sabato 28 maggio 2016

3B - L42 + L43

3B - L42 + L43
Heidegger

HEIDEGGER - LEZIONE 42
L’analitica esistenziale

42.1 - Heidegger radicalizza la fenomenologia husserlian proponendosi di indagare il senso dell'essere. Questa indagine si articola sinteticamente in due momenti principali, il primo è quello del significato dell'esistenza dell'uomo "gettato" nel mondo, il secondo è la differenza ontologica tra l'essere e qualsiasi altro ente. Nonostante le innumerevoli influenze Heidegger restò fedele a una sola prospettiva di indagine, quella appunto del senso dell'essere. Affrontare un problema caro alla metafisica greca in un secolo di grande progresso scientifico e tecnologico appare sicuramente paradossale: ma l'obiettivo provocatorio di Heidegger è quello di far coincidere questa metafisica non tanto con l'esistenza dell'essere quanto col suo oblio. Il senso autentico dell'essere, spiega infatti Heidegger in ESSERE E TEMPO, si è perso a causa di una "chiacchiera planetaria" che attribuisce la forma dell'essere a tutto ciò che circola nel nostro linguaggio. 

42.2 - Il saggio ESSERE E TEMPO deve molto al metodo fenomenologico husserliano, necessario per forzare i vari "coprimenti" dell'essere e per portare alla luce le "cose stesse". L'esperienza che noi facciamo del mondo diventa razionalmente comprensibile quando viene riportata lla sua sorgente, la coscienza nella totalità dei suoi atti intenzionali. Lo stesso Heidegger mette in evidenza che solo l'uomo  (poi preciserà l'uomo occidentale) può interrogarsi sul senso dell'essere. Infatti un sasso o una pianta ci sono e sono qualcosa per l'uomo che li pensa, ma non sarebbero nulla di per se stessi se l'uomo non ci fosse. Ma l'accostamento a Husserl finisce qui. Heidegger infatti non parte dall'io trascendentale ma dall'uomo, quindi non usa l'epochè per mettere il mondo tra parentesi, in quanto l'uomo ha senso come "essere nel mondo", mondo che non può essere né sospeso né abbandonato. L'analitica esistenziale sviluppata in ESSERE E TEMPO ha come oggetto il rapporto tra uomo e mondo, dove lo stesso termine uomo è considerato da Heidegger troppo equivoco per poter essere impiegato: al suo posto Heidegger utilizza il termine ESSERCI. L'esserci non è la coscoenza, la mente o l'unione di anima e corpo ma è COLUI CHE SI INTERROGA SULL'ESSERE IN QUANTO "CI È". L'esserci implica infatti una rete di relazioni pratiche con gli enti che sono e sono pensati in base all'uso che se ne può far (per esempio: il martello che serve a piantare un chiodo nel muro, il chiodo che è resistente per appendere qualcosa, eccetera). La comprensione quotidiana del mondo è dunque una comprensione pratica del suo essere. Come si evince dall'esempio del martello e del chiodo il mondo dell'esserci è fatto di enti "usabili" e non oggetto di contemplazione teoretica (quelli che Heidegger chiama SEMPLICI PRESENZE): proprio per questo motivo l'essere è in questo senso un ESSERE CON GLI ALTRI, cioè posto in rapporto con gli altri uomini. Si tratta di una steuttura ESISTENZIALE che appartiene a priori sia all'esserci sia all'essere nel mondo. L'esserci e il mondo hanno una natura PRAGMATICA, poiché rivolta al futuro e implicante la progettazione dell'uso che si farà di un ente. Essi condividono perciò una struttura di tipo TEMPORALE: l'esserci a differenza degli altri enti vive sbilanciato in una situaione di continua progettazione  per il futuro e le cose sono in base all'uso che se ne potrà fare. Questa progettazione dell'avvenire è preceduta da un altro momento di consapevolezza che non ha natura cognitiva ma EMOTIVA: l'emozione è l'apertura al significato del mondo. È infatti nella paura, nella gioia, nella speranza che l'esserci entra per la prima volta in contatto con le cose che poi utilizzerà. Questo passato, o ESSERE STATO, è incancellabile: infatti l'esserci si trova in una SITUAZIONE EMOTIVA continua che non può mai essere sospesa come nell'epochè husserliana. Malgrado la libertà di progettare il futuro l'esserci è vincolato dall'essere stato in una concatenazione semantico-temporale nota come CIRCOLO ERMENEUTICO. La comprensione delle cose è dunque resa possibile da una PRR-COMPRENSIONE. La libertà dell'esserci è una forma di libertà vincolata. Heidegger chiarisce che dal circolo ermeneutico non si può usocre ma bisogna, invece, "gettarsi" ossia esserci dentro. Il pinto di convergenza dell'essere stato e dell'avvenire progettato dall'esserci è rappresentato dal presente del DISCORSO in cui parliamo delle cose che l'emozione ha SVELATO e che il progetto dell'esserci ha poi COMPRESO. Queste tre strutture esistenziali e temporali che Heidegger chiama ESTASI, costituiscono l'essenza dell'essercu come CURA. L'esserci, scrive Heidegger, si prende cura del mondo relazionandosi con esso: ciò che noi siamo e ciò che  il mondo è - l'ESSENZA - è determinato è determinato dalle strutture temporali della nostra esistenza. Oltrepassando dunque la metafisica tradizionale, Heidegger ne capovolge l'orientamento ed esce da essa, vincolando alla temporalità dell'esistenza l'essere  stesso.

