gli Arabi si sono spinti oltrepassati i Pirenei e la Valle della Loira.
I dissidi interni tra i clan omayyade e abbaside sfociano in una guerra civile durante la quale il califfo omayyade Marwan viene sconfitto sull’alto Tigri, segnando la fine della dominazione omayyade; i superstiti riparano nella Penisola Iberica, dove Abderamo fonda nel 756 l’Emirato di Cordova.
Nel 750 inizia la dinastia abbaside, con Abul-Abbas, a cui succede nel 754 Mansur, che porta nel 752 la capitale a Baghdad. Infine col califfo Harum al-Rashid (786-809) ha termine la cosiddetta età eroica e comincia un periodo di assestamento territoriale caratterizzato da tensioni tra nuclei, nascite di principati indipendenti e da un progressivo sfaldamento del regno. Diviso tra diverse famiglie, il regno arabo abbaside cade in rovina, fino alla conquista di Baghdad operata dai Mongoli nel 1258. A differenza degli Abbasidi gli Omayyadi riescono invece a tenere saldo il loro dominio nella Penisola Iberica ma subiscono anch’essi le pericolose conseguenze dei dissidi interni. A far cadere il regno arabo in Spagna è il movimento cristiano della Reconquista: nel 1246 i possedimenti arabi sono limitati al solo Emirato di Granada.

L’unificazione del mondo arabo attuata da Maometto comportava dal punto di vista politico la realizzazione di uno stato teocratico in cui il Profeta rivestiva il duplice ruolo di capo politico e spirituale. Alla morte di Maometto il mondo arabo mantiene la stessa struttura politica e religiosa e il potere viene affidato ai califfi, carica elettiva che ricopriva sia il ruolo di capo politico, ossia quello di emiro, sia quello di guida religiosa, ossia quello di imam. Sotto la dinastia omayyade lo stato nazionale arabo diventa un vero e proprio impero in cui tutti i sudditi sono uguali poiché uguali dinanzi ad Allah, e anche i vinti, se convertiti alla religione musulmana, sono pareggiati ai vincitori nel nome della fede in Dio. Di norma le terre conquistate sono disciplinate  da un'amministrazione militare: i proprietari terrieri vengono lasciati liberi di gestire le proprie terre dietro pagamento di un tributo se essi si consegnano spontaneamente ai vincitori, ma se essi oppongono resistenza subiscono la confisca della terra e sono obbligati al lavoro coatto e dietro pagamento di pesanti tasse. La situazione sociale araba cambia con l’introduzione del califfato ereditario che favorisce la nascita del latifondo tra le grandi famiglie della Mecca, alterando così il disegno politico-religioso di natura egualitaria del Profeta.
Con la dinastia abbaside e il trasferimento del califfato a Baghdad lo stato arabo muta politicamente e amministrativamente diventando una specie di monarchia assoluta di tipo orientale, in cui il califfo vede diminuire lentamente il suo prestigio mentre si accresce quello del visir, il primo ministro, che controlla un rigido sistema burocratico improntato su quello bizantino. Il potere del califfo decade definitivamente nell’ultimo periodo della dinastia abbaside, in cui il potere diventa appannaggio dei capi militari, mentre si incrementano i separatismi degli stati nazionali arabi che danno vita a emirati sempre più indipendenti da Baghdad, come quello spagnolo di Cordova.
Legge e religione sono elementi inscindibili. L’esercito sotto la dinastia omayyade si regge su legami di fedeltà tribali che vengono meno sotto la dinastia abbaside quando lo stato arabo cambia fisionomia sociale e amministrativa. Sotto gli Abbasidi il nucleo centrale dell’esercito si compone di mercenari perlopiù turchi, comprati giovanissimi e cresciuti nelle caserme arabe.
Prima della predicazione maomettana gli Arabi erano pagani e politeisti. Simbolo della loro unità politica e territoriale era la cosiddetta Kaaba, un edificio di forma cubica situato al centro della Mecca, dentro al quale ogni tribù conservava il proprio feticcio, e al cui interno, dentro il famoso recinto sacro, si conservava la Pietra Nera, un probabile frammento meteoritico, che la credenza popolare voleva portata dall’Arcangelo Gabriele. Vi erano tra queste tribù alcune minoranze cristiano-monofisite e nestoriane, più qualche presenza giudaica: sono questi i primi soggetti, ovviamente monoteisti, a cui si dirige la predicazione maomettana. Dopo un lungo travaglio interiore il giovane Muhammad prende coscienza della missione di diffondere la rivelazione di un solo Dio, Allah, che prima di lui si era manifestato ad Abramo, a Mosè e a Gesù, e si reca alla Mecca dove incontra appunto i rappresentanti di queste tribù monoteiste, in qualità di rashul, cioè di profeta. Inizialmente la predicazione di Maometto è trasmessa unicamente in forma orale, solo nel 653 viene messa per iscritto nel Corano. Il Corano si compone di 114 sure o capitoli, ossia i detti del Pofeta, che sono formulati in versetti e che vanno seguiti pedissequamente dal credente o muslìm (ossia il devoto dell’Islam, che significa assoluta sottomissione alla volontà di Allah) dal cui nome deriva la parola musulmano. Dall’Islam il credente devoto riceve il premio del Paradiso, premio riservato soprattutto ai coraggiosi guerrieri della jihad, la guerra santa del Profeta contro gli infedeli. Ma accanto alle sure coraniche la religione araba prevede anche delle regole non scritte come la Sunna, ossia l’habitus morale e spirituale del Profeta e la I’gma, cioè il consenso della comunità, considerato infallibile. Non esiste una vera e propria Chiesa né un clero. Luogo di raduno è la moschea, alle cui funzioni i fedeli sono chiamati dal muezzìn, che amministra il proprio ufficio dall’alto del minareto. Oltre il muezzìn ci sono l’imam, che è il capo spirituale della comunità religiosa islamica e gli ulema, o dottori della legge, che ne sono consiglieri. Ogni credente ha cinque obblighi fondamentali:

la professione di fede;
l’obbligo della preghiera cinque volte al giorno;
l’elemosina rituale ai bisognosi;
il digiuno dall’alba al tramonto durante il Ramadan;
il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.

Maometto abolì ogni culto idolatra, eccetto quello della Pietra Nera che rappresentava il simbolo dell’unità del popolo arabo e della Kaaba, la cui edificazione viene fatta risalire addirittura ad Abramo. Quella islamica è una religione guerriera che trova il suo naturale sbocco nella guerra santa della jihad; ma la conversione viene imposta solo agli idolatri, mentre vengono rispettati i fedeli delle religioni superiori come il Cristianesimo.
Alla morte di Maometto l’identità religiosa si frattura dando origine a tre diversi tipi di islamismo. Abbiamo innanzitutto i Sunniti, cioè gli ortodossi devoti alla tradizione della Sunna, fautori della dinastia omayyade e del califfato ereditario; poi gli Sciiti, fautori della dinastia abbaside, che riconoscevano solo l’autorità del Corano e degli eredi diretti del Profeta; infine l’ala radicale dei Kharigiti, che ritenevano verosimile che ogni fedele potesse assumere la guida religiosa e ovviamente temporale della comunità islamica.
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L’EUROPA CAROLINGIA
568 – 918

