venerdì 31 marzo 2017

Moduli di Filosofia

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PLATONE

1 - LA CONOSCENZA

INTRODUZIONE - Platone ed il suo maestro Socrate sono accomunati dalla ricerca della verità. In greco la parola verità si traduce con ALETHEIA, che significa "non oblio" oppure "non nascondimento". L'essere infatti è sempre "nascosto" da due elementi, il divenire e il molteplice.
Socrate, con l'universale o concetto, aveva superato il relativismo di Protagora, il nichilismo di Gorgia e l'isomorfismo eleatico ma si era fermato alla conoscenza sensibile: la sua famosa domanda "che cosa è?" si riferiva all'oggetto colto dai sensi senza poterne fare a meno.
La filosofia platonica supera quella socratica mettendo in evidenza la VOGLIA DI CONOSCERE dell'uomo e passando quindi dalla conoscenza PASSIVA e limitata alla sensibilità, ad una conoscenza ATTIVA. Per fare questo Platone adotta il DUALISMO e pone accanto al mondo sensibile, corrotto dal molteplice e dal divenire, una realtà sovra-sensibile e perfetta che chiama IPERURANIO: è questa la sede dell'anima e delle IDEE.

LE CONDIZIONI OGGETTIVE DELLA CONOSCENZA - Platone fa iniziare la conoscenza dal soggetto conoscente, che VUOLE conoscere. Per Platone il conoscere è un atto volontario (intenzionale) e diretto ad un oggeto, contraddistinto da un nome che lo rappresenta.
Dunque le condizioni oggettive del conoscere sono:

1) il SOGGETTO che conosce l'OGGETTO
2) l'OGGETTO, conosciuto dal SOGGETTO
3) il NOME usato dal soggetto per indicare e rappresentare l'oggetto

LE CONDIZIONI SOGGETTIVE DELLA CONOSCENZA - Platone individua tre condizioni soggettive della conoscenza:

1) la REMINISCENZA, cioé il ricordo delle conoscenze dell'anima e la necessaria immortalità dell'anima
2) la PASSIONE, cone forza che spinge l'uomo alla conoscenza
3) i QUATTRO GRADI della conoscenza

L'ANIMA - il conoscere è ricordare. Si tratta di un processo spontaneo che si mette in atto:

• quando il soggetto conoscente riceve delle istruzioni da un maestro
• quando il soggetto conoscente riconosce le FORME IDENTICHE.cioé le forme degli oggetti

L'anima proviene dallo stesso luogo delle forme e per questo ogni anima le conosce ma, quando l'anima si incarna in un corpo (Platone dice che le anime "sono precipitate nei corpi") a causa della vicinanza alla materia si dimentica tutto e a tal proposito deve essere aiutata a ricordare.
Perché ció sia possibile l'anima deve essere peró IMMORTALE e quindi libera dal corpo, visto da Platone come un carcere da cui l'anima vuole scappare.
Platone adduce quattro argomenti a sostegno della tesi dell'anima immortale:

• l'anima è immortale in quanto continuità tra la vita e la morte
• l'anima è immortale in quanto serve a ricordare e quindi a conoscere
• l'anima è immortale in quanto unica, semplice e indivisibile
• l'anima è inmortale in quanto "è" poiché libera dal corpo e cioé perfetta

L'EROS - La passione è il vero motore che spinge a conoscere. Nel pensiero socratico questo ruolo è ricoperto dalla figura del demone (DAIMON), l'impulso ad agire. L'eros è una forza irresistibile che porta a ció che ci attrae: l'eros è la ricerca di ció che ci manca e che ogni anima desidera. La mancanza è dovuta al fatto che le anime sono costrette a "precipitare" nei corpi e a lasciare l'iperuranio a cui vogliono tornare. Per tale motivo conoscere è "amore per il sapere" cioé FILOSOFIA.
Le passioni  non devono dominare la vita. Esse sono utili ma l'uomo non deve esserne schiavo, se no non vivrebbe. Ogni anima, dice Platone, possiede tre funzioni:

• la funzione RAZIONALE, collegata all'intelletto, che guida e modera tutti i comportamenti umani
• la funzione IRASCIBILE, collegata al cuore, che è responsabile del coraggio,  dell'ardimento bellico, del sacrificio e della forza di volontà
• la funzione CONCUPISCIBILE, legata allo stomaco e responsabile degli istinti più materiali

Il compito di guidare e di moderare le passioni è proprio della razionalitá e del pensiero, che sceglie il comportamento migliore da adottare.

