mercoledì 6 luglio 2016

Platone

PLATONE

Con la filosofia platonica inizia il periodo detto ontologico o sistematico: ontologico perché l’oggetto dell’indagine speculativa è il rapporto tra l’uomo e l’essere; sistematico perché Platone prima e poi Aristotele danno vita a due sistemi filosofici valorizzati e considerati nelle epoche a venire. Si intenda per sistema un insieme di norme e/o di regole ad uso dei membri di una comunione, di una koinè e in genere di un collettivo. Platone è il primo filosofo a voler tesaurizzare le teorie degli antichi filosofi racchiudendole in un sistema, unificando le soluzioni intorno a un’idea centrale. 
Platone nasce nella buona borghesia ateniese, da ottima famiglia, discendente del legislatore Solone. Allievo diretto di Socrate, si interessò anche alla filosofia eleatica ed entrò in contatto con le scuole socratiche. Dopo la morte del maestro, con cui entrò in contatto appena ventenne, Platone iniziò un’attività di ricerca e insegnamento basata sulla difesa di Socrate e sulla critica alle storture del sofismo.
La forma attraverso cui Socrate comunicava i suoi insegnamenti era il dialogo e Platone sceglie questa forma per la sua produzione letteraria filosofica, forse per continuare l’opera del maestro che, come si sa, non lasciò nulla di scritto. I dialoghi platonici possono essere distinti in quattro grandi gruppi:
dialoghi socratici  (Apologia, Critone, Eutifrone, Jone, Lachete) dominati dalla figura di Socrate;
dialoghi  antisofisti  (Protagora, Gorgia, Ippia Minore, Ippia Maggiore, Cratilo, Menone) caratterizzati dalla critica alla sofistica secondo le parole di Socrate e dallo sviluppo, secondo alcuni storici, delle linee fondamentali del sistema filosofico platonico;
dialoghi sistematici (Repubblica, Fedone, Convito, Fedro)  ossia i dialoghi del periodo centrale della speculazione platonica;
dialoghi della tarda maturità (Teeteto, Parmenide, Sofista, Timeo, Leggi) in cui la figura di Socrate si smorza e lascia il posto a un’accurata opera di revisionismo teorico.

SOCRATE E PLATONE

Tutta la speculazione platonica è dominata dall’immutata ammirazione per la figura di Socrate e, come il suo maestro, anche Platone intende comunicare agli uomini un messaggio di fede nel vero e unico Bene, e nell’esistenza di un mondo ben diverso da quello fallace della materia. Principio della sua filosofia è infatti la distinzione tra il mondo sensibile della materia e del molteplice e quello sovrasensibile dell’idea e della vera conoscenza, basata sull’essenza delle cose. Sensibile e intelligibile sono i due mondi in eterno conflitto tra cui l’uomo cerca di orientarsi. Socrate aveva giustamente osservato che la conoscenza soggettiva e materiale è impura e non immune da errori: quello che Platone chiama doxa, o opinione; ma al di là di questa conoscenza vi è una conoscenza essenziale a valenza universale e oggettiva, la cui validità non poteva essere contestata; Socrate però non identifica queste essenze, mentre Platone cerca di descriverne la realtà e ne giustifica l’esistenza. Si pensi a un qualsiasi concetto: per pensare una determinata cosa ho bisogno di un criterio che mi consenta di dare validità alla cosa stessa; se io penso a una forma circolare devo possedere già l’idea di cerchio perfetto e regolare, altrimenti non potrei pensare a questa forma. La domanda che Platone si pone è: come e cosa l’uomo conosce? 
Nella conoscenza sensibile la doxa o opinione e l’omologhìa o sentir comune, non ci danno una vera conoscenza, poiché si tratta di caratteri soggettivi: per Platone i sensi sono solo degli strumenti e la conoscenza che ne deriva è una conoscenza passiva perché basata sull’influenza subita dall’organismo ricevente: anche gli altri animali sanno che cosa sia il dolce e l’amaro, il piacevole e il doloroso. Quello che distingue l’uomo nel regno animale è il possesso di un’anima. Solo l’anima è capace di collegare con un senso logico la conoscenza proveniente dai sensi. Ora se è così, quella dei sensi, essendo conseguente, non è la vera conoscenza poiché necessita di un elemento che la preceda e tale da garantirne il funzionamento. L’essere e la conoscenza essenziale, ossia di ciò che veramente è, non potrebbe prescindere da una conoscenza intellettuale, diversa e ulteriore rispetto a quella sensibile.
Da dove deriva la conoscenza? Non dunque dai sensi, ma dall’essere colto dall’intelletto. Al proposito Platone individua due livelli di realtà:
il mondo dell’essere, dell’intelligibile, caratterizzato dall’unicità e
il mondo del divenire, della sensibilità, caratterizzato dal molteplice.
Il primo è la rappresentazione fenomenica della realtà, ossia la sua apparenza, fondata sui sensi, il secondo è la vera realtà caratterizzantesi nella sua unicità e fondata sull’Idea. Si noti qui il definitivo carattere unitario attribuito da Platone alla sfera del conoscere.

COSA SONO LE IDEE E A COSA SERVONO ?

Le idee sono innanzitutto essenze reali; vi sono essenze che possonoessere comprese solo dall’intelletto perché immateriali come lo stesso intelletto e tali sono le idee. Perché reali? Perché le idee rappresentano l’essenza, l’essere indistruttibile, già pavesato da Parmenide con l’assunto che “pensare (giudicare e avere idee) ed essere sono la stessa cosa” e sono quindi entità reali anche se logicamente non sono nel mondo sensibile; la strumentalità delle idee diventa così non solo logica come nel pensiero socratico, ma anche ontologico – metafisica. Abbiamo perciò due mondi, il mondo degli universali o delle idee, intelligibile e trascendentale che Platone chiamerà Iperuranio (= sopra il cielo) a testimoniarne l’immaterialità, dove le idee sono modelli eterni, come vuole l’etimo greco (= immagine), delle cose materiali e perciò perfetti e incorruttibili; e il mondo sensibile, chiamato da Platone Oratòs (= visibile), imperfetto perché costituito da materia originaria (si noti che Platone rifiuta il concetto ebraico–cristiano di creazione dal nulla, rifacendosi al concetto eracliteo dell’eterno flusso del divenire o panta rei).

RAPPORTI TRA I DUE MONDI

Platone trova una valida risposta al problema sollevato dai presocratici sui rapporti tra essere e divenire: egli distingue dunque due mondi, quello delle idee e quello della sensibilità, il primo dominato dalla stabilità e dall’unità dell’essere, il secondo caratterizzato dalla precarietà e dalla corruttibilità del divenire. Ma questa divisione, seppur categorica, non risolve la questione: il filosofo dovrà dunque spiegare

in che rapporti sono i due mondi;
l’origine di entrambi;
la posizione dell’uomo nei loro confronti;
la genesi del conoscere umano.

Un rapporto tra i due mondi è inevitabile.  Se l’idea è etimologicamente una “copia”, un’immagine di un elemento sensibile, dovrà appunto essere copia di un qualcosa che si trova necessariamente in un altro mondo, ed è necessario che ci sia un raccordo tra i due mondi. Il problema è di non facile soluzione, poiché la distinzione tra i due mondi è categorica, e Platone ora deve cercare un éscamotage per spiegare come l’idea eterna e indivisibile, possa originare qualcosa di instabile e materiale. Platone ricorre a 4 concetti: mimesi, metessi, coinonìa, parusìa, e all’azione di un Demiurgo.
Innanzitutto le cose sensibili sono copie delle idee, che ne sono a loro volta immagine: questo è il concetto di mimesi o imitazione; le cose sono altresì partecipi delle essenze ideali, anche se la loro rappresentazione sensibile è ovviamente soggetta ai limiti della materia in divenire: questo è il concetto di metessi, ossia di partecipazione; si potrebbe dire che sia presente quasi una mescolanza tra idee e cose, e tale è la coinonìa, ossia la comunanza: le cose sono per così dire tangenti le idee vicine, sono presenti (parusìa) ma il limite sensibile le degrada inevitabilmente. Si rende dunque necessaria una mediazione tra i due mondi, e Platone ricorre all’intervento di un costruttore, che non è Dio, e che chiama il Demiurgo.
Il Demiurgo plasma la materia, cercando come modello le idee e comunicando  alle cose la perfezione delle idee stesse. Ma la materia è irrazionale ed è restia ad accogliere la perfezione delle idee, e si limita aesserne una volgare e imperfetta copia: tale è il concetto di mimesi di cui sopra, le cose sono semplici copie delle idee. Nello stesso tempo il Demiurgo è garante dell’armonia di tutte le cose e si produce in una continua ripetizione delle forme essenziali nell’eterno flusso del divenire.
Le idee sono molteplici e sono tante quanto i loro corrispettivi sensibili; ma le idee non sono tutte uguali e possono essere classificate secondo un ordine ascendente che Platone raffigura simbolicamente in disposizione piramidale, alla cui sommità colloca l’idea somma, l’idea dell’essere: tutte le idee sono partecipi, in forme e tipologie diverse,  dell’essenza dell’essere, che stabilisce per ogni idea il posto spettantele e il grado di perfezione. L’Essere platonico è il socratico Sommo Bene, ossia Dio, che nella sua accezione di Principio è anche Vero e Bello. Da lui scaturiscono tutte le forme eterne. Con questo concetto viene criticato l’antropomorfismo divino: Dio è principio generatore di verità e bellezza, poiché ciò che è bene è anche bello e vero. Quale è dunque l’origine dei due mondi?
Il mondo delle idee procede dalla perfezione divina; le idee degradano verso il basso dialetticamente, dividendosi a due a due, per il quale ogni idea si articola in due idee opposte (diairesis) e il processo si ripete fino ad arrivare al mondo sensibile, composto dalla materia imperfetta e ulteriormente degradata. Questa materia è caotica e irrazionale, e diversa dalla pura idealità dell’essere in quanto tale, degradata e perciò non essere, sfuggente all’opera del Demiurgo ordinatore.
Platone ha dunque chiarito i rapporti tra i due mondi e la loro origine; ora il problema si sposta sulla gnoseologia umana. A questo proposito Platone deve affrontare il dualismo tra il corpo e l’anima, per spiegare come l’uomo conosce. Finora si è analizzato il carattere dei due mondi, quello sensibile e quello intelligibile, quello del divenire e quello delle idee; ma in che modo l’uomo si rapporta ad essi? Come avviene la conoscenza?

L’UOMO E LA CONOSCENZA

Abbiamo già avuto modo di osservare che per Platone il mondo del divenire è colto con l’immaginazione e la credenza e la conoscenza che se ne ottiene è l’opinione, soggettiva e imperfetta, chiamata doxa. Tutta la vita conoscitiva dell’uomo ruota intorno al dualismo di anima e corpo; l’uomo conosce con i sensi, poiché è costretto dalla sua condizione a una conoscenza limitata alla sfera del sensibile, ma nello stesso tempo possiede un’anima che deriva dal mondo delle idee ed è come loro perfetta, anzi, è costretta nel corpo e dalla situazione forzatamente fisica cerca di affrancarsi, anelando a ricongiungersi alle idee originarie. Prima di precipitare e di degradarsi nel corpo l’anima ha avuto la possibilità di contemplare le forme essenziali dell’essere e ne ha assunto conoscenza immediata e diretta. La forma più elevata di anima è l’anima razionale o intellettiva, a cui Platone affianca altre due anime, l’anima irascibile e l’anima concupiscibile, subordinate all’anima razionale.  In ogni uomo queste tre anime sono compresenti ma una tra esse prevale e caratterizza l’individuo. L’anima razionale corrisponde al conoscere ed è la più importante, l’anima irascibile corrisponde alle sensazioni, e l’anima concupiscibile corrisponde al vivere passionale e secondo l’impulso; di esse la prima è la più nobile e per descriverne l’importanza Platone ricorre al mito della biga alata. L’auriga conduce la biga alata guidata dai due cavalli, uno bianco e uno nero, che rappresentano rispettivamente la vita morale e le umane passioni; compito dell’auriga è equilibrare la corsa della biga e tale è il compito dell’anima razionale (vedi l’arcano del Carro e della Temperanza); il cavallo bianco è l’anima irascibile e il cavallo nero l’anima concupiscibile. I due cavalli cercano di spingere la biga verso il basso; se l’auriga è bravo, riuscirà a  ascendere verso la vera conoscenza, ma se i cavalli prenderanno il sopravvento, la biga sarà condotta irrimediabilmente verso la degradazione e le tre anime si disporranno nel corpo umano (quella razionale nel capo, l’irascibile nel cuore, la concupiscibile nel ventre). Per spiegare il modo in cui l’uomo conosce Platone si affida al mito della reminiscenza.
Nella caduta l’anima dimenticherà la perfezione e sprofonderà nell’oblìo della conoscenza materiale. L’uomo che nasce non sa più nulla e deve “ricominciare da capo a imparare” ma in realtà egli già sa, solo che nella caduta ha “dimenticato”. L’unica via di accesso concessa all’uomo è quella dei sensi: da questo limite l’uomo ricomincia la sua ascesa al vero sapere, purificando l’anima e affrancandola dalla provvisorietà della materia. Platone attribuisce all’ascesa dell’anima un doppio significato, gnoseologico e morale. Per Platone conoscere è ricordare. Già Socrate parlava di idee innate; ora Platone identifica questo meccanismo, osservando che l’apprendimento è una strada a ritroso verso la perfezione del vero essere dimenticata dall’anima nella sua caduta. I sensi sono utili, come stimolo a ricordare.
La conoscenza si divide in quattro gradi, i primi due costituiscono la conoscenza sensibile, gli altri due la conoscenza razionale:
conoscenza per parvenze sensoriali;
conoscenza percettiva;
conoscenza matematica;
conoscenza filosofica.
Il primo grado della conoscenza è basato sulle visioni parziali e precarie della realtà e culmina con l’opinione; si passa dunque al secondo grado dove si dimostra che l’opinione è vera e corrispondente alla realtà ma purtroppo ancora contingente;  poi c’è la conoscenza matematica con cui l’anima coglie le forme eterne presenti nel sensibile e si predispone alla conoscenza filosofica che rivela compiutamente le forme intelligibili. Quale chiarificazione Platone propone il mito della caverna. 
Le anime, prigioniere dei corpi, sono come dei carcerati incatenati in una caverna e posti in modo da dare le spalle all’ingresso col viso verso il fondo della caverna; essi vedono le ombre delle figure esterne che il fuoco proietta sulla parete della caverna e le credono cose vere non avendo altri strumenti di conoscenza (parvenze sensoriali); uno dei prigionieri però si libera e va fuori. La luce del sole lo acceca dopo anni di oscurità e quello che vede non è molto definito, ma già più vero delle ombre proiettate del fuoco dentro la caverna (percezione); poi pian piano si abitua alla luce e arriva ad accogliere la vera realtà (matematica) fino alla conoscenza più vera e perfetta (filosofia). Ma il vecchio ex – carcerato, ora libero, tornato dagli ex – compagni per liberarli non verrà creduto, poiché per l’uomo è difficile abbandonare il terreno comodo ma instabile della materialità.

IL FILOSOFO

Il mondo del divenire è colto con i sensi e dunque con l’immaginazione e a credenza, mentre il mondo dell’essere si coglie con l’episteme, la conoscenza scientifica, articolata in dianoia o conoscenza razionale e noesis o conoscenza intellettuale. Nel mito della caverna Platone individua i 4 momenti della conoscenza umana; l’anima costretta nel corpo è povera e  aspira arecuperare le ricchezze che possedeva. Nel mito di Eros, Platone descrive le aspirazioni del giovinetto,  figlio di Possesso e Povertà,  che vive in indigenza con la madre sperando di riconquistare le ricchezze paterne; anche l’anima vive nella materia e la materia le è utile per ricordare, ma aspira a riconquistare il vero essere. Le cose materiali per quanto imperfette sono predisponenti alla perfezione poiché aiutano l’anima a ricordare. Platone accoglie qui l’esempio del suo maestro Socrate: la filosofia, amore per il vero sapere, è necessaria e il filosofo è il saggio che ben è cosciente di non sapere nulla, condizione socratica fondamentale per imparare. E il filosofo non teme la morte perché sa che con la morte coglierà le idee nella loro pienezza.
Sul tema dell’immortalità dell’anima Platone espone nel Fedone 4 argomenti:
primo argomento dei contrari: ogni cosa nasce e procede per contrari (alba e tramonto, veglia e sonno) e se l’anima muore col corpo ci dovrà essere una sua rinascita, visto che anche vita e morte costituiscono un ciclo;
secondo argomento dei contrari: ogni cosa partecipe di un’idea perfetta non può accogliere in sé il suo contrario ma lo esclude (il caldo respinge il freddo, la vita respinge la morte); dunque l’anima non muore ma è costretta a trasmigrare in un altro corpo (metempsicosi);
argomento della somiglianza: la morte è decomposizione delle cose materiali, ma l’anima è similare alle idee e non può decomporsi né può corrompersi, proprio come le idee;
argomento della reminiscenza: conoscere è ricordare, dunque l’anima ha una sua preesistenza rispetto al corpo, ed è perciò indipendente dal corpo stesso; se preesisteva può sopravvivere ed è dunque immortale. 
Le anime sono per Platone libere di scegliere il proprio destino, come nel mito di Er, morto in guerra e risorto dopo dodici giorni, in quanto la virtù libera tutti dal giogo della materia.

MORALE, POLITICA, ESTETICA

Il sapere è proprio dell’anima razionale, e attraverso la filosofia l’uomo si affranca dalla sensibilità e dal corpo per ascendere al vero sapere; ma non dimentichiamo che l’uomo possiede altre due anime e queste sono in perenne conflitto con l’anima razionale. L’anima razionale deve controllare gli appetiti irrazionali dell’anima irascibile e di quella concupiscibile, così come l’auriga controlla i due cavalli nel mito della biga alata. I rapporti tra le tre anime delineano quattro virtù fondamentali: la sapienza, propria dell’anima razionale, che tende alla verità; la fortezza, quando l’anima irascibile viene frenata dalla ragione nel sentimento; la temperanza, quando l’anima concupiscibile viene moderata nei suoi impulsi dalla ragione, e infine la giustizia che armonizza e compendia le tre virtù precedenti.
Il problema della giustizia e dello stato è il tema più affascinante nella speculazione di Platone, che dedica a questo argomento i dieci libri della Repubblica oltre al dialogo tardivo delle Leggi. Lo stato rappresenta il coronamento della vita morale e politica dell’uomo, animale sociale e incline alla vita di comunità; i Sofisti avevano frainteso il ruolo dello stato, usandone la struttura a scopi essenzialmente utilitaristici e assumendo una posizione di critica antisociale, mentre Platone mira alla crescita morale dell’individuo, all’innalzamento dell’anima, all’ascesa verso il Sommo Bene, e lo stato ha un ruolo fondamentale. Le tre anime erano guidate dall’anima razionale e armonizzate dalla giustizia: lo stato viene inteso da Platone come un grande organismo che si pone come obiettivo il Bene comune, che assomma le esigenze di tutti i cittadini. Platone riprende la necessità dell’Atene pericleo-socratica della partecipazione di tutti i cittadini alla vita dello stato, e i compiti dei cittadini sono ripartiti in base alla preminenza di una delle tre parti dell’anima umana; avremo così le tre classi dei cittadini:
filosofi o governanti (anima razionale);
soldati e guerrieri (anima irascibile);
artigiani e lavoratori (anima concupiscibile).
Nessuna parte dell’anima prevale sulle altre, così è bene che nessuna classe di cittadini travalichi i limiti assegnati. Sarà compito della giustizia temperare ed equilibrare i ruoli delle diverse componenti dello stato, come era compito della giustizia armonizzare le tre virtù, raggiungendo l’optimum per eccellenza, ossia la sottomissione alla guida della ragione e al Bene comune. La concezione platonica dello stato si fonda su un comunismo aristocratico. Aristocratico poiché dei migliori, guidati dall’anima razionale, deve essere la responsabilità dell’amministrazione; comunista, poiché lo stato è una società di diversi-uguali che sacrificano il bene individuale in favore del bene comune; ciò è compito principale dei filosofi che non devono essere distratti dai loro compiti delicati da contingenze materiali. Lo stato ideale platonico rifiuta la proprietà privata (concessa con i dovuti limiti solo agli artigiani) e limita i legami familiari; si tratta di una concezione estremamente selettiva che limita perfino l’istruzione agli artigiani alla sola formazione professionale, educandoli alla parsimonia e all’obbedienza verso lo stato. Solo i migliori, veramente degni e preparati, sono ammessi dunque da Platone alla guida dello stato. La concezione platonica dello stato potrebbe sembrare estremisticamente  selettiva; ma per Platone questa aristocrazia è necessaria perché si raggiunga il Sommo Bene. 
Nell’estetica platonica viene condannata la cosiddetta arte imitativa: infatti chi si dedica all’arte sta imitando un’imitazione, essendo già le cose copie delle idee, e anche ammettendo l’arte essa non deve essere insegnata ai giovani, perché costituirebbe un cattivo esempio. Omero ha scritto Iliade e Odissea, ma non fu né stratega né navigatore. La forma di arte più sublime è la filosofia, perché con essa sola si contempla il Bello che è insito nel Bene ed è questa la sola disciplina da amministrare ai giovani.

DOPO PLATONE: L’ANTICA ACCADEMIA

L’eredità del pensiero platonico fu raccolta dai suoi discepoli raccolti nell’Accademia. Questa scuola, un ginnasio suburbano, come lo descrive Diogene Laerzio, dedicato all’eroe Ecademo, seguì l’evoluzione del platonismo ma continuò la sua azione anche più avanti. Platone ne affidò la direzione a suo nipote Speusippo, che la diresse per otto anni. Speusippo si allontana dal pensiero platonico affermando che non vi è distinzione tra conoscenze ideali e sensibili, e che comunque tutte le cose e gli animali passano dall’imperfezione alla perfezione e dunque il Bene non si troverebbe all’inizio del divenire ma è il suo termine ultimo, la conclusione di un processo. Speusippo accetta come modelli delle cose i soli numeri matematici al posto delle idee platoniche.
Dopo Speusippo l’Accademia fu diretta per 25 anni da Senocrate. Senocrate distingue tre tipi di conoscenza, il sapere, fondato sulla sostanza intelligibile, l’opinione, fondata sulla sostanza sensibile e la sensazione, fondata sulla sostanza mista. Ovviamente la conoscenza basata sulla sostanza intelligibile è il vero sapere, mentre la sensazione rappresenta una conoscenza falsa e l’opinione una conoscenza approssimativa della realtà. In Senocrate si fanno sentire quegli stessi echi di pitagorismo che caratterizzarono l’ultima fase del pensiero platonico; la stessa filosofia si divide in dialettica, fisica ed etica e viene considerata l’azione generatrice dell’unità maschile e della dualità femminile. Ovviamente per Senocrate l’anima è l’unità e all’unità si accosta il concetto di perfezione, mentre la tetrade corrisponde al sensibile. A Senocrate successero alla direzione dell’Accademia Polemone, poi Cratete e infine Arcesilao, con cui l’Accademia cambierà indirizzo.
Tra i diretti discepoli di Platone bisogna citare anche Eraclide Pontico, che fondò una scuola platonica collegata all’Accademia a Eraclea, nel Ponto; Eraclide era in realtà interessato a succedere a Speusippo alla guida della scuola, ma gli scolari elessero Senocrate. Dal punto di vista speculativo si ricollega a Democrito di cui reinterpreta la teoria atomistica fondando la realtà su corpuscoli non collegati (monadi ?). Anche il famoso astronomo Eudosso appartenne alla scuola platonica, mentre  vale la pena citare anche un altro scolaro di Platone, Filippo di Opunte, autore del dialogo pseudo-platonico Epinomide in cui vengono determinati quali studi portano alla sapienza.