Alla morte di Clotario I (561), che aveva unificato il regno dei Franchi nel 558, il territorio viene suddiviso in tre parti, Austrasia, Neustria e Borgogna. Il regno si riunifica con Clotario II (613-629) con l’aiuto dell’aristocrazia della Borgogna e della Neustria, schieratasi al suo fianco insieme al vescovo Arnolfo di Metz e al nobile Pipino il Vecchio. Alla morte di Clotario sale al trono Dagoberto (629-639) che tenta una ukteriore unificazione amministrativa: in realtà, sia sotto Clotario che sotto Dagoberto l’unità del regno è solo apparente e i due territori mantengono evidenti indipendenze politiche e amministrative. La morte di Dagoberto scatena una serie di guerre dinastiche per il controllo dei due regni. Gli eredi sono tutti ancora piccoli, e questo rendeva necessaria la reggenza di un maestro di palazzo (maggiordomo). Nel 679, mentre il trono di Austrasia era retto dal maestro di palazzo Pipino di Heristal (640-714), in luogo dell’erede legittimo ancora bambino, Neustria e Borgogna si alleano e attaccano l’Austrasia, ma sono sconfitte a Tertry nel 687 da Pipino di Heristal che riunisce così i tre regni. Nel 689 Pipino occupa la Frisia occidentale, e inizia a sotttomettere il territorio dell’Alamannia nel 709. Prima di morire Pipino riesce a farsi riconoscere l’ereditarietà del titolo di maestro di palazzo, che così alla sua morte passa al figlio maggiore, Carlo Martello (685-741). Carlo continua l’espansione territoriale verso est, ma il suo nome è perlopiù legato alla vittoria di Poitiers nel 732, che arrestò l’avanzata araba in Europa. Carlo Martello era altresì convinto della necessità di convertire il popolo germanico, per poter avere maggiore presa sul proprio regno, e a tal proposito favorisce il sorgere della prima abbazia germanica a Reichenau.
Nel 737 inizia quel periodo detto “dei re fannulloni” così chiamato per la quasi totale assenza di regno effettivo dei Merovingi, in cui il maggiordomo Carlo Martello governa praticamente da solo, e, approfittando del disinteresse dell’aristocrazia locale, divide il regno tra i due figli, Carlomanno e Pipino il Breve:
le regioni orientali di Austrasia, Svevia e Turingia a Carlomanno;
le regioni occidentali di Neustria, Borgogna e Provenza a Pipino;
le regioni di Baviera e Aquitania restano a sovranità congiunta.
Alla morte di Carlo Martello tra i due eredi prevale Pipino il Breve, che nel 743 con l’appoggio della nobiltà locale depone l’ultimo dei re Merovingi Childerico III e ottiene la legittimazione pontificia con l’unzione con l’olio santo amministrata dal legato del papa Zaccaria, Bonifacio, nel 751; rimasto solo a regnare, dopo il ritiro del fratello Carlomanno in un monastero nel 747, Pipino si fa incoronare re dei Franchi iniziando la dinastia che, dal nome del suo più illustre rappresentante, si dirà Carolingia.
La pratica dell’unzione pontificia consacrava di fatto il nuovo imperatore anche agli occhi della Chiesa romana confermandogli il privilegio della discendenza divina: presso i Franchi infatti l’imperatore era di stirpe divina, anche se gli dei della tribù erano all’origine evidentemente pagani. Questa sacralità si rinnova nell’atto dell’incoronazione di Carlo Magno a imperatore del Sacro Romano Impero, incoronazione eseguita direttamente dal papa Leone III la notte di Natale dell’800.
La Chiesa di Roma aveva bisogno dell’aiuto di Pipino contro i Longobardi, e Pipino interviene, su richiesta del pontefice Stefano II, obbligando Astolfo a consegnargli i territori strappati a Costantinopoli (Esarcato e Pentapoli) che poi donerà allo stesso papa (donazione di Pipino); il papa pone Roma sotto la protezione dei Franchi e concede a Pipino e ai suoi eredi il titolo di Patricius Romanorum. Pipino muore nel 768: il regno è diviso tra i suoi due figli, Carlo e Carlomanno.
Carlomanno muore nel 771, lasciando a regnare il fratello Carlo che, riunito il potere nelle proprie mani, inizia nel 772 la campagna contro i Sassoni. Ai nobili che si disciplinarono docilmente all’annessione carolingia, Carlo fece amministrare il battesimo, ma dovette aver ragione della rivolta capeggiata dal nobile vestfalo Vitichindo, che riuscì a domare nel 785 e che convertì al Cristianesimo. Battuto Vitichindo, Carlo riprende la campagna antilongobarda, ripudiando la moglie Ermengarda, figlia di Desiderio, e attaccando il regno longobardo nel 773, dietro richiesta di papa Adriano. Dopo la resa di Pavia, Desiderio fu rinchiuso in un monastero francese, mentre suo figlio Adelchi, che era stato associato al trono, viene battuto a Verona e costretto a riparare a Bisanzio. Carlo assume il titolo di re dei Longobardi, assoggettando tutto il regno tranne il territorio di Benevento; in qualità di Patricius Romanorum, il titolo ereditato dal padre Pipino, Carlo esercita la potestà territoriale anche su Roma. Subito dopo inizia la campagna espansionistica più importante della storia carolingia, che si accompagna a una vasta opera di riforma politica, amministrativa e culturale, grazie a cui Carlo si merita il titolo onorifico di Magno. Sotto il profilo culturale assistiamo a una vera e propria ripresa culturale che va sotto il nome di rinascenza carolingia, rinascenza di cui Carlo, seppure analfabeta, fu il promotore.
Tra il 789 e l’812 assoggetta gli Slavi; tra il 791 e il 796, durante tre campagne militari, sottomette gli Avari; nel 795, dopo una prima spedizione fallita (il famoso episodio di Roncisvalle, che aveva come protagonista il conte Rolando, e che aveva ispirato tante chanson de geste) Carlo Magno ha ragione degli Arabi in Spagna e istituisce la Marca Spagnola. Dopo la morte del pontefice Adriano, il suo successore Leone III chiede ancora una volta l’aiuto di Carlo per ripararsi dalle contese scoppiate tra le fazioni nobiliari romane, il clero e la Chiesa. Carlo prende il papa sotto la sua protezione, lo accompagna a Roma dove fa da arbitro alla contesa che risolve in favore del pontefice, e, la notte di Natale dell’800, Leone III lo incorona imperatore del Sacro Romano Impero.
Nonostante l’opposizione della imperatrice bizantina Irene Carlo diventa Imperatore, e il suo ruolo sarà riconosciuto dal successore di Irene, Michele I, col Trattato di Aquisgrana (812), in cambio della restituzione di Venezia, dell’Istria e della Dalmazia. Carlo Magno muore il 28 gennaio 814 ad Aquisgrana. Alla sua morte l’impero carolingio si sfalda e si avvia verso una progressiva frammentazione. Dopo la morte di Carlo sale al trono l’unico figlio rimasto in vita, Ludovico il Pio (814-840) che è incoronato dal papa Stefano IV nell’816 a Reims. Per mantenere un effettivo controllo sull’impero Ludovico associa al trono il figlio primogenito Lotario, e assegna ai due figli cadetti due piccoli regni, l’Aquitania a Pipino e la Baviera a Ludovico; ma gli nasce un quarto figlio, Carlo, detto il Calvo, a cui verrà assegnata l’Alamannia, regno creato apposta per lui. Pipino muore però nell’838 e questo accresce il potere del fratello Carlo il Calvo, che acquisisce anche l’Aquitania. Nell’840 muore Ludovico il Pio e sale al trono l’erede Lotario.
Subito dopo l’insediamento i due fratelli di Lotario, Carlo e Ludovico, si alleano e affrontano il nuovo imperatore, sconfiggendolo a Fontenoy (841). Dopo aver ratificato il loro accordo col Giuramento di Strasburgo (843) Carlo e Ludovico obbligano Lotario a una spartizione dell’impero, ma col Trattato di Verdun (843) gli lasciano il titolo di imperatore. L’impero carolingio viene così smembrato:

a Lotario il regno centrale, con Lotaringia, Italia, e corona imperiale;
a Ludovico, detto il Germanico, il regno dei Franchi Orientali;
a Carlo il Calvo il regno dei Franchi Occidentali.

La corona imperiale assume dunque il valore di un titolo ma è privata di qualsiasi prerogativa ma assume sempre il ruolo di protettrice della cristianità. Morto Lotario nell’855, morti i suoi eredi, la corona imperiale passa a Carlo il Calvo; la Lotaringia viene dapprima spartita tra i due regni col Trattato di Mersen dell’870, quindi viene definitivamente annessa al regno orientale col Trattato di Ribemont dell’880. Si delinea così il primo abbozzo politico dell’attuale Europa, con le nazioni di Francia a est e Germania a ovest, mentre l’Italia resta un territorio conteso e tagliato in due dallo Stato Pontificio.
Una riunificazione dell’antico impero carolingio viene tentata dal figlio di Ludovico il Germanico, Carlo III il Grosso, incoronato imperatore nell’881, che tra l’884 e l’887 riesce a ricomporre l’impero, ma è costretto a soccombere a causa dei privilegi feudali ostentati dall’aristocrazia, che ovviamente non vuole cederli, e a causa delle invasioni ungare, normanne e saracene, che mineranno i confini dell’impero. Nell’886 i Normanni assediano Parigi, e Carlo il Grosso paga per allontanarli, anziché combatterli. Ciò provoca un brusco calo di popolarità del sovrano, che viene deposto dall’aristocrazia feudale e rinchiuso in un monastero dove morirà due anni dopo.
A questo punto l’impero si sfalda definitivamente nei due regni orientale e occidentale. Nel regno orientale la nobiltà elegge al trono il nipote di Carlo, Arnolfo di Carinzia (887-899), a cui succede il figlio Ludovico, detto il Fanciullo (900-911): entrambi sono costretti a vedere il proprio regno soccombere sotto la minaccia delle divisioni dei gruppi etnici che pretendono una crescente autonomia. Morto Ludovico il Fanciullo sale al trono Corrado I di Franconia (911-918) che segna la definitiva estinzione del ramo carolingio, ma il nuovo impero si attuerà con la dinastia iniziata dal successore di Corrado, Enrico di Sassonia. Nel regno occidentale viene eletto il conte di Parigi Oddone della famiglia dei Robertingi (888-898) ma alla sua morte il regno torna al ramo carolingio con l’elezione di Carlo il Semplice (898-922) che nel 911 concede al capo normanno Rollone il ducato di Normandia. Nonostante i re carolingi regneranno in Francia fino al 987, va detto che il territorio non è unitario ma è un insieme di feudi, autoamministrati e indipendenti dal potere imperiale. Con la deposizione di Carlo il Grosso il regno d’Italia si trova subito al centro di una contesa tra sei casate nobiliari, su cui prevale il marchese Berengario del Friuli (888) che però l’anno successivo viene spodestato dal duca di Spoleto Guido, che nell’891 è incoronato imperatore dal pontefice Formoso, e successivamente associa al trono imperiale il primogenito Lamberto. Morto Guido il pontefice indirizza le sue simpatie politiche per il re di Germania Arnolfo di Carinzia, che incorona imperatore nell’896. Al ritorno in Germania di Arnolfo, la corona d’Italia torna nelle mani di Berengario, che la terrà fino al 922.