42.3 - L'atteggiamento dell'esserci verso il mondo è un atteggiamento pratico che coinvolge l'utilizzabile in un progetto. Heidegger è molto attento a distinguere tra la ricchezza temporale dell'esserci, ossia l'unione delle strutture temporali convergenti nel circolo ermeneutico, e la semplice presenza degli oggetti della sola contemplazione teoretica, privi di passato e non utilizzabili nel progetto dell'avvenire. Ma le parole parlano delle cose in modo equivoco, perdendo così la ricchezza temporale e decadendo il discorso nella chiacchiera. La quotidianità è allora un presente vuoto e senza senso, dove si dice e si fa senza nessuna consapevolezza della propria singolarità esistenziale e senza alcuna responsabilità di progettare. Questa massificazione dei discorsi e dei comportamenti produce la forma INAUTENTICA dell'esistenza: nessuno è sé stesso e ciascuno è tutti gli altri di cui condivide parole e atti. Così il presente vuoto e superficiale annulla le due estasi - passato e futuro - e le sprofonda nell'OBLIO. La metafisica di un essere sempre presente nasce quindi dalla comprensione del quotidiano e della chiacchiera. Questa inautenticità trova un radice esistenziale più profonda nel tentativo della chiacchiera di coprire la finitezza dell'esserci e il suo ESSERE PER LA MORTE. Si tratta del rifiuto dell'integrale finitezza dello stesso esserci e il tentativo di rimuovere il pensiero della morte. Rifiutare la morte significa rifiutare la propria temporalità e sopratutto dimenticare che l'essere è tempo. L'esserci si distrae "pascalianamente" con il presnete, con la chiacchiera, curandosi solo di ciò di cui si parla nel presente, poiché il pensiero della morte è troppo forte per essere cancellato del tutto, e può essere ridotto solo a un generico "si muore" in un tempo che è "non ancora". La forma AUTENTICA dell'esistenza si conquista proprio con l'accettazione del proprio essere per la morte e la conseguente consapevolezza della propria temporalità, al pari dell'essere nel mondo e dell'essere con gli altri. Innanzitutto bisogna sostituire la forma impersonale "si muore" con "qualcuno muore". Il pensiero della mia morte poi non deve essere ottimisticamente allontanato con la forma del "non ancora" ma la sua esperienza deve essere preparata dall'esperienza della morte degli altri anche se la morte è un fatto personale - mia e solo mia - che non può essere consivisa con nessuno. È proprio la morte a restituire all'essere il suo senso autenticante temporale. Abbandonando la chiacchiera per il silenzio e la distrazione per l'ANGOSCIA, l'essere ha la responsabilità di compiere una "decisione anticipatrice" della morte, che non significa suicidarsi ma vivere in maniera consapevole tutto ciò che riguarda la temporalità. L'angoscia ci pone di fronte al NULLA TEMPORALE del nostro esserci e del mondo, facendo sprofondare la rete di abitudini e chiacchiere che impediscono all'esserci di diventare un sé autentico.