I GRADI - La  conoscenza è dunque:

• il ricordo delle forme identiche
• il desiderio di qualcosa che manca

Il processo conoscitivo è possibile se ci sono tre elementi:

• il soggetto conoscente
• l'oggetto da conoscere
• il nome per rappresentare l'oggetto

Platone descrive i 4 gradi.della conoscenza attraverso la METAFORA DELLA LINEA, che disegna uno schema così suddiviso:

a) a sinistra della linea i 4 oggetti di conoscenza:

1) idee
2) relazioni
3) oggetti
4) ombre

b) a destra della linea le 4 forme di conoscenza:

1) noèsis o conoscenza razionale
2) diànoia o conoscenza matematica
3) pìstis o credenza
4) eikasìa o illusione

Il grado più basso della conoscenza riguarda la sensibilità e i suoi oggetti sono ombre, prodotto cioé dei nostri 5 sensi. È una conoscenza passiva e illusoria, che non poggia su certezze.
Al grado successivo troviamo la conoscenza dell'oggetto. È questa la conoscenza consapevole e volontaria, ma ancora insufficiente perché data dai sensi e per questo Platone usa il termine di pìstis, cioé fede, fiducia o credenza.
Il penultimo grado ha a che fare con le relazioni matematiche (quantità) e geometriche (dimensione) tra oggetti. È una forma di conoscenza più alta ma  astratta, se privata degli oggetti a cui applicarla.
L'ultimo grado della conoscenza è quello che ci allontana dai sensi e per questo è esclusivo dell'anima: è quello della conoscenza razionale e intellettuale e i suoi oggetti sono le idee.

2 - LE IDEE

INTRODUZIONE - La conoscenza vera non è quella delle cose, legata al molteplice e al divenire, ma è quella delle idee, e puó essere ottenuta solo dall'anima perché ha la stessa natura delle idee e perché proviene dallo stesso luogo delle idee, cioé l'iperuranio. Così come l'anima, le idee sono uniche e non subiscono il divenire.
Platone si pone tre domande:

• cosa sono le idee?
• che rapporti hanno con le cose?
• come fa l'uomo a conoscerle?

COSA SONO LE IDEE - Le idee sono le forme degli oggetti della conoscenza sensibile. Le cose, come le cogliamo con i sensi, sono molte e soggette al divenire. Le idee invece sono forme uniche delle cose. Esse non possono essere cose, altrimenti sarebbero anch'esse imperfette e quindi non ci sarebbe ragione di distinguerle. Esse inoltre non possono essere dei pensieri: se così fosse, sarebbero di una singola persona, e, se nessuno dicesse cosa pensa, non le potremmo conoscere. Infine esse  non possono essere dei modelli delle cose, perché le cose sono corruttibili e imperfette. A questo punto Platone si chiede quali siano allora i rapporti tra idee e cose.

LE IDEE E LE COSE - I due mondi, quello sensibile, delle cose, e quello intelligibile, delle idee, non possono essere visti come realtà separate e lontane: se tutte le idee fossero enti irraggiungibili nessuno le conoscerebbe e anche la loro funzione cesserebbe. I due mondi, nonostante le differenti nature, sono vicini, tanto che le idee e  le cose sono collegate da quattro tipi di relazione:

• metèssi o partecipazione
• mìmesi o somiglianza
• koinonìa o comunanza
• parusìa o vicinanza

Ogni cosa è "coperta" dalle idee, come da un lenzuolo. La  "copertura" puó essere totale o solo parziale: le cose migliori sono quelle totalmente "coperte" da un'idea a cui partecipano.
Ogni cosa "somiglia" a un'idea. Il grado della   "somiglianza" tra la cosa e l'idea aiuta a stabilire la perfezione di una cosa.
Ogni cosa è "comune" ad altre cose e ogni idea è "comune" ad altre idee. Le idee, perció, hanno vari gradi, come le cose: più si avvicinano  al mondo dei sensi, più si degenerano.
Le idee sono "vicine" alle cose: questa "vicinanza" è il motivo del rapporto tra idee e cose.

I GENERI SOMMI - I due mondi sono vicini ma separati e diversi. A differenza di     Parmenide, Platone non parla del non essere come "conoscenza impossibile" per l'uomo: il non essere è  infatti "ció che segue l'essere". Il cosiddetto "parricidio di Parmenide" avviene con la teoria dei GENERI SOMMI.
Parmenide e Platone hanno un solo punto in comune: per entrambi il vero essere è unico. Per  Platone esso è  l'idea ma, mentre per Parmenide non c'è nulla né prima né dopo l'essere, per Platone l'essere si degenera scendendo verso il mondo delle cose, dove perde la sua unicità e si divide. Dopo l'essere puro dell'idea troviamo due coppie di generi sommi:

• identico e diverso, cioè il molteplice
• quiete e movimento, cioé il divenire

Così Platone "riabilita" il non essere: ogni cosa è identica a sé stessa e allo stesso modo diversa dalle altre (il libro NON è la penna) e ogni cosa si muove, cioè diviene. Ma anche l'idea, se vicina al mondo delle cose, si degenera e perde la sua unicità.

IL METODO DIALETTICO -  Non ci potrà nai essere vera conoscenza dell'essere se non delle idee e solo l'anima puó conoscerle e quindi solo l'anima puó contemplare la verità. Ma esiste una verità anche nel mondo delle cose: Platone la definisce OPINIONE VERA (doxa alethès). Nel mondo delle cose non ci puó essere una verità assoluta e indiscutibile, come quella delle idee, ma esiste la certezza che si avvicina alla verità. Il modo in cui si arriva alla doxa alethès è il metodo dialettico. La dialettica è un confronto tra opinioni. Platone la rappresenta come un albero con radici, fusto, rami e foglie. Le radici sono i nostri sensi e il fusto è ció che l'uomo conosce. I rami sono le domande e le risposte ai problemi che l'uomo si pone. I rami a loro volta si dividono in altri rametti, ramoscelli e fronde: nel mondo delle cose. Infatti, non c'è mai UNA verità a senso unico, e le risposte aprono nuovi problemi. Ecco perchè la dialettica platonica è a due vie, cioè DIADICA o DIAIRETICA (che ha due soluzioni).

