martedì 31 gennaio 2017

Periodo cosmologico


PERIODO COSMOLOGICO

La storia della filosofia antica si divide comunemente in cinque  periodi, ognuno dei quali si caratterizza per una diversa prospettiva sull’indagine umana. Questi periodi sono:

PERIODO COSMOLOGICO, dominato dal problema del principio di tutte le cose; i filosofi del periodo si interrogavano sull’unità dell’ordine cosmico;

PERIODO ANTROPOLOGICO, dominato dal problema uomo nel suo rapporto con il cosmo;

PERIODO ONTOLOGICO, dominato dal problema del rapporto tra l’uomo e l’essere; esso rappresenta la maturazione della speculazione greca con il pensiero di Platone e Aristotele;

PERIODO ETICO, dominato dal problema della condotta morale dell’uomo; esso si colloca nella fase di decadenza della civiltà greca, e il campo di indagine non sono più le potenzialità dell’uomo ma i suoi limiti;

PERIODO TEOLOGICO, dominato dal problema del ritorno a Dio, è la fase conclusiva della filosofia antica che prelude ai temi speculativi della Patristica e della Scolastica.

Come si vede la cronologia stessa della filosofia greca ci riporta a una concezione temporale di tipo circolare: la speculazione inizia infatti da un ideale contemplativo, espressione di una spiritualità arcaica,e si chiude con la naturale “riscoperta dell’Uno/Assoluto”, principio di tutte le cose.E’ oltremodo significativo il percorso umano che vede il filosofo dapprima come spettatore immerso nella contemplazione della natura alla ricerca della sua origine, poi come attore e intermediario, addirittura “misura di tutte le cose” o assolutamente ignorante, quindi impegnato nella ricerca delle proprie potenzialità, residenti nel proprio essere, poi ancora “ridimensionato” e cosciente della umana limitazione, e infine la riscoperta del Superiore, dell’Uno o assoluto, che coincide con la propagazione del Cristianesimo, ma che ben prima viene portato avanti dai Neoplatonici e dai primissimi Padri Apologisti.

LA SCUOLA IONICA ED ERACLITO

La scuola ionica porta avanti il tema del monismo naturalistico; il filosofo ha ancora un ruolo passivo e contemplatore. Si tratta del primo parto ufficiale della filosofia greca, e gli elementi a disposizione sono contenuti nella natura. Il filosofo ricerca il principio di tutte le cose (archè), si limita a contemplare la natura cercandone ordine e principio. La ricerca ionica si basa sui quattro elementi naturali (acqua, aria, terra, fuoco) da sempre centro dell’indagine scientifica. Il più rappresentativo dei filosofi ionici è Talete, fondatore della scuola di Mileto. Talete individuava il principio di tutte le cose nell’acqua; non stupisce che il filosofo milesio ricerchi l’archè proprio nell’elemento umido: la Tradizione considera infatti questo come l’elemento generante, fecondante e legato all’azione dell’influsso lunare. Per Anassimene il principio di tutte le cose è l’aria, e il processo del divenire è legato ai meccanismi di rarefazione e condensazione.
Eraclito individuava l’archè nel fuoco o logos: si noti anche qui la scelta di un altro elemento di forza, che può essere assimilato al potere della parola creatrice, come evidenziato dall’incipit giovanneo. Per Eraclito il mondo in divenire si basa sul principio di un eterno fluire (panta rei, tutto scorre) e in questo continuo mutamento l’inevitabilità dei contrari e delle opposizioni produce un continuo stato di tensione e di guerra. Per Anassimandro, infine, il principio deve essere ricercato nell’apeiron o infinito. Nel suo pensiero possiamo ravvisare le stesse caratteristiche di contrari e opposti della filosofia eraclitea, ma ricondotte a un principio per la prima volta indefinito, paragonabile a una specie di bolla che contiene un insieme indefinito di elementi. (aoriston) eternamente impegnati in un continuo definirsi e separarsi.

LA SCUOLA PITAGORICA

L’importanza dei Pitagorici consiste nella dottrina trasmessa dal loro maestro, ma anche nella struttura della scuola, vero e proprio circolo esoterico a cui si accedeva soltanto dopo un severissimo cammino iniziatico. Anche la dottrina pitagorica è assolutamente fedele alla concezione monistica introdotta dagli Ionici. Il principio di tutto non è però ricercato in uno dei 4 elementi naturali ma in un elemento particolare, il numero, che assume nella sua funzionalità archetipa il doppio ruolo di unità e quantità.
Il personaggio ovviamente più conosciuto della scuola è il suo fondatore, Pitagora di Samo. Tutta la speculazione pitagorica si riconduce al numero e alle sue rappresentazioni nella realtà: ogni elemento naturale si differenzia dagli altri per peso, altezza, dimensioni; è dunque necessario che nel Tutto della natura ci debba essere un Principio ordinatore universale che impedisca il disordine cosmico, appunto il numero, di cui Pitagora mise in evidenza il carattere quasi sacrale. Questa concezione, evidentemente monoteista, stonava col tipico politeismo religioso greco, e metteva in luce l’originalità del pensiero pitagorico. Dall’Uno derivano i Molti: l’elemento grafico che disegnava l’assunto basilare del pitagorismo era il triangolo della tetraktis, che rappresentava la somma dei primi quattro numeri (1,2,3,4) ossia 10,ossia,per riduzione teosofica, ancora Uno. Si noti come anche in Pitagora non scompaiono del tutto i 4 elementi, principiati, però, e ordinati dall’uno. Dall’unità, per definizione parimpari, generatrice dell’uno e dei molti procedono tutte le cose ordinate secondo il principio dei contrari, il cui apice è la coppia pari-dispari.
Un altro importantissimo concetto pitagorico è l’immortalità dell’anima, secondo cui l’anima si purga attraverso l’incarnazione obbligatoria in un corpo fisico, e attraverso la trasmigrazione di corpo in corpo (metempsicosi) fino alla definitiva catarsi.

LA SCUOLA ELEATICA

La scuola eleatica, che prese il nome dalla città di Elea, in magna Grecia, ricerca come principio di tutte le cose l’essere in quanto tale, spingendo la speculazione filosofica ben oltre il sensibile. Il fondatore della scuola fu Senofane, che offre un’impostazione teologica rivoluzionaria e originale: Dio è Uno. Contro il politeismo tipico greco, Senofane sostiene l’unicità del Principio Creatore, e ritiene che tutti i popoli si figurano un Dio antropomorfizzato secondo i canoni estetici della propria etnìa (nero per gli Etìopi, bianco per gli Ariani…). E’ dunque uno, assoluto, infinito, immutabile.
Se Senofane fu il fondatore dell’eleatismo, uno dei suoi esponenti più famosi fu Parmenide.
Discepolo di Senofane, Parmenide sviluppa i caratteri più importanti del suo pensiero. Essere e pensare sono per Parmenide la stessa cosa, poiché solo l’essere disvela l’essenza delle cose; i nostri occhi arrivano a cogliere il momento finale del divenire, ciò che Aristotele chiamerà atto, ma in ogni fase del processo è sempre l’essere che si trasforma. Ma allora, osserva Parmenide, se è sempre essere la realtà in movimento, il divenire è illusione. Da questo concetto Parmenide ne deriva altri due:
il contrario dell’essere, come esistenza, è il nulla;
il contrario dell’essere, come permanenza, è il divenire.
Questo doppio canale lascia molti spazi liberi alla polemica antiparmenidea (vedi Platone) : poiché essendo l’essere un principio, un tutto, esso escluderebbe per forza anche i suoi contrari, ma se  l’essere è anche pensiero, allora dovrebbe pensare i contrari e dunque il non essere come reali. L’essere è uno, eterno ingenerato immutabile e soprattutto indivisibile. Nella gnoseologia di Parmenide non c’è spazio per il divenire, per la sensibilità, che originano opinioni fallaci e in contraddizione col pensiero (che essendo l’essere stesso non può essere smentito). Si veda al proposito l’esempio sul remo immerso nell’acqua utilizzato da Galilei per evidenziare il carattere ingannatore dei nostri sensi. Il secondo esponente più illustre della scuola di Elea fu Zenone.                                        
Zenone,che fu discepolo di Parmenide, illustrò attraverso le sue aporìe, l’assurdità dell’affermazione del divenire e del molteplice. La polemica di Zenone riguarda soprattutto i pitagorici, che concepivano la realtà come ente matematico discontinuo: per Zenone invece la realtà è intuita come continuo matematico e geometrico. Lo strumento per eccellenza di Zenone è il  paradosso. Il più famoso è quello di Achille che, in gara con la tartaruga, si vede sconfitto dall’animale, notoriamente assai lento, poiché secondo Zenone il percorso di un tragitto dal punto A al punto B si completerebbe in un tempo infinito: posto che, prima di completare l’intero percorso, Achille dovrà completarne la metà, prima di completarne detta metà, Achille dovrà percorrere la metà della metà, e così via all’infinito; ammesso che Achille dia vantaggio all’animale, la tartaruga risulterebbe più veloce di Achille, avendo compiuto un percorso sempre più lungo dell’avversario nel momento in cui questo la raggiunge.

