martedì 19 luglio 2016

Epicureismo

EPICUREISMO

Quella epicurea fu nel vero senso della parola la scuola di Epicuro. Il filosofo di Samo, che fu allievo di Aristotele, aveva improntato la sua scuola , ospitata nel giardino (kepos) di casa sua e perciò detta “scuola del giardino”, ad un culto estremo della sua persona, quasi religioso. Il precetto fondamentale della scuola era infatti “comportati sempre come se Epicuro ti vedesse” e questo dà l’esatta misura del tipo di onori, quasi divini, che gli allievi tributavano al loro maestro anche dopo la sua morte. Epicuro fu autore di trecento scritti, ma a noi sono rimaste soltanto tre lettere pervenuteci tramite Diogene Laerzio. Uno dei più illustri discepoli di Epicuro fu Metrodoro di Lampsaco, noto polemista, ma tra gli allievi non mancarono le donne come Temistia e l’etera Leontina. Occorre precisare che la dottrina epicurea non fu mai modificata dagli allievi di Epicuro, a cui lo stesso Epicuro insegnò una stretta osservanza delle regole della scuola: i veri innovatori della dottrina epicurea si attestano molto più tardi e il più illustre è Lucrezio Caro, autore del De Rerum Natura. Lucrezio aveva visto in Epicuro l’uomo in grado di liberare l’umanità dalle paure e dal timore della morte. Si tratta di un concetto che ha colpito tanto Lucrezio da divinizzare la figura del filosofo greco, considerandolo maestro di sapienza.
Epicuro vede nella filosofia il modo di raggiungere la felicità, intesa come liberazione dalle passioni. La filosofia ha dunque un valore puramente strumentale e finalizzato al raggiungimento della felicità: la filosofia permette all’uomo di liberarsi da ogni dubbio irragionevole e molesto, e di abbandonare ogni opinione irrazionale, non controllabile scientificamente. La filosofia è per Epicuro un efficace quadrifarmaco che cura cioè quattro malattie dell’uomo:
 
il timore degli dei
la paura della morte
la facile raggiungibilità del piacere
la brevità del male

Questa tendenza esprimeva chiaramente il carattere della filosofia post-aristotelica, che riduceva la speculazione a un fine pratico. Epicuro di stingue chiaramente la sua filosofia in tre parti, canonica, fisica, etica.

CANONICA

La canonica è la logica o la teoria della conoscenza, criterio di verità, il cui nome richiama volutamente il canone, strumento dell’architetto o del costruttore, dando quindi espressamente la prospettiva di una regola per il raggiungimento della felicità. Il criterio della verità è costituito nell’uomo dalle sensazioni, dalle anticipazioni della percezione e dalle emozioni. Come si ricorderà, già Democrito aveva illustrato la sua teoria rappresentando un incessante flusso di atomi che si scontrano, si uniscono e piovono letteralmente sui nostri organi di senso producendo una sensazione, fondata sull’immagine o éidolon della cosa che la ha prodotta; unendo più sensazioni l’uomo può produrre delle rappresentazioni fantastiche, inesistenti, come il centauro o l’ippogrifo, ma basate su sensazioni reali e quindi su immagini vere. Dalla sensazione deriva anche l’anticipazione, ossia la presenza in memoria di un certo dato che consente di identificare immediatamente un dato analogo (per esempio: per dire “questo è un uomo” devo avere già visto e conosciuto un esemplare analogo).
La sensazione è sempre vera e non può essere mai confutata o contraddetta  così essa è il canone e il criterio della verità, come l’anticipazione che sulla sensazione appunto si fonda; l’emozione, quindi il piacere e il dolore, non appartiene invece alla logica pur essendo un criterio di verità e norma per la condotta pratica della vita. La falsità risiede secondo Epicuro nell’opinione, a meno che tale opinione non sia confermata dai sensi o, perlomeno, da essi non contraddetta; mentre con il ragionamento è possibile estendere la conoscenza oltre il dominio degli stessi sensi.

FISICA

La fisica epicurea ha una missione analoga a quella eminentemente speculativa, ossia ha un compito liberatorio e per questa ragione assolve a un ruolo materialista e meccanista: il primo è volto a escludere ogni intervento ultraterreno nel destino umano e delle cose del mondo, il secondo è invece volto ad avvalersi, nella spiegazione delle cose, unicamente del movimento dei corpi. Così come gli Stoici Epicuro afferma che tutto ciò che esiste è corpo poiché solo il corpo può effettuare o subire un’azione. L’unica cosa che è ammessa incorporea è il vuoto, che però non può né subire né effettuare alcuna azione. Tutto ciò che agisce e subisce è corpo e ogni nascita o morte è aggregazione o disgregazione di corpi. Epiccuro riprende il concetto base della fisica democritea, ossia “nulla viene dal nulla” e ogni corpo si compone dall’urto di vari corpuscoli o atomi che, nella loro eterna caduta, finiscono con l’unirsi a seconda della loro tipologia dando origine ai corpi.