3 -  FISICA E POLITICA

INTRODUZIONE - Dopo aver chiarito cosa e come si conosce e in che modo si accorda la conoscenza,ora Platone affronta due temi cruciali per il suo sistema: la cosmogonia, cioé "come nascono le cose", e la politica, cioé "come vive il cittadino". La cosmogonia risponde alla domanda piú insidiosa del pensiero di Platone: che collegamento c'è tra i due mondi? La politica è il piú grande interesse di Platone e si estende alle varie parti del sistema.

FISICA - In che modo i due mondi sono collegati? Il ponte tra il mondo delle idee e quello delle cose è l'uomo, la cui anima viene dallo stesso mondo delle idee, ma è costretta al "carcere del corpo" e ai limiti della sensibilità. Le cose del mondo sono PLASMATE (non create dal nulla) dal DEMIURGO. Il demiurgo non è un dio creatore. Ha il compito di plasmare la materia già preesistente, dandole uma forma, sulla base delle idee. Dopo aver formato l'ANIMA DEL MONDO, il demiurgo dà la forma al CORPO DEL MONDO, cioé a tutte le cose del mondo, in base ai 4 elementi naturali (fuoco, terra, aria e acqua). Dopo aver separato gli elementi, il demiurgo forma il MOVIMENTO di tutte le cose e il TEMPO, che ordina il divenire a cui tutti gli elenenti sono soggetti
Tutte le forme sono generate a 2 dimensioni (lunghezza + altezza) o a 3 (lunghezza + altezza + profondità) e la forma base è la figura del TRIANGOLO, da cui nascono le FORME STEREOMETRICHE REGOLARI:

• il tetraedro o piramide (fuoco)
• il cubo (terra)
• l'ottaedro (aria)
• l'icosaedro (acqua)
• il dodecaedro, la forma più perfetta, che si avvicina alla sfera, e comprende tutti e 4 gli elementi

La formazione del mondo ad opera del demiurgo è rappresentata da una proporzione geometrica:

========
8:12=18:27
=========

Dove 6 e il cubo di 2 e 27 è il cubo di 3. Questa proporzione rappresenta l'origine geometrica del mondo.

POLITICA - La visione politica di Platone nasce dai suoi viaggi a Siracusa. Ospite del tiranno Dionigi e di suo genero Dione. Nella filosofia di Platone la politica ha un ruolo di primo piano dato che la concezione di "politikós", cioé abitante della "pólis", cittadino, era riferita a tutti i vari aspetti della vita di comunità: il linguaggio, la morale, la conoscenza,la religione e l'arte, oltre alla politica intesa come governo della città. L'uomo è un animale che vive con gli altri. Il suo ruolo deriva dal tipo di anima che è prevalente.
La classe sociale più importante è quella dei FILOSOFI o SAGGI. In essi prevale la funzione dell'ANIMA RAZIONALE e perciò il loro compito è la guida e il governo dello Stato. Ai filosofi è vietato avere famiglia ed accumulare ricchezze e avere delle proprietà.
La seconda classe sociale dello Stato giusto è quella dei GUERRIERI. In essi prevale la funzione dell'ANIMA IRASCIBILE, e per questo hanno il compito di difendere la comunità. Ai guerrieri non è permessa la proprietà privata, così come già per i filosofi, né è consentio loro avere una famiglia.
La terza e ultima classe sociale è costituita dai LAVORATORI, ossia gli ARTIGIANI. In essi prevale la funzione dell'anima CONCUPISCIBILE, per cui hanno il compito di produrre. Ai lavoratori è consentita la proprietà dei beni e avere una famiglia.
Il benessere dello Stato dipende dal "geometrico" equilibrio dei ruoli: nessun cittadino puó passare da una classe all'altra. La pedagogia platonica è assai rigida. Le materie scolastiche studiate da tutti sono la musica e la ginnastica. I guerrieri e i governanti devono studiare anche la matematica, l'astronomia e la filosofia. Le arti imitative come pittura e scultura sono usate solo come esercizio di riproduzione dal vero,dato che il reale è già di suo una copia.
Lo Stato regola tutti gli aspetti della vita sociale come il matrimonio e le ricchezze, che lo Stato deve distribuire per non creare troppa distanza tra ricchi e poveri nella classe dei lavoratori.

 Aristotele

ARISTOTELE

1 - LA METAFISICA

L'OPERA - La Metafisica (ossia "oltre la natura") è chiamata da Aristotele FILOSOFIA PRIMA, in quanto indagine sull'Essere e sull'Esistenza di tutte le cose. Aristotele suddivide l'indagine in 14 libri che hanno tutti lo stesso nome e che sono distinti solo dal numero (per esempio: Libro I, Libro II…). Tuttavia possiamo individuare 3 argomenti principali:
1) la causa
2) la sostanza
3) il Principio
In quanto studio dell'Essere la Metafisica aristotelica è un'ONTOLOGIA: con questo termine si indicano le filosofie che indagano le condizioni dell'esistenza in generale.