PLURALISTI E ATOMISTI

Dal conflitto dei due indirizzi monistici nasce una nuova tendenza speculativa che raccoglie l’eredità delle aporìe di Zenone, e che viene chiamata Fisica Posteriore. Questa tendenza si caratterizza per il passaggio dal monismo speculativo di ionici, pitagorici ed eleatici, al pluralismo portato avanti dall’omonima scuola e all’atomismo democriteo. Da una parte l’indagine monistica escludeva il molteplice e il divenire, dall’altra l’indagine pluralistica metteva in dubbio l’unicità dell’essere. Causa del conflitto erano i filosofi monisti, che consideravano solo una parte della realtà escludendo il resto. Fu dunque molto facile per il pluralismo affermarsi, attraverso la concezione di più principi mescolati e combinati fra loro.
Primo pluralista fu  Empedocle di Agrigento. I quattro elementi naturali che  i milesi consideravano nella loro unicità archetipa, acqua, aria, terra e fuoco, sono assommati da Empedocle come le 4 radici della realtà. Ognuno di questi 4 elementi è immutabile, eterno, inconfondibile con gli altri. In origine le 4 radici erano racchiuse in uno Sfero, dove non sussisteva alcuna preminenza qualitativa; l’azione di due forze opposte, Amore e Odio, provocò la separazione delle radici e causato il divenire ciclico a cui non sfugge nemmeno la vita morale dell’uomo. Come si vede, Empedocle “ruba” uno dei temi salienti della filosofia eraclitea, quello dei contrasti e degli opposti, che sono qui mediati e armonizzati nello Sfero.
Una svolta nell’indagine pluralista viene dalla filosofia di Anassagora. Tutte le cose ci sembrano unitarie, dice Anassagora, ma se le osserviamo bene    ci accorgeremo che sono composte da altre parti, a loro volta scomponibili in altre particelle più piccole: se si considera un braccio esso può essere scomposto in ossa, tendini, muscoli, a loro volta scomponibili fino alle particelle più minime che Aristotele definirà omeomerie. Queste omeomerìe sono similari ma eterogenee, e dalla loro continua aggregazione e disgregazione deriva il processo del divenire. Ogni cosa assomma tutte queste particelle (tutto è in tutto, sostiene Anassagora) ma ovviamente il maggior numero di un certo tipo di omeomerìe determina la qualità dell’oggetto, e ne rivela forma, colore, e vari attributi. Il  divenire rappresenta il passaggio delle omeomerìe da un elemento a un altro, poiché “tutto da tutto si genera”. Come possono però queste particelle determinare un oggetto definito? Alla base di tutti i movimenti Anassagora individua l’azione di una mente ordinatrice o Nous, creatrice di disciplina e armonia. La mente assume qui una notevole importanza quale ragion d’essere.
Queste due prospettive, la teoria delle forze opposte di Empedocle e la teoria della nous di Anassagora  ,  sono indubbiamente rivoluzionarie ma ancora legate alla concezione ilozoista dei monisti. La vera svolta scientifica arriva col pensiero atomista di Democrito e di Leucippo di Mileto. Leucippo fu il fondatore dell’indirizzo atomistico: alla base della sua speculazione,poi ampliata da Democrito, sta la concezione di un tutto simile all’essere parmenideo, ma la novità rispetto agli eleati sta nell’affiancamento all’essere del non essere, inteso come vuoto. L’essere è una materia omogenea, ma non è divisibile all’infinito. All’origine di questo tutto omogeneo ci sono particelle indivisibili,  indistruttibili, e omogenee dette atomi. Gli atomi non sono tutti uguali, essi si differenziano per forma, volume e peso, ma sono omogenei e dal loro combinarsi ha origine la materia. La loro combinazione ha origine da una forza che li fa cadere e li associa in base alla loro tipologia; essi sono differenziati dal vuoto, e nella caduta essi si urtano miscelandosi in base al loro peso e al loro volume. La compresenza della materia e del vuoto spiega dunque nella filosofia atomista la presenza del divenire. La scientificità di Democrito esclude il concorso divino: l’anima è come il corpo composta da atomi, più leggeri rispetto agli atomi del corpo; nessun principio, nessun Dio, solo una incessante caduta degli atomi e il loro casuale combinarsi. Quindi nessuna speranza: l’anima seguirà la stessa sorte del corpo e come i suoi atomi, anche gli atomi dell’anima si disgregheranno per poi dare vita ad altri elementi.  La prospettiva atomista del pensiero democriteo influenza appieno la gnoseologia. E’ chiaro che si conosce una realtà fenomenicamente unitaria, ed  è altrettanto chiaro che anche la conoscenza deriva da un urto tra atomi, tra gli atomi del corpo dell’elemento senziente e gli atomi del corpo dell’elemento sentito. Ma se vogliamo pervenire alla verità dobbiamo distinguere tra due visioni della realtà, una macroscopica (che rappresenta la normale prospettiva fenomenica e sensibile della conoscenza umana) fallace e basata sull’opinione e una microscopica, veritiera poiché fondata sulla conoscenza minima della realtà, rappresentata dagli atomi.

lunedì 30 gennaio 2017

Periodo antropologico


PERIODO ANTROPOLOGICO

LA SOFISTICA

La fisica democritea è l’ultima espressione del periodo cosmologico della filosofia antica. Due sono le prospettive individuate: monismo e pluralismo. Appartengono alla prospettiva monistica le filosofie ionica, pitagorica ed eleatica; appartengono alla prospettiva pluralista le filosofie omonime e atomistica. Il problema affrontato si sposta dal principio unico al molteplice, e va differenziandosi il ruolo del filosofo. Concluse le guerre persiane, dopo le vittorie di Platea e Micale, e la costituzione della lega delio-attica, la vita ateniese risorge sotto Pericle, e nasce un nuovo ceto medio-borghese che arriva a trasformare Atene politicamente e culturalmente. In ambito strettamente filosofico il nuovo problema riguarda la scoperta dell’uomo, un problema che è in sintonìa coi tempi e soppianta la ricerca del principio.
La filosofia del V secolo e dell’età periclea è la Sofistica. Per capire cosa rappresentò politicamente e culturalmente la Sofistica basta il nome del periodo filosofico che la Sofistica inaugura, periodo antropologico, studio dell’uomo. Pur essendo nota negativamente per i contenuti che vedremo tra poco, la Sofistica rappresenta nell’Illuminismo ellenico la vera riscoperta dell’uomo, delle sue potenzialità come dei suoi limiti.
Chi furono i sofisti? La Sofistica fu una scuola filosofica ma anche una scuola di formazione politica. Nell’Atene periclea e democratica tutti i cittadini avevano il sacro dovere di prendere parte alla vita politica, e le famiglie ateniesi benestanti cercavano di lanciare i propri rampolli nella amministrazione della cosa pubblica. I Sofisti si imposero subito con i loro corsi, a pagamento, di formazione nel difficile e arduo settore della retorica e della disputa (eristica) e ben presto il termine di “sofista” fu usato per indicare (e quasi sempre in senso negativo) chi, allievo dell’omonima scuola, usava l’arte della parola per difendere a ogni costo le proprie posizioni. Non già dunque il sophos o sapiente ma il suo esatto contrario, un mistificatore, per necessità, della realtà.
Sarebbe però riduttivo limitare il significato della Sofistica al solo aspetto didattico o a quelle, rilevato da Socrate, della mercificazione culturale. Ci fu infatti una prima sofistica, le cui posizioni contribuirono al rilancio di quel ruolo attivo dell’uomo di cui abbiamo già parlato. Di questa prima Sofistica si individuano due tendenze speculative: quella positiva di Protagora e quella negativa di Gorgia. Entrambe mettono in primo piano il ruolo attivo del filosofo e dell’uomo, misura di tutte le cose; ma mentre in Protagora ciò rappresenta la quasi onnipotenza dell’uomo, in Gorgia ne vengono evidenziati i limiti.
Protagora assume come massima della sua speculazione la frase “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono”. Malgrado Protagora ben sappia che il limite dell’uomo sia la conoscenza esclusivamente fondata su input di natura sensibile, non esita a porre l’uomo quale metro di conoscenza in quanto tramite con la realtà conoscibile. Ciò che vedo è vero poiché io, uomo, lo colgo con la mia percezione: quasi una sorta di onnipotenza, minata dall’inevitabile handicap di una conoscenza basata sui sensi. La frequentazione degli atomisti portò Protagora a insistere molto sul problema della conoscenza sensibile e sugli errori che si porta dietro: come Democrito, anche il filosofo di Abdera ritiene che la gnoseologia fondata sui sensi sia fuorviante poiché inevitabilmente basata su opinioni relative; se io entro in un ambiente mediamente riscaldato e fuori c’è una temperatura polare, l’ambiente mi apparirà caldissimo rispetto a un mio simile che invece ha trascorso tutto il giorno in quello stesso ambiente; se uso sempre un edulcorante sintetico e un giorno assaggiassi una bevanda mediamente zuccherata, questa bevanda mi sembrerà troppo dolce e nauseante rispetto a chi normalmente fa uso di zucchero; e così via.
Ma è proprio in questa singolarità, in questa relatività, che si scopre il valore delle opinioni umane: una asserzione è vera in quanto io comunico una sensazione (relativa e opinabile ma personale e non smentibile) provata da me. Non possiamo stabilire una verità assoluta, solo il più forte stabilirà chi ha ragione. Su questo presupposto si basa l’arte sofistica per eccellenza, l’eristica, ossia l’arte della disputa. Siccome tutto è vero, poiché l’uomo è, non posso stabilire un criterio di assolutezza della verità e posso solo affidarmi alla mia abilità dialettica per smontare le opinioni del mio avversario. Ma in tutto ciò non mancano gli aspetti negativi. L’eristica valse la brutta fama ai Sofisti (e l’attuale significato di “sofisticare” nel senso di trasformare qualcosa per scopi non ortodossi) proprio perché l’arte della disputa dialettica insegnava agli allievi sofisti a difendere con ogni mezzo, lecito o illecito, qualsiasi asserzione, anche se evidentemente fasulla. Uno dei contenuti più esecrati dai contemporanei di Protagora fu l’agnosticismo religioso: infatti il limite dell’uomo è la sensibilità e conseguentemente né l’uomo potrà mai dire di conoscere gli dei, né potrà mai negarne assolutamente la loro esistenza. La speculazione di Protagora assume dunque il senso positivo del ruolo attivo del filosofo: l’uomo è misura di tutte le cose e tutto ciò che l’uomo specula è vero in quanto proprio dell’uomo e il vero si dimostra con lo strumento dell’abilità dialettica.
Gorgia di Lentini rappresenta per contro il contraltare negativo della speculazione sofista. L’uomo è misura di tutte le cose, ma nella speculazione di Gorgia il ruolo attivo del filosofo non assume più il carattere positivo della filosofia di Protagora: per  Gorgia tutto è falso. Il relativismo parmenideo è usato da Gorgia per dimostrare che nella realtà sensibile nulla vi è di vero. Se ammettiamo il non essere lo dovremmo pensare come esistente; ne conseguirà la non esistenza dell’essere. Parmenide identificò l’essere col pensiero, dunque pensare un qualcosa di non esistente sarebbe un assurdo: non si può pensare un oggetto inesistente, considerato che l’uomo vive in una realtà sensibile. Se l’essere è reale è eterno e generato, ma se è eterno non è qui e se è generato sarebbe preceduto dal non essere (necessariamente, perché prima dell’essere ci dovrebbe essere un inizio) e allora il  non essere diventa automaticamente reale.
Già di per sé questo basterebbe a spiegarci perché l’essere non è; ma se l’essere fosse, l’uomo non potrebbe comunque conoscerlo. Ciò che l’uomo vedrebbe dell’essere è l’apparenza fenomenica, la realtà molteplice e illusoria delle cose, e non l’essenza delle cose. E, se anche miracolosamente l’uomo potesse vantare siffatte prerogative, non potrebbe comunicare l’essere, poiché userebbe la parola, filtro fuorviante e fallace; e del resto ogni uomo – misura di tutte le cose – avrebbe il diritto di interpretarne i contenuti secondo le proprie inclinazioni. L’essere non è, se è non è conoscibile, se è conoscibile è incomunicabile.
Il nichilismo di Gorgia investe ogni aspetto della vita e conduce a un atteggiamento scettico in cui l’eristica assume per contro una funzionalità positiva, poiché viene  usata per dimostrare il contrario del falso.