Sotto i re Merovingi nasce l’esigenza di distribuire equamente i favori e le proprietà agli aristocratici per evitare contese e mantenere saldo il controllo sul regno. Questa politica viene perseguita primariamente da Clotario con l’Edictum Clotarii del 614, che conferiva al re la possibilità di scegliere i propri funzionari tra la nobiltà terriera, che si assicurava così il controllo dell’amministrazione pubblica. L’avvento dei cosiddetti “re fannulloni” permette alla nobiltà di espandere ulteriormente il proprio potere, con la presenza di un inviato a Corte, il maestro di palazzo o major domus, che in alcuni casi esercitava come si è visto la reggenza in caso di minore età del legittimo pretendente al trono: il potere dei maggiordomo arriva a prerogative feudali, con la facoltà di assegnare terre in beneficio ai cavalieri, prassi seguita dai maggiordomo Carlo Martello e Pipino il Breve.
La struttura dell’impero carolingio è tipicamente germanica, romana e cristiana solo di nome e di intenti spirituali.  Sotto il regno di Carlo Magno si divide in 300 contee rette da conti, che rivestono un ruolo civile e militare, spesso affiancati dal clero, a cui l’imperatore concedeva le stesse prerogative dei civili, favorendo la nascita dei vescovi-conti. In genere ai confini o nelle zone ove si rende necessario le contee sono raggruppate in una marca (come la Marca Spagnola lungo i Pirenei) retta da un marchese o margravio, superiore per dignità nobiliare al conte. L’imperatore è capo assoluto e proprietario del regno e governa con l’aiuto dei conti. Contee e marchesati sono concessi in beneficio, ossia in un regime di godimento che impegna il beneficiario a servire fedelmente l’imperatore. Questo rapporto si chiama vassallaggio, e la cerimonia che lega benefattore a beneficiario si chiama investitura. Con l’investitura il cavaliere riceve un dono simbolico (solitamente un fascio di spighe e una zolla di terra a simboleggiare l’avvenuta proprietà) e l’imposizione della spada, sotto la quale presta giuramento di fedeltà. La proprietà si chiama feudo, forse dall’antico germanico feod, ossia proprietà, e il conte o il marchese esercitano liberamente le stesse prerogative regali, come l’esazione dei tributi o l’amministrazione della giustizia. La sede centrale del potere imperiale è il palatium, retto da un comes palatinum che governa la Corte e da un chierico colto o cancelliere che amministra la Cancelleria. Sede del palatium è qualsiasi posto dove si ferma l’imperatore con la sua Corte, ma Carlo Magno preferiva soprattutto Aquisgrana, Ingelheim e Paderborn. Tra i funzionari più importanti c’erano degli ispettori chiamati missi dominici, che lavoravano in coppia (un laico e un ecclesiastico) e che avevano il compito di vigilare sull’operato del signore locale e riferirne all’imperatore.
Localmente ogni comes tiene periodicamente una dieta o placitum, durante la quale, assistito dai funzionari, prende eventuali decisioni politiche e amministrative. Ogni primavera si riuniscono tutti i liberi durante il cosiddetto campo di maggio, un placitum generale presieduto dall’imperatore, a cui solo il clero e la nobiltà (i maiores) hanno diritto di partecipare, mentre i minores si limitano a prendere atto delle decisioni prese. Queste sono raccolte nei Capitularia, cioè una raccolta di norme giuridiche (circa 80 sotto Carlo Magno). Si tratta di disposizioni piuttosto inutili giuridicamente, poiché ogni tribù si regge su un proprio insieme di norme e di codici.
La popolazione si divide in liberi e semiliberi; sono presenti alcuni schiavi, solitamente pagani, mentre scompaiono progressivamente i contadini-guerrieri e nasce un sistema di concatenazione che lega sotto il signore locale, o feudatario, vari cavalieri che decidono di servire un padrone: sotto il feudatario, conte o marchese, si trovano dunque i vassalli, poi i valvassori e quindi i valvassini, l’ultimo anello della catena feudale. I legami che si instaurano tra queste figure sono simili ai legami di beneficium che intercorrono tra il feudatario e l’imperatore, che è a capo della catena feudale. L’esercito è convocato dallo stesso imperatore con un eribanno.
Dal punto di vista economico, l’avvento dell’impero carolingio reca un effettivo miglioramento delle strutture agricole, che, durante il regno merovingio, riguardavano solo terreni leggeri e facili da vangare, con il conseguente abbandono dei territori più pesanti, abbandonati alla foresta e alla palude. La piccola proprietà non scompare ma le investiture concedono ai conti e ai marchesi un numero sempre maggiore di terre organizzate col metodo della curtis. L’economia curtense è amministrata o dal padrone stesso, che amministra il gruppo di terre detto dominicum, o dai contadini liberi a cui sono affidati i mansi o campi, che compongono il massaricium, e che pagano al signore un affitto per il lavoro nel campo e per la raccolta dei prodotti, o compensano il feudatario con il proprio lavoro (corvèe). La produzione è diversificata col sistema della rotazione, che ogni tre anni cambia la coltivazione da frumento a segale a orzo. La struttura sociale dell’Europa carolingia non si concludeva col complesso rapporto di concatenazione feudale. Al di sotto della nobiltà terriera ed ecclesiastica si sviluppa il ceto della borghesia, una classe sciale di liberi, solitamente artigiani e piccoli proprietari, che viveva nei borghi (donde il nome). Il ceto più infimo è costituito dai contadini, divisi tra liberi e servi della gleba: questi ultimi erano di solito schiavi ereditati che svolgevano le mansioni più dure senza ricevere alcun compenso. Una classe sociale a se stante era quella dei cavalieri, i figli cadetti dei signori che non potevano ereditare e che si dedicavano alla vita militare; in seguito, per ottenere prestigio e denaro, i cavalieri diventano una realtà sociale piuttosto irruenta e incontrollabile, assetata di potere e di fama. La Chiesa li utilizzerà nelle Crociate.
La legge di successione era stata regolata sotto Ludovico il Pio con    l’ordinatio imperii (817), che associava al trono il solo primogenito, evitando così la spartizione del regno tra gli eredi. Con Carlo il Calvo viene invece sancita l’ereditarietà del feudo, trasmissibile agli eredi primogeniti (Capitolare di Quiercy, 877). In ambito religioso si comincia a delineare una pericolosa tensione tra le due istituzioni di Chiesa e Impero- Già Ludovico il Pio si era arrogato nell’824 il diritto di controllare lo Stato Pontificio e la stessa elezione del papa con la Constitutio Romana, da cui aveva receduto nell’830; il problema si apre dopo il trattato di Verdun, quando si accresce ulteriormente il potere dei vescovi-conti. In questo periodo, detto Età Ferrea del Papato, il degrado morale dell’istituzione ecclesiastica viene inasprito dalla simonìa e dal concubinato, che dilagavano tra il clero, con la diffusione dei benefici feudali anche tra gli ecclesiastici e l’acquisto delle cariche religiose da parte dei laici.
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IL MONDO BIZANTINO
867-1206

Dopo lo scisma di Fozio assistiamo a un vero e proprio ridimensionamento della potenza bizantina: Bisanzio non è più padrona assoluta del Mediterraneo, sotto l’incalzare dell’avanzata araba e carolingia, ma paradossalmente mantiene nello stesso tempo una posizione di supremazia politica e territoriale che si manifesta proprio durante il regno delle ultime quattro dinastie che si avvicendano sul trono di Costantinopoli fino al 1206, l’anno della caduta della capitale dell’impero. Le quattro dinastie sono:

dinastia Macedone
dinastia dei Ducas
dinastia dei Comneni
dinastia degli Angeli

Nell’867 sale al trono la dinastia macedone con Basilio I, che regna fino all’886, anno in cui sale al trono Leone VI, durante il cui regno, che dura fino al 912, Bisanzio è costretta a cedere agli Arabi la Sicilia. Sale dunque al potere Romano I Lecapeno (920-944) che respinge l’avanzata dei Bulgari nel 923 e sconfigge i Russi nel 944. Alla sua morte gli succede Costantino VII Porfirogenito, alla cui morte (959) sale al trono Romano II (959-963) il cui generale Niceforo Foca conquista Creta (961) e Aleppo (962) per poi succedere a Romano sul trono bizantino col nome di Niceforo II Foca(963-969); sotto Niceforo Cipro e la Cilicia ritornano bizantine. Con Giovanni I Zimiscè (969-976) abbiamo una nuova espansione territoriale, con l’annessione della Bulgaria Orientale nel 971 e quattro anni dopo della Siria e della Palestina che vengono tolte agli Arabi. Nel 976 sale al trono Basilio II Bulgaroctono (976-1025) che annette anche la Bulgaria Occidentale dopo avere sconfitto i Bulgari presso il fiume Struma. La dinastia chiude il suo periodo aureo con lo scisma d’Oriente (1054) che separa le due chiese, quella greca e quella latina, dopo la scomunica subita dal patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario da parte di papa Leone IX. Lo scisma costituisce una delle pagine più importanti nella storia dell’Impero d’oriente, che ora è solo e senza protezione. Tra i fatti più importanti, la cristianizzazione dei popoli slavi e la fondazione di una federazione di monasteri ortodossi che aveva il suo fulcro nel monte Athos, centro spirituale di enorme rilievo per la vita religiosa di tutto l’impero.
Nel 1159 sale al potere la dinastia dei Ducas, sotto il cui regno l’impero deve arretrare sotto l’avanzata dei Normanni nell’Italia meridionale, dei Peceneghi e dei Turchi Selgiuchidi, che si spingono fino all’Asia Minore, minacciando da vicino Costantinopoli e sconfiggendo l’imperatore Romano IV Diogene a Manzicerta nel 1071. Dopo la vittoria i Turchi fondano nel 1080 il sultanato di Iconio o di Rum, e strappano a Bisanzio Anatolia, Bitinia e Isauria.
Nel 1081 sale al trono la dinastia dei Comneni con Alessio I, che regnerà fino al 1118. Durante il regno di Alessio si fa sempre più incalzante la minaccia degli assedi dei Normanni prima e dei Peceneghi poi, ma il pericolo più vicino viene dai Turchi Selgiuchidi che avanzano in Asia Minore obbligando Alessio a chiedere aiuto ai Cristiani d’Occidente. Durante la prima crociata l’Asia Minore viene riconquistata e Alessio ottiene la sovranità su Antiochia (1096). Nel 1118 sale al trono Giovanni II, che lotta contro gli Ungari, sottomette la Piccola Armenia e sconfigge i Peceneghi a Berrhoia nel 1122. Nel 1143 sale al trono l’ultimo dei Comeni, Manuele I, che non riesce a restaurare la potenza bizantina nell’Italia meridionale, ormai saldamente in mano ai Normanni, e, dopo l’alleanza di Venezia (minacciata da Manuele) con i Normanni (1175), subisce la disastrosa sconfitta di Misiocefalo nel 1176 da parte dei Turchi Selgiuchidi.
Nel 1180 inizia la dinastia degli Angeli, mentre i Normanni conquistano Tessalonica e tutta la Bulgaria si rende indipendente. Isacco Angelo, spodestato dal fratello Alessio III, chiede di nuovo aiuto all’Occidente cristiano, e durante la quarta crociata, nel 1206, gli eserciti veneziani occupano Costantinopoli, rovesciando l’Impero d’Oriente, che da questo evento cambierà nome diventando Impero latino, e sopravvivendo di fatto fino al 1261 come stato crociato di tipo feudale.