METAFISICA DELLE CAUSE - Questa parte si chiama anche EZIOLOGIA ossia studio delle cause (dal greco "aithìa" che significa causa). Tutto nella Natura si muove. L'Essere subisce continuamente delle trasformazioni che alterano il suo stato. Ogni cosa è soggetta al divenire.
Aristotele individua 4 cause del divenire dell'Essere:
1) la causa MOTRICE o EFFICIENTE, che è l'origine di qualsiasi movimento
2) la causa MATERIALE, che corrisponde all'elemento che subisce una trasformazione, un mutamento del proprio stato (peso, densità, massa, resistenza)
3) la causa FORMALE, che indica il tipo di movimento (forza, direzione, intensità)
4) la causa FINALE, che è relativa allo scopo, all'obiettivo della trasformazione di un oggetto
Le cause motrice e formale sono chiamate DINAMICHE, poichè sono quelle "che fanno muovere", mentre le cause materiale e finale sono dette anche STATICHE.

METAFISICA DELLA SOSTANZA - Questa parte della Metafisica è chiamata anche OUSIOLOGIA (dal greco "ousìa" che significa sostanza).  Aristotele studia l'Essere nel suo aspetto singolo e determinato: ogni elemento della Natura è infatti un INDIVIDUO (dal latino: "che non puó essere diviso" cioè "intero, inseparabile"), e come tale gli viene attribuoto un NOME (che puó essere comune di cosa - per esempio: la sedia - o proprio di persona - per esempio:  Socrate - in entrambi i casi individuanti).
Ogni INDIVIDUAZIONE dell'Essere corrisponde ad una SOSTANZA: con questo termine si indica un elemento "che è" e che è diverso dagli altri (per esempio: il cane NON È il gatto; Socrate NON È Platone).
Ogni sostanza è un SINOLO (unione) di MATERIA e FORMA: la materia è la parte che subisce la trasformazione mentre la forma è la parte che rimane invariata: per esempio, Socrate invecchia ma resta sempre l'uomo Socrate.
Ogni trasformazione della sostanza implica il passaggio dalla POTENZA all'ATTO.
La potenza è la possibilità della trasformazione e comprende tutti i requisiti necessari perché una trasformazione avvenga (per esempio: l'uovo che contiene l'embrione del pulcino).
L'atto è invece la trasformazione completata e comprende tutte le caratteristiche della QUALITÀ che determina l'Essere (per esempio: la gallina) e lo rende diverso dagli altri e da ciò che era prima (per esempio: la gallina NON È PIÙ il pulcino).
Proprio per questa sua completezza l'atto è primo rispetto alla potenza (PRIMALITÀ DELL'ATTO): infatti non è detto che la potenza divenga atto (per esempio: se io rompo l'uovo non nasce il pulcino)
Occorre precisare che qui abbiamo definito la sostanza in quanto oggetto della conoscenza sensibile. Tuttavia il rigore scientifico della ricerca delle cause dell'Essere obbliga Aristotele ad andare oltre il limite dei sensi, non potendo trovare nella Natura il vero inizio dell'esistenza.

LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE - Nei suoi scritti Aristotele non parla propriamente di Dio (si tratta di una forzatura del Cristianesimo medioevale) ma indaga l'esistenza di un PRINCIPIO dell'Essere. Questa indagine riguarda sempre la sostanza, sinolo di materia e forma, ma nella sua accezione UNIVERSALE. Il Principio è ricercato da Aristotele in 3 parti:
a) COSMOLOGIA - Tutto il movimento dell'universo è ordinato da un Principio che ne è l'iniziatore e perció la CAUSA PRIMA. In quanto tale il Principio è allo stesso tempo FORMA PURA, poiché comprende tutte le forme del divenire.
b) TEOLOGIA -   Essendo la prima causa del divenire il Principio è non solo POTENZA PURA (poichè comprende TUTTE le possibilità di trasformazione della materia) ma è sopratutto ATTO PURO  (poichè comprende TUTTE le qualità dell'Essere, tute le sue trasformazioni). In quanto Atto Puro il Principio dell'Essere fa muovere tutto ma non è soggetto al movimento (MOTORE IMMOBILE).
c) TELEOLOGIA (dal greco "tèleos" che significa fine o scopo) - Il Principio di cui parla Aristotele non crea ma plasma la materia pre-esistente. Plasmare significa "dare la forma" cioè modellare. Per tale motivo il Principio è più vicino al Demiurgo platonico che al Dio delle religioni tradizionali come l'Ebraismo. Tutto ció che viene plasmato ha un fine ultimo che agli uomini sfugge e che solo il Principio, in quanto Atto Puro. puó conoscere.
Aristotele definisce il Principio PERFETTO. in quanto FINITO, ossia chiuso. Esso comprende TUTTO. La sua posizione non è mai esterna e lontana, ma vicina all'Essere. Come tale il Principio di Aristotele è al tempo stesso l'Autore della Natura e la Natura stessa che è stata plasmata: dunque il Principio è sia TRASCENDENTE (cioè non materiale) sia IMMANENTE (conoscibile coi sensi), avvicinando la Metafisica aristotelica al PANTEISMO (Dio e la Natura sono la stessa cosa).
Aristotele tuttavia non riuscì mai a giustificare scientificamente l'esistenza de  Principio dell'Essere, lasciando l'indagine APORETICA(senza conclusioni).