SOFISTI MINORI

La seconda generazione dei sofisti rappresenta la decadenza della scuola, e tra le manchevolezze, oltre le trappole dialetticamente capziose dell’eristica, va individuata la mercificazione culturale criticata da Socrate, a cui non sfuggirono Protagora e Gorgia. Tra i più celebri sofisti vanno ricordati  Ippia e Prodico, nella cui speculazione la virtù assume connotati eminentemente pratici, quale ultima spes nell’incertezza del mondo sensibile; interessante anche la speculazione politica: la vita associata deriva da un patto, stretto dagli uomini a fini utilitaristici; le leggi sono state, secondo Trasimaco concepite dal più forte, mentre secondo Callicle sono state volute dai più deboli. In questa speculazione perde importanza  la stessa spiritualità poiché i comandamenti religiosi passano in secondo piano in confronto alle aspirazioni “assolutiste” dell’uomo.
Questa stagione dorata termina dopo vent’anni quando Sparta, decisa a rovesciare la supremazia ateniese, coinvolge la rivale nella Guerra del Peloponneso; gli oligarchici cercano di approfittare dell’occasione per rovesciare la democrazia e iniziano una battaglia diffamatoria contro i sofisti, corruttori dei giovani, in cui sarà coinvolto Socrate.

SOCRATE

L’importanza storica della filosofia socratica rappresenta non solo il nuovo ruolo assunto dall’uomo, già reso fondamentale dalla Sofistica, ma anche il diffondersi di una metodologia speculativa che  favorisce l’integrazione delle opinioni e l’interazione tra le parti coinvolte dialetticamente. La vita civile di Socrate si svolge tra l’Atene tardo periclea e l’Atene decadente, e in entrambe le epoche egli fu solerte cittadino attento alla vita politica e democratica ateniese. Figlio di uno scultore e di una levatrice, Socrate rifiutò sempre i vantaggi della vita borghese, astenendosi dalle mollezze della materia; visse sempre sobriamente e lontano dai lussi, coerente e probo; sofista lui stesso, non percepì mai denaro e condannò decisamente la mercificazione che i suoi colleghi facevano della cultura. Socrate è il primo martire della libertà di pensiero e il suo esempio di coerenza fu poi eternato nei dialoghi platonici in cui è protagonista.

IL METODO

Socrate accoglie i problemi, ma non le soluzioni, dei sofisti. I sofisti ebbero secondo Socrate il merito di effettuare una vera e propria rivoluzione copernicana nella storia del pensiero greco, spostando l’interesse del filosofo dalla natura e dalle forze primordiali che la guidano all’uomo e alle sue potenzialità. Ma il relativismo sofistico non è ben visto da Socrate per il quale si fa invece necessaria una ricerca più attenta della verità. L’uomo che fonda la sua conoscenza sui propri sensi non è dissimile dagli altri animali; ciò che distingue l’uomo dagli altri animali è la ragione, l’unico elemento che gli consenta di fornire ragioni valide universalmente. Solo sulla ragione e non quindi sulle opinioni della conoscenza sensibile si basa la teoria della gnoseologia socratica. L’uomo razionale è davvero misura di tutte le cose in quanto la sua ricerca ha valenza universale.

Ma qual è il modo migliore per iniziare la ricerca? La vera conoscenza inizia da noi stessi: il metodo ideale è l’introspezione, poiché non si può iniziare a conoscere l’esterno senza conoscere l’interno. Socrate fa suo il motto dell’oracolo di Delfi, “conosci te stesso”, primo passo indispensabile sulla strada della conoscenza, poiché l’uomo deve imparare a conoscere e a padroneggiare la propria  razionalità. Dopo il momento introspettivo e soggettivo viene il momento dialogico. Il dialogo è la forma più alta dell’insegnamento socratico, in cui  il maestro interviene sui singoli per liberarli dalle aporìe e dalle illusioni della vita sensibile. Nel dialogo Socrate sfrutta i vantaggi dell’apprendimento in comune, cercando di aiutare l’allievo a tirare fuori il positivo e a liberarsi dal falso. Questo metodo è l’arte levatrice per eccellenza, ossia la maieutica. Per far uscire le opinioni fallaci allo scoperto, Socrate usa l’ironia, attraverso cui demistifica i contenuti privi di effettivo fondamento. Al momento prettamente negativo subentra però il momento critico, ossia costruttivo, in cui Socrate aiuta l’allievo a ricostituire il proprio sapere secondo schemi razionali.
Il metodo socratico non segue degli schemi ben precisi. Lo scopo di Socrate non era infatti quello di dimostrare la verità, ma di mettere i suoi allievi in condizione di proseguire da soli la propria ricerca.

Per Socrate la vera sapienza consiste nella consapevolezza dei propri limiti; nell’Apologia di Socrate scritta da Platone egli chiede all’oracolo di Delfi il nome dell’uomo più sapiente e si sente rispondere “Socrate”; quando però Socrate interroga gli altri sapienti ateniesi per valutarne la preparazione, si accorge di quanto la presunzione avesse inficiato la cultura di queste persone. La vera sapienza è quella di Socrate che, certo di non sapere nulla,  ha piena coscienza dei propri limiti e dunque veramente sa.

IL CONCETTO

Tutta l’indagine di Socrate ruota intorno a una domanda, “che cosa è ?” ma le risposte a questa domanda non bastano a Socrate: si possono dare risposte molto opinabili sulle argomentazioni sensibili e materiali, naturalmente soggettive, ma per rispondere a domande sul bene, sulla morale e sulla virtù Socrate ha bisogno di un’essenza universale, piuttosto che di una spiegazione pratica.  Per arrivare a ciò devo astrarre dalle opinioni particolari i caratteri comuni e universalmente validi: per esempio da varie descrizioni di piante differenti per tipologia, formo razionalmente l’idea di albero in base a pochi ma essenziali elementi (fusto, tronco, corteccia, foglie, radici).

La grande conquista della filosofia socratica è il concetto: si tratta di un elemento che l’uomo ha sempre posseduto, ma di cui ha dimenticato la funzionalità. Solo col concetto si può fondare un costrutto scientifico, poiché universale e uguale per tutti; soprattutto il concetto è necessario, così come sarà per Aristotele o per Kant, perché il concetto non può essere inteso in una forma diversa ma unica e perciò valida necessariamente. Alla base della sua teoria conoscitiva Socrate pone dunque una sostanza o ousìa, il cui valore universale e necessario ne fa uno strumento di fondamentale conoscenza scientifica. Ma a Socrate non interessano le cose fisiche, quanto il recupero degli ideali, e il concetto ha qui un’importanza in tal senso.

LA MORALE

Per Socrate la virtù è sapere. Se per i sofisti l’azione umana si doveva dispiegare verso l’utilitarismo pratico, Socrate, che ha una concezione idealmente elevata dell’uomo, l’azione umana ha per obiettivi il bene e la virtù. Ma per raggiungere il bene non ci si può rinchiudere nell’individualismo soggettivo presumendo di essere depositari della verità; il Bene è una realtà assoluta e universale, ed è scienza; proprio in quanto scienza chi conosce conosce il Bene, e dunque il Male è semplicemente ignoranza, ossia non conoscenza del Bene. Per Socrate è assurdo che l’uomo colto rifiuti il bene: solo applicando il Bene, l’uomo vive felice. In Socrate felicità e virtù coincidono (eudemonismo) e l’ideale socratico è quello di una vita felice lontana dalla materia e dalle sue false tentazioni. L’intima felicità del dotto rappresenta il raggiungimento del Bene.

Socrate onorava gli dei ma la sua religiosità si ispirava a un modello morale, e rifiutava di applicare al divino, seppure antropomorfizzato, le stesse storture della dimensione umana. Ciò gli valse l’accusa di empietà che fu uno dei motivi che ne determinarono la condanna.

Accusato di empietà e di corruzione della gioventù ateniese, inviso agli aristocratici e ai conservatori, Socrate fu condannato a morte. Nonostante avesse la possibilità di fuggire, egli preferì accettare la velenosa cicuta, come racconta il Fedone platonico, aspettando il momento conversando con i suoi discepoli sul tema dell’immortalità dell’anima.

DOPO SOCRATE

Platone fu di sicuro il discepolo più celebre di Socrate, ma oltre a Platone si distinguono varie tendenze tra gli scolari socratici. Fra essi è annoverato anche Senofonte, storico politico e militare, autore di un’Apologia del maestro ma per nulla interessato ad approfondirne o a svilupparne il pensiero. Quattro sono le scuole socratiche; di una, la scuola eretriaca, non abbiamo notizie certe.

Scuola Megarica – Fu fondata da Euclide di Megara, omonimo del matematico posteriore, e assomma nella sua speculazione temi socratici ed eleatici. Euclide riteneva come Socrate l’essenziale unità del Sommo Bene, inteso come Dio, come intelligenza universale, come Uno e Assoluto; ma al centro della speculazione euclidea trovavano posto temi già cari agli eleati e a Zenone, come l’illusorietà della conoscenza sensibile. Tra i megarici c’era anche Eubulide che, per dimostrare l’inconsistenza del molteplice usava l’argomento del sorite (cumulo): togliendo un elemento da un cumulo, esso non diminuisce; parimenti la realtà è una e non molteplice. Sempre suòòo stesso tema Stilpone riteneva impossibile attribuire al cavallo un predicato come “corre”, poiché il “corre” del cavallo è diverso dal “corre” di un altro animale e dal senso stesso del correre, rendendo assurdo ogni riferimento al molteplice. Tra le asserzioni più famose dei megarici ci sono le antinomie o paradossi, tra cui il celebre argomento riportato da Cicerone: se dico di mentire, o dico il falso, e allora non mento, o mento e dico la verità. Queste affermazioni non riguardano la critica al molteplice ma si tratta di argomenti indecidibili, e dunque paradossali. Infine Diodoro Crono rifiutava la potenza in assenza dall’atto: tutto ciò che non si è verificato, tutte le cose che esistono solo in fase progettuale, per Diodoro sono inesistenti; solo ciò che si è già verificato è possibile. Tutto ciò che accade deve necessariamente accadere, altrimenti, perché la possibilità si sarebbe trasformata in impossibilità?

