lunedì 4 settembre 2017

Classe 4 - Filosofia 1

Filosofia 1 - Classe 4A

 Descartes

DESCARTES - LEZIONE 10
Vita e opere

10.1 - Descartes è considerato da Hegel il fondatore della filosofia moderna. Nasce nel 1596 a La Haye-en-Touraine, nella regione della Turenna, da una famiglia di nobiltà recente, che aveva preso parte alle guerre di religione e  che vantava membri che avevano ricoperto cariche pubbliche. Fu avviato precocemente agli studi umanistici nel 1604 presso il collegio gesuitico di La Flèche, che durarono otto anni. Nella sua opera principale, il DISCORSO SUL METODO, Descartes non mancò di criticare gli studi compiuti e la ratio studiorum della formazione gesuitica. L’insegnamento impartito, che era propedeutico agli studi teologici - che tuttavia Descartes non intraprese - era basato sulla lettura in forma compendiata delle opere principali di Aristotele, presentate non nella loro veste originale, ma in una forma scolastica, alla quale si accompagnavano commentari poco scientifici e quasi mistici, col chiaro scopo di oscurare l’evidenza ed esaltare l’immaginazione. Proseguì la sua formazione studiando diritto a Poitiers, quindi, dal 1618, in concomitanza con lo scoppio della Guerra dei Trent’Anni, si arruolò nell’esercito. Servì dapprima il principe protestante olandese Maurizio di Nassau, poi il cattolico Massimiliano di Baviera. Il suo impegno nelle operazioni di guerra fu minimo, tanto da consentire al giovane Descartes di continuare a studiare. La guerra fu un’esperienza molto importante, non solo perché mise Descartes in contatto con molti intellettuali europei, ma sopratutto perché fu durante questa esperienza che egli maturò la consapevolezza della sua vocazione filosofica, in un delirio quasi mistico, alimentato, si dice, da un pellegrinaggio a Loreto e dalla sua presunta affiliazione alla setta dei Rosa Croce. In questo periodo Descartes maturò l’importanza dell’intuizione rispetto al sillogismo aristotelico, ossia una conoscenza chiara e immediata, articolata in elementi distinti, tali da risultare indubitabili. Descartes comprende che non vi sono certezze nella vita. La rivoluzione dell’astronomia, sopratutto la rivoluzione copernicana, cambia completamente gli assetti della conoscenza che fino a quel momento avevano costituito un sicuro terreno per i piedi dei filosofi. Descartes arriva allora a dire che tutta la realtà è solo un sogno.

10.2 - Le REGOLE PER LA GUIDA DELL’INTELLIGENZA, pubblicate postume, sono la prima vera opera filosofica di Descartes. In quest’opera, fondata sui concetti di ordine e di misura, Descartes getta le basi della sua ricerca di una conoscenza semplice, chiara ed evidente, e di un metodo in grado di risolvere qualsiasi problema proponibile, esigenza che viene portata avanti proprio nel DISCORSO SUL METODO, una delle opere più importanti della filosofia moderna. Si tratta di un saggio breve e all’apparenza molto semplice, redatto in forma colloquiale e autobiografica: il problema del metodo è il problema dell’uomo Descartes, alla ricerca di una conoscenza che assuma un valore universale. Il dispiegamento del metodo nelle sue quattro regole, evidenza, analisi, sintesi, enumerazione, è solo all’apparenza semplice, in realtà contiene un primato sull’intelletto, rappresentato dalla volontà. Descartes ritiene che la ragione non sia appannaggio esclusivo delle menti geniali ma sia un bene che appartiene a tutti e tra tutti è condiviso; ma ciò che distingue il vero uomo di scienza è la volontà di applicare in maniera assoluta le regole del metodo a tutto il conoscibile, per cercare la verità. Il metodo cartesiano, fondato sul primato della volontà rispetto all’intelletto, è come si vede di tipo induttivo e platonico-agostiniano, polemicamente in opposizione a quello deduttivo e aristotelico-tomista. Sarà poi l’incontro con gli Oratoriani - il cardinale De Berulle ma sopratutto il padre Gibieuf - a suggerire al giovane Descartes che le cosiddette VERITA’ ETERNE, le verità logiche e matematiche, derivavano da un atto di volontà di Dio. Nonè dunque Dio a dipendere dalla logica ma la logica a dipendere dalla volontà di Dio, tanto che Descartes dice che se Dio avesse voluto fare un triangolo con quattro lati avrebbe potuto farlo benissimo. Ma questa dipendenza sottrae al mondo quella stabilità e quella contingenza descritte nel pensiero tomista, e portando così l’uomo a confrontarsi con una realtà precaria e minata dal dubbio. Occorre però anche precisare che il cammino del metodo cartesiano non fu agevolato dai tempi in cui il filosofo operava. Descartes aveva scritto infatti due trattati, IL MONDO  e L’UOMO, di chiara ispirazione meccanicistica e con evidenti ma prudenti riferimenti a Galileo, ma proprio la condanna di Galileo nel 1633 lo convinse a non pubblicarli, dando invece la precedenza ad altre opere più innocue come LA DIOTTRICA, LA GEOMETRIA e LE METORE. Descartes prese anzi le distanze da Galileo, facendo seguire questi trattati al suo Discorso sul Metodo quale esempio del modus operandi cartesiano, e adottando un metodo scientifico volutamente mascherato, più cauto e ipotetico (larvatus prodeo), tipico nel periodo della Controriforma.

10.3 - Descartes si trasferì nel 1628 nella più liberale Olanda, preferendola alla Francia assolutista e all’Italia troppo legata alla Chiesa. Nel 1640 vede la luce la sua opera più importante, LE MEDITAZIONI METAFISICHE, una raccolta di sei brevi meditazioni in cui Descartes abbandona il dubbio e perviene alla certezza, attraverso la dimostrazione dell’esistenza di Dio, che darà una maggiore evidenza alla conoscenza dell’uomo e della natura.
L’opera fu rivoluzionaria, sopratutto in merito a concetti come idee e pensiero svincolati dal significato tradizionale, il che costrinse Descartes a far circolare le Meditazioni dapprima in sordina, negli ambienti intellettuali dell’epoca, sopratutto grazie all’amico Mersenne. Nacquero così due appendici alle Meditazioni, le OBIEZIONI, poste da grandi filosofi del periodo come Gassendi e Hobbes, e le RISPOSTE, date dallo stesso Descartes, quasi tutte fondate sul presunto fraintendimento concettuale dovuto, secondo l’autore, al retaggio della vecchia filosofia Scolastica. Nel 1644 Descartes pubblica una sintesi del suo pensiero filosofico, i PRINCIPI DI FILOSOFIA. Proprio nella parte introduttiva dei Principi - la cosiddetta lettera ai traduttori - Descartes spiega il significato di sistema col famoso esempio dell’albero, le cui radici sono la metafisica, il tronco è la fisica e i rami le altre scienze. L’ultima grande opera della letteratura cartesiana fu LE PASSIONI DELL’ANIMA del 1649, nata da una corrispondenza con la principessa Elisabetta di Boemia. Si tratta di una delle opere di maggiore complessità del filosofo francese, dominata dal problema del dualismo anima-corpo. Qui Descartes indica nella ghiandola pineale il luogo di raccordo tra le due componenti dell’uomo. L’opera però finì di inasprire il clima di accuse e di polemiche che si era instaurato anche in Olanda contro le opere cartesiane, sopratutto a causa dei teologi, che obbligò Descartes ad accettare nel 1649 l’invito della regina Cristina di Svezia, celebre mecenate di molti filosofi e artisti, la quale lo volle come insegnante di filosofia alla corte di Stoccolma. Ma il clima svedese fu fatale a Descartes che si spense l’anno seguente.