2 - LA LOGICA

L'OPERA - La Logica è considerata, insieme alla Metafisica, una delle opere fondanentali del sistema aristotelico, tanto da essere chiamata FILOSOFIA SECONDA: essa svolge infatti un'importante funzione di collegamento tra tutte le scienze. La Logica studia le relazioni tra pensiero, linguaggio e ragionamento: il suo nome deriva dal greco LOGOS, che significa parola, discorso, studio. Aristotele la chiamava ANALITICA (cioè divisione, ripartizione) o anche ORGANON, cioè sistema.
È composta da 6 libri:
• Le Categorie (dove si parla dei TERMINI della proposizione: soggetto e predicato)
• Sull'Interpretazione (dove si parla dei tipi di PROPOSIZIONE CATEGORICA: universale, particolare, affermativa e negativa)
• Analitici Primi (dove si parla in generale del SILLOGISMO, il discorso logico, formato da tre proposizioni)
• Analitici Secondi (dove si parla del sillogismo APODITTICO, cioè scientifico)
• Topici (dove si parla del sillogismo IPOTETICO, cioè deduttivo)
• Elenchi Sofistici (dove si parla del sillogismo ERISTICO, cioè retorico, tipico della Sofistica)
La Logica affronta in sintesi 3 argomenti:
1) il termine, ossia il nome che diamo agli individui e che puó essere soggetto o predicato:
2) il giudizio o proposizione, ossia la relazione tra soggetto e predicato;
3) il ragionamento o discorso logico, chiamato da Aristotele sillogismo e formato da 3 proposizioni.

1) I TERMINI - Sono i nomi, propri o comuni, assegnati alle sostanze individuali. Nella proposizione assumono il ruolo di SOGGETTO o di PREDICATO. Aristotele classifica i termini secondo il loro grado di specificità, cioè in base al numero di elementi a cui sono riferiti:
• le SOSTANZE PRIME hanno un uso DENOTATIVO, ossia identificano un individuo (per esempio una persona: Mario Rossi; un animale: il gatto Fufi o il cane Bobi) e in un giudizio possono avere solo il ruolo di soggetto, mai di predicato;
• le SOSTANZE SECONDE hanno invece un uso CONNOTATIVO, servono cioè a estendere le caratteristiche di più termini che appartengono a una stessa CLASSE, in base al GENERE (per esempio: Fufi è un gatto) e alla SPECIE (per esempio: Fufi è un gatto persiano) e possono essere usate solo come predicati (poiché predicano, cioè attribuiscono) all'interno di una proposizione;
• le CATEGORIE sono i predicati più universali e Aristotele le usa per indicare gli elementi piú generali (tempo, luogo, quantità…). Aristotele individua 10 categorie: la prima è la più importante, la SOSTANZA, a cui seguono 9 ACCIDENTI, che servono a definirla (per esempio una data, un numero o una qualità)

2) LA PROPOSIZIONE - Dal punto di vista logico Aristotele prende in considerazione la sola proposizione CATEGORICA, cioè il GIUDIZIO, formato da un SOGGETTO e da un PREDICATO uniti dalla COPULA (è, non è, sono, non sono). La proposizione categorica puó essere:

• AFFERMATIVA (se afferma qualcosa, per esempio: l'alunno è assente)
• NEGATIVA (se nega qualcosa, per esempio: l'alunno non è preparato)
• UNIVERSALE (se i soggetti sono tutti o nessuno, per esempio: tutti gli alunni sono assenti o nessun alunno è assente)
• PARTICOLARE (se i soggetti sono pochi, alcuni oppure uno solo, per esempoo: alcuni alunni sono assenti o un solo alunno è impreparato)

Le proposizioni categoriche sono dunque di 4 tipi:

A: universale affermativa
E: universale negativa
I: particolare affermativa
O: particolare negativa

I logici medievali hanno costruito uno schema a forma di quadrato, chiamato appunto QUADRATO DELLE OPPOSIZIONI o anche QUADRATO LOGICO. Si compone di 4 caselle, 2 in alto (contrassegnate dalle lettere A ed E) e 2 in basso (contrassegnate dalle lettere I e O) corrispondenti ai 4 tipi di proposizione categorica.

A E
I  O

Lo schema serve a individuare le relazioni tra le proposizioni per valutarne la COERENZA LOGICA, elemento fondamentale in un ragionamento (per esempio, se diciamo che tutti gli alunni sono presenti non potremo dire che qualche alunno è assente). Le relazioni tra proposizioni sono:

• di CONTRARIETÀ (tra A ed E): due universali, una affermativa (tutti gli alunni sono presenti) e una negativa  (nessun alunno è presente) non possono coesistere perchè si escludono a vicenda.