Scuola Cirenaica -    Si tratta della scuola fondata da Aristippo di Cirene e si caratterizza per la scarsa importanza attribuita alla vita teoretica in favore della ricerca della felicità e della condotta morale. Questa praticità fraintende l’insegnamento socratico, e porta la ricerca della felicità alla ricerca del piacere, o meglio nella sensazione piacevole. Per i cirenaici il conoscere si fonda sulla sensazione, e di conseguenza il bene sensibile è rappresentato dal piacere: il piacere va vissuto nella sua immediatezza e intensità. Tra gli allievi della scuola si sviluppano diverse teorie sulla tipologia dei piaceri (edonismo). Quella di Aristippo è una teoria che ricalca la filosofia di Protagora: come il sofista, anche Aristippo considera l’uomo “misura di tutte le cose” proprio in quanto “sente”; e questa sensazione fa sì che l’uomo sia il momento passivo del sentire poiché recepisce lo stimolo sensoriale, mentre la causa ne è il momento attivo. La sensazione è il fondamento dei tre stati emotivi dell’uomo, che sono il piacere, il dolore e la quiete, e che sono paragonabili allo stato del mare. La vera felicità risiede per Aristippo nell’attimo, ed in questo attimo si esplica la libertà dell’uomo, “che possiede e non è posseduto”. Dopo Aristippo si segnala una seconda scuola cirenaica che estremizza il problema arrivando al conflitto tra principio del piacere e ricerca del piacere guidata dell’intelletto (Teodoro l’Ateo, Egesìa, Anniceride).

La Scuola Cinica -  La scuola cinica fu fondata dall’ateniese Antistene, già scolaro di Gorgia e di Socrate; il nome cinico deriva dal greco (cane) a voler sottolineare lo stile di vita, spartano e sfacciato, dei suoi membri.  Per Antistene, così come per i megarici, la conoscenza di una cosa prevede l’impossibilità di predicarle un attributo. Ma i cinici arrivano all’estremismo negando che si possa effettivamente conoscere il vero o negarlo assolutamente. Una frase come “la mela è un frutto” è assurda poiché mela e frutto sono termini diversi e irrelativi; così come è assurdo dire “l’uomo è buono” per lo stesso motivo. I cinici operano come tutti gli allievi socratici la ricerca della virtù, e lo dimostrano coerentemente disprezzando le comodità e i lussi, come già fece Socrate.
Il più estremista fu Diogene di Sinope, allievo di Antistene, che realizzò fattivamente il sogno del ritorno alla natura vagheggiato dai cinici; noto come il “Socrate pazzo”, Diogene viveva in una botte a dispregio del superfluo. E’ assai probabile che molte notizie su Diogene siano fantastoriche, ma, per quanto siamo certi che egli non sempre visse in una botte, è vero che, come tutti i cinici, predicava l’antimaterialismo mendicando e ostentando una “cittadinanza del mondo” in modo sfacciato.

domenica 29 gennaio 2017

Platone

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PLATONE

1 - LA CONOSCENZA

INTRODUZIONE - Platone ed il suo maestro Socrate sono accomunati dalla ricerca della verità. In greco la parola verità si traduce con ALETHEIA, che significa "non oblio" oppure "non nascondimento". L'essere infatti è sempre "nascosto" da due elementi, il divenire e il molteplice.
Socrate, con l'universale o concetto, aveva superato il relativismo di Protagora, il nichilismo di Gorgia e l'isomorfismo eleatico ma si era fermato alla conoscenza sensibile: la sua famosa domanda "che cosa è?" si riferiva all'oggetto colto dai sensi senza poterne fare a meno.
La filosofia platonica supera quella socratica mettendo in evidenza la VOGLIA DI CONOSCERE dell'uomo e passando quindi dalla conoscenza PASSIVA e limitata alla sensibilità, ad una conoscenza ATTIVA. Per fare questo Platone adotta il DUALISMO e pone accanto al mondo sensibile, corrotto dal molteplice e dal divenire, una realtà sovra-sensibile e perfetta che chiama IPERURANIO: è questa la sede dell'anima e delle IDEE.

LE CONDIZIONI OGGETTIVE DELLA CONOSCENZA - Platone fa iniziare la conoscenza dal soggetto conoscente, che VUOLE conoscere. Per Platone il conoscere è un atto volontario (intenzionale) e diretto ad un oggeto, contraddistinto da un nome che lo rappresenta.
Dunque le condizioni oggettive del conoscere sono:

1) il SOGGETTO che conosce l'OGGETTO
2) l'OGGETTO, conosciuto dal SOGGETTO
3) il NOME usato dal soggetto per indicare e rappresentare l'oggetto

LE CONDIZIONI SOGGETTIVE DELLA CONOSCENZA - Platone individua tre condizioni soggettive della conoscenza:

1) la REMINISCENZA, cioé il ricordo delle conoscenze dell'anima e la necessaria immortalità dell'anima
2) la PASSIONE, cone forza che spinge l'uomo alla conoscenza
3) i QUATTRO GRADI della conoscenza

L'ANIMA - il conoscere è ricordare. Si tratta di un processo spontaneo che si mette in atto:

• quando il soggetto conoscente riceve delle istruzioni da un maestro
• quando il soggetto conoscente riconosce le FORME IDENTICHE.cioé le forme degli oggetti

L'anima proviene dallo stesso luogo delle forme e per questo ogni anima le conosce ma, quando l'anima si incarna in un corpo (Platone dice che le anime "sono precipitate nei corpi") a causa della vicinanza alla materia si dimentica tutto e a tal proposito deve essere aiutata a ricordare.
Perché ció sia possibile l'anima deve essere peró IMMORTALE e quindi libera dal corpo, visto da Platone come un carcere da cui l'anima vuole scappare.
Platone adduce quattro argomenti a sostegno della tesi dell'anima immortale:

• l'anima è immortale in quanto continuità tra la vita e la morte
• l'anima è immortale in quanto serve a ricordare e quindi a conoscere
• l'anima è immortale in quanto unica, semplice e indivisibile
• l'anima è inmortale in quanto "è" poiché libera dal corpo e cioé perfetta

L'EROS - La passione è il vero motore che spinge a conoscere. Nel pensiero socratico questo ruolo è ricoperto dalla figura del demone (DAIMON), l'impulso ad agire. L'eros è una forza irresistibile che porta a ció che ci attrae: l'eros è la ricerca di ció che ci manca e che ogni anima desidera. La mancanza è dovuta al fatto che le anime sono costrette a "precipitare" nei corpi e a lasciare l'iperuranio a cui vogliono tornare. Per tale motivo conoscere è "amore per il sapere" cioé FILOSOFIA.
Le passioni  non devono dominare la vita. Esse sono utili ma l'uomo non deve esserne schiavo, se no non vivrebbe. Ogni anima, dice Platone, possiede tre funzioni:

• la funzione RAZIONALE, collegata all'intelletto, che guida e modera tutti i comportamenti umani
• la funzione IRASCIBILE, collegata al cuore, che è responsabile del coraggio,  dell'ardimento bellico, del sacrificio e della forza di volontà
• la funzione CONCUPISCIBILE, legata allo stomaco e responsabile degli istinti più materiali

Il compito di guidare e di moderare le passioni è proprio della razionalitá e del pensiero, che sceglie il comportamento migliore da adottare.

I GRADI - La  conoscenza è dunque:

• il ricordo delle forme identiche
• il desiderio di qualcosa che manca

Il processo conoscitivo è possibile se ci sono tre elementi:

• il soggetto conoscente
• l'oggetto da conoscere
• il nome per rappresentare l'oggetto

Platone descrive i 4 gradi.della conoscenza attraverso la METAFORA DELLA LINEA, che disegna uno schema così suddiviso:

a) a sinistra della linea i 4 oggetti di conoscenza:

1) idee
2) relazioni
3) oggetti
4) ombre

b) a destra della linea le 4 forme di conoscenza:

1) noèsis o conoscenza razionale
2) diànoia o conoscenza matematica
3) pìstis o credenza
4) eikasìa o illusione

Il grado più basso della conoscenza riguarda la sensibilità e i suoi oggetti sono ombre, prodotto cioé dei nostri 5 sensi. È una conoscenza passiva e illusoria, che non poggia su certezze.
Al grado successivo troviamo la conoscenza dell'oggetto. È questa la conoscenza consapevole e volontaria, ma ancora insufficiente perché data dai sensi e per questo Platone usa il termine di pìstis, cioé fede, fiducia o credenza.
Il penultimo grado ha a che fare con le relazioni matematiche (quantità) e geometriche (dimensione) tra oggetti. È una forma di conoscenza più alta ma  astratta, se privata degli oggetti a cui applicarla.
L'ultimo grado della conoscenza è quello che ci allontana dai sensi e per questo è esclusivo dell'anima: è quello della conoscenza razionale e intellettuale e i suoi oggetti sono le idee.

2 - LE IDEE

INTRODUZIONE - La conoscenza vera non è quella delle cose, legata al molteplice e al divenire, ma è quella delle idee, e puó essere ottenuta solo dall'anima perché ha la stessa natura delle idee e perché proviene dallo stesso luogo delle idee, cioé l'iperuranio. Così come l'anima, le idee sono uniche e non subiscono il divenire.
Platone si pone tre domande:

• cosa sono le idee?
• che rapporti hanno con le cose?
• come fa l'uomo a conoscerle?

COSA SONO LE IDEE - Le idee sono le forme degli oggetti della conoscenza sensibile. Le cose, come le cogliamo con i sensi, sono molte e soggette al divenire. Le idee invece sono forme uniche delle cose. Esse non possono essere cose, altrimenti sarebbero anch'esse imperfette e quindi non ci sarebbe ragione di distinguerle. Esse inoltre non possono essere dei pensieri: se così fosse, sarebbero di una singola persona, e, se nessuno dicesse cosa pensa, non le potremmo conoscere. Infine esse  non possono essere dei modelli delle cose, perché le cose sono corruttibili e imperfette. A questo punto Platone si chiede quali siano allora i rapporti tra idee e cose.