HEIDEGGER - LEZIONE 43
La differenza ontologica e il linguaggio

43.1 - ESSERE E TEMPO non è mai stata completata: la seconda pRte dell'opera, dedicata a una decostruzione della storia della metafisica, è infatti incompleta. Pur tuttavia questa mancanza viene compensata da diversi corsi universitari pubblicati in raccolte - sopratutto negli anni Settanta - e da altre opere come KANT E IL PROBLEMA DELLA METAFISICA del 1929. Ma va detto che anche la prima parte dell'opera non è completa: la terza sezione, che si sarebbe dovuta intitolare Tempo ed essere, fu solo abbozzata e poi abbandonata. Motivo di questa improvvisa battuta d'arresto del processo avviato con ESSERE E TEMPO fu la resistenza incontrata nel linguaggio stesso della metafisica. La fondazione del pensiero sulla struttura temporale dell'essere implicava infatti l'uscita dalla metafisica tradizionale, colpevole secondo Heidegger di aver condannato l'essere all'oblio attraverso il cpncetto della presenza. Ma questo nuovo processo del pensiero heideggeriano non poteva essere sviluppato col linguaggio della metafisica che proprio ESSERE E TEMPO voleva superare. Dalla metà degli anni Trenta emergono nel pensiero di Heidegger alcuni temi che vengono solitamente indicati (forse in maniera riduttiva) come una SVOLTA (Kehre), in realtà però non si tratta di un vero e proprio cambio di direzione rispetto a ESSERE E TEMPO quanto un approfondimento di alcune tematiche non completamente sviluppate nell'opera precedente, e precisamente:

il superamento del grado preparatorio dell'analitica esistenziale in direzione dell'ONTOLOGIA;
la maggiore consapevolezza delle difficoltà di abbandonare la storia della metafisica;
l'attenzione al problema del linguaggio, che era stato trascurato in ESSERE E TEMPO.

43.2 - Heidegger ha chiarito in ESSERE E TEMPo che l'essere non è un ente, non è una delle cose che incontriamo o con cui abbiamo a che fare, non è una cosa o un ente speciale, eternamente presente e stabile e disponibile. Per comprendere il senso dell'essere occorre sviluppare la natura temporale dell'esser i e del mondo come sistema di rimandi che l'esserci progetta. La natura temporale dell'essere e la sua assoluta alterità rispetto all'ente sono chiariti da Heidegger mediante il concetto di DIFFERENZA ONTOLOGICA. Già la metafisica tradizionale ha sempre differenziato "ciò che È perché NON diviene" da "ciò che NON è poiché diviene". Nelle varie epoche della storia del pensiero l'essere è sempre stato considerato il fondamento dell'ente: le idee, la sostanza, la res cogitans, la volontà di potenza, lo spirito assoluto hanno segnato la storia della metafisica come modelli di riferimento delle cose esistenti. Ma, si domanda Heidegger, la metafisica tradizionale ha davvero pensato in questi paradigmi la differenza tra essere ed ente?
In realtà la storia della metafisica non ci ha mai consegnato una vera distinzione tra essere ed ente: nonostante la successione di differenti modelli la metafisica non ha mai potuto pensare l'essere come tale: l'essere infatti si SVELA nelle varie epoche ma allo stesso tempo si sottrae all'interpretazione e si ritira usando le stesse forme che ha svelato.
La temporalità. Continua Heidegger, rivela la differenza tra essere ed ente. Questa differenza è espressa dalla metafisica, che non può pensarla come differenza in quanto l'essere si nasconde nelle varie epoche della metafisica. La metafisica stessa è dunque oblio di questa differenza. Una tale concezione porta il filosofo a cambiare lo stesso concetto di verità, che proprio in base alla differenza ontologica assume il ruolo espresso nella sua origine greca, aletheia, ossia dis-velamento. La metafisica esprime la sola dimensione ontica di ciò che viene svelato e che tuttavia tende subito a nascondersi, implicando un nuovo velamento.