Le ultime quattro dinastie bizantine corrispondono al periodo di maggior fulgore e di maggiore espansione dell’Impero d’Oriente. In ambito giuridico il vecchio codice giustinianeo viene ammodernato con l’introduzione dei Basilici, raccolte di nuove disposizioni, emanate sotto Basilio I e anche sotto Leone VI, a cui si affiancarono manuali di procedura amministrativa, come il Libro dell’Eparco, e di strategia militare come il Taktikon.
Lo stato si divide ancora in temi, ma per garantire un maggiore controllo del potere centrale si ricorre a circoscrizioni civili e militari più ristrette, comprendenti diversi temi, e guidate da un duca o catepano, per quanto riguardava la giurisdizione militare, e da un pretore tematico, per quanto riguardava l’amministrazione civile. Il governo centrale si componeva di logotesie, sorta di dicasteri, la cui carica più importante era quella del logoteta del dromo, una specie di ministro degli esteri e degli interni. Si forma inoltre una nuova classe sociale, costituita dagli ex funzionari dell’alta burocrazia, e si instaura un feudalesimo di tipo orientale, che presenta vincoli di vassallaggio tra dinati e parici, ma differisce da quello europeo sia per l’assenza di cerimonie di investitura sia per la presenza del forte potere centrale dell’imperatore a cui tutti gli anelli della catena feudale devono fare riferimento. La grossa proprietà fondiaria si estende. L’imperatore cerca, soprattutto sotto Romano I Lecapeno, di limitare il potere della aristocrazia terriera, ma l’alleanza dei latifondisti con la nuova classe sociale degli ex burocrati, conduce al formarsi di una classe sociale molto forte che finisce col produrre l’inevitabile decadenza del potere centrale. Ad accelerare questa decadenza contribuisce, durante il regno dei Comneni, il sistema della pronoia, ossia l’assegnazione di terre in beneficio in cambio di servigi militari, che produce la nascita di un ceto latifondista militare.
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LA RINASCITA DEL SACRO ROMANO IMPERO
919 – 1122

Con la deposizione di Carlo III il Grosso nell’886 (avvenuta, come si ricorderà, su iniziativa delle grandi famiglie dell’aristocrazia feudale, che rimproveravano a Carlo di avere trattato con i Normanni, in occasione del loro assedio di Parigi, una contropartita economico-territoriale in cambio della resa, invece di combattere) assistiamo a un nuovo sfaldamento dell’Impero Carolingio.
Il Regno dei Franchi Occidentali, dopo il regno del conte di Parigi Oddone, dei Robertingi, avo dei Capetingi, passa a Carlo il Semplice e  tornerà fino al 987 ai Carolingi. Nel 987 viene eletto dalla nobiltà feudale Ugo Capeto (987-996) capostipite della dinastia Capetingia, poi seguito da Roberto il Pio (996-1031), Enrico I (1031-1060) e Filippo I (1060-1108): il potere della corona, va ricordato, è solo nominale, poiché di fatto sono i grandi feudatari, conti e marchesi, a detenere il potere; tutto questo fino al regno di Luigi VI il Grosso (1108-1137) che riesce a reprimere i disordini dei grandi vassalli.
In Italia invece, dopo un periodo di contese dinastiche, la corona va a Berengario del Friuli, poi deposto da Guido di Spoleto; quindi il pontefice Formoso rivolge le proprie simpatie politiche ad Arnolfo di Carinzia, e, al ritorno di Arnolfo in Germania, il regno torna a Berengario che lo terrà fino al 922. Nel 922 Berengario viene nuovamente deposto, stavolta per mano di Rodolfo di Borgogna. Poco tempo dopo Rodolfo stesso viene spodestato dai conti di Tuscolo, il potente senatore romano Teofilatto e la figlia Marozia, che riesce a far elevare il figlio sul soglio pontificio col nome di Giovanni XI, impadronendosi così anche dello stato della Chiesa. La feudalità romana, evidentemente preoccupata per l’ingerenza dei conti tuscolani, chiama in Italia Ugo di Provenza, che sposa Marozia e cinge la corona nel 926 assumendo il controllo dei territori pontifici. La lotta tra i feudatari viene però esarcebata, e Alberico di Toscana, altro figlio di Marozia, dopo aver peovocato una rivolta della nobiltà romana contro Ugo, cacciato da Roma nel 932, fa prigionieri la madre e il fratellastro papa, governando lo stato della Chiesa fino al 954 col titolo di senator et princeps Romanorum. Dopo Ugo di Provenza regneranno suo figlio Lotario (946) e il suo successore Berengario II d’Ivrea (950): nel 951 si chiude l’indipendenza della corona d’Italia con la discesa di Ottone I che obbliga Berengario a dichiararsi vassallo dell’imperatore sassone.
Il Regno dei Franchi Orientali, dopo lo sfortunato regno di Arnolfo di Carinzia e Ludovico il Fanciullo, gravato dalle pressioni autonomistiche di alcuni nuclei etnico-territoriali, passa a Corrado I di Franconia (911-918) e poi a Enrico di Sassonia, che regna dal 919 al 936, lasciando il trono al figlio Ottone I.
Ottone I (936-973) era succeduto al padre Enrico I, avviando subito un ambizioso disegno di espansione territoriale, che racchiudeva il duplice scopo della colonizzazione e della cristianizzazione. Nel 962 Ottone torna in Italia per farsi incoronare dal papa Giovanni XII imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. Atto veramente singolare dell’investitura imperiale conferita a Ottone erano il beneficio del privilegium Othonis, ossia la facoltà di scelta nell’elezione pontificia, facoltà di cui Ottone si serve subito, l’anno dopo, con la deposizione di Giovanni XII e l’elezione del nuovo papa, su nomina imperiale, Leone VIII. Durante una successiva discesa in Italia, Ottone si impadronisce dei ducati di Capua e Benevento, e combina il matrimonio del suo primogenito Ottone II con la principessa bizantina Teofano, facendosi riconoscere imperatore anche da Costantinopoli nel 972. Ottone muore lo stesso anno, e nel 973 sale al trono il figlio Ottone II, che regnerà dieci anni. Proseguita la campagna espansionistica del padre, Ottone II riesce a conquistare Taranto ma viene bloccato a Stilo nel 982. Muore l’anno seguente: il suo erede, Ottone III, ha solo tredici anni, ed è affidato alla reggenza di sua madre Teofano e di sua nonna Adelaide di Borgogna, fino al 984, quando ottone, diventato maggiorenne, può salire al trono. Con la benedizione di papa Silvestro II, il neoimperatore fissa la sede del regno a Roma e promuove la Renovatio Imperii Romanorum, un grandioso disegno di restaurazione politica e amministrativa della Roma cesariana e dell’impero cristiano di Costantino.
Ottone III morì senza eredi, e dopo di lui la nobiltà feudale elegge re di Germania Enrico II (1002-1024), cugino di Ottone, mentre in Italia la corona passa ad Arduino d’Ivrea, sconfitto da Enrico nel 1004; durante l’assenza di Enrico, tornato in Germania per difendere i confini polacchi, Arduino riprende il potere appoggiato dai grandi feudatari. I vescovi-conti lombardi riescono a tenere testa ad Arduino fino al rientro di Enrico, che nel 1014 si fa incoronare imperatore. Ma si tratta, come detto più volte, di un potere fittizio e condizionato dalle pretese dei potentati feudali locali. Nel 1024 Enrico II muore, estinguendo il ramo di Sassonia, e la corona passa a Corrado II di Franconia, detto il Salico (1024-1039). Annessa la Borgogna nel 1033, Corrado si trova come i suoi predecessori ad affrontare le contese della feudalità minore della Penisola, ed è costretto a chiedere aiuto alla feudalità ecclesiastica, in particolare al vescovo Ariberto d’Intimiano, l’arcivescovo di Milano; la feudalità ecclesiastica era però, come i grandi feudatari laici, nemica della feudalità minore, strettasi in una strategica alleanza denominatasi La Motta, mentre Corrado approfitta di questo malcontento per sposare la causa dei valvassori ribelli concedendo l’ereditarietà dei feudi minori con la Constitutio de Feudis del 1037. Alla morte di Corrado sale al trono Enrico III (1039-1056) che annette la Boemia (1041) e l’Ungheria (1044) quali feudi imperiali e, sceso in Italia, impone al concilio di Sutri nel 1046 (dove si dibatte la famosa questione dei tre papi, appoggiati da tre potenti fazioni nobiliari romane) la volontà imperiale col Principatus in electione papae, con cui si arroga il diritto di essere il primo (princeps) a scegliere il nuovo pontefice, deponendo i tre pontefici contendenti, e assumendo al trono pontificio un vescovo riformatore tedesco di sua fiducia, Clemente II. Il Principatus consacrava ufficialmente quel processo di feudalizzazione a cui la Chiesa aveva già iniziato a volgersi con l’istituzione dei vescovi-conti: i tre pontefici che seguiranno Clemente II saranno infatti tutti di designazione imperiale, e non è improprio a questo punto parlare di un rapporto di vassallaggio esistente tra questi e la corona imperiale. La degenerazione dei costumi toccherà tutte le strutture della Chiesa al punto che si parla di età ferrea del Papato.
Dopo la morte di Enrico III sale al trono il figlio, ancora minorenne, Enrico IV (1056-1106), mentre al soglio pontificio sale nel 1059 il vescovo cluniacense Niccolò II: Niccolò promuove subito il concilio Lateranense, lo stesso anno della sua incoronazione, con cui respinge il vecchio Privilegium Othonis, restituendo la nomina papale al collegio cardinalizio e sottraendo di fatto la Chiesa al controllo imperiale. Questo processo di defeudalizzazione della Chiesa viene ulteriormente promosso da Gregorio VII, il vescovo Ildebrando di Soana, che, salito sul soglio pontificio nel 1073, promuove nel 1075 il Dictatus Papae, ossia l’assoluta superiorità del pontefice su ogni istituzione terrena, quindi conferisce all’istituzione pontificia la facoltà di deporre i sovrani sciogliendo i sudditi dal vincolo dell’obbedienza. La cosa non viene però accettata da Enrico IV che col Sinodo di Worms del 1076 dichiara decaduto Gregorio VII: il pontefice risponde scomunicando Enrico. Il provvedimento papale aveva un peso politico non da poco, poiché la scomunica liberava di fatto i sudditi dal vincolo di obbedienza all’imperatore. Temendo una rivolta generale Enrico era costretto a fare marcia indietro, e nel 1077 si reca come penitente presso la villa della contessa Matilde di Toscana a Canossa, dove il pontefice aveva trovato protezione. La leggenda parla di un Enrico vestito di umile tela di sacco e a piedi scalzi, che sotto la neve avrebbe implorato per tre giorni l’assoluzione dal papa Gregorio VII. Ottenuta l’assoluzione pontificia, Enrico riprende la politica antipapale, che sfocia in una seconda scomunica nel 1080: a questo punto Enrico IV prende in mano le armi e fa prigioniero il papa, poi liberato dall’esercito normanno di Roberto il Guiscardo. Dopo la morte di Gregorio e di Enrico la contesa non si placa, ma continua con i rispettivi successori, Urbano II ed Enrico V (1106-1125): proprio durante il regno di Enrico V il Concordato di Worms (1122) chiude la contesa attribuendo al papa Callisto II la potestà di concedere l’investitura episcopale che precedeva quella feudale, mentre all’imperatore tedesco è data la possibilità di concedere l’investitura feudale che precedeva quella episcopale.

