venerdì 21 aprile 2017

Dopo Hegel

DOPO HEGEL

1 - IL DIBATTITO SULL'HEGELISMO

Hegel muore nel 1831, lasciando un’eredità pesante, quella di una filosofia in cui si era praticamente detto tutto. Questo aspetto totalizzante, che riguarda diversi sviluppi del pensiero - incluse arte, religione, diritto, storia, la stessa filosofia - non incarna tanto una pretesa  hegeliana di voler dare una risposta a tutto, ricomprendendo questi aspetti in un unico sistema, quanto la difficoltà, una volta individuato il metodo nella dialettica, di riaprire il problema hegeliano, quello della vera essenza del reale. Eppure alla morte di Hegel i suoi seguaci si dividono in correnti, che produssero la frattura all’interno della scuola hegeliana, condannando il paradigma stesso dell’idealismo.
La spaccatura si formalizza nel 1837 grazie a Strauss, che propone di rinominare i vecchi ed i giovani hegeliani come destra e sinistra hegeliana, riprendendo la consuetudine parlamentare francese, evidenziando nei primi l’ortodossia e nei secondi il riformismo e la modernizzazione. Il dibattito tra le due correnti inizia su aspetti religiosi e si sviluppa poi su temi storico-politici. I vecchi hegeliani erano assolutamente sostenitori del sistema del maestro, tanto da applicarne i dettami in ambito politico e istituzionale, sopratutto per quanto concerne la teoria hegeliana dello stato razionale e reale, arrivando a supportare il regime prussiano. I cosiddetti giovani hegeliani si oppongono al rigido conservatorismo della destra sfruttando proprio gli aspetti dinamici del sistema hegeliano, quelli legati alla contraddizione del reale e al conflitto,  elementi imprenscindibili della dialettica.
Molto probabilmente l’opera che ruppe lo schieramento fu la VITA DI GESU’ del già citato David F. STRAUSS, che destò molto scalpore descrivendo la religione cristiana come un mito, non perché mancasse di verità ma per la mancanza di un qualsiasi fondamento critico, separando il Gesù storico dal Cristo della fede, e portando il dibattito nell’ambito del Nuovo Testamento, provocando quindi un vespaio di critiche. A raccogliere le posizioni di Strauss fu tra gli altri Bruno BAUER, autore del pamphlet LA TROMBA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE CONTRO HEGEL, opera che spinge le conclusioni di Strauss verso un convinto ateismo. Accanto a Bauer ricordiamo anche Moses HESS e Arnold RUGE.