DESCARTES - LEZIONE 11
La natura del metodo cartesiano

11.1 - Descartes è definito il filosofo del metodo per eccellenza, dato che l’applicazione del suo metodo viene applicata a diversi ambiti della scienza. Tuttavia egli non diede mai una spiegazione chiara e definitiva del metodo. In gioventù Descartes aveva elaborato la sua MATEMATICA UNIVERSALE, un approccio scientifico che andava ben oltre i numeri e le figure geometriche, rivelando l’ORDINE, ossia la successione logica delle cose, e la MISURA, ossia la proporzione tra le cose.
Fino agli albori dell’età moderna lo schema di ragionamento preferito dalle filosofie razionaliste era il sillogismo di matrice aristotelica e scolastica. La condizione di universalità di almeno una delle due premesse era infatti garanzia di una positiva inferenza deduttiva che sfociava in una conclusione assolutamente indipendente dalle premesse. Ma già agli inizi dell’età moderna questo metodo inizia a essere sottoposto ad aspre critiche. Questo modello di ragionamento, seppur valido, apparve infatti subito inadeguato a un mondo di continue scoperte scientifiche. Questo schema di ragionamento aveva un senso in un tempo in cui la concezione del cosmo aveva carattere finito, e le conoscenze scientifiche avevano un carattere più rielaborativo che sperimentale, in cui il termine logico “tutto” aveva il senso dell’universalità. Ma in un mondo come quello rinascimentale, complicato dall’avvicendarsi di continue teorie e scoperte, la pretesa totalizzante era inammissibile. A colpire maggiormente il giovane Descartes era stato però un altro elemento, il fatto che Aristotele non usa mai il sillogismo nella sua forma pura e assoluta ma parte sempre da premesse che sono opinioni generalmente accettate e per questo universali, ma non frutto di un lungo lavoro di ricerca. Non lo fa poiché non avrebbe potuto: usare il termine logico “tutto” implica che tutti gli elementi considerati sono stati tutti esaminati, per escludere eventuali errori. Per questo il sillogismo viene usato in forma dialettica. L’accettazione di queste verità universali era tipica delle poleis greche e delle comunità cristiane medievali, in cui lai fiducia e la condivisione sorreggevano la ricerca del vero, ma era insostenibile nell’epoca moderna, caratterizzata dalla rottura del vecchio modello cosmologico ad opera della rivoluzione astronomica e dalla frattura del mondo cristiano. Questa inadeguatezza assume nel pensiero cartesiano le forme della DIFFIDENZA  e del DUBBIO. Descartes ritiene affidabile solo L’EVIDENZA CHE SI PRESENTA DIRETTAMENTE ALL’INTUIZIONE MEDIANTE RAPPRESENTAZIONI CHIARE E DISTINTE.
Questa prima regola del metodo sancisce perciò l’abbandono del sillogismo in favore di una conoscenza vera che il sillogismo non poteva garantire.

11.2 - La seconda regola del metodo cartesiano è l’ANALISI, che amplifica ancora le distanze dal sillogismo aristotelico. La procedura di ragionamento sillogistica è infatti sintetica, in quanto la conclusione è la sintesi delle due premesse, invece il metodo cartesiano è analitico, e si basa sulla dissezione, in senso anatomico, dei diversi problemi, allo scopo di semplificarli e raggiungere una soluzione certa e valida. La prospettiva analitica va però inesorabilmente a scontrarsi con la visione di tipo organicista del naturalismo rinascimentale, in cui il mondo naturale viene visto come un gigantesco organismo dove ogni parte dipende dal tutto e dove il tutto non potrebbe stare senza le sue parti: l’ablazione di una di queste parti comporterebbe o la rigenerazione della parte mancante o la morte dell’organismo (esempio del corpo umano). Questa visione dell’intero, che di fatto impedisce uno studio analitico  della natura, rivela a Descartes l’esigenza di una ricomposizione delle parti, costituendo la terza regola del metodo che è appunto la SINTESI.
La sintesi cartesiana non ha però nulla a che vedere con la sintesi sillogistica: così come un corpo umano smembrato inevitabilmente muore, allo stesso modo un organismo ricomposto non è mai uguale a prima. Alla prospettiva tradizionalmente organicista Descartes sostituisce quella meccanicista. Si intende per MECCANISMO un complesso di oggetti materiali in movimento, che costituiscono la realtà, i cui rapporti sono regolati da relazioni di causa ed effetto. Il meccanicismo, già teorizzato da Galileo, conduce anche al definitivo abbandono del finalismo aristotelico e medievale. L’universo è un insieme di movimenti meccanici senza uno scopo ultimo. Dio è il creatore della natura ma non è la natura stessa, non si identifica con essa come teorizzato dal PANTEISMO rinascimentale, anzi, è assolutamente lontano da essa. Attribuendo a Dio il ruolo di iniziatore del movimento dell’universo, la cui quantità di moto si mantiene costante, Descartes offre, a detta di molti suoi contemporanei e del suo amico Padre Mersenne, la migliore difesa del ruolo divino, a differenza della concezione panteistica del Dio-Natura che mescola Dio alle forze naturali, sfociando in una sorta di paganesimo.

