martedì 5 luglio 2016

Aristotele

ARISTOTELE

La tradizione platonica aveva denunciato l’illusorietà della conoscenza sensibile, mentre Aristotele, che entra giovanissimo tra i discepoli di Platone, preferisce discostarsi dalle teorie del maestro e studiare scientificamente la realtà. Platone aveva racchiuso tutte le scienze nella filosofia, che sola è il vero sapere; Aristotele ritiene che la filosofia sia scienza a sé e che serva come strumento anche alle altre scienze, da lei separate, e non solo nella realtà, ma anche nella natura, risiedono le cose immutabili e universali : questo deve essere l’oggetto della scienza, la ricerca delle verità universali. Due sono secondo Aristotele i compiti spettanti al filosofo ricercatore della verità:

 innanzitutto il pensiero deve stabilire le modalità e i procedimenti, quindi i canoni, attraverso cui garantirsi la validità dell’indagine sulla natura; cioè le condizioni mediante cui una scienza procedendo per gradi arriva a fondare una verità universale corrispondente a qualcosa di veramente esistente;
 in secondo luogo il filosofo dovrà stabilire il principio universalissimo su cui si fonda tutta la realtà.

Sono questi i due temi fondamentali della Logica, che Aristotele considera “organon” cioè strumento, e della Metafisica, o filosofia prima poiché successiva alla fisica; la Metafisica, in quanto filosofia prima, si discosta dalle altre scienze poiché le scienze studiano un aspetto particolare della realtà mentre la Metafisica considera l’elemento più generale e comune a tutte le cose, oltre il quale non si può più astrarre. Fra una pietra, una pianta e un animale, l’unico elemento comune è che “sono”: alla Metafisica aristotelica non interessano gli elementi differenziatori ma l’essere in quanto tale, non come quantità o come movimento, bensì come essere in sè. Da questo punto Aristotele inizia la sua critica a Platone, fondata su 3 tesi:

 Platone riteneva che le essenze delle cose fossero poste fuori dalle cose stesse ed esistessero in un ambito puramente mentale;
 Sono essenze reali nel mondo delle idee anche i semplici modi di essere come il Bello e l’Uguale;
 Per Platone reali e universali sono le idee di tutto ciò che è sensibile, quindi accanto all’idea di cavallo pone l’idea delle sue parti, l’idea di criniera, di zoccolo, di coda.

Aristotele invece sostiene che:

 per ammettere l’idea (= immagine) di uomo occorre ammettere anche l’idea di non uomo. Che è una non idea, di per sé impossibile e inconciliabile. In realtà il mondo delle idee è un inutile doppione del mondo sensibile;
 il Bello e l’Uguale sono attributi della realtà e pertanto ci occorre un criterio esterno, posto prima della realtà stessa;
 l’idea di zoccolo o di coda presa da sola è un assurdo poiché l’idea ha valore nella sua unità e queste idee valgono in quanto parti di un tutto reale. Se paragoniamo Socrate e l’idea di uomo ci troveremo a procedere all’infinito alla ricerca di una terza idea che accordi le altre due.

Il concetto di Universale deriva proprio da “vertere in uno” ossia spiega etimologicamente il confluire nell’unità; e l’universale è reale nei particolari, quando la mente lo pensa astraendolo dall’unità.
Per Aristotele la filosofia non riguarda un aspetto della realtà ma l’essere in quanto essere. Essa tende alla conoscenza di una causa assoluta e di un principio primo, anch’esso assoluto. La filosofia non è scienza dimostrativa, ma dialettica, e si propone di rilevare la verità o la falsità di un’opinione come nel caso del principio di non contraddizione. La filosofia assume il ruolo preminente di metafisica (= al di là della fisica) e perciò interiore.