2 - FEUERBACH

Con la sinistra hegeliana si consuma il definitivo passaggio dall’idealismo a una filosofia della prassi, in cui il contributo maggiore, prima del suo esponente più organico e completo, ossia Marx, è sicuramente quello di Ludwig FEUERBACH. Feuerbach inizia come hegeliano, diventa poi un esponente della sinistra hegeliana e quindi di quella anti.hegeliana, con cui si allontana decisamente da Hegel. Gli aspetti che Feuerbach contesta del suo ex maestro sono i seguenti:
a) la pretesa assolutizzante del sistema hegeliano;
b) la concezione dialettica della storia;
c) la tendenza immaterialista e spirtiualista;
d) l’incapacità di cogliere concretamente il reale.
Va detto che Feuerbach mette in evidenza che il pensiero hegeliano è la consacrazione delle tendenze della filosofia moderna, da Cartesio in poi, e questo aspetto rende ancora più marcato il distacco dal suo maestro, tanto che il pensiero feuerbachiano si propone come un’assoluta novità. Sono due le opere in cui si estrinseca questa novità, entrambe scritte tra il 1842 e il 1843: le TESI PROVVISORIE PER LA RIFORMA DELLA FILOSOFIA  ed i  PRINCIPI DELLA FILOSOFIA DELL’AVVENIRE. Nelle due opere, sopratutto nella seconda, divisa in 65 principi dichiaratamente anti-idealistici si consuma un’irrevocabile transizione  alla filosofia della prassi. Feuerbach irride la pretesa idealistica di far coincidere materia e spirito, finito e infinito, ed elegge la condizione sensibile a principio primo della conoscenza filosofica, quale altro del pensiero, e molto più adatta alla vita umana e terrena. La filosofia di Feuerbach potrebbe essere distinta come una antropologia filosofica, oppure come un umanesimo materialistico, data la sua specifica concentrazione sul problema uomo. Feuerbach opera una vera e propria rivoluzione copernicana dell’hegelismo, attribuendo la realtà al finito e l’idealità all’infinito, e spostando la loro coincidenza, in forma negativa, non più a un assoluto ma all’uomo, a partire dal quale l’infinito può essere pensabile. Infatti al centro del pensiero di Feuerbach, ci sono la corporeità, la sensibilità e la materialità, incarnate dall’uomo, essere finito, limitato, fatto di bisogni: Mann ist was isst, (l’uomo è ciò che mangia), afferma Feuerbach con un gioco di parole - comprensibile solo in tedesco - che afferma la natura finita dell’uomo. In questo capovolgimento il pensiero non è più espresso soggettivamente ma oggettivamente, come predicato del reale finito che per Feuerbach costituisce la vera soggettività. L’unica vera realtà è perciò quella sensibile: Feuerbach ripristina la scissione tra soggettivo e oggettivo, riportando la dialettica a un confronto umano tra esseri finiti. A denunciare l’umanesimo di Feuerbach è la frase “io sono uomo con gli uomini” opposta alla frase tipica dei filosofi assoluti: “io sono la verità”.
Nella letteratura filosofica feuerbachiana assumono una determinante rilevanza gli scritti di argomento filosofico-religioso, tra cui L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO del 1841 e L’ESSENZA DELLA RELIGIONE del 1845. La prima delle due opere si concentra sul tema dell’ALIENAZIONE, un tema non nuovo e trattato anche da Hegel, a cui però Feuerbach conferisce una direzione particolare, considerando la religione come alienazione, nel senso di una proiezione della finitezza umana in un essere altro, identificato come Dio. Questo processo di oggettivazione è causato dalla tendenza del luomo a superare i propri limiti - AUTOTRASCENDIMENTO - che lo porta a proiettare una parte di sé stesso in un essere altro, da cui però ben presto finisce con l’allontanarsi - ESTRANIAZIONE - non riconoscendosi più in questa figura perfetta, illimitata, assoluta, così diversa da sé. Dio finisce quindi con l’espropriare l’uomo delle sue facoltà, la ragione, la volontà, il sentimento, facendogli pesare tutta la limitatezza della sua condizione, schiacciandolo e non elevandolo. Questo è un canone tipico delle figure dell’Antico Testamento che rivendicano un Dio ESSENZA DELL’INTELLETTO, in quanto RAGIONE ASSOLUTA, e ESSENZA MORALE in quanto VOLONTA’ ASSOLUTA. Nel Nuovo Testamento compare invece la personificazione del Dio cristiano come ESSENZA DEL CUORE in quanto SENTIMENTO ASSOLUTO, che per amore dell’uomo si incarna in Gesù. Qui emergono due aspetti: l’AMORE, ossia lla funzione riconciliatrice tra gli uomini, e la FEDE, espressione dice Feuerbach di un egoismo supernaturalistico, che mira per contro a rafforzare la scissione tra uomo e Dio. Feuerbach evidenzia dunque due nature nella religione, una vera e una falsa, da un lato il tentativo vano dell’uomo di superare la propria condizione, dall’altra il presagio di quello che l’uomo è veramente. Per questo Feuerbach affida alla filosofia - quale antropologia materialistica - il compito di DISALIENARE l’uomo, ossia di liberarlo,  compito terapeutico, mostrandogli l’aspetto antropologico alla base di ogni religione e mettendo bene in chiaro che Dio altro non è che la proiezione e l’oggettivazione di alcuni aspetti dell’uomo stesso.
Questi temi tornano in uno scritto successivo, L’essenza della religione, dove però Feuerbach non mette in risalto gli aspetti essenziali dell’uomo ma della natura, da cui l’uomo si sente dipendente. La natura infatti viene vista come una manifestazione del divino fino a diventare autonoma e base di ogni credo religioso, finendo col sopraffare l’uomo: per questo motivo anche questo scritto ha uno scopo terapeutico, quello cioè di liberare l’uomo dalla malattia religiosa, ossia la cancellazione di qualsiasi desiderio soprannaturale.

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