LE IDEE E LE COSE - I due mondi, quello sensibile, delle cose, e quello intelligibile, delle idee, non possono essere visti come realtà separate e lontane: se tutte le idee fossero enti irraggiungibili nessuno le conoscerebbe e anche la loro funzione cesserebbe. I due mondi, nonostante le differenti nature, sono vicini, tanto che le idee e  le cose sono collegate da quattro tipi di relazione:

• metèssi o partecipazione
• mìmesi o somiglianza
• koinonìa o comunanza
• parusìa o vicinanza

Ogni cosa è "coperta" dalle idee, come da un lenzuolo. La  "copertura" puó essere totale o solo parziale: le cose migliori sono quelle totalmente "coperte" da un'idea a cui partecipano.
Ogni cosa "somiglia" a un'idea. Il grado della   "somiglianza" tra la cosa e l'idea aiuta a stabilire la perfezione di una cosa.
Ogni cosa è "comune" ad altre cose e ogni idea è "comune" ad altre idee. Le idee, perció, hanno vari gradi, come le cose: più si avvicinano  al mondo dei sensi, più si degenerano.
Le idee sono "vicine" alle cose: questa "vicinanza" è il motivo del rapporto tra idee e cose.

I GENERI SOMMI - I due mondi sono vicini ma separati e diversi. A differenza di     Parmenide, Platone non parla del non essere come "conoscenza impossibile" per l'uomo: il non essere è  infatti "ció che segue l'essere". Il cosiddetto "parricidio di Parmenide" avviene con la teoria dei GENERI SOMMI.
Parmenide e Platone hanno un solo punto in comune: per entrambi il vero essere è unico. Per  Platone esso è  l'idea ma, mentre per Parmenide non c'è nulla né prima né dopo l'essere, per Platone l'essere si degenera scendendo verso il mondo delle cose, dove perde la sua unicità e si divide. Dopo l'essere puro dell'idea troviamo due coppie di generi sommi:

• identico e diverso, cioè il molteplice
• quiete e movimento, cioé il divenire

Così Platone "riabilita" il non essere: ogni cosa è identica a sé stessa e allo stesso modo diversa dalle altre (il libro NON è la penna) e ogni cosa si muove, cioè diviene. Ma anche l'idea, se vicina al mondo delle cose, si degenera e perde la sua unicità.

IL METODO DIALETTICO -  Non ci potrà nai essere vera conoscenza dell'essere se non delle idee e solo l'anima puó conoscerle e quindi solo l'anima puó contemplare la verità. Ma esiste una verità anche nel mondo delle cose: Platone la definisce OPINIONE VERA (doxa alethès). Nel mondo delle cose non ci puó essere una verità assoluta e indiscutibile, come quella delle idee, ma esiste la certezza che si avvicina alla verità. Il modo in cui si arriva alla doxa alethès è il metodo dialettico. La dialettica è un confronto tra opinioni. Platone la rappresenta come un albero con radici, fusto, rami e foglie. Le radici sono i nostri sensi e il fusto è ció che l'uomo conosce. I rami sono le domande e le risposte ai problemi che l'uomo si pone. I rami a loro volta si dividono in altri rametti, ramoscelli e fronde: nel mondo delle cose. Infatti, non c'è mai UNA verità a senso unico, e le risposte aprono nuovi problemi. Ecco perchè la dialettica platonica è a due vie, cioè DIADICA o DIAIRETICA (che ha due soluzioni).

3 -  FISICA E POLITICA

INTRODUZIONE - Dopo aver chiarito cosa e come si conosce e in che modo si accorda la conoscenza,ora Platone affronta due temi cruciali per il suo sistema: la cosmogonia, cioé "come nascono le cose", e la politica, cioé "come vive il cittadino". La cosmogonia risponde alla domanda piú insidiosa del pensiero di Platone: che collegamento c'è tra i due mondi? La politica è il piú grande interesse di Platone e si estende alle varie parti del sistema.

FISICA - In che modo i due mondi sono collegati? Il ponte tra il mondo delle idee e quello delle cose è l'uomo, la cui anima viene dallo stesso mondo delle idee, ma è costretta al "carcere del corpo" e ai limiti della sensibilità. Le cose del mondo sono PLASMATE (non create dal nulla) dal DEMIURGO. Il demiurgo non è un dio creatore. Ha il compito di plasmare la materia già preesistente, dandole uma forma, sulla base delle idee. Dopo aver formato l'ANIMA DEL MONDO, il demiurgo dà la forma al CORPO DEL MONDO, cioé a tutte le cose del mondo, in base ai 4 elementi naturali (fuoco, terra, aria e acqua). Dopo aver separato gli elementi, il demiurgo forma il MOVIMENTO di tutte le cose e il TEMPO, che ordina il divenire a cui tutti gli elenenti sono soggetti
Tutte le forme sono generate a 2 dimensioni (lunghezza + altezza) o a 3 (lunghezza + altezza + profondità) e la forma base è la figura del TRIANGOLO, da cui nascono le FORME STEREOMETRICHE REGOLARI:

• il tetraedro o piramide (fuoco)
• il cubo (terra)
• l'ottaedro (aria)
• l'icosaedro (acqua)
• il dodecaedro, la forma più perfetta, che si avvicina alla sfera, e comprende tutti e 4 gli elementi

La formazione del mondo ad opera del demiurgo è rappresentata da una proporzione geometrica:

========
8:12=18:27
=========

Dove 6 e il cubo di 2 e 27 è il cubo di 3. Questa proporzione rappresenta l'origine geometrica del mondo.

POLITICA - La visione politica di Platone nasce dai suoi viaggi a Siracusa. Ospite del tiranno Dionigi e di suo genero Dione. Nella filosofia di Platone la politica ha un ruolo di primo piano dato che la concezione di "politikós", cioé abitante della "pólis", cittadino, era riferita a tutti i vari aspetti della vita di comunità: il linguaggio, la morale, la conoscenza,la religione e l'arte, oltre alla politica intesa come governo della città. L'uomo è un animale che vive con gli altri. Il suo ruolo deriva dal tipo di anima che è prevalente.
La classe sociale più importante è quella dei FILOSOFI o SAGGI. In essi prevale la funzione dell'ANIMA RAZIONALE e perciò il loro compito è la guida e il governo dello Stato. Ai filosofi è vietato avere famiglia ed accumulare ricchezze e avere delle proprietà.
La seconda classe sociale dello Stato giusto è quella dei GUERRIERI. In essi prevale la funzione dell'ANIMA IRASCIBILE, e per questo hanno il compito di difendere la comunità. Ai guerrieri non è permessa la proprietà privata, così come già per i filosofi, né è consentio loro avere una famiglia.
La terza e ultima classe sociale è costituita dai LAVORATORI, ossia gli ARTIGIANI. In essi prevale la funzione dell'anima CONCUPISCIBILE, per cui hanno il compito di produrre. Ai lavoratori è consentita la proprietà dei beni e avere una famiglia.
Il benessere dello Stato dipende dal "geometrico" equilibrio dei ruoli: nessun cittadino puó passare da una classe all'altra. La pedagogia platonica è assai rigida. Le materie scolastiche studiate da tutti sono la musica e la ginnastica. I guerrieri e i governanti devono studiare anche la matematica, l'astronomia e la filosofia. Le arti imitative come pittura e scultura sono usate solo come esercizio di riproduzione dal vero,dato che il reale è già di suo una copia.
Lo Stato regola tutti gli aspetti della vita sociale come il matrimonio e le ricchezze, che lo Stato deve distribuire per non creare troppa distanza tra ricchi e poveri nella classe dei lavoratori.

sabato 28 gennaio 2017

Aristotele


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ARISTOTELE

1 - LA METAFISICA

L'OPERA - La Metafisica (ossia "oltre la natura") è chiamata da Aristotele FILOSOFIA PRIMA, in quanto indagine sull'Essere e sull'Esistenza di tutte le cose. Aristotele suddivide l'indagine in 14 libri che hanno tutti lo stesso nome e che sono distinti solo dal numero (per esempio: Libro I, Libro II…). Tuttavia possiamo individuare 3 argomenti principali:
1) la causa
2) la sostanza
3) il Principio
In quanto studio dell'Essere la Metafisica aristotelica è un'ONTOLOGIA: con questo termine si indicano le filosofie che indagano le condizioni dell'esistenza in generale.

METAFISICA DELLE CAUSE - Questa parte si chiama anche EZIOLOGIA ossia studio delle cause (dal greco "aithìa" che significa causa). Tutto nella Natura si muove. L'Essere subisce continuamente delle trasformazioni che alterano il suo stato. Ogni cosa è soggetta al divenire.
Aristotele individua 4 cause del divenire dell'Essere:
1) la causa MOTRICE o EFFICIENTE, che è l'origine di qualsiasi movimento
2) la causa MATERIALE, che corrisponde all'elemento che subisce una trasformazione, un mutamento del proprio stato (peso, densità, massa, resistenza)
3) la causa FORMALE, che indica il tipo di movimento (forza, direzione, intensità)
4) la causa FINALE, che è relativa allo scopo, all'obiettivo della trasformazione di un oggetto
Le cause motrice e formale sono chiamate DINAMICHE, poichè sono quelle "che fanno muovere", mentre le cause materiale e finale sono dette anche STATICHE.

METAFISICA DELLA SOSTANZA - Questa parte della Metafisica è chiamata anche OUSIOLOGIA (dal greco "ousìa" che significa sostanza).  Aristotele studia l'Essere nel suo aspetto singolo e determinato: ogni elemento della Natura è infatti un INDIVIDUO (dal latino: "che non puó essere diviso" cioè "intero, inseparabile"), e come tale gli viene attribuoto un NOME (che puó essere comune di cosa - per esempio: la sedia - o proprio di persona - per esempio:  Socrate - in entrambi i casi individuanti).
Ogni INDIVIDUAZIONE dell'Essere corrisponde ad una SOSTANZA: con questo termine si indica un elemento "che è" e che è diverso dagli altri (per esempio: il cane NON È il gatto; Socrate NON È Platone).
Ogni sostanza è un SINOLO (unione) di MATERIA e FORMA: la materia è la parte che subisce la trasformazione mentre la forma è la parte che rimane invariata: per esempio, Socrate invecchia ma resta sempre l'uomo Socrate.
Ogni trasformazione della sostanza implica il passaggio dalla POTENZA all'ATTO.
La potenza è la possibilità della trasformazione e comprende tutti i requisiti necessari perché una trasformazione avvenga (per esempio: l'uovo che contiene l'embrione del pulcino).
L'atto è invece la trasformazione completata e comprende tutte le caratteristiche della QUALITÀ che determina l'Essere (per esempio: la gallina) e lo rende diverso dagli altri e da ciò che era prima (per esempio: la gallina NON È PIÙ il pulcino).
Proprio per questa sua completezza l'atto è primo rispetto alla potenza (PRIMALITÀ DELL'ATTO): infatti non è detto che la potenza divenga atto (per esempio: se io rompo l'uovo non nasce il pulcino)
Occorre precisare che qui abbiamo definito la sostanza in quanto oggetto della conoscenza sensibile. Tuttavia il rigore scientifico della ricerca delle cause dell'Essere obbliga Aristotele ad andare oltre il limite dei sensi, non potendo trovare nella Natura il vero inizio dell'esistenza.

LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE - Nei suoi scritti Aristotele non parla propriamente di Dio (si tratta di una forzatura del Cristianesimo medioevale) ma indaga l'esistenza di un PRINCIPIO dell'Essere. Questa indagine riguarda sempre la sostanza, sinolo di materia e forma, ma nella sua accezione UNIVERSALE. Il Principio è ricercato da Aristotele in 3 parti:
a) COSMOLOGIA - Tutto il movimento dell'universo è ordinato da un Principio che ne è l'iniziatore e perció la CAUSA PRIMA. In quanto tale il Principio è allo stesso tempo FORMA PURA, poiché comprende tutte le forme del divenire.
b) TEOLOGIA -   Essendo la prima causa del divenire il Principio è non solo POTENZA PURA (poichè comprende TUTTE le possibilità di trasformazione della materia) ma è sopratutto ATTO PURO  (poichè comprende TUTTE le qualità dell'Essere, tute le sue trasformazioni). In quanto Atto Puro il Principio dell'Essere fa muovere tutto ma non è soggetto al movimento (MOTORE IMMOBILE).
c) TELEOLOGIA (dal greco "tèleos" che significa fine o scopo) - Il Principio di cui parla Aristotele non crea ma plasma la materia pre-esistente. Plasmare significa "dare la forma" cioè modellare. Per tale motivo il Principio è più vicino al Demiurgo platonico che al Dio delle religioni tradizionali come l'Ebraismo. Tutto ció che viene plasmato ha un fine ultimo che agli uomini sfugge e che solo il Principio, in quanto Atto Puro. puó conoscere.
Aristotele definisce il Principio PERFETTO. in quanto FINITO, ossia chiuso. Esso comprende TUTTO. La sua posizione non è mai esterna e lontana, ma vicina all'Essere. Come tale il Principio di Aristotele è al tempo stesso l'Autore della Natura e la Natura stessa che è stata plasmata: dunque il Principio è sia TRASCENDENTE (cioè non materiale) sia IMMANENTE (conoscibile coi sensi), avvicinando la Metafisica aristotelica al PANTEISMO (Dio e la Natura sono la stessa cosa).
Aristotele tuttavia non riuscì mai a giustificare scientificamente l'esistenza de  Principio dell'Essere, lasciando l'indagine APORETICA(senza conclusioni).

2 - LA LOGICA

L'OPERA - La Logica è considerata, insieme alla Metafisica, una delle opere fondanentali del sistema aristotelico, tanto da essere chiamata FILOSOFIA SECONDA: essa svolge infatti un'importante funzione di collegamento tra tutte le scienze. La Logica studia le relazioni tra pensiero, linguaggio e ragionamento: il suo nome deriva dal greco LOGOS, che significa parola, discorso, studio. Aristotele la chiamava ANALITICA (cioè divisione, ripartizione) o anche ORGANON, cioè sistema.
È composta da 6 libri:
• Le Categorie (dove si parla dei TERMINI della proposizione: soggetto e predicato)
• Sull'Interpretazione (dove si parla dei tipi di PROPOSIZIONE CATEGORICA: universale, particolare, affermativa e negativa)
• Analitici Primi (dove si parla in generale del SILLOGISMO, il discorso logico, formato da tre proposizioni)
• Analitici Secondi (dove si parla del sillogismo APODITTICO, cioè scientifico)
• Topici (dove si parla del sillogismo IPOTETICO, cioè deduttivo)
• Elenchi Sofistici (dove si parla del sillogismo ERISTICO, cioè retorico, tipico della Sofistica)
La Logica affronta in sintesi 3 argomenti:
1) il termine, ossia il nome che diamo agli individui e che puó essere soggetto o predicato:
2) il giudizio o proposizione, ossia la relazione tra soggetto e predicato;
3) il ragionamento o discorso logico, chiamato da Aristotele sillogismo e formato da 3 proposizioni.

1) I TERMINI - Sono i nomi, propri o comuni, assegnati alle sostanze individuali. Nella proposizione assumono il ruolo di SOGGETTO o di PREDICATO. Aristotele classifica i termini secondo il loro grado di specificità, cioè in base al numero di elementi a cui sono riferiti:
• le SOSTANZE PRIME hanno un uso DENOTATIVO, ossia identificano un individuo (per esempio una persona: Mario Rossi; un animale: il gatto Fufi o il cane Bobi) e in un giudizio possono avere solo il ruolo di soggetto, mai di predicato;
• le SOSTANZE SECONDE hanno invece un uso CONNOTATIVO, servono cioè a estendere le caratteristiche di più termini che appartengono a una stessa CLASSE, in base al GENERE (per esempio: Fufi è un gatto) e alla SPECIE (per esempio: Fufi è un gatto persiano) e possono essere usate solo come predicati (poiché predicano, cioè attribuiscono) all'interno di una proposizione;
• le CATEGORIE sono i predicati più universali e Aristotele le usa per indicare gli elementi piú generali (tempo, luogo, quantità…). Aristotele individua 10 categorie: la prima è la più importante, la SOSTANZA, a cui seguono 9 ACCIDENTI, che servono a definirla (per esempio una data, un numero o una qualità)

2) LA PROPOSIZIONE - Dal punto di vista logico Aristotele prende in considerazione la sola proposizione CATEGORICA, cioè il GIUDIZIO, formato da un SOGGETTO e da un PREDICATO uniti dalla COPULA (è, non è, sono, non sono). La proposizione categorica puó essere:

• AFFERMATIVA (se afferma qualcosa, per esempio: l'alunno è assente)
• NEGATIVA (se nega qualcosa, per esempio: l'alunno non è preparato)
• UNIVERSALE (se i soggetti sono tutti o nessuno, per esempio: tutti gli alunni sono assenti o nessun alunno è assente)
• PARTICOLARE (se i soggetti sono pochi, alcuni oppure uno solo, per esempoo: alcuni alunni sono assenti o un solo alunno è impreparato)

Le proposizioni categoriche sono dunque di 4 tipi:

A: universale affermativa
E: universale negativa
I: particolare affermativa
O: particolare negativa

I logici medievali hanno costruito uno schema a forma di quadrato, chiamato appunto QUADRATO DELLE OPPOSIZIONI o anche QUADRATO LOGICO. Si compone di 4 caselle, 2 in alto (contrassegnate dalle lettere A ed E) e 2 in basso (contrassegnate dalle lettere I e O) corrispondenti ai 4 tipi di proposizione categorica.

A E
I  O

Lo schema serve a individuare le relazioni tra le proposizioni per valutarne la COERENZA LOGICA, elemento fondamentale in un ragionamento (per esempio, se diciamo che tutti gli alunni sono presenti non potremo dire che qualche alunno è assente). Le relazioni tra proposizioni sono:

• di CONTRARIETÀ (tra A ed E): due universali, una affermativa (tutti gli alunni sono presenti) e una negativa  (nessun alunno è presente) non possono coesistere perchè si escludono a vicenda.

• di SUBCONTRARIETÀ (tra I e O): due particolari, una affermativa (qualche alunno è assente) e una negativa  (qualche alunno non è assente) possono coesistere in uno stesso discorso perchè non si escludono a vicenda.

• di CONTRADDITORIETÀ (tra A e O e tra E e I): le universali sono sempre  in contraddizione con la particolare opposta, per esempio: se diciamo che nessun alunno è presente non possiamo dire che qualche alunno è presente; se diciamo che tutti gli alunni sono presenti non possiano dire che alcuni alunni non sono presenti.

• di SUBALTERNITÀ (tra A e I e tra E e O): ogni particolare dipende dall'universale dello stesso tipo, ma mai viceversa, per esempio, la frase qualche alunno è assente dipende da tutti gli alunni sono assenti, ma mai il contrario.

3) IL RAGIONAMENTO - Aristotele lo chiama SILLOGISMO cioè "unione di concetti". Un sillogismo è composto da 3 elementi:

• la PREMESSA MAGGIORE (tutti gli uomini sono animali) che contiene il TERMINE MAGGIORE (uomini) e il TERMINE MEDIO (animali)

• la PREMESSA MINORE (tutti gli animali sono mortali) che contiene il TERMINE MEDIO (animali) e il TERMINE MINORE (mortali)

• la CONCLUSIONE (tutti gli uomini sono mortali) dove scompare il termine medio (animali) e restano i due termini,  maggiore (uomini) e minore (mortali)

Un sillogismo si classifica secondo il tipp, il modo e la figura.

Il TIPO di sillogismo si individua in base ai criteri di universalità, validità e verificabilità delle sue premesse. Ci sono 3 tipi di sillogismo:

• sillogismo APODITTICO o SCIENTIFICO: le sue premesse sono universali, certe e verificabili e la sua conclusione è autonoma e indipendente rispetto alle premesse (tutti gli uomini sono mortali).

• sillogismo IPOTETICO o DEDUTTIVO: le sue premesse sono possibili ma non sono verificabili e la loro conclusione puó essere solo un'ipotesi espressa con "se… allora…" (se tutti gli alunni sono preparati allora saranno promossi).

• sillogismo ERISTICO o RETORICO: le sue premesse non sono vere poichè poggiano su un PARALOGISMA (ragionamento falso) e la conclusione è sempre dubbia; tuttavia nel sillogismo SOFISTICO è importante che il discorso sia sopratutto bello, cioè che abbia un bel suono, anche se la sua conclusione fosse falsa.

