venerdì 8 luglio 2016

Presocratici

PRESOCRATICI

La storia della filosofia antica si divide comunemente in cinque  periodi, ognuno dei quali si caratterizza per una diversa prospettiva sull’indagine umana. Questi periodi sono:

PERIODO COSMOLOGICO, dominato dal problema del principio di tutte le cose; i filosofi del periodo si interrogavano sull’unità dell’ordine cosmico;

PERIODO ANTROPOLOGICO, dominato dal problema uomo nel suo rapporto con il cosmo;

PERIODO ONTOLOGICO, dominato dal problema del rapporto tra l’uomo e l’essere; esso rappresenta la maturazione della speculazione greca con il pensiero di Platone e Aristotele;

PERIODO ETICO, dominato dal problema della condotta morale dell’uomo; esso si colloca nella fase di decadenza della civiltà greca, e il campo di indagine non sono più le potenzialità dell’uomo ma i suoi limiti; 

PERIODO TEOLOGICO, dominato dal problema del ritorno a Dio, è la fase conclusiva della filosofia antica che prelude ai temi speculativi della Patristica e della Scolastica.

Come si vede la cronologia stessa della filosofia greca ci riporta a una concezione temporale di tipo circolare: la speculazione inizia infatti da un ideale contemplativo, espressione di una spiritualità arcaica,e si chiude con la naturale “riscoperta dell’Uno/Assoluto”, principio di tutte le cose.E’ oltremodo significativo il percorso umano che vede il filosofo dapprima come spettatore immerso nella contemplazione della natura alla ricerca della sua origine, poi come attore e intermediario, addirittura “misura di tutte le cose” o assolutamente ignorante, quindi impegnato nella ricerca delle proprie potenzialità, residenti nel proprio essere, poi ancora “ridimensionato” e cosciente della umana limitazione, e infine la riscoperta del Superiore, dell’Uno o assoluto, che coincide con la propagazione del Cristianesimo, ma che ben prima viene portato avanti dai Neoplatonici e dai primissimi Padri Apologisti.

LA SCUOLA IONICA ED ERACLITO

La scuola ionica porta avanti il tema del monismo naturalistico; il filosofo ha ancora un ruolo passivo e contemplatore. Si tratta del primo parto ufficiale della filosofia greca, e gli elementi a disposizione sono contenuti nella natura. Il filosofo ricerca il principio di tutte le cose (archè), si limita a contemplare la natura cercandone ordine e principio. La ricerca ionica si basa sui quattro elementi naturali (acqua, aria, terra, fuoco) da sempre centro dell’indagine scientifica. Il più rappresentativo dei filosofi ionici è Talete, fondatore della scuola di Mileto. Talete individuava il principio di tutte le cose nell’acqua; non stupisce che il filosofo milesio ricerchi l’archè proprio nell’elemento umido: la Tradizione considera infatti questo come l’elemento generante, fecondante e legato all’azione dell’influsso lunare. Per Anassimene il principio di tutte le cose è l’aria, e il processo del divenire è legato ai meccanismi di rarefazione e condensazione. 
Eraclito individuava l’archè nel fuoco o logos: si noti anche qui la scelta di un altro elemento di forza, che può essere assimilato al potere della parola creatrice, come evidenziato dall’incipit giovanneo. Per Eraclito il mondo in divenire si basa sul principio di un eterno fluire (panta rei, tutto scorre) e in questo continuo mutamento l’inevitabilità dei contrari e delle opposizioni produce un continuo stato di tensione e di guerra. Per Anassimandro, infine, il principio deve essere ricercato nell’apeiron o infinito. Nel suo pensiero possiamo ravvisare le stesse caratteristiche di contrari e opposti della filosofia eraclitea, ma ricondotte a un principio per la prima volta indefinito, paragonabile a una specie di bolla che contiene un insieme indefinito di elementi. (aoriston) eternamente impegnati in un continuo definirsi e separarsi.