METAFISICA

Vera realtà è ciò che ha un’esistenza unitaria e completa. Aristotele considera quale esempio di unitarietà l’uomo, che è composto da diversi organi inscindibili e utili nella loro subordinazione al corpo umano da cui non possono essere separati senza perdere la loro funzionalità. Un braccio separato dal resto del corpo non serve, ma anche il ramo di un albero non ha alcuna ragion d’essere separato dal tronco: essi fanno parte di un tutto unitario e questo tutto unitario  è l’individuo, elemento da cui non possono essere staccati senza compromettersi l’esistenza. Ogni individuo è diverso come diversa è la sua natura, ma tutti gli individui hanno un elemento in comune oltre l’esistere: sono soggetti al divenire, un processo di trasformazione della materia in cui l’essenza rimane invariabilmente se stessa. Nonostante il divenire l’essenza resta immutabile, donde il nome di sostanza; e la sostanza (ousìa) costituisce proprio per la sua immutabilità il primo significato dell’essere.
Ogni divenire, in cui la sostanza resta immutata, comporta il movimento, e la domanda che si pone Aristotele riguarda la causa del movimento. Aristotele individua quattro cause del movimento: la prima causa è la causa efficiente o motrice, che dà inizio appunto al movimento; segue la causa materiale, che è il substrato fisico corporeo su cui si esercita l’azione della causa motrice; si ha poi la causa formale, relativa alla forma assunta dall’individuo nel processo di trasformazione; e infine la causa finale, che, come dice il nome, rappresenta lo scopo del tutto, relativamente alla realizzazione dell’individuo. Ovviamente queste quattro cause non possono sussistere separatamente, e vengono raggruppate da Aristotele nelle due cause fondamentali di ogni individuo: materia e forma.
Ogni elemento, ogni individuo è per Aristotele sinolo di materia e forma. Tutti gli oggetti hanno una materia, che è costituita dagli elementi in divenire e una forma che agisce sulla materia modellandola. Tutti gli oggetti devono avere una forma e non possono essere senza il concorso della causa motrice, e come non ci può essere materia senza forma così non può esserci forma senza materia, solo insieme queste due cause arrivano a determinare l’individuo come tutto unico, donde il nome di sinolo. Il divenire è regolato da due momenti essenziali, potenza e atto. Il seme di una pianta non è che la pianta stessa in potenza, rappresenta la possibilità di essere della pianta, l’atto è invece la pianta formata e rappresenta l’avvenuta trasformazione del seme in pianta. Aristotele ritiene che l’atto preceda la potenza, poiché racchiude la possibilità di divenire e l’avvenuta trasformazione. Nel divenire ogni potenza è forma delle potenze successive e atto delle potenze precedenti; infatti il motivo della trasformazione risiede nella mancanza (steresi) di qualche elemento che impedisce alla materia di compiersi.
Tutta la Natura è un susseguirsi di potenza e atto e di materia e forma: tutti gli oggetti seguono uno sviluppo fisso che comporta un cammino ascensionale verso la perfezione, e che sale gradualmente dagli elementi imperfetti a quelli più perfetti. Si noti che Aristotele esclude il concetto di evoluzione, poiché le forme a priori sono immutabili e ogni cosa ha in Natura il suo posto fisso: nello sviluppo non ci sono gradi  ma un normale passaggio di stato fisico, la sostanza resta immutata. Stando così le cose ogni movimento presuppone una causa che lo muova e ovviamente, procedendo ascensionalmente troveremo forme sempre più perfette e sempre meno materia. Ma Aristotele esclude che si possa procedere all’infinito e pone quale Causa delle Cause un Atto Puro, rigorosamente formalmente perfetto. Il primo motore deve essere immobile e immutabile ed è  Dio. Aristotele lo rende unione delle due cause, motrice e finale, sostenendo molto platonicamente che tutto inizia dal primo motore e tutto vi ritorna. In Dio ogni steresi è scomparsa essendo Dio Atto Puro, e  Dio è non solo pensiero ma pensiero di pensiero poiché egli stesso sostanza pensante generatrice di pensiero. Così come al vertice Aristotele pone Dio come Atto Puro, al grado più infimo pone la Potenzialità Pura, materia inerte e caotica e amorfa. Si tratta evidentemente di materia ipotizzata, poiché essendo senza forma non potrebbe essere determinata.

FISICA

Dio è dunque principio e fine dell’universo. La sua infinità ed eternità sono simboleggiate dal moto circolare. Il mondo fisico è distinto in due sfere, quella celeste, o mondo sopralunare, e quella terrena, o mondo sublunare. La prima sfera partecipa alla perfezione del Motore Immobile ed è costituita da un elemento quasi perfetto e immutabile, la Quintessenza o Etere; è costituita da sfere concentriche che ruotano intorno alla Terra (geocentrismo) in cui sono incastonati i sette pianeti tra cui il Sole, e culmina nella sfera delle stelle fisse, la più vicina al Motore Immobile e la più perfetta. La sfera della Luna costituisce la linea di demarcazione tra il perfetto mondo celeste e il mondo terreno, il mondo sublunare. Si tratta di un mondo finito e corruttibile, composto dai quattro elementi primordiali, acqua, aria, terra e fuoco; essi gravitano intorno alla Terra, immobile, e sono dotati di moto rettilineo e perciò imperfetto che si svolge verso l’alto per l’aria e il fuoco, verso il basso per l’acqua e la terra. Ogni elemento è una mescolanza di umido e secco, di caldo e freddo, che avvicendandosi determina le trasformazioni degli elementi (l’acqua si riscalda, evapora e diventa aria).
Aristotele distingue quattro regni della natura: inorganico, vegetale, animale ed umano. L’inorganico è il regno inanimato ed è costituito da aggregati di materia senza forma. Nel regno vegetale compare l’anima, o entelecheia, che tende a raggiungere il fine proprio dell’individuo. L’anima distingue i viventi dagli inanimati del regno inorganico, e assume diverse caratteristiche in base ai regni: vegetativa nel regno vegetale, sensitiva nel regno animale e intellettiva nel regno umano.

PSICOLOGIA E ANTROPOLOGIA

Per Aristotele l’anima è indissolubilmente congiunta al corpo. A differenza di Platone egli non tripartisce l’anima ma assomma le tre anime nell’anima razionale o intellettiva dell’uomo. Per conoscere l’uomo ha bisogno della sensazione, che fornisce all’intelletto gli input da intendere; per Aristotele non esistono idee innate ma l’intelletto umano  è come una tabula rasa.  La conoscenza è il passaggio dalla semplice conoscenza sensitiva alla conoscenza razionale, che astrae le forme pure dalla materia. La conoscenza sensitiva si articola in quattro momenti:

 la sensazione, ossia la percezione sensoriale dell’oggetto;
il senso comune, che accorda le nostre percezioni;
l’immaginazione, che universalizza i dati percettivi in una immagine contenente gli elementi essenziali dell’oggetto;
la memoria, che conserva questa immagine nel tempo.

Attraverso questi quattro gradi abbiamo l’opinione che contiene i dati particolari di un oggetto; per passare al concetto abbiamo bisogno della conoscenza razionale e dell’anima intellettiva.  Aristotele individua due intelletti, uno passivo, che è pura potenza e non può che ricevere senza contenere nulla attualmente, e uno attivo, mediatore tra la conoscenza sensibile e quella intellettiva. Se ci troviamo in una stanza buia i nostri occhi potrebbero vedere gli oggetti che ci sono, ma senza la luce non potrebbero distinguerli, anche se possediamo l’immagine di quegli oggetti: la luce è l’intelletto attivo, un elemento incorporeo che permette all’intelletto passivo di cogliere l’intuizione del concetto universale.
La morte non costituisce la separazione dell’anima dal corpo; essa riguarda il solo intelletto passivo (essendo quello attivo separato e senza mescolanza col corpo) e rappresenta la fine del sinolo individuale anima/corpo.

LOGICA

Conoscere un oggetto non significa ancora sapere. Una volta giunto all’intuizione dei concetti l’intelletto deve unificare logicamente i collegamenti tra i concetti stessi e dare perciò una sistematica del sapere scientifico. Ecco perché possiamo considerare la Logica come il supporto necessario della filosofia aristotelica. I metodi più frequenti sono due, quello induttivo (dal particolare al generale), usato soprattutto da Socrate, e quello deduttivo (dal generale al particolare), scientifico e usato da Aristotele.  Ogni concetto possiede dei caratteri essenziali che ne costituiscono la comprensione, in base alle caratteristiche comuni a più oggetti, e ne delimitano l’estensione. Estensione e comprensione sono inversamente proporzionali; infatti quanto un oggetto è più esteso e quindi generale, tanto minore sarà la sua possibilità di essere compreso; viceversa, quanto più un oggetto sarà poco esteso, tanto maggiore sarà la sua comprensione.  Ogni oggetto, in base alle sue caratteristiche, viene definito; e l’atto con cui un oggetto è definito si chiama giudizio. Una definizione è una necessaria limitazione della realtà: prendiamo una “fetta” di realtà che mantiene determinate caratteristiche, e “pensiamo” ossia giudichiamo, stabilendo un rapporto tra soggetto e predicato. Esempio: Mario è un ladro. In questo giudizio abbiamo delimitato un certo numero di azioni delinquenziali, collegate tra loro da caratteristiche comuni e analogie, e abbiamo emesso un giudizio, determinando così con un atto del pensiero l’unione tra il soggetto Mario e il predicato ladro. Si noti il ruolo di collegamento della copula “è”. Predicare qualcosa a un soggetto significa asserire  una verità che è la verità del rapporto tra i due termini; ecco perché è necessario che il predicato sia sempre adeguato al soggetto: sarebbe un assurdo infatti asserire “Al Capone era una brava persona”, in questo caso il predicato è evidentemente inadeguato al soggetto. Ovviamente ognuno di noi ha le sue percezioni e occorre che i predicati nascano dall’accordo tra gli intelletti giudicanti: questa universalizzazione, che Platone individuava nell’idea, Aristotele la ravvisa nella categoria, predicato generalissimo e perfetto, che il filosofo enuncia in numero di dieci e di cui la più importante è la sostanza propriamente detta mentre le altre accessorie sono dette accidenti. Ovviamente la categoria prima coincide con l’individuo e con la sua unicità, ed è perciò indefinibile poiché associa il minimo di estensione al massimo di comprensione.
Strumento per eccellenza della Logica è il ragionamento e il ragionamento perfetto si chiama sillogismo (unione di concetti). Abbiamo definito il giudizio come il rapporto tra il soggetto e il predicato; ora ci occorre sapere come si raffrontano i vari giudizi. Nel sillogismo avremo due proposizioni, una a carattere generale, che Aristotele chiama premessa maggiore, e una a carattere un po’ meno generale, chiamata premessa minore; tra le due premesse sta un termine medio comune a entrambe. Per esempio:

tutti gli uomini sono mortali         (premessa maggiore)
Pietro è un uomo;                            (termine medio)
Pietro è un mortale;                         (premessa minore)

In questo esempio il termine medio è uomo. Spostando il termine medio potremo avere diverse figure del sillogismo (questa è la prima figura) e tutte quante apodittiche ossia necessarie. Si tratta di risoluzioni perfette, dove e l’errore è possibile solo in caso di proposizioni false o di errate collocazioni del termine medio. Come si vede Aristotele ha codificato la forma valida del ragionamento, denunciando scientificamente gli errori (paralogismi) del procedimento sofistico. La validità di una conclusione deriva dalla veridicità delle sue premesse, le quali a loro volta dovranno poggiare su basi perfette per non pregiudicare la struttura del ragionamento. Ma Aristotele ritiene che non si possa andare all’infinito, e, come per le cause, individua delle regole prime e innegabili, chiamate principi primi. Sono tre:
identità (A=A);
non contraddizione (se A=A, allora A non è NON A);
terzo escluso (una cosa che è, NON è un’altra cosa, e basta. Socrate è un uomo e NON è un gatto, e basta). Si badi che Aristotele non ammette il non essere, tranne che per asserire che qualcosa che è non è un’altra.

ETICA

Aristotele condivide l’eudemonismo socratico, ritenendo la felicità il perfetto accordo con se stessi. Due sono le azioni umane, quelle pratiche, legate all’agire della politica e dell’etica, e quelle poietiche, legate al fare, tipiche degli artisti. L’etica ha un ruolo preminente perché si riferisce all’esercizio della virtù. Aristotele distingue due tipi di virtù, le virtù etiche e le virtù dianoetiche; le virtù etiche nascono dal rapporto tra l’anima intellettiva e quella sensitiva,  mentre le virtù dianoetiche sono proprie dell’anima razionale. Le virtù etiche, medietà e giusto mezzo, hanno una funzione fondamentale poiché equilibrano il rapporto tra le umane passioni e il vero fine a cui dovrebbe tendere l’uomo; le virtù dianoetiche (intelligenza, arte, scienza, sapienza) puntano al possesso teorico del bello e del bene; Aristotele ritiene che la suprema virtù sia la teoria, che eleva l’anima alla contemplazione di Dio e la rende così perfetta.

POLITICA

A differenza di Platone, Aristotele non traccia l’identikit utopico dello stato perfetto, ma analizza scientificamente le migliori forme di governo. Per Aristotele l’uomo è animale politico, portato naturalmente ad associarsi; perciò lo stato non è una somma di individui casuale, ma rappresenta una pluralità di individui che sacrificano il bene individuale partecipando al bene dello stato senza annullarsi in esso. Lo stato deve garantire ai cittadini benessere e libertà, e tutte le forme di governo sono valide se realizzano il bene del cittadino. Alle tre forme perfette di governo, monarchia, aristocrazia e democrazia, Aristotele oppone infatti le tre forme degenerate di governo, tirannide, oligarchia e demagogia, che si hanno quando lo stato non persegue i due scopi suddetti. Aristotele, che riteneva mediale la posizione della virtù, ritiene la democrazia forma ideale di governo e ceto dominante il ceto medio, in quanto agente di equilibrio.

POETICA

Aristotele non condanna a differenza di Platone l’arte imitativa, poiché espressione di verisimiglianza; L’arte cerca di riprodurre in forma sensibile la perfezione delle forme universali, e il compito dell’artista, denunciando i peccati del mondo materiale, si spinge alla purificazione (catarsi).

DOPO ARISTOTELE: LA SCUOLA PERIPATETICA

Anche Aristotele fondò come Platone una scuola, detta Liceo, poiché sorse presso il tempio di Apollo Licio, ma la scuola aristotelica per eccellenza fu il Peripato ossia il viale dove il filosofo amava dissertare con i suoi discepoli. Alla morte di Aristotele gli successe Teofrasto, che pur confutando alcune teorie del maestro non abbandonò totalmente l’insegnamento aristotelico; a Teofrasto successe Stratone, detto “il Fisico”, poiché cercò di conciliare la filosofia aristotelica con la fisica democritea.