La FIGURA di un sillogismo si individua in base alla posizione del termine medio nelle due premesse. Ci sono 4 figure possibili di sillogismo:

• I FIGURA: il medio è soggetto nella premessa maggiore e predicato in quella minore

• II FIGURA: il medio è soggetto in entrambe le premesse

• III FIGURA:  il medio è predicato im entrambe le premesse

• IV FIGURA: il medio è predicato nella premessa maggiore e soggetto in quella minore

Il MODO di un sillogismo  si individua in base al tipo di proposizione (universale o particolare, affermativa o negativa) delle due premesse e della conclusione. Ci sono 256 possibili combinazioni, 64 per ognuna delle 4 caselle del quadrato delle opposizioni, anche se le più importanti sono i 4 MODI AUTO-EVIDENTI:

• MODUS BARBARA (AAA)

• MODUS CELARENT (EAE)

•.MODUS DARII (AII)

• MODUS FERIO (EIO)

in cui ogni vocale identifica il tipo di proposizione delle due premesse e della conclusione.

3 - LE ALTRE SCIENZE

LA PARTIZIONE DELLE SCIENZE - Aristotele distribuisce le scienze in tre grandi gruppi: le scienze teoretiche, le scienze pratiche e le scienze poietiche. Le scienze teoretiche hanno carattere contemplativo e comprendono, oltre alla logica e alla metafisica, anche la fisica, la psicologia e l'antropologia. Le scienze pratiche riguardano invece le azioni dell'uomo, i doveri e la morale, e comprendono l'etica e la politica. Le scienze poietiche riguardano invece il "fare" cioè le attività produttive e per questo comprendono la poetica e la retorica.

LA FISICA - La Fisica é la scienza che studia tutti i movimenti: si intende per movimento il passaggio dalla potenza all'atto. Aristotele spiega la necessità di questo passaggio con la STERESI, ossia la mancanza che contraddistingue tutti gli elementi naturali che hanno bisogno quindi di completarsi. Esistono diversi tipi di movimento: la GENERAZIONE e la CORRUZIONE (che riguardano la sostanza individuale); l'ALTERAZIONE (che riguarda la qualità); l'AUMENTO e la DIMINUZIONE (che riguardano la quantità); e infine la TRASLAZIONE (che riguarda il luogo). Tutti i movimenti avvengono nello SPAZIO, che contiene tutta la realtà, e vengono ordinati secondo il TEMPO.
Aristotele divide la natura in due mondi, separati dalla luna; li descrive come due grandi sfere poste rispettivamente sotto la luna (mondo SUBLUNARE) e sopra la luna (mondo SOPRALUNARE). Il mondo sublunare é caratterizzato dal movimento RETTILINEO, che é imperfetto, dalla generazione e dalla corruzione delle sostanze e dalla presenza dei quattro elementi naturali (acqua, terra, aria e fuoco). Il mondo sopralunare è invece caratterizzato dal movimento CIRCOLARE, che è perfetto e che rallenta progressivamente verso l'alto fino ad arrivare al Principio dell'Essere che è immobile. Qui non abbiamo più i quattro elementi ma la QUINTESSENZA, sintesi dei quattro elementi naturali. Il Principio dell'Essere non é soggetto al tempo ma allo stesso tempo non é il creatore del tempo: per Aristotele infatti il tempo, come lo spazio, deve venire prima di tutte le cose.

LA PSICOLOGIA - La Psicologia é la scienza che studia l'anima. Aristotele distingue l'anima in tre facoltà: anima VEGETATIVA, anima SENSITIVA e anima INTELLETTIVA o RAZIONALE. L'anima vegetativa ë alla base della gerarchia delle anime. Essa é presente in tutti gli organismi viventi e sovrintende alle funzioni vitali fondamentali (sviluppo, riproduzione, nascita). L'anima sensitiva é presente negli animali e nell'uomo e sovrintende alle funzioni sensoriali, necessarie per relazionarsi con l'ambiente. L'anima intellettiva é invece specifica dell'uomo e sovrintende il pensiero, cioè la facoltà più elevata dell'essere umano. L'uomo é dotato di due intelletti: uno PASSIVO, che rappresenta la possibilità di pensare, e uno ATTIVO, che comprende tutti i pensieri che sono stati prodotti. L'intelletto passivo muore insieme al corpo, mentre l'intelletto attivo, cioè il pensiero dell'uomo, sopravvive dopo la morte.

L'ETICA - L'Etica si occupa di tutte le azioni umane. Aristotele opera una distinzione tra il concetto di BENE e il concetto di VIRTÙ: il bene ha infatti un significato relativo e utilitaristico, mentre la virtù comprende i comportamenti umani. Aristotele suddivide le virtù in due grandi gruppi: le virtù ETICHE e le virtù DIANOETICHE. Le virtù etiche (come il coraggio, la temperanza, l'amicizia e la giustizia) riguardano strettamente le azioni umane che devono essere equilibrate. Le virtù dianoetiche (la conoscenza, la sapienza, la saggezza e l'arte) sono le virtù più elevate che devono guidare i comportamenti dell'uomo verso la perfezione.

LA POLITICA - Le virtù devono accompagnare tutte le azioni del cittadino e per questo sono fondamentali anche nella Politica. Aristotele considera l'uomo un animale politico perché vive in comunità e tutte le azioni dei cittadini devono essere rivolte al bene della comunità. Aristotele individua tre forme di governo della comunità: il governo di uno solo (MONARCHIA), il governo dei migliori membri della comunità (ARISTOCRAZIA), e il governo del popolo (POLITIA o DEMOCRAZIA). A queste tre forme di governo Aristotele oppone tre forme degenerate, chiamate rispettivamente TIRANNIDE, OLIGARCHIA e DEMAGOGIA. Egli considera la migliore guida per la comunità il ceto medio.

L'ESTETICA - Aristotele attribuisce molta importanza alle scienze poietiche e all'arte in particolare, e in questo si contraddistingue da Platone. Il concetto fondamentale nelle scienze poietiche é quello di VEROSIMILE, ossia il rispetto di ciò che esiste in natura: per Aristotele infatti l'arte può sconfinare anche nell'irrazionale pur mantenendo uno stretto legame con la natura. L'Estetica si suddivide in due grandi scienze: la POETICA, che comprende tutte le produzioni artistiche, e la RETORICA, che si occupa più in particolare del linguaggio. Le forme di espressione artistica come la tragedia e la commedia hanno per Aristotele una valenza CATARTICA, cioè di purificazione.

venerdì 27 gennaio 2017

Carteesio


CARTESIO

Cartesio rappresenta un importante punto di maturazione nello svolgimento della filosofia rinascimentale. La sua speculazione infatti non solo mira a rendere effettivo il ruolo dell’uomo quale padrone della natura, ma spiega l’azione umana avvalendosi delle regole della matematica, universalizzando meglio di Bacone la codifica di queste azioni. La vita di Cartesio fu molto intensa. Educato nel collegio gesuitico di La Fléche, Cartesio si avvicinò nel periodo della giovinezza all’elaborazione di un personale metodo di ricerca. Approfittò della Guerra dei Trent’Anni per studiare e perfezionarsi nelle discipline fisiche e matematiche, e si stabilì in Olanda, dove respirò l’atmosfera di liberalismo culturale e filosofico. Proprio in Olanda, a Leyda, Cartesio pubblica nel 1637 il Discorso sul Metodo, l’opera che rappresenta il suo manifesto ideologico e speculativo. L’opera era stata inizialmente utilizzata come prefazione di una serie di tre saggi matematici; fu poi ripresa, corretta, e inviata a un gruppo di scienziati e teologi. La stesura definitiva fu attuata nel 1641 col titolo Meditazioni sulla filosofia prima intorno all’esistenza di Dio e all’immortalità dell’anima, con l’aggiunta delle Obiezioni, appunto rivoltegli, e delle Risposte fornite a corredo.

IL METODO

Innanzitutto il procedimento cartesiano è autobiografico: il problema della ricerca di Descartes è infatti quello dell’uomo Descartes. A Cartesio non basta semplicemente fare didattica per insegnare la strada conforme a ragione, ma vuole spiegare il modo lui stesso ha affrontato la ricerca. Questo metodo ricorda molto quello di Montaigne, ed è strutturato come un discorso svolto in prima persona. Uscito dalla scuola dei Gesuiti, Cartesio è disorientato. Certo, egli ha appreso brillantemente il sapere del tempo, ma quel sapere non gli serve a niente: egli si rende drammaticamente conto di non possedere alcun sicuro criterio di verità, e il suo bisogno si trasmette con la necessità di recuperare un sistema che avesse un’utilità pratica, confacente alle esigenze umane, e non solo teoretica. Il metodo che Cartesio cerca è un lumen directivum, che aiuti l’uomo nella vita pratica, e che non sia limitato ai soli fini speculativi. I filosofi rinascimentali della natura avevano messo in luce il ruolo dell’uomo nel regnum che porta la sua attribuzione. Cartesio, in linea con questa tendenza, auspica che l’uomo faccia tesoro delle sue conoscenze per migliorarsi la vita. Di qui la necessità dell’universalità del metodo cartesiano, che deve valere per tutti gli uomini e in tutti i campi, teoretici e pratici.
Nel giovanile Regulae ad directionem ingenii Descartes affermava la necessaria unità della conoscenza umana, sola e unica ma applicabile a diversi campi del sapere. L’uomo ha già a disposizione un patrimonio conoscitivo su cui fondare la ricerca: le matematiche, che sono già pervenute in possesso del metodo, e che perciò devono essere utilizzate nella ricerca del metodo da parte dell’uomo. La strada più semplice è quella di astrarre il metodo dalle scienze matematiche e applicarlo alle cose pratiche: ma ciò non basta, occorre infatti anche giustificarlo, cioè fondarlo universalmente. Il problema non è tanto quello di presentare il modo in cui io penso, ma dare a questo metodo una validità universale, renderlo fruibile a tutti quanti. Ecco che si delineano i tre compiti della filosofia cartesiana:

formulare le regole del metodo secondo le scienze matematiche;
fondare il valore assoluto del metodo con una ricerca metafisica;
dimostrarne l’utilizzo nelle diverse aree del sapere.

LE REGOLE DEL METODO

Cartesio presenta le regole del metodo nella seconda parte del Discorso. Esse sono quattro:

prima regola era l’evidenza, ossia non accogliere nulla per vero che non sia tale per evidenza, in cui ogni dubbio non si possa annidare;
seconda regola è l’analisi, ossia la divisione di un problema in parti semplici, così da poterle analizzare in modo più facile e preciso;
terza regola è la sintesi, ossia il procedimento ordinato e per gradi che dagli oggetti più semplici conduce alla conoscenza degli oggetti complessi, presupponendo una applicazione in tutti i campi;
infine l’enumerazione, cioè l’elenco di tutto quanto, in modo generale e senza omettere nulla. Questa regola è il criterio di controllo della validità delle precedenti.

Queste regole vanno bene ma non sono autosufficienti, anche se sono utilizzate dalla matematica. La matematica di per sé non fa testo, a Cartesio infatti occorre un modo per dare alle regole del metodo una universale validità. E questa validità viene cercata nell’uomo, soggettività e ragione.

IL DUBBIO

Come si può trovare il fondamento di un metodo che serva da guida sicura nella ricerca? Attraverso una critica radicale di tutto il sapere già dato. Cartesio propone in pratica il metodo della scettica epochè, ossia la messa tra parentesi di tutto il conoscibile, sottoposto a dubbio. Se si giunge a un principio in cui il dubbio non attecchisce, allora saremo di fronte a un principio che serve da fondamento alle altre conoscenze. Questa è strutturalmente l’ossatura del metodo, donde il nome di dubbio metodico.
Nessun grado, nessuna forma di conoscenza può sottrarsi al dubbio: si può e si deve dubitare di tutto. Sia perché i sensi sono spesso ingannatori, sia perché durante il sogno si possono avere le stesse conoscenze dello stato di veglia, ma senza possedere un sicuro criterio di verità. Che 2 + 3 faccia 5 è uguale in entrambi i casi, ma anche la certezza matematica potrebbe avere una sua illusorietà, nel sogno e da svegli. L’uomo nulla sa della sua origine. E se fosse stato creato da un malefico genio capace di mostrargli certo ed evidente ciò che certo non è? L’ipotesi è probabile perché l’uomo non ha certezze, e allora il dubbio diventa necessario e si estende non più a un oggetto in particolare ma a tutte le cose (dubbio iperbolico).

COGITO, ERGO SUM

Paradossalmente dal dubbio universale si ricava una prima certezza. Io posso ingannarmi o essere ingannato dal genio malefico, ma per essere ingannato è necessario che io esista. La proposizione io esisto è quindi assolutamente vera, perché per dubitare devo essere, devo esistere. Il problema ora è: cosa sono io per dubitare? Non sono corpo, perché io non so nulla di corporeo intorno a me, so solo di essere una cosa che dubita, cioè una cosa che pensa. Ciò che qui è, esiste, è reale, è solo il mio pensiero (res cogitans) e non ciò che dal mio pensiero è pensato, perché le cose che penso possono esistere o meno, ma qui non mi riguarda ancora saperlo. Ciò che esiste sicuramente è il pensare, perché per dubitare devo esistere come pensiero.  Dire io esisto equivale ad ammettere la mia esistenza come soggetto pensante. È possibile che le cose da me pensate non esistano, è però impossibile che non esista io che le penso. Con il cogito Cartesio giustifica la prima delle quattro regole del metodo, quella dell’evidenza. L’evidenza del cogito cartesiano non può essere dubitata perché si negherebbe l’esistenza del soggetto che pensa. Questa evidenza indubitabile costituisce il punto di partenza per la giustificazione delle altre tre regole del metodo. Va sottolineato che Cartesio usa il cogito non perché conforme all’evidenza ma perché evidenza esso stesso, in quanto appare indubitabile che per pensare bisogna certamente esistere.
Cartesio supera nella sua ricerca le metafisiche di Agostino e di Campanella. Ad Agostino premeva che l’uomo trovasse Dio dentro di sé, a Campanella premeva che l’uomo in quanto elemento naturale si riconoscesse senziente e quindi dotato di autocoscienza, tale da riconoscere l’effetto delle modifiche subite dagli oggetti esterni percepiti. Ma Cartesio va oltre: nell’esistenza del soggetto pensante, evidente a se stesso, il filosofo di La Haye ricerca il principio fondamentale di tutta la conoscenza umana, ciò che alla conoscenza umana dà validità.

DIO

Il principio del cogito ergo sum mi rende evidente solo una cosa, la mia esistenza, come soggetto pensante. Riconoscermi soggetto pensante significa anche riconoscermi come soggetto che ha idee, intese come oggetti del pensiero. Che queste idee esistano in me ne sono sicuro: io come soggetto pensante le penso, e sono sicuro del fatto che di me fanno parte, in quanto io le penso; ma non sono sicuro che queste idee corrispondano sicuramente a qualcosa fuori da me. Ciò che io percepisco viene pensato da me, ma cosa mi può dare la sicurezza dell’esistenza di questi oggetti e atti del pensiero?

Cartesio divide le idee in tre gruppi:

quelle innate, ossia nate con me; a questa classe di idee corrisponde la propria capacità di pensare, ossia produrre idee;
quelle avventizie, cioè venute da fuori; a questa classe corrispondono le idee delle cose naturali;
quelle fattizie, cioè formate da me stesso; a questa classe corrispondono le idee delle cose chimeriche o inventate.

Da dove derivano le idee?

Le idee avventizie corrispondono a uomini e a cose naturali, e non contengono nulla di così perfetto che non possa essere stato prodotto da me; l’idea di Dio presuppone qualcosa di perfetto, illimitato e onnisciente, che non poso aver creato io stesso. Io sono limitato, e la causa di una idea perfetta deve essere essa stessa perfetta. Dio esiste per forza come sostanza infinita: poiché Dio è illimitato e io, essendo limitato, non posso assolutamente aver creato una cosa assolutamente perfetta. Questa è la prima prova dell’esistenza di Dio: pensare l’idea di Dio può solo significare pensare Dio come qualcosa di infinito e perfetto e soprattutto fuori dalla mia portata. Ma c’è di più. Proprio perché io sono imperfetto e limitato, cosa attestata dal fatto che dubito, non mi posso essere creato da me, anche perché sarebbe stato logico che mi sarei dotato delle perfezioni che sono prerogative di Dio. È stato dunque Dio a crearmi, finito, dotandomi però dell’idea (= della capacità di pensare) l’infinito. Questa è la seconda prova dell’esistenza di Dio. A questo punto Cartesio ne aggiunge una terza, la cosiddetta prova ontologica, in cui afferma l’impossibilità di concepire Dio come Essere Perfetto negandone l’esistenza, poiché l’esistenza costituisce necessariamente una delle Sue perfezioni necessarie. Tutto ciò è dimostrato dal fatto che io esisto, perché tutte le cose che non hanno la loro causa in se stesse cesserebbero di esistere se la loro causa non fosse infinita e smettesse di creare, e la creazione di Dio è appunto continua.

IL MONDO

Cartesio ha dunque riconosciuto l’esistenza di Dio. Dio rappresenta il criterio di evidenza più garantito ed elevato, perché Dio è perfetto e non mi può ingannare. Ciò che mi appare chiaro ed evidente è dunque vero e indubitabile. Ma allora perché e come si verifica l’errore?
Secondo Cartesio dipende da due cause in concorso, l’intelletto, che è limitato, e la volontà, che è invece libera. Mentre l’intelletto umano può pensare un intelletto più esteso e perfetto come quello divino, la volontà ha campo libero, e può arbitrariamente affermare o negare ciò che l’intelletto non riesce chiaramente a percepire. Se io mi limitassi a giudicare solo l’evidente e l’indubitabile, e se mi astenessi dal giudizio quando non è chiara la situazione, allora non ci sarebbe mai errore. Ma la volontà è libera e non è limitata come l’intelletto, e spesso mi induce a pronunciarmi su ciò che è poco chiaro. Io posso anche azzeccarci, indovinando, per un mero caso, ma posso appunto anche sbagliare, ingenerando così l’errore. Dio mi ha creato libero, e, come tale, libero di sbagliare: per evitare l’errore devo attenermi alle regole del metodo e soprattutto a quella primaria e inconfutabile dell’evidenza.
Indubbiamente Dio esiste e ciò mi garantisce l’evidenza, dunque ora posso rimuovere il dubbio che avevo avanzato all’inizio sulla realtà di cose corporee fuori da me e che agiscono sui miei sensi. Se ciò che è evidente non mi inganna, allora posso ammettere accanto alla res cogitans, alla sostanza pensante, inestesa e limitata, una sostanza corporea, estesa, la res extensa appunto, divisibile in parti. Anche Cartesio ammette come Galilei la presenza di elementi propri delle cose corporee e affini alle qualità primarie galileiane, cioè delle determinazioni quantitative; mentre le determinazioni qualitative come il colore o il sapore non sono parte delle sostanza corporee.
Cartesio separa nettamente spirito e corpo, pensiero ed estensione, attribuendo a ciascuno prerogative diverse. Lo spirito è libertà, il corpo è necessità, e tutto si fonda su un meccanicismo necessario retto da Dio. Dio è immutabile e nella Sua perfezione coesistono i due grandi principi della fisica, l’inerzia e lo stato di conservazione della quantità di moto. Infatti Dio ha dato alle Sue creature una certa quantità di quiete e di moto, e garantisce il corretto mantenimento di questa quantità nella Sua immutabilità. Dio ha creato una massa informe e caotica a cui ha poi conferito un ordine meccanico in base a delle leggi. Ogni causa finale è abolita: tutto ciò che è corpo è meccanismo, incluso il corpo umano. A questo meccanismo sfugge solo l’anima, che è libera, ed è propria esclusivamente dell’uomo.

L’UOMO

L’uomo si differenzia dagli animali solo per una prerogativa, appunto l’anima razionale. L’anima è in continuo scambio col corpo, e fulcro di questo scambio è per Cartesio la ghiandola pineale. Cartesio distingue nell’anima azioni e passioni, le prime frutto della libera volontà, le seconde frutto di percezioni sentimentali ed emotive disordinate, provocate da quelle forze meccaniche che agiscono sul corpo, e l’ideale del saggio è quello di riuscire a controllarle, come insegnavano gli Stoici. Controllarle e non abolirle, primo perché sarebbe impossibile, e poi perché sarebbe dannoso. Le passioni non sono cattive, è cattivo l’uso che di queste passioni si fa.
La morale cartesiana trova sicuramente il suo massimo punto di elevazione nel ruolo che l’uomo deve assumere nella vita. Cartesio sceglie la scienza e il suo scopo è dichiarato fin dal principio: trovare qualcosa di valido per tutti. Ma egli non esclude che altri non possano trovare qualcosa di altrettanto valido, l’importante, afferma Cartesio, è scegliere risolutamente dopo aver attentamente vagliato ogni singola possibilità. E difatti Cartesio fa dell’esperimento scientifico molto più, come si è detto, di una regola di vita. Ma l’esperimento è fondamentalmente il limite negativo, oltre cui ogni ricerca appare inutile. La vera base positiva della ricerca è e deve essere solo la ragione.