43.3 - Heidegger ammette dunque che: 1) non si può chiudere con la metafisica cancellandola con un colpo di spugna; 2) ogni epoca della metafisica interpreta l'essere così come appare in quell'epoca, per poi ritirarsi; 3) ogni epoca ha i suoi peopei concetti e linguaggi per esprimere l'essere, che si fa ALTRO.
Queste caratteristiche portano Heidegger ad assegnare alla metafisica non un carattere espansivo, come sosteneva Hegel, ma INVOLUTIVO: il senso e il significato stesso dell'ontologia si riduce e si restringe dalla grecità, passando per la Scolastica e il pensiero rinascimentale, fino a Nietzsche. Queste tappe hanno il loro culmine nell'attuale epoca della TECNICA. Heidegger vede come una semplice illusione il tentativo della tecnica di liberare l'essere dalla metafisica: in realtà è la stessa tecnica a imprigionare l'essere, con la pretesa di dominare l'intera natura. Per questo Heidegger la considera il culmine della metafisica. Ma l'epoca della tecnica ha un carattere ambiguo e, proprio per questo, non si può affermare che la condanna heideggeriana sia inappellabile: comprendendo la tendenza nichilista della metafisica occidentale, la tecnica annienta quella differenza ontologica che - a questo pinto - non è dunque mai stata nulla (Heidegger scrive Sein, cioè essere, sbarrato). È proprio questo nichilismo che, annullando la differenza, prepara il nuovo inizio. Tale compito è affidato al la oro silenzioso del PENSIERO RAMMEMORANTE. Esso ripercorre le tappe della storia della metafisica, cercando di "rammemorare" ciò che la metafisica non ha mai pensato. La metafisica si supera dunque riportando alla luce il rapporto tra il suo non-pensiero e il LINGUAGGIO.
In che modo le strutture attraverso cui l'essere si svela nei diversi momenti della storia della metafisica vengono inviate all'esserci?
Se il pensiero è tra i responsabili di questi invii è certamente l'OPERA D'ARTE ad aprire un mondo storico.  Il mondo della polis greca è aperto dal TEMPIO. Esso raduna intorno a sé la comunità, iniziando un'epoca storica. La vera forma d'arte essenziale però è la POESIA, che Heidegger considera nel suo senso più alto, poiché riassume la potenza dell'opera d'arte. La poesia restituisce la PAROLA all'essere, che ne è proprietario: viene dunque così il momento dell'ascolto del linguaggio dell'essere sono i grandi poeti a farci comprendere il movimento della storia. Per esempio in Sofocle risplende la meraviglia dell'uomo greco per l'essere, prima che la metafisica ne inizi a velare il significato, mentre in Holderlin viene cantata la notte del mondo abbandonato dagli dei, nella speranza del loro ritorno. È proprio la poesia la risorsa più grande del pensiero rammemorante, che tenta di recuperare quanto nella metafisica è rimasto impensato,  consegnando dunque all'uomo la responsabilità di meditare e sorvegliare il linguaggio.