• di SUBCONTRARIETÀ (tra I e O): due particolari, una affermativa (qualche alunno è assente) e una negativa  (qualche alunno non è assente) possono coesistere in uno stesso discorso perchè non si escludono a vicenda.

• di CONTRADDITORIETÀ (tra A e O e tra E e I): le universali sono sempre  in contraddizione con la particolare opposta, per esempio: se diciamo che nessun alunno è presente non possiamo dire che qualche alunno è presente; se diciamo che tutti gli alunni sono presenti non possiano dire che alcuni alunni non sono presenti.

• di SUBALTERNITÀ (tra A e I e tra E e O): ogni particolare dipende dall'universale dello stesso tipo, ma mai viceversa, per esempio, la frase qualche alunno è assente dipende da tutti gli alunni sono assenti, ma mai il contrario.

3) IL RAGIONAMENTO - Aristotele lo chiama SILLOGISMO cioè "unione di concetti". Un sillogismo è composto da 3 elementi:

• la PREMESSA MAGGIORE (tutti gli uomini sono animali) che contiene il TERMINE MAGGIORE (uomini) e il TERMINE MEDIO (animali)

• la PREMESSA MINORE (tutti gli animali sono mortali) che contiene il TERMINE MEDIO (animali) e il TERMINE MINORE (mortali)

• la CONCLUSIONE (tutti gli uomini sono mortali) dove scompare il termine medio (animali) e restano i due termini,  maggiore (uomini) e minore (mortali)

Un sillogismo si classifica secondo il tipp, il modo e la figura.

Il TIPO di sillogismo si individua in base ai criteri di universalità, validità e verificabilità delle sue premesse. Ci sono 3 tipi di sillogismo:

• sillogismo APODITTICO o SCIENTIFICO: le sue premesse sono universali, certe e verificabili e la sua conclusione è autonoma e indipendente rispetto alle premesse (tutti gli uomini sono mortali).

• sillogismo IPOTETICO o DEDUTTIVO: le sue premesse sono possibili ma non sono verificabili e la loro conclusione puó essere solo un'ipotesi espressa con "se… allora…" (se tutti gli alunni sono preparati allora saranno promossi).

• sillogismo ERISTICO o RETORICO: le sue premesse non sono vere poichè poggiano su un PARALOGISMA (ragionamento falso) e la conclusione è sempre dubbia; tuttavia nel sillogismo SOFISTICO è importante che il discorso sia sopratutto bello, cioè che abbia un bel suono, anche se la sua conclusione fosse falsa.

La FIGURA di un sillogismo si individua in base alla posizione del termine medio nelle due premesse. Ci sono 4 figure possibili di sillogismo:

• I FIGURA: il medio è soggetto nella premessa maggiore e predicato in quella minore

• II FIGURA: il medio è soggetto in entrambe le premesse

• III FIGURA:  il medio è predicato im entrambe le premesse

• IV FIGURA: il medio è predicato nella premessa maggiore e soggetto in quella minore

Il MODO di un sillogismo  si individua in base al tipo di proposizione (universale o particolare, affermativa o negativa) delle due premesse e della conclusione. Ci sono 256 possibili combinazioni, 64 per ognuna delle 4 caselle del quadrato delle opposizioni, anche se le più importanti sono i 4 MODI AUTO-EVIDENTI:

• MODUS BARBARA (AAA)

• MODUS CELARENT (EAE)

•.MODUS DARII (AII)

• MODUS FERIO (EIO)

in cui ogni vocale identifica il tipo di proposizione delle due premesse e della conclusione.

3 - LE ALTRE SCIENZE

LA PARTIZIONE DELLE SCIENZE - Aristotele distribuisce le scienze in tre grandi gruppi: le scienze teoretiche, le scienze pratiche e le scienze poietiche. Le scienze teoretiche hanno carattere contemplativo e comprendono, oltre alla logica e alla metafisica, anche la fisica, la psicologia e l'antropologia. Le scienze pratiche riguardano invece le azioni dell'uomo, i doveri e la morale, e comprendono l'etica e la politica. Le scienze poietiche riguardano invece il "fare" cioè le attività produttive e per questo comprendono la poetica e la retorica.

LA FISICA - La Fisica é la scienza che studia tutti i movimenti: si intende per movimento il passaggio dalla potenza all'atto. Aristotele spiega la necessità di questo passaggio con la STERESI, ossia la mancanza che contraddistingue tutti gli elementi naturali che hanno bisogno quindi di completarsi. Esistono diversi tipi di movimento: la GENERAZIONE e la CORRUZIONE (che riguardano la sostanza individuale); l'ALTERAZIONE (che riguarda la qualità); l'AUMENTO e la DIMINUZIONE (che riguardano la quantità); e infine la TRASLAZIONE (che riguarda il luogo). Tutti i movimenti avvengono nello SPAZIO, che contiene tutta la realtà, e vengono ordinati secondo il TEMPO.
Aristotele divide la natura in due mondi, separati dalla luna; li descrive come due grandi sfere poste rispettivamente sotto la luna (mondo SUBLUNARE) e sopra la luna (mondo SOPRALUNARE). Il mondo sublunare é caratterizzato dal movimento RETTILINEO, che é imperfetto, dalla generazione e dalla corruzione delle sostanze e dalla presenza dei quattro elementi naturali (acqua, terra, aria e fuoco). Il mondo sopralunare è invece caratterizzato dal movimento CIRCOLARE, che è perfetto e che rallenta progressivamente verso l'alto fino ad arrivare al Principio dell'Essere che è immobile. Qui non abbiamo più i quattro elementi ma la QUINTESSENZA, sintesi dei quattro elementi naturali. Il Principio dell'Essere non é soggetto al tempo ma allo stesso tempo non é il creatore del tempo: per Aristotele infatti il tempo, come lo spazio, deve venire prima di tutte le cose.