LA SCUOLA PITAGORICA

L’importanza dei Pitagorici consiste nella dottrina trasmessa dal loro maestro, ma anche nella struttura della scuola, vero e proprio circolo esoterico a cui si accedeva soltanto dopo un severissimo cammino iniziatico. Anche la dottrina pitagorica è assolutamente fedele alla concezione monistica introdotta dagli Ionici. Il principio di tutto non è però ricercato in uno dei 4 elementi naturali ma in un elemento particolare, il numero, che assume nella sua funzionalità archetipa il doppio ruolo di unità e quantità.
Il personaggio ovviamente più conosciuto della scuola è il suo fondatore, Pitagora di Samo. Tutta la speculazione pitagorica si riconduce al numero e alle sue rappresentazioni nella realtà: ogni elemento naturale si differenzia dagli altri per peso, altezza, dimensioni; è dunque necessario che nel Tutto della natura ci debba essere un Principio ordinatore universale che impedisca il disordine cosmico, appunto il numero, di cui Pitagora mise in evidenza il carattere quasi sacrale. Questa concezione, evidentemente monoteista, stonava col tipico politeismo religioso greco, e metteva in luce l’originalità del pensiero pitagorico. Dall’Uno derivano i Molti: l’elemento grafico che disegnava l’assunto basilare del pitagorismo era il triangolo della tetraktis, che rappresentava la somma dei primi quattro numeri (1,2,3,4) ossia 10,ossia,per riduzione teosofica, ancora Uno. Si noti come anche in Pitagora non scompaiono del tutto i 4 elementi, principiati, però, e ordinati dall’uno. Dall’unità, per definizione parimpari, generatrice dell’uno e dei molti procedono tutte le cose ordinate secondo il principio dei contrari, il cui apice è la coppia pari-dispari.
Un altro importantissimo concetto pitagorico è l’immortalità dell’anima, secondo cui l’anima si purga attraverso l’incarnazione obbligatoria in un corpo fisico, e attraverso la trasmigrazione di corpo in corpo (metempsicosi) fino alla definitiva catarsi.

LA SCUOLA ELEATICA

La scuola eleatica, che prese il nome dalla città di Elea, in magna Grecia, ricerca come principio di tutte le cose l’essere in quanto tale, spingendo la speculazione filosofica ben oltre il sensibile. Il fondatore della scuola fu Senofane, che offre un’impostazione teologica rivoluzionaria e originale: Dio è Uno. Contro il politeismo tipico greco, Senofane sostiene l’unicità del Principio Creatore, e ritiene che tutti i popoli si figurano un Dio antropomorfizzato secondo i canoni estetici della propria etnìa (nero per gli Etìopi, bianco per gli Ariani…). E’ dunque uno, assoluto, infinito, immutabile.
Se Senofane fu il fondatore dell’eleatismo, uno dei suoi esponenti più famosi fu Parmenide.
Discepolo di Senofane, Parmenide sviluppa i caratteri più importanti del suo pensiero. Essere e pensare sono per Parmenide la stessa cosa, poiché solo l’essere disvela l’essenza delle cose; i nostri occhi arrivano a cogliere il momento finale del divenire, ciò che Aristotele chiamerà atto, ma in ogni fase del processo è sempre l’essere che si trasforma. Ma allora, osserva Parmenide, se è sempre essere la realtà in movimento, il divenire è illusione. Da questo concetto Parmenide ne deriva altri due:
il contrario dell’essere, come esistenza, è il nulla;
il contrario dell’essere, come permanenza, è il divenire.
Questo doppio canale lascia molti spazi liberi alla polemica antiparmenidea (vedi Platone) : poiché essendo l’essere un principio, un tutto, esso escluderebbe per forza anche i suoi contrari, ma se  l’essere è anche pensiero, allora dovrebbe pensare i contrari e dunque il non essere come reali. L’essere è uno, eterno ingenerato immutabile e soprattutto indivisibile. Nella gnoseologia di Parmenide non c’è spazio per il divenire, per la sensibilità, che originano opinioni fallaci e in contraddizione col pensiero (che essendo l’essere stesso non può essere smentito). Si veda al proposito l’esempio sul remo immerso nell’acqua utilizzato da Galilei per evidenziare il carattere ingannatore dei nostri sensi. Il secondo esponente più illustre della scuola di Elea fu Zenone.                                          
Zenone,che fu discepolo di Parmenide, illustrò attraverso le sue aporìe, l’assurdità dell’affermazione del divenire e del molteplice. La polemica di Zenone riguarda soprattutto i pitagorici, che concepivano la realtà come ente matematico discontinuo: per Zenone invece la realtà è intuita come continuo matematico e geometrico. Lo strumento per eccellenza di Zenone è il  paradosso. Il più famoso è quello di Achille che, in gara con la tartaruga, si vede sconfitto dall’animale, notoriamente assai lento, poiché secondo Zenone il percorso di un tragitto dal punto A al punto B si completerebbe in un tempo infinito: posto che, prima di completare l’intero percorso, Achille dovrà completarne la metà, prima di completarne detta metà, Achille dovrà percorrere la metà della metà, e così via all’infinito; ammesso che Achille dia vantaggio all’animale, la tartaruga risulterebbe più veloce di Achille, avendo compiuto un percorso sempre più lungo dell’avversario nel momento in cui questo la raggiunge.

PLURALISTI E ATOMISTI

Dal conflitto dei due indirizzi monistici nasce una nuova tendenza speculativa che raccoglie l’eredità delle aporìe di Zenone, e che viene chiamata Fisica Posteriore. Questa tendenza si caratterizza per il passaggio dal monismo speculativo di ionici, pitagorici ed eleatici, al pluralismo portato avanti dall’omonima scuola e all’atomismo democriteo. Da una parte l’indagine monistica escludeva il molteplice e il divenire, dall’altra l’indagine pluralistica metteva in dubbio l’unicità dell’essere. Causa del conflitto erano i filosofi monisti, che consideravano solo una parte della realtà escludendo il resto. Fu dunque molto facile per il pluralismo affermarsi, attraverso la concezione di più principi mescolati e combinati fra loro.
Primo pluralista fu  Empedocle di Agrigento. I quattro elementi naturali che  i milesi consideravano nella loro unicità archetipa, acqua, aria, terra e fuoco, sono assommati da Empedocle come le 4 radici della realtà. Ognuno di questi 4 elementi è immutabile, eterno, inconfondibile con gli altri. In origine le 4 radici erano racchiuse in uno Sfero, dove non sussisteva alcuna preminenza qualitativa; l’azione di due forze opposte, Amore e Odio, provocò la separazione delle radici e causato il divenire ciclico a cui non sfugge nemmeno la vita morale dell’uomo. Come si vede, Empedocle “ruba” uno dei temi salienti della filosofia eraclitea, quello dei contrasti e degli opposti, che sono qui mediati e armonizzati nello Sfero.
Una svolta nell’indagine pluralista viene dalla filosofia di Anassagora. Tutte le cose ci sembrano unitarie, dice Anassagora, ma se le osserviamo bene    ci accorgeremo che sono composte da altre parti, a loro volta scomponibili in altre particelle più piccole: se si considera un braccio esso può essere scomposto in ossa, tendini, muscoli, a loro volta scomponibili fino alle particelle più minime che Aristotele definirà omeomerie. Queste omeomerìe sono similari ma eterogenee, e dalla loro continua aggregazione e disgregazione deriva il processo del divenire. Ogni cosa assomma tutte queste particelle (tutto è in tutto, sostiene Anassagora) ma ovviamente il maggior numero di un certo tipo di omeomerìe determina la qualità dell’oggetto, e ne rivela forma, colore, e vari attributi. Il  divenire rappresenta il passaggio delle omeomerìe da un elemento a un altro, poiché “tutto da tutto si genera”. Come possono però queste particelle determinare un oggetto definito? Alla base di tutti i movimenti Anassagora individua l’azione di una mente ordinatrice o Nous, creatrice di disciplina e armonia. La mente assume qui una notevole importanza quale ragion d’essere.
Queste due prospettive, la teoria delle forze opposte di Empedocle e la teoria della nous di Anassagora  ,  sono indubbiamente rivoluzionarie ma ancora legate alla concezione ilozoista dei monisti. La vera svolta scientifica arriva col pensiero atomista di Democrito e di Leucippo di Mileto. Leucippo fu il fondatore dell’indirizzo atomistico: alla base della sua speculazione,poi ampliata da Democrito, sta la concezione di un tutto simile all’essere parmenideo, ma la novità rispetto agli eleati sta nell’affiancamento all’essere del non essere, inteso come vuoto. L’essere è una materia omogenea, ma non è divisibile all’infinito. All’origine di questo tutto omogeneo ci sono particelle indivisibili,  indistruttibili, e omogenee dette atomi. Gli atomi non sono tutti uguali, essi si differenziano per forma, volume e peso, ma sono omogenei e dal loro combinarsi ha origine la materia. La loro combinazione ha origine da una forza che li fa cadere e li associa in base alla loro tipologia; essi sono differenziati dal vuoto, e nella caduta essi si urtano miscelandosi in base al loro peso e al loro volume. La compresenza della materia e del vuoto spiega dunque nella filosofia atomista la presenza del divenire. La scientificità di Democrito esclude il concorso divino: l’anima è come il corpo composta da atomi, più leggeri rispetto agli atomi del corpo; nessun principio, nessun Dio, solo una incessante caduta degli atomi e il loro casuale combinarsi. Quindi nessuna speranza: l’anima seguirà la stessa sorte del corpo e come i suoi atomi, anche gli atomi dell’anima si disgregheranno per poi dare vita ad altri elementi.  La prospettiva atomista del pensiero democriteo influenza appieno la gnoseologia. E’ chiaro che si conosce una realtà fenomenicamente unitaria, ed  è altrettanto chiaro che anche la conoscenza deriva da un urto tra atomi, tra gli atomi del corpo dell’elemento senziente e gli atomi del corpo dell’elemento sentito. Ma se vogliamo pervenire alla verità dobbiamo distinguere tra due visioni della realtà, una macroscopica (che rappresenta la normale prospettiva fenomenica e sensibile della conoscenza umana) fallace e basata sull’opinione e una microscopica, veritiera poiché fondata sulla conoscenza minima della realtà, rappresentata dagli atomi.

LA SOFISTICA

La fisica democritea è l’ultima espressione del periodo cosmologico della filosofia antica. Due sono le prospettive individuate: monismo e pluralismo. Appartengono alla prospettiva monistica le filosofie ionica, pitagorica ed eleatica; appartengono alla prospettiva pluralista le filosofie omonime e atomistica. Il problema affrontato si sposta dal principio unico al molteplice, e va differenziandosi il ruolo del filosofo. Concluse le guerre persiane, dopo le vittorie di Platea e Micale, e la costituzione della lega delio-attica, la vita ateniese risorge sotto Pericle, e nasce un nuovo ceto medio-borghese che arriva a trasformare Atene politicamente e culturalmente. In ambito strettamente filosofico il nuovo problema riguarda la scoperta dell’uomo, un problema che è in sintonìa coi tempi e soppianta la ricerca del principio.
La filosofia del V secolo e dell’età periclea è la Sofistica. Per capire cosa rappresentò politicamente e culturalmente la Sofistica basta il nome del periodo filosofico che la Sofistica inaugura, periodo antropologico, studio dell’uomo. Pur essendo nota negativamente per i contenuti che vedremo tra poco, la Sofistica rappresenta nell’Illuminismo ellenico la vera riscoperta dell’uomo, delle sue potenzialità come dei suoi limiti.
Chi furono i sofisti? La Sofistica fu una scuola filosofica ma anche una scuola di formazione politica. Nell’Atene periclea e democratica tutti i cittadini avevano il sacro dovere di prendere parte alla vita politica, e le famiglie ateniesi benestanti cercavano di lanciare i propri rampolli nella amministrazione della cosa pubblica. I Sofisti si imposero subito con i loro corsi, a pagamento, di formazione nel difficile e arduo settore della retorica e della disputa (eristica) e ben presto il termine di “sofista” fu usato per indicare (e quasi sempre in senso negativo) chi, allievo dell’omonima scuola, usava l’arte della parola per difendere a ogni costo le proprie posizioni. Non già dunque il sophos o sapiente ma il suo esatto contrario, un mistificatore, per necessità, della realtà.
Sarebbe però riduttivo limitare il significato della Sofistica al solo aspetto didattico o a quelle, rilevato da Socrate, della mercificazione culturale. Ci fu infatti una prima sofistica, le cui posizioni contribuirono al rilancio di quel ruolo attivo dell’uomo di cui abbiamo già parlato. Di questa prima Sofistica si individuano due tendenze speculative: quella positiva di Protagora e quella negativa di Gorgia. Entrambe mettono in primo piano il ruolo attivo del filosofo e dell’uomo, misura di tutte le cose; ma mentre in Protagora ciò rappresenta la quasi onnipotenza dell’uomo, in Gorgia ne vengono evidenziati i limiti.
Protagora assume come massima della sua speculazione la frase “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono”. Malgrado Protagora ben sappia che il limite dell’uomo sia la conoscenza esclusivamente fondata su input di natura sensibile, non esita a porre l’uomo quale metro di conoscenza in quanto tramite con la realtà conoscibile. Ciò che vedo è vero poiché io, uomo, lo colgo con la mia percezione: quasi una sorta di onnipotenza, minata dall’inevitabile handicap di una conoscenza basata sui sensi. La frequentazione degli atomisti portò Protagora a insistere molto sul problema della conoscenza sensibile e sugli errori che si porta dietro: come Democrito, anche il filosofo di Abdera ritiene che la gnoseologia fondata sui sensi sia fuorviante poiché inevitabilmente basata su opinioni relative; se io entro in un ambiente mediamente riscaldato e fuori c’è una temperatura polare, l’ambiente mi apparirà caldissimo rispetto a un mio simile che invece ha trascorso tutto il giorno in quello stesso ambiente; se uso sempre un edulcorante sintetico e un giorno assaggiassi una bevanda mediamente zuccherata, questa bevanda mi sembrerà troppo dolce e nauseante rispetto a chi normalmente fa uso di zucchero; e così via.
Ma è proprio in questa singolarità, in questa relatività, che si scopre il valore delle opinioni umane: una asserzione è vera in quanto io comunico una sensazione (relativa e opinabile ma personale e non smentibile) provata da me. Non possiamo stabilire una verità assoluta, solo il più forte stabilirà chi ha ragione. Su questo presupposto si basa l’arte sofistica per eccellenza, l’eristica, ossia l’arte della disputa. Siccome tutto è vero, poiché l’uomo è, non posso stabilire un criterio di assolutezza della verità e posso solo affidarmi alla mia abilità dialettica per smontare le opinioni del mio avversario. Ma in tutto ciò non mancano gli aspetti negativi. L’eristica valse la brutta fama ai Sofisti (e l’attuale significato di “sofisticare” nel senso di trasformare qualcosa per scopi non ortodossi) proprio perché l’arte della disputa dialettica insegnava agli allievi sofisti a difendere con ogni mezzo, lecito o illecito, qualsiasi asserzione, anche se evidentemente fasulla. Uno dei contenuti più esecrati dai contemporanei di Protagora fu l’agnosticismo religioso: infatti il limite dell’uomo è la sensibilità e conseguentemente né l’uomo potrà mai dire di conoscere gli dei, né potrà mai negarne assolutamente la loro esistenza. La speculazione di Protagora assume dunque il senso positivo del ruolo attivo del filosofo: l’uomo è misura di tutte le cose e tutto ciò che l’uomo specula è vero in quanto proprio dell’uomo e il vero si dimostra con lo strumento dell’abilità dialettica.
Gorgia di Lentini rappresenta per contro il contraltare negativo della speculazione sofista. L’uomo è misura di tutte le cose, ma nella speculazione di Gorgia il ruolo attivo del filosofo non assume più il carattere positivo della filosofia di Protagora: per  Gorgia tutto è falso. Il relativismo parmenideo è usato da Gorgia per dimostrare che nella realtà sensibile nulla vi è di vero. Se ammettiamo il non essere lo dovremmo pensare come esistente; ne conseguirà la non esistenza dell’essere. Parmenide identificò l’essere col pensiero, dunque pensare un qualcosa di non esistente sarebbe un assurdo: non si può pensare un oggetto inesistente, considerato che l’uomo vive in una realtà sensibile. Se l’essere è reale è eterno e generato, ma se è eterno non è qui e se è generato sarebbe preceduto dal non essere (necessariamente, perché prima dell’essere ci dovrebbe essere un inizio) e allora il  non essere diventa automaticamente reale.
Già di per sé questo basterebbe a spiegarci perché l’essere non è; ma se l’essere fosse, l’uomo non potrebbe comunque conoscerlo. Ciò che l’uomo vedrebbe dell’essere è l’apparenza fenomenica, la realtà molteplice e illusoria delle cose, e non l’essenza delle cose. E, se anche miracolosamente l’uomo potesse vantare siffatte prerogative, non potrebbe comunicare l’essere, poiché userebbe la parola, filtro fuorviante e fallace; e del resto ogni uomo – misura di tutte le cose – avrebbe il diritto di interpretarne i contenuti secondo le proprie inclinazioni. L’essere non è, se è non è conoscibile, se è conoscibile è incomunicabile.
Il nichilismo di Gorgia investe ogni aspetto della vita e conduce a un atteggiamento scettico in cui l’eristica assume per contro una funzionalità positiva, poiché viene  usata per dimostrare il contrario del falso.

SOFISTI MINORI

La seconda generazione dei sofisti rappresenta la decadenza della scuola, e tra le manchevolezze, oltre le trappole dialetticamente capziose dell’eristica, va individuata la mercificazione culturale criticata da Socrate, a cui non sfuggirono Protagora e Gorgia. Tra i più celebri sofisti vanno ricordati  Ippia e Prodico, nella cui speculazione la virtù assume connotati eminentemente pratici, quale ultima spes nell’incertezza del mondo sensibile; interessante anche la speculazione politica: la vita associata deriva da un patto, stretto dagli uomini a fini utilitaristici; le leggi sono state, secondo Trasimaco concepite dal più forte, mentre secondo Callicle sono state volute dai più deboli. In questa speculazione perde importanza  la stessa spiritualità poiché i comandamenti religiosi passano in secondo piano in confronto alle aspirazioni “assolutiste” dell’uomo.
Questa stagione dorata termina dopo vent’anni quando Sparta, decisa a rovesciare la supremazia ateniese, coinvolge la rivale nella Guerra del Peloponneso; gli oligarchici cercano di approfittare dell’occasione per rovesciare la democrazia e iniziano una battaglia diffamatoria contro i sofisti, corruttori dei giovani, in cui sarà coinvolto Socrate.