Come si è visto il grande problema feudale era il frazionamento del potere: la concessione di feudi in beneficio aveva fortemente limitato il potere centrale a vantaggio dei grandi feudatari. In Francia la situazione era peggiorata dalla presenza di feudi troppo piccoli che alimentavano l’indipendenza di gruppuscoli autonomistici: grazie all’opera di  Luigi VI i feudi vengono raggruppati in estensioni più ampie e controllate direttamente dal sovrano con la concessione a vassalli a lui fedeli; in tal modo il potere della corona si rafforza di molto rispetto ai primi re Capetingi. La situazione italiana era invece gravissima poiché la corona era soggetta agli appetiti dinastici delle numerose famiglie dell’aristocrazia feudale, divise in fazioni, insofferenti dell’autorità imperiale e di quella pontificia. La svolta politica dell’Impero si attua sotto la dinastia di Sassonia e soprattutto con Ottone I. Il potere imperiale aveva innanzitutto un conferimento quasi sacrale, l’imperatore ha ampia giurisdizione, è eletto dai grandi feudatari del regno; può designare un erede, ma nello stesso tempo questo erede deve essere scelto tra  i familiari diretti del sovrano; il potere imperiale poggia anche su una effettiva predominanza economica e non solo politica, e a questo proposito la politica ottoniana tende all’incameramento dei beni della Chiesa, sia con la presenza di vescovi feudalizzati alla corona imperiale sia con l’esproprio o con il controllo delle proprietà degli abati delle campagne. Ottone riconosce la figura pontificia, ma questo ruolo rappresenta un pericolo per la solidità del suo impero: in quel periodo lo Stato della Chiesa rappresentava una guida spirituale e temporale, e il Privilegium che Ottone promuove era una garanzia molto importante. I papi tedeschi che Ottone sceglie sono papi fedeli all’autorità imperiale e non slegati da essa, e questo liberava Ottone dal timore di possibili rivolte popolari fomentate da pontefici a lui avversi. Nel 1059 il Concilio del Laterano di Niccolò II e nel 1075 il Dictatus Papae di Gregorio VII rompono questo equilibrio, svincolando la nomina dei vescovi dal placet imperiale, e creando una dannosa frattura nel complesso sistema feudale, ormai compromesso dalla Constitutio de Feudis del 1037. Il concordato di Worms del 1122 segna infine la conclusione della tendenza cesaropapista della politica ottoniana, con la definitiva separazione dell’autorità imperiale da quella pontificia.
La società feudale era divisa in tre classi volute, a quanto pare, da Dio: coloro che pregano, coloro che combattono, e coloro che lavorano.
Il clero era diviso in chierici, inquadrati nell’episcopato, e in monaci, inquadrati in ordini e confraternite; ogni chierico o monaco era un uomo libero, che occupava un determinato ruolo nella propria comunità religiosa a seconda della dote che recava con sé per contribuire al mantenimento della comunità ecclesiastica o dell’ordine religioso che aveva scelto. Esisteva un clero benestante, composto dai figli cadetti delle grandi famiglie della nobiltà feudale, e un clero povero e rurale.
I militari erano essenzialmente i cavalieri, una classe sociale molto ricca, perché alti erano i costi del mantenimento delle armature e dei corredi militari; in origine non vi erano delle regole particolari che disciplinavano l’accesso a questa ristretta élite, ma dopo l’accesso fu ristretto ai soli figli cadetti delle famiglie nobili, anche di quelle decadute, escludendo i cosiddetti parvenus, avventurieri o contadini arricchiti.
Infine i lavoratori erano, come le altre due classi sociali, divisi per condizione economica: vi erano contadini poveri e ricchi, artigiani e liberi professionisti, e mendicanti nullatenenti. Tutti erano soggetti all’autorità imperiale e quindi alla convocazione del banno, e il punto di riferimento erano le associazioni di categoria come le comunità di villaggio per i contadini e i gremi e le associazioni di mestiere per gli atigiani, associazioni che spesso usavano come centro di aggregazione le parrocchie.
Dal punto di vista economico la politica imperiale ottoniana inaugura un periodo di stabilità, e un conseguente aumento della produttività: il benessere della classe feudale determina una progressiva diminuzione delle corvées, e l’eccedenza produttiva favorisce il sorgere di una classe sociale minoritaria di contadini agiati, una parte dei quali finisce per cambiare attività, inurbandosi e diventando artigiani.
Il problema religioso della feudalizzazione della Chiesa evidenzia la crisi del clero, spesso simoniaco e  concubino, clero che non rinuncia ai privilegi della condizione di vassallaggio all’imperatore, generando quel fenomeno di corsa ai benefici feudali noto come lotta per le investiture. L’istituzione dei vescovi-conti assume un ruolo ancora più determinante, poiché ora che il potere della corona è stato nuovamente centralizzato il clero preferisce sottoporsi al controllo temporale dell’imperatore per non perdere i privilegi feudali. Questa crisi è nota come età ferrea del papato, ed è ulteriormente incancrenita dal Privilegium di Ottone I e dal Principatus in electione papae pronunciato da Corrado il Salico: l’autorità temporale e spirituale del pontefice romano viene posta su piani secondari rispetto a quella imperiale e la stessa elezione papale non è più affidata a un collegio cardinalizio ma è prerogativa dell’imperatore. Il movimento riformatore parte dai monasteri, con Cluny in testa, da quelli benedettini di Montecassino, Farfa, Reichenau, a quello camaldolese di San Romualdo fino a quello vallombrosano di San Giovanni Gualberto. La rivolta cluniacense, che si estende alle altre abbazie fino alla formazione di una lega antimperiale, quasi una milizia monastica, chiede il ritorno del controllo del clero monastico nelle mani pontificie e la dismissione del ruolo di controllo esercitato dalla corona. Il movimento arriva nelle città: a Milano prende piede il movimento dei Patari (= straccioni), un gruppo laico che si richiamava al cristianesimo delle origini e pretendeva l’allontanamento del clero corrotto, principalmente i vescovi-conti feudalizzati dalla corona imperiale. Il culmine della lotta riformista si attua con due pontefici, prima con Niccolò II, che col Concilio Lateranense svincola la nomina papale dall’autorità imperiale e poi con Gregorio VII che col Dictatus Papae impone l’assoluta autorità pontificia su ogni istituzione terrena, ivi compresa la corona imperiale, con il diritto di deporre l’imperatore attraverso lo scioglimento del voto di obbedienza dei sudditi, che avrebbero riconosciuto la primalità pontificia. La riforma gregoriana consacra il potere temporale dello Stato della Chiesa: il concordato di Worms separerà definitivamente i termini della contesa, anche se la frattura tra le due istituzioni tornerà a farsi sentire sotto il pontificato di Bonifacio VIII. Tra le espressioni più felici del rinnovamento spirituale cristiano vanno citati due concili, quello di Charroux nel 989 e quello di Puy nel 990, in cui viene limitato l’uso delle armi nei giorni consacrati al Signore.  
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mercoledì 29 giugno 2016

Classe 2 Parte 1b S

I REGNI ROMANO BARBARICI
(476 – 568)

I regni romano barbarici nascono e si sviluppano dalla disgregazione sociale, politica e civile dell’Impero Romano d’Occidente. I loro capi riescono infatti a fare breccia nelle deboli difese delle province occidentali più esterne dell’Impero e si fanno riconoscere legittimi dominatori dai popoli che abitavano la zona. Caratteristica dei regni romano barbarici è l’incerta condizione giuridica: infatti i capi barbari dovrebbero essere soggetti all’autorità dell’Impero Romano, ma in realtà non tutti sono stati approvati da Costantinopoli. Il sistema di stanziamento delle tribù barbariche è sancito dalla hospitalitas, ossia quasi una spartizione o coabitazione federata, tra il governo romano e il capo tribù. Gli invasori potevano però solo imporre la loro presenza, ma non potevano imporre alcuna tradizione politico-amministrativa, poiché ne erano privi. Nelle tribù barbare era assente il concetto di stato ed erano lontani anni luce dalla civiltà e dalla giurisprudenza del diritto romano. La rozza struttura della legge barbarica si reggeva sulle istituzioni della faida (la vendetta di sangue), del guidrigildo (il riscatto), e dell’ordalia (il duello giudiziario, che diventerà il giudizio di Dio con la diffusione del Cristianesimo).
Le classi sociali finiscono per essere livellate verso l’alto e verso il basso, con la conseguente scomparsa delle classi intermedie: le due suddivisioni fondamentali erano arimanni o liberi e aldii o semiliberi; tra gli arimanni spiccavano i nobili o adalingi, mentre i poveri preferivano rinunciare alla libertà personale per mettersi sotto la protezione di un nobile (patronato). Praticamente si formano due grosse concentrazioni sociali, formate da entrambe le etnìe, una aristocratica e una proletaria, che necessita della protezione di un potente.

OSTROGOTI

Nel 476 il re degli Eruli, Odoacre, depone Romolo Augustolo e si fa riconoscere patrizio romano, e quindi legittimo governatore dell’Italia, dall’imperatore d’Oriente Zenone, a cui invia le aquile imperiali, segno dell’Impero Romano d’Occidente. Un gesto fortemente simbolico, che testimonia un vero e proprio passaggio di consegne e che segna la fine definitiva dell’Impero Romano d’Occidente. Per difendere i territori appena conquistati, Odoacre sottomette la Dalmazia e il regno balcanico dei Rugi: questi ultimi chiedono aiuto al re degli Ostrogoti Teodorico. Preoccupato di una possibile invasione ostrogota, Zenone non esita a rigettare l’alleanza con Odoacre spingendo Teodorico a muovere guerra contro gli Eruli.
Teodorico muove quindi verso il territorio italiano, nel 488 supera l’Isonzo, nel 490 l’Adda e dopo aver superato Verona assedia Ravenna fino al 493. Lo stesso anno finge un accordo per governare in diarchìa con Odoacre, ma pochi giorni dopo lo fa uccidere durante un banchetto. Rimasto solo, Teodorico ottiene da Zenone le insegne imperiali e il ruolo di collega dell’Imperatore sul suolo italiano. Merito di Teodorico, il cui regno durò trent’anni, è la capacità di ar coesistere nel suo governo gli elementi germanici e romani. Bisogna sottolineare che Teodorico, nonostante sia stato appoggiato da Zenone agisce effettivamente come se fosse a capo di uno stato indipendente. La sua politica interna si sviluppa con intenti di pacificazione, ma non di integrazione, tra le due etnìe: ai Goti sono affidate le armi, ai Romani gli incarichi politico-amministrativi e le magistrature civili. L’economia italiana è in questo periodo caratterizzata dal latifondo e da un livello di produzione abbastanza inferiore. Il latifondo prospera perché sotto Odoacre i soldati germanici ricevevano delle terre come premio ma le cedevano ai rricchi possidenti locali in cambio di un canone periodico. La scomparsa di una classe media porta un grave scompenso nell’economia del periodo, che viene risollevata in parte sotto Teodorico, attraverso sgravi fiscali e incentivi per gli agricoltori e tramite una regolamentazione delle attività agricole principali. La riapertura del corridoio marittimo est-ovest estende i benefici ai Franchi confinanti, con una vivace impennata del mercato import-export nel Mediterraneo (oro, lana, schiavi, legname, argento, rame).
Nel 500 l’Editto di Teodorico impone ai Goti la legge di Roma, e si mantiene il vetusto codice ostrogoto solo per i pochi casi non contemplati dal diritto romano.
Teodorico cade però in disgrazia con la condanna dell’eresia ariana (525) che lo porta a scontrarsi con la Chiesa: di qui la condanna al confino nel 526. Erede dell’impero era il giovanissimo Atalarico, affidato alle reggenze della madre Amalasunta, figlia del deposto imperatore. Il giovane nipote di Teodorico viene sottratto alla vita di corte per essere addestrato al più rigido costume gotico e muore dopo poco tempo. La madre Amalasunta resta quindi l’unica erede ma, poiché i Goti non volevano essere governati da una donna, è costretta a sposare il cugino Teodato, che nel 534 la ripudia e la fa poi uccidere nell’esilio di Bolsena. Amalasunta riesce però prima di morire a chiedere l’aiuto del nuovo imperatore d’Oriente Giustiniano, che interviene sconfiggendo l’esercito gotico (cfr. la guerra greco-gotica). La dominazione bizantina in Italia dura poco, e viene interrotta con l’arrivo dei Longobardi nel 568.

FRANCHI

Nel V secolo i Franchi, provenienti dalle regioni del basso Reno, invadono la Gallia. Erano distinti in Salii e Ripuarii. Nel 486 Clodoveo dei Salii dà il via alla dinastia dei Merovingi, così detti dal loro capostipite Meroveo, morto nel 451. Nel 486 Clodoveo batte il generale gallo-romano Siagrio, e si impossessa dei territori tra la Loira e la Senna; strappa agli Alamanni l’alto Reno (battaglia di Tolbiac, 496) e ai Visigoti l’Aquitania (battaglia di Vouillè, 507); l’unica zona ancora in mano ai Visigoti era la Settimania, ossia la zona meridionale dell’odierna Francia, che chiudeva quindi ai Franchi l’accesso al Mediterraneo.
A differenza dagli Ostrogoti i Franchi riescono a fondersi con le tribù autoctone celto romane, soprattutto in virtù del Cristianesimo a cui si convertono, tanto che Clodoveo venne considerato un paladino antiostrogoto della religione cristiana. La giurisprudenza merovingia manca però di una legislazione unitaria, per quanto Clodoveo avesse regolamentato le norme del suo regno con la Legge Salica; inoltre quella merovingia era una monarchia ereditaria, e ciò mette in crisi l’unità del regno alla morte di Clodoveo.
Clodoveo viene riconosciuto console dell’Impero dall’imperatore d’Oriente Anastasio; alla sua morte, nel 511, il suo regno diventa però oggetto di divisioni e contese tra gli eredi. Nel 537 il regno si estende finalmente alla Provenza, che garantisce un effettivo sbocco al mare. Il regno franco è riunificato da Clotario I nel 558, ma dopo la sua morte le contese tra la monarchia e l’aristocrazia locale lo smembrano in tre parti, Austrasia, con capitale Reims, Neustria, con capitale Parigi, e Borgogna, con capitale Orléans.

SASSONI, ANGLI E JUTI

Sono tre tribù che sbarcano dalle coste tedesche e danesi in Britannia, abbandonata dalle legioni romane nel 410, dove fondano una eptarchìa costituita da sette piccoli regni:

Kent (Juti);
Essex, Sussex, Wessex (Sassoni);
Est-Anglia, Mercia, Northumbria (Angli).

Gli autoctoni celto-romani sono spinti verso le zone di Cornovaglia, Scozia e Galles, e soprattutto oltre la Manica nell’odierna Bretagna (donde il nome) a nord della Francia. Il carattere della vita politica della Britannia è distinto a seconda delle zone occupate, poiché ogni gruppo mantiene inalterate le proprie usanze. 

VISIGOTI E VANDALI

I Visigoti si stanziano nella Gallia meridionale, soprattutto nella cinta pirenaica. Il loro regno raggiunge l’apice con Eurico (466-484) prima e poi Alarico II (484-507), che ebbero il merito di riportare alla luce gli antichi ordinamenti germanici, proposti come Codex Euricianus (470) e Breviarium Alariciarum (506); la loro capitale era Tolosa. Respinti a più riprese dai Franchi, finiscono con il perdere la parte meridionale del regno per mano di Bisanzio, finchè la situazione non viene ricomposta da Leovigildo (568-586), che porta la capitale a Toledo. La presenza visigota a Toledo fu facilitata dalla conversione del popolo al Cristianesimo, che cementa una forte intesa con l’alto clero.
I Vandali erano stanziati in Africa, ma la potenza del loro regno dura finchè era in vita il loro capo, Genserico. Sotto Genserico il regno vandalico diventa molto agguerrito nel Mediterraneo, ma alla sua morte, nel 477, il regno viene travagliato dalle tensioni tra le opposte fazioni cristiana e ariana, ed è quindi accorpato da Giustiniano all’Impero Romano d’Oriente nel 534.

Scomparsa l’unità politica dell’Impero resta solo l’unità spirituale garantita dalla Chiesa di Roma, che si fa appunto garante dell’unità del popolo, anche in ambito civile e temporale. Il vescovo di Roma manifesta la sua supremazia sugli altri vescovi; a partire da Leone I (474) è chiamato Papa ed è eletto dal popolo romano. Il problema è però rappresentato dal fatto che l’imperatore di Costantinopoli continua a mantenere una effettiva tutela sulle genti occidentali, tutela che non gli viene contestata nemmeno dai barbari invasori, e ciò determina in molti casi un detrimento delle condizioni del clero o un conflitto di interessi. Sul fronte delle eresie va ricordato che la maggior parte dei popoli barbarici professava le antiche dottrine germaniche come Teodorico o era convertito all’Arianesimo, condannato da Costantino a Nicea nel 325. Ma i rapporti con la Chiesa erano buoni: i Franchi furono uno dei primi popoli a convertirsi al cattolicesimo romano. I Goti di Teodorico rimasero invece fedeli alle proprie tradizioni religiose; i rapporti con Roma si mantennero discreti fino alle persecuzioni anticristiane ordite dall’imperatore di Costantinopoli Giustino.
Uno degli strumenti più efficaci con cui la Chiesa riuscì a tenere salde le proprie strutture durante il periodo dei regni romano barbarici era rappresentato dal movimento del Monachesimo, costituito da Benedetto da Norcia, negli ultimi anni del regno di Teodorico (circa 520/526): Benedetto fondò l’abbazia di Montecassino e elaborò la Regola, condensata nella famosa massima “ora et labora” che compendia l’attività benedettina. Questo movimento produsse indubitabili vantaggi sul piano culturale, col recupero degli antichi manoscritti curato dagli amanuensi copisti, secondo i noti dettami dell’enciclopedismo medioevale ispirato da Severino Boezio.

martedì 28 giugno 2016

Classe 2 Parte 2b S

L’IMPERO D’ORIENTE
(476 – 867)

Mentre l’Impero d’Occidente va frantumandosi sotto i colpi sempre più incessanti dei nuovi arrivati di origine germanica, l’Impero d’Oriente si espande, a danno dei territori confinanti. Per un certo periodo l’imperatore Zenone (regno: dal 474 al 491) e il suo successore Anastasio I (regno: dal 491 al 518) si disinteressano dell’occidente, sotto la pressione dei continui assedi dei Bulgari, un popolo di stirpe mongolica giunto nei Balcani al seguito di Attila; le cose cambiano col nuovo imperatore Giustino I (regno: dal 518 al 527) che prepara il ricongiungimento dell’Italia all’impero d’Oriente con una manovra politico-religiosa. Giustino riesce infatti a riconciliarsi col vescovo di Roma, il papa Giovanni I, e con l’aristocrazia romana, perseguitando i Goti di confessione ariana che non si erano appunto convertiti al Cristianesimo; Teodorico risponde facendo perseguitare i Cristiani, e facendo prigioniero lo stesso Giovanni I. prima della sua morte Giustino associa al trono come “collega” il nipote Flavio Pietro Sabazio, che nel 527 sale al trono col nome di Giustiniano (regno: dal 527 al 565).
Giustiniano, coadiuvato dalla brillante compagna Teodora, prosegue il compito di riunificazione dell’Impero iniziato da Giustino, arginando le invasioni di Bulgari e Slavi e assicurandosi nel 532 una pace perpetua, dietro pagamento di un tributo, col re persiano Cosroe; con le spalle dunque finalmente coperte strappa ai Vandali la provincia d’Africa con Sardegna, Corsica e Baleari, e si volge verso l’Italia ostrogota.
Come si ricorderà dopo la morte di Teodorico la figlia di questi, Amalasunta, unica erede al trono dopo la prematura scomparsa del giovanissimo Atalarico, era stata costretta per ragioni governative a sposare il cugino Teodato. Teodato si sbarazza della moglie e resta solo a governare l’Italia; ma la regina, avvertendo il pericolo imminente, fa in tempo a chiamare in aiuto Bisanzio. Il generale Belisario, inviato da Giustiniano, sbarca in Sicilia, mentre un altro esercito di Bisanzio, da nord, assedia Ravenna. A questo punto i Goti decidono di liberarsi da Teodato e acclamano re Vitige, che riesce a fermare Belisario a Roma, ma è costretto a ripiegare su Ravenna, dove, sia per la decimazione dell’esercito, sia per un tradimento, viene sconfitto nel 540 da Belisario e inviato a Bisanzio come prigioniero di guerra. Le gelosie della corte travolgono però anche Belisario, che è costretto a lasciare la Penisola per fronteggiare un nuovo assedio dei Persiani.
L’esercito bizantino, rimasto sguarnito, subisce una pesante revanche da parte dei Goti, che nel 542 proclamano re Baduila, detto Totila (= l’immortale). Totila riesce a tener testa a Belisario, nel frattempo tornato a guidare le truppe in Italia, e pre radicare nel popolo la resistenza agli invasori decide di togliere terre ai latifondisti  per consegnarle ai contadini italici. Belisario è sostituito nel 548 da Narsete, che riesce a sconfiggere e uccidere Totila a Tagina (Gualdo Tadino, in Umbria) nel 552. A Totila succede Teia, ma l’esercito gotico è ormai decimato e viene sconfitto presso Napoli. Dispersi, i Goti finiscono con il fondersi con la popolazione locale o ripassano le Alpi, mentre qualcuno tenta la carriera di soldato mercenario.
L’impero di Bisanzio conta ora anche l’Italia e inizia a guardare alla Spagna. Giustiniano muore nel 565 e gli succede Giustino II (regno: dal 565 al 578) che però non riesce a mantenere l’assetto del riunificato impero: nel 568 deve rendere ai Visigoti la Spagna, e sempre nello stesso anno, arrivano in Italia i Longobardi. Alla morte di Giustino II salgono al trono prima Tiberio II (regno: dal 578 al 582) poi Maurizio (regno: dal 582 al 602) che istituisce gli esarcati (governatorati) di Ravenna e Cartagine e conquista nel 601 l’Armenia. Maurizio è però spodestato e ucciso nel 602 dall’usurpatore Foca (regno: dal 602 al 610) che viene a sua volta rovesciato da Eraclio (regno: dal 610 al 641) che sostituisce al titolo imperiale quello di basileus. Eraclio respinge l’offensiva persiana e contrattacca fino a Ninive ma nel frattempo la Persia è conquistata dagli Arabi. Per arginare la minaccia di una nuova invasione Eraclio rinuncia alla regione balcanica lasciandola agli Slavi e preferisce coprire la regione orientale, ma gli Slavi riconoscono comunque la supremazia di Bisanzio. Morto Eraclio sale al trono Costantino II (regno: dal 641 al 668) mentre gli Arabi invadono Cirenaica ed Egitto, avvicinandosi pericolosamente a Costantinopoli tra il 674 e il 678.
Segue un cinquantennio tra i più critici dell’impero che si conclude solo con l’ascesa al trono di Leone III Isaurico (regno: dal 717 al 741) che ferma l’avanzata araba presso Akroinos nel 740 e rafforza i confini dell’impero, ma si scontra con la Chiesa romana a causa del suo appoggio per gli iconoclasti seguaci del monofisismo, che lo porta a confiscare molte proprietà ai monasteri. Nel 741 sale al trono Costantino V (regno: dal 741 al 775) ma la situazione in Italia precipita con l’avanzare dei Longobardi, che nel 751 prendono Ravenna. Nell’800 il re dei Franchi Carlo Magno è incoronato ufficialmente Imperatore iniziando la storia del Sacro Romano Impero e nell’812 anche Bisanzio gli riconosce autorità con la nomina del re carolingio a basileus, fatta dall’imperatore bizantino Michele I (regno: dall’811 all’813). La fine definitiva dei rapporti tra Roma e Bisanzio si avrà nell’867 con lo Scisma di Fozio, durante l’ultimo anno di regno di Michele III (regno: dall’824 all’867).

Nonostante il nome l’Impero Romano d’Oriente non aveva nulla di romano a parte la tradizione giuridica, ripescata da Giustiniano nella stesura del Corpus Iuris Civilis del 528, affidata al giurista Triboniano: tutta la struttura amministrativa e burocratica era infatti di derivazione orientale. Erano presenti un dux, che gestiva il potere militare in ogni provincia, e un iudex, che gestiva il potere civile. La caratteristica imperatoriale era quella di un monarca assoluto, senza l’intercessione di un ceto senatorio; sotto l’imperatore sedevano vari funzionari, diplomatici e ministri, oltre a una ristretta cerchia di latifondisti e di imprenditori, al di sotto dei quali sono servi e contadini che lavorano in genere nelle grandi proprietà terriere. Sul piano militare, scomparsa la fanteria, emerge la cavalleria, mentre le coste sono controllate da un efficace esercito navale.
Dal punto di vista amministrativo Giustiniano non va ricordato solo per la grandiosa riforma giuridica ma anche per l’istituzione della Prefettura d’Italia, con capitale Ravenna, il cui governo è riordinato con la Prammatica Sanzione del 554. La Prefettura è retta da due funzionari, uno civile o patrizio e uno militare o prefetto del pretorio, mentre sotto Maurizio l’Italia diventa un esarcato e le due cariche si fondono in quella dell’esarca. Eraclio compie quindi una ulteriore trasformazione e divide il territorio in distretti militari detti temi, a capo dei quali pone uno stratigos con compiti anche civili; ai soldati, o stratioi, reclutati sul territorio, viene promesso e assegnato un appezzamento di terreno, alienabile per via ereditaria. Questa svolta rappresenta l’inizio della feudalizzazione, con la nascita di una nobiltà terriera militare, opposta alla nobiltà burocratica dei funzionari imperiali, il cui capo effettivo è il cosiddetto dromos.
La chiesa di Bisanzio si distingue dalla chiesa di Roma poiché il capo della religione è l’imperatore, e i poteri temporale e spirituale sono riuniti in un solo potere detenuto dall’imperatore stesso (cesaropapismo). Fedele all’uso imperiale romano-occidentale Giustiniano cercò un accordo col papa, ma si dovette scontrare con l’eresia monofisita che divideva l’Oriente in due fazioni, accentuando lo spirito separatista, finchè lo scontro arrivò nella stessa Bisanzio dove si crearono due partiti, Verdi e Azzurri, favorevoli e contrari all’eresia. Roma condanna il monofisismo a Calcedonia nel 451: dopo Giustiniano Eraclio cerca di mediare le cose affermando che Cristo ha due nature ma una sola volontà, ma la Chiesa condanna anche il monotelismo nel 681. Caratteristica del monofisismo orientale era l’iconoclastìa, che porterà alla guerra delle immagini sacre nel 726, guerra che celava in realtà il pretesto per un maggiore controllo dello Stato sulla Chiesa e sui suoi beni.
Nell’867 il patriarca di Costantinopoli Fozio stabilisce la nullità della discendenza dello Spirito santo anche dal Figlio e sancisce la separazione tra le due Chiese: il papa Nicolò I condanna Fozio come eretico nell’863. Lo scisma rientra nell’886, ma le sue premesse dottrinali sfoceranno in un nuovo scisma nel 1054. 

lunedì 27 giugno 2016

Classe 2 Parte 3b S

I LONGOBARDI
(568 – 774)

Le famiglie dei Longobardi arrivano in Italia nel 568, diciotto anni dopo l’assetto dato da Giustiniano alla penisola. Il territorio longobardo è diviso in ducati: Friuli, Trento, Pavia, Bergamo, Milano e Torino a nord, (Bergamo, Milano e Torino costituivano il nucleo centrale con Pavia del regno longobardo), Tuscia e Spoleto al centro, e Benevento a sud; sono invece in mano bizantina i territori della cosiddetta Romania, comprendenti l’Esarcato, attualmente l’Emilia Romagna,  la Pentapoli, le “cinque città” di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona, e i territori di Veneto, Liguria, Puglia, Calabria e Ducato Napoletano; Roma è formalmente bizantina ma di fatto governata dal papa.
La longobarda è una stirpe germanica di fede ariana, che si muove da est attraverso la Pannonia, scacciata dagli Avari, e che giunge alle Alpi Giulie da cui poi scende nella penisola italiana. I Longobardi erano poco numerosi, forse quarantamila guerrieri, ed erano guidati da Alboino.
Politicamente e amministrativamente i Longobardi erano divisi in farae, che legavano diverse famiglie legate da vincoli di consanguineità; più farae costituivano una unità etnico-militare  che era governata da un capo, detto dux, solitamente un aristocratico appartenente agli adalingi. Era tra i duces che l’assemblea eleggeva il rex, il quale si avvaleva della collaborazione di una specie di consiglio della corona formato dai gasindi, dei guerrieri devoti. Occorre sottolineare che le usanze longobarde vedevano il popolo come un exercitus: i Longobardi non erano probabilmente una tribù stanziale e davano molta importanza ai ruoli assunti nell’ambito della tribù. Solo chi portava le armi e faceva il guerriero era degno di considerazione, e entrava nel novero degli arimanni, ossia degli uomini liberi, mentre chi non era un guerriero faceva parte degli aldii o semiliberi.
Le deboli difese bizantine si arrendono e lasciano campo libero ai nuovi arrivati, mentre i nuclei preesistenti si ritirano nei territori protetti da Bisanzio. Alboino era sposato a Rosmunda, la figlia del re Cunimondo, da lui ucciso. Rosmunda, che era stata costretta a sposare l’usurpatore, fa però uccidere il marito nel 572, con l’appoggio di Bisanzio, e ad Alboino succede il duca di Bergamo Clefi, che però regna solo due anni. Alla morte di Clefi succede un periodo di vacanza del trono, durata dieci anni, voluta dai duchi longobardi che temevano che il potere regio limitasse la loro autorità sui ducati, finchè nel 584 la situazione difensiva, pregiudicata da un attacco congiunto dei Franchi e dei Bizantini, costringe l'assemblea a eleggere rex il figlio di Clefi, Autari, marito della brillante e colta regina Teodolinda.
Dopo la morte di Clefi, avvenuta nel 590, Teodolinda, che era cattolica, si risposa con Agilulfo, riconosciuto re dei Longobardi, che riprende la campagna espansionistica. Oltre a Bisanzio Agilulfo assedia ripetutamente Roma, e solo l’intervento del papa Gregorio I Magno scongiura la sconfitta: Gregorio, consigliere di Teodolinda, convince la regina a convertire il suo popolo al cattolicesimo, cosa che avviene nel 603.  Alla morte di Agilulfo segue un lungo periodo di instabilità, che si conclude nel 636 con l’ascesa al trono di Rotari. Oltre a occupare Genova e la Liguria, nonché parte delle coste venete, Rotari dà al popolo longobardo la prima legislazione della sua storia con l’Editto di Rotari del 643. Negli ultimi decenni del VII secolo il popolo longobardo è diviso da guerre di religione tra i cattolici e gli ultimi irriducibili ariani, mentre i duchi incalzano sempre più il potere regio.
Il periodo di massimo fulgore del regno longobardo si ha tra il 712 e il 744 durante il regno di Liutprando. Bisanzio era impegnata nella famosa guerra delle immagini, che vedeva i Bizantini italiani contro Leone III Isaurico, e il re longobardo ne approfitta per invadere Esarcato e Pentapoli. Singolare è la volontà di Liutprando di non toccare i territori romani: nel 728 il re dona il castello di Sutri al pontefice Gregorio II, e ai presunti timori di una possibile invasione longobarda si accompagna la donazione (742) al patrimonio di San Pietro di parecchie città di Esarcato e Pentapoli: in tal modo Liutprando conserva la fiducia dei duchi, che vedono limitato il potere del loro rex e nello stesso tempo conserva una strategica alleanza col papa Zaccaria. Con questa donazione viene stipulata una tregua ventennale tra lo stato romano e il regno longobardo.
Alla morte di Liutprando segue il breve regno di Rachis che, per incomprensioni con il papa, è costretto a ritirarsi a Montecassino; gli succede Astolfo (749-756) che riesce a cacciare i Bizantini da Ravenna ponendo fine definitivamente alla dominazione bizantina nell’Italia settentrionale. La manovra di Astolfo preoccupa però il papa Stefano II che, sentendosi accerchiato, chiede aiuto al re dei Franchi Pipino il Breve, il quale sconfigge Astolfo nel 756 e conquista Esarcato e Pentapoli, che poi donerà allo stesso pontefice. I territori della Chiesa vanno così a formare un interessante argine antilongobardo che di fatto separa in due la Penisola. Alla morte di Astolfo viene eletto rex il duca di Tuscia Desiderio, il quale per tenersi buoni gli avversari concede in sposa la figlia Ermengarda a Carlo, figlio di Pipino il Breve; ma Carlo, ripudiata la moglie, determina la fine del regno longobardo sconfiggendo il suocero.

Abbiamo detto già della particolare struttura sociale longobarda, in cui i duces erano riconosciuti capi assoluti. La forza di questi comandanti militari traeva origine dalla divisione dei territori conquistati, che andavano a costituire i cosiddetti ducati, in cui il dux sceglie come residenza i locali del vecchio municipium romano, riducendo gli autoctoni al rango di aldii. Parte delle terre viene donata al re, per rafforzare il demanio regio. Nell’Italia meridionale ci sono diversi temi, i distretti militari di chiara derivazione bizantina, guidati militarmente da uno stratego e difesi da truppe solitamente assoldate in loco (le scholae), mentre il potere civile è detenuto dai vescovi.
Possiamo dire che i Longobardi suggellano il loro stanzialismo con l’Editto di Rotari, perché nei 388 articoli il re longobardo introduce il diritto romano riguardo la proprietà privata e elimina la giustizia privata, ponendosi garante dell’ordine del regno. Il vecchio ceto latifondista romano è progressivamente sostituito dai nuovi dominatori che prendono possesso delle grandi proprietà terriere, le antiche villae, ora chiamate curtes, e divise in pars dominica, riservata al signore e pars massaricia, riservata ai lavoranti, o massarii, che lavoravano i poderi o mansi in cui si divideva la curtis. Il sistema curtense longobardo non si distingue dal latifondo romano e propone lo stesso tipo di economia chiusa ossia si produceva quanto serviva.
Il vero ceto latifondista era rimasto quello della Chiesa, che aveva ulteriormente allargato i confini con le donazioni e i lasciti. Nonostante si sviluppi una certa attività commerciale di esportazione esterna alle curtes il baratto resta ancora un valido mezzo di compravendita. L’attività commerciale era svolta dai mercatores, che di solito vendevano minutaglie o il surplus dei prodotti degli amministratori delle curtes.