LA PSICOLOGIA - La Psicologia é la scienza che studia l'anima. Aristotele distingue l'anima in tre facoltà: anima VEGETATIVA, anima SENSITIVA e anima INTELLETTIVA o RAZIONALE. L'anima vegetativa ë alla base della gerarchia delle anime. Essa é presente in tutti gli organismi viventi e sovrintende alle funzioni vitali fondamentali (sviluppo, riproduzione, nascita). L'anima sensitiva é presente negli animali e nell'uomo e sovrintende alle funzioni sensoriali, necessarie per relazionarsi con l'ambiente. L'anima intellettiva é invece specifica dell'uomo e sovrintende il pensiero, cioè la facoltà più elevata dell'essere umano. L'uomo é dotato di due intelletti: uno PASSIVO, che rappresenta la possibilità di pensare, e uno ATTIVO, che comprende tutti i pensieri che sono stati prodotti. L'intelletto passivo muore insieme al corpo, mentre l'intelletto attivo, cioè il pensiero dell'uomo, sopravvive dopo la morte.

L'ETICA - L'Etica si occupa di tutte le azioni umane. Aristotele opera una distinzione tra il concetto di BENE e il concetto di VIRTÙ: il bene ha infatti un significato relativo e utilitaristico, mentre la virtù comprende i comportamenti umani. Aristotele suddivide le virtù in due grandi gruppi: le virtù ETICHE e le virtù DIANOETICHE. Le virtù etiche (come il coraggio, la temperanza, l'amicizia e la giustizia) riguardano strettamente le azioni umane che devono essere equilibrate. Le virtù dianoetiche (la conoscenza, la sapienza, la saggezza e l'arte) sono le virtù più elevate che devono guidare i comportamenti dell'uomo verso la perfezione.

LA POLITICA - Le virtù devono accompagnare tutte le azioni del cittadino e per questo sono fondamentali anche nella Politica. Aristotele considera l'uomo un animale politico perché vive in comunità e tutte le azioni dei cittadini devono essere rivolte al bene della comunità. Aristotele individua tre forme di governo della comunità: il governo di uno solo (MONARCHIA), il governo dei migliori membri della comunità (ARISTOCRAZIA), e il governo del popolo (POLITIA o DEMOCRAZIA). A queste tre forme di governo Aristotele oppone tre forme degenerate, chiamate rispettivamente TIRANNIDE, OLIGARCHIA e DEMAGOGIA. Egli considera la migliore guida per la comunità il ceto medio.

L'ESTETICA - Aristotele attribuisce molta importanza alle scienze poietiche e all'arte in particolare, e in questo si contraddistingue da Platone. Il concetto fondamentale nelle scienze poietiche é quello di VEROSIMILE, ossia il rispetto di ciò che esiste in natura: per Aristotele infatti l'arte può sconfinare anche nell'irrazionale pur mantenendo uno stretto legame con la natura. L'Estetica si suddivide in due grandi scienze: la POETICA, che comprende tutte le produzioni artistiche, e la RETORICA, che si occupa più in particolare del linguaggio. Le forme di espressione artistica come la tragedia e la commedia hanno per Aristotele una valenza CATARTICA, cioè di purificazione.
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KANT

1 - IL CRITICISMO

IL PERIODO PRE-CRITICO - Nella vita di Kant c'è una data fondamentale: il 1770. È l'anno di pubblicazione della sua celebre DISSERTAZIONE, l'opera che segna la cosiddetta SVOLTA CRITICA del filosofo. Nel periodo precedente, il giovane Kant, dopo una essere stato obbligato nel corso dei suoi studi ad avventurarsi sulla strada incerta della metafisica di Leivmbnitz e di Aristotele, scopre le scienze, e si appassiona a Newton e a Hume. Sopratutto è d'accordo con Hume circa l'impossibilità di dimostrare l'esistenza di una causa, di cui non è visibile lil collegamento con l'effetto. A differenza di Hume Kant cerca una risposta "scientifica" alla domanda "è possibile la metafisica?".
Il problema nasce quando Kant faceva l'insegnante:una sua giovane allieva, Charlotte, era rimasta colpita da un saggio (ARCANA COELESTIA, cioè "I misteri celesti") scritto da EMMANUELSWEDENBORG, un occultista svedese molto noto all'epoca. Kant, incuriosito dal libro, lo legge e inizia a scrivere così I SOGNI DI UN VISIONARIO, saggio in cui descrive la metafisica come un luogo pericoloso e incerto, che l'uomo non puó conoscere non avendo gli strumenti adatti: i soli strumenti disponibili all'uomo per conoscere sono infatti i SENSI.
Tuttavia, dice Kant, per quanto la metafisica non sia REALE, è reale lo sforzo che l'uomo compie per indagarla.