11.3 - Malgrado la prospettiva meccanicista Descartes ritiene la deduzione uno strumento ancora indispensabile per la conoscenza, anche se - come per la sintesi - il suo significato appare diverso, e non è rappresentata più dall’inferenza universale-particolare ma dalla proporzione a:b=c:x, dove a, b e c sono gli elementi attraverso i quali pervenire alla conoscenza dell’incognita x. Rispetto al sillogismo, questo schema di ragionamento presuppone innanzitutto una scoperta, e, in secondo luogo, così come la sintesi dipende dall’analisi, la deduzione è sempre subordinata all’intuizione evidente, chiara e distinta. La condizione formale per la validità della procedura deduttiva infatti è che questi elementi devono essere sempre noti, conosciuti, e anche laddove siano risultato di altre proporzioni devono essere sempre sottoposti all’evidenza dell’intuizione. Descartes ammette nell’intuizione anche quelle semplici relazioni tra gli elementi (esempio 1+1=2) che consentono di non ricorrere alla memoria: questo sistema non aggiunge all’intuizione nulla di originale ma ne amplia le possibilità di ragionamento mediante la creazione di concatenazioni tra gli elementi, in modo da agevolare una comprensione più efficace dell’intero.

DESCARTES - LEZIONE 12
Il “cogito” e le idee

12.1 - Esposte le regole del metodo, Descartes si trova nella necessità di fondare queste regole allo scopo di pervenire ad una verità certa, che sia assoluta e autoevidente. Lo strumento usato per arrivare a questa certezza è il DUBBIO, nei due aspetti METODICO e IPERBOLICO.
Il dubbio metodico è la prima fase della ricerca cartesiana di una verità certa e si rivolge alla sensibilità. Esso si rivolge primariamente agli OGGETTI DEI SENSI, poiché i sensi possono sempre ingannarci, e quello che ci appare non può mai costituire una verità, a causa dei continui cambiamenti delle cose. Descartes rifiuta così, provvisoriamente, il mondo esterno, che non gli dò sicurezze. Dopo gli oggetti dei sensi si rivolge al proprio CORPO. Sarebbe assurdo negare il proprio corpo. Ma nessuno potrebbe garantire che il corpo che noi percepiamo sia vero. Si potrebbe pensare di vivere un eterno sogno e di non essere svegli, e che  tutto quello che noi vediamo sia falso. Un genio ingannatore potrebbe farci credere che questa sia la vera realtà che invece non esiste. Descartes conclude sostenendo che tutto il mondo è falso e false sono le scienze che lo studiano.
Il dubbio iperbolico è la seconda fase della ricerca cartesiana e si riferisce alla conoscenza intellettuale e sopratutto alla matematica. Galileo Galilei aveva descritto la matematica come il linguaggio più chiaro scritto da Dio, ma Descartes avverte: se è vero che 2+2 fa 4, non è certo che non esista un genio malefico che decida di ingannarmi facendomi credere che la somma di quei numeri faccia quel totale. Descartes prende dunque atto dell’impossibilità di conoscere sia la realtà esterna del mondo della natura sia quella interna del pensiero. Ma cosa sopravvive?

12.2 - Si può e si deve dubitare di tutto, afferma Descartes, ma solo di una cosa non possiamo dubitare: di pensare. Il pensiero è infatti l’unica vera certezza che abbiamo e costituisce la massima autoevidenza del sistema cartesiano: cogito ergo sum. Esisto in quanto sono in grado di pensare e di dubitare. Questa massima implica alcuni aspetti:
- innanzitutto il tentativo di falsificarla, implicando il pensiero, la rende vera;
- non deriva da nessun ragionamento sillogistico e non è dedotta;
- non è un’evidenza vera e propria ma è una evidenza in sé stessa;
- il fatto di esistere non implica che io abbia un corpo.
Descartes mette quindi in risalto una sola certezza, quella dell’esistenza del pensiero in sé stesso.

12.3 - Il pensiero, continua Descartes, non è vuoto ma contiene le IDEE. Si tratta di un’affermazione per quei tempi abbastanza rivoluzionaria: LE IDEE SONO MODIFICAZIONI DELLA SOSTANZA PENSANTE. Nella filosofia medievale, come nel pensiero antico, le idee erano prima di tutto mella mente di Dio quali modelli delle cose create e poi per analogia nella mente umana come modelli delle cose che l’uomo avrebbe fatto. Descartes invece afferma che le idee sono modi di essere del nostro pensiero e quindi sono interne al pensiero stesso. L’affermazione cartesiana è coerente col suo ragionamento: le idee sono rappresentazioni, immagini, prodotte dal pensiero, e quindi non ci dicono esattamente che esiste qualcosa di esterno ad esso.
Nonostante la grande originalità del pensiero cartesiano, la sua concezione delle idee e del pensiero è molto più vicina al pensiero aristotelico-scolastico di quanto lo stesso Descartes avrebbe voluto. Infatti:
- il pensare è ridotto a una SOSTANZA (res cogitans);
- questa sostanza ha dei modi, cioè degli ACCIDENTI (le idee);
Le idee di tipo quantitativo, assimilabili alle proprietà oggettive di Galileo, cioè quelle matematiche, appaiono chiare e distinte. Questo aspetto comporta due conseguenze: il superamento del dubbio iperbolico e la res extensa.
Il dubbio iperbolico viene superato in quanto le idee matematiche sono certe ed evidenti all’intuizione. Esse conducono alla probabile presenza di una realtà esterna. La certezza di questa realtà, che Descartes chiama sostanza estesa (res extensa), non è però acclarata. A questo punto Descartes si trova  due sostanze, una, quella pensante, priva del predicato di estensione, che è certa in quanto autoevidente, e la seconda, quella estesa, che non ha per ora  una certezza e che appare già come una realtà chiusa e finita, misurabile con gli strumenti della matematica.

DESCARTES - LEZIONE 13
Dio e il mondo esterno

13.1 - Descartes, affermando l’evidenza del cogito, supera di fatto il dubbio iperbolico, ma la certezza delle idee matematiche apre inevitabilmente una nuova fase di ricerca. Infatti la certezza del superamento del dubbio iperbolico può darla solo l’esistenza di Dio, che è onnipotente, a differenza dell’uomo che è limitato, e infinitamente buono, quindi non mi inganna: sarò dunque la dimostrazione dell’esistenza di Dio a confermare la certezza degli elementi chiari e distinti dell’evidenza. Le prove dell’esistenza di Dio sono tre:

PRIMA PROVA - Se io sono un essere imperfetto come posso avere un’idea di perfezione come quella di Dio? Evidentemente questa idea non deriva da me, poiché se così fosse io sarei stato perfetto e mi sarei creato ancora più perfetto di quello che sono. E siccome non sono in grado di crearmi da solo, altrimenti mi sarei creato perfetto, allora qualcuno mi ha creato.
SECONDA PROVA - L’esistenza sta a Dio come tre lati stanno al triangolo: l’esistenza stessa di Dio è sinonimo di perfezione, quindi se dicessimo che Dio non esiste, non staremmo parlando di Dio, in quanto Dio esiste proprio in quanto perfetto.

Queste prime prove non sono originali di Descartes, la prima è ripresa da San Tommaso, la seconda da Sant’Anselmo. La prova originale cartesiana è la terza. Prima di tutto Descartes chiarisce che noi ci riferiamo genericamente col termine di idee a tutti i contenuti del pensiero. Ma le idee sono di tre tipi:

IDEE AVVENTIZIE - derivano dai sensi (Descartes scrive “appaiono” con le virgolette poiché non è stata ancora dimostrata l’esistenza della res extensa), e sono confuse e oscure, poiché sensibili.
IDEE FITTIZIE - sono le idee prodotte dalla fantasia e costruite con le idee fittizie, come per esempio le sirene, gli unicorni, ecc.
IDEE INNATE - sono le idee originali del pensiero, che non sono derivate dai sensi e dall’esperienza, e per questo sono chiare e distinte. Sono necessarie e fondamentali: tra esse ci sono le idee matematiche che sono indispensabili alla conoscenza. E tra le idee innate è presente l’idea di Dio.

TERZA PROVA - Essendo innata l’idea di Dio è chiara e distinta, proprio come può essere l’idea del triangolo, ma rispetto alle idee innate ha qualcosa di più: presuppone l’infinito, che non ha nulla a che vedere con la natura finita e limitata dell’essere umano. Dunque, afferma Descartes, se io sono finito e limitato come posso avere innata un’idea di infinità come quella di Dio? Evidentemente questa idea è stata posta dentro di me da un Essere Infinito e assai più potente di me, e questo ente è appunto Dio.

Questa terza prova, sottoposta a durissime critiche in quanto presuppone un circolo vizioso, dimostra dunque l’esistenza di una seconda sostanza, quella divina. La dimostrazione dell’esistenza di un essere perfetto e infinitamente buono sconfigge per sempre lo jpsettro del famoso genio malefico e ingannatore e consente a Descartes di superare in modo definitivo il dubbio iperbolico. Tuttavia questo non significa che il giudizio sia immune dall’errore, in quanto l’uomo è imperfetto. L’errore nasce da uno squilibrio tra l’intelletto, che è finito, e la volontà. Mentre l’intelletto si rivolge solo alle cose finite, la volontà pretende di innalzarsi oltre i confini fissati dall’intelletto, considerando chiare e distinte quelle cose che non lo sono: per questo motivo nonostante l’infinita bontà di Dio l’errore, a causa della volontà dell’uomo, non può essere estirpato dal mondo.

13.2 - Descartes si chiede dunque se sia possibile l’esistenza del corpo e di un mondo esterno. Fino a questo momento ogni dimostrazione di queste due realtà è stata vana a causa dell’inganno sensoriale, assimilato da Descartes a un genio malefico, e latore del dubbio. Dubbio che viene a cadere con la dimostrazione dell’esistenza delle due sostanze, pensante e divina.
Descartes ricorre all’esempio del chilagono, un poligono regolare di mille lati, la cui idea matematica è pensabile ma non una sua rappresentazione in forma di immagine. L’esistenza del corpo è supposta dalla presenza nella res cogitans delle idee fittizie, che sono date dall’immaginazione e pertanto hanno origine dalle idee avventizie, che hanno origine dai sensi. Mentre l’intelletto non potrebbe giustificare l’esistenza di una corporeità, mentre l’immaginazione lascia supporre che esista qualcosa fuori dal solo pensiero e che costituisce un limite al pensiero stesso. L’immaginazione è attiva, e dipende dunque dalla mia volontà, mentre la percezione è passiva: mentre posso scegliere di immaginare un albero di qualsiasi tipo , se io vedo davvero un albero non posso impedirmi di vederlo, ed è questo obbligo che porta Descartes a dire che esiste un mondo esterno, poiché nessuna percezione può essere rifiutata. La garanzia della certezza dell’esistenza del corpo e del mondo esterno è data da Dio, in quanto buono e quindi non ingannatore.
Da qui derivano alcune conseguenze rilevanti:
nonostante sia acclarata la certezza di una sostanza estesa, la sola certezza viene dalle idee matematiche, in quanto la realtà è mutevole e le idee proprie dei sensi non possono rappresentare la realtà di partenza;
tuttavia la presenza delle sole idee innate, chiare e distinte, non basta a darmi la certezza di avere un corpo, e quindi ho bisogno più delle idee oscure e confuse afferenti alla sensibilità;
il Dio cartesiano non è il Dio della religione ebraico-cristiana, quanto un Dieu des philosophes, col solo compito di garante della verità.

Filosofia 1 - Classe 4A