Gli atomi si muovono liberamente nel vuoto, urtandosi e unendosi a seconda della loro tipologia; il loro numero è indeterminabile ma non infinito e il loro movimento non appartiene ad alcun disegno provvidenziale né ad alcun ordine finalistico: la negazione di un intervento divino è uno dei caratteri prevalenti della polemica antistoica. La divinità o vuole togliere i mali e non può o  può e non vuole farlo, o non vuole togliere i mali o vuole e può; se vuole e non può è impotente ed è contraddittorio, poiché una divinità non può esserlo; se può e non vuole farlo è invidiosa, e neanche questo può essere; se non vuole e non può è invidiosa e impotente e non è dunque una divinità; se vuole e può, e altro non resterebbe da pensare, da dove verrebbe allora l’esistenza dei mali? Perché non li toglie?

L’unica regola ammessa dalla fisica epicurea è la legge eterna che regola il movimento degli atomi e il loro eterno aggregarsi e disgregarsi che costituisce i mondi. I mondi sono infiniti e soggetti a nascita e morte; essi si formano dall’aggregazione tra gli atomi che discendono nel vuoto, verso il basso, in linea retta; ma Epicuro ammette anche una deviazione casuale che sfugge a ogni legge di necessità ed è regolata dalle imperscrutabili leggi del fato. Contrariamente a quanto si può pensare Epicuro ammette l’esistenza di una divinità, pur non riconoscendole alcuna efficacia, e l’ammette proprio in virtù del suo empirismo, poiché gli uomini hanno l’immagine della divinità. Questi dei hanno forma umana e abitano gli spazi vuoti tra mondo e mondo, i cosiddetti intermundi, e vivono tra loro in rapporto di amicizia; essi non si curano del mondo umano, poiché ciò sarebbe contrario alla loro natura, e se gli uomini li onorano non è per timore ma per ammirazione.

Anche l’anima è secondo Epicuro corporea, ma composta di particelle più mobili, come un soffio caldo che permea tutto il corpo, e la sua azione si esplica come già detto nella sensazione, nell’immaginazione o mens che consiste nelle anticipazioni e nelle rappresentazioni fantastiche, comunque derivanti dalle sensazioni stesse, e nella ragione  o logos, che consiste nella facoltà di giudicare e di opinare razionalmente; a queste si aggiunge l’emozione, piacere o dolore, norma della condotta pratica. Con la morte gli atomi si disgregano e ogni sensazione cessa: la morte è privazione delle sensazioni, perciò, dice Epicuro, è stolto temerla, in quanto se ci siamo noi non c’è la morte, se c’è la morte non ci siamo noi.

ETICA

L’etica epicurea deriva da quella cirenaica e si fonda su un principio, ossia la ricerca del piacere quale fonte di felicità; ma il vero piacere a cui Epicuro si riferisce non è il piacere in movimento, determinato dalla gioia e dal dolore nelle loro alterne fasi, bensì il piacere stabile e negativo, poiché basato sulla negazione del dolore – aponìa – e sull’assenza di turbamento – atarassìa – cioè i due concetti cardine della speculazione epicurea, in cui viene portata avanti la tendenza della ricerca del piacere come fuga dal dolore. Questo carattere negativo del piacere impone una suddivisione dei bisogni in naturali e inutili e dei bisogni naturali in necessari e non, e ancora di quelli naturali e necessari in necessari alla salute del corpo, alla felicità o alla vita stessa. Ovviamente solo i bisogni naturali e necessari vanno appagati, mentre gli altri vanno tralasciati e rimossi. Ogni piacere ha un carattere sensibile, poiché sulla sensibilità si fonda il criterio di verità epicureo: il piacere è rappresentato dalla felicità che è assenza di turbamento, e ciò conferisce un carattere eminentemente sensibile al piacere.
Nell’etica epicurea ha molta importanza l’amicizia, vista come solidarietà umana e non a fini utilitaristici: lo stesso Epicuro ammette che dà più felicità fare il bene, piuttosto che riceverlo. Infine, nonostante tenesse alla politica e alle leggi che avrebbero regolato l’ordine e l’armonia tra gli uomini, Epicuro raccomandava di tenersi lontani dalla vita politica quale fonte di turbamento: l’ammonimento richiamava il principio del “vivi nascosto”.