LA SVOLTA CRITICA - Nel 1770 Kant scrive la DISSERTAZIONE e cerca un metodo di indagine per studiare la possibilità della metafisica come scienza. Non potendo fidarsi del PIANO OGGETTIVO, condizionato dal legame tra causa ed effetto (impossibile da dimostrare e che si puó solo supporre) Kant compie una vera e propria RIVOLUZIONE COPERNICANA, abbandonando lo studio dell'oggetto (come da tradizione scientifica) e decide di iniziare la sua indagine dal PIANO SOGGETTIVO, ossia dall'uomo (il soggetto che conosce l'oggetto). Questa  prospettiva si chiama TRASCENDENTALE (studio del soggetto che conosce l'oggetto) ed è rivoluzionaria proprio come lo fu la teoria eliocentrica di Copernico.
Kant si impegna dunque a "criticare" la metafisica partendo dall'uomo, cioè dal soggetto conoscente.

I GIUDIZI - La conoscenza della Natura si esprime con ik GIUDIZIO, ossia una proposizioneCATEGORICA (che afferma oppure nega) costituita da un SOGGETTOe da un PREDICATO uniti dalla COPULA (una delle voci del verbo essere: è, sono, ecc.). Aristotele nella sua Logica divideva le proposizioni tra universali e particolari, ma Kant non è sicuro della validità universale di un giudizio (neanche di quelli della matematica e della fisica) e così li sottopone all'indagine critica. Ci sono due tipologie di giudizio: ANALITICO e SINTETICO.Nei giudizi analitici il predicato non aggiunge nulla di nuovo al soggetto (per esempio:  il corpo è esteso, il ghiaccio è gelato, il fuoco è caldo). Nei giudizi sintetici invece il predicato aggiunge un elemento nuovo che non faceva parte del soggetto (per esempio: il banco è sporco, la sedia è rotta). I giudizi sintetici possono essere derivati dall'esperienza (goudizi sintetici A POSTERIORI) o venire prima dell'esperienza (giudizi sintetici A PRIORI): questi ultimi sono LEGGI UNIVERSALI, come quelle della matematica o della fisica.
L'indagine critica di Kant mette in dubbio proprio la possibilità della matematica e della fisica (cioè i giudizi sintetici a priori) perchè non sono aiutati dall'esperienza: se io faccio bollire l'acqua io vedo che quando arriva a 100 gradi evapora, ma come faccio a dimostrare la validità di una legge matematica o fisica che non hanno l'esperienza come supporto? Il criticismo kantiano si sviluppa su queste tre domande:
1) è possibile la matematica pura?
2) è possibile la fisica pura?
3) è possibile la metafisica come scienza?
Kant risponde a queste domande con la CRITICA DELLA RAGION PURA.

2 - LA CONOSCENZA

L'OPERA - Il problema della conoscenza è affrontato da Kant nella CRITICA DELLA RAGION PURA.  Tutta la nostra conoscenza,scrive Kant, inizia dall'ESPERIENZA, tuttavia non tutta la conoscenza deriva dall'esperienza: la matematica, la fisica e (sopratutto) la metafisica non si basano infatti sull'esperienza, ma su GIUDIZI SINTETICI A PRIORI. Kant intende dimostrare con la Critica della Ragion Pura la possibilità di una conoscenza basata su questi giudizi e suddivide l'opera partendo dalle tre fonti ddella conoscenza:
1) la sensibilità, descritta nell'ESTETICA TRASCENDENTALE
2) l'intelletto, descritto nell'ANALITICA TRASCENDENTALE (prima parte della LOGICA TRASCENDENTALE)
3) la ragione, descritta nella DIALETTICA TRASCENDENTALE (seconda parte della LOGICA TRASCENDENTALE)

LA SENSIBILITÀ - La conoscenza sensibile inizia dalle RAPPRESENTAZIONI, ossia dalle informazioni trasmesse dai 5 organi di senso. L'unione delle varie rappresentazioni sensibili costituisce il FENOMENO, che è il modo in cui la realtà appare al soggetto conoscente. La comparsa dei fenomeni  è possibile grazie a due elementi:
• lo SPAZIO, cioè il luogo dove avvengono i fenomeni e dove si trovano tutte le dimensioni geometriche;
• il TEMPO, cioè l'ordine di successione dei fenomeni, in cui sono comprese tutte le misure aritmetiche che ne indicano la durata.
Spazio e tempo non solo sono necessari, ma devono esserci prima dei fenomeni. Così Kant dimostra la possibilità della matematica pura.

L'INTELLETTO - il soggetto non si limita a ricevere dei dati dall'esterno, grazie ai 5 sensi, ma ha la facoltà di pensare, cioè di unificare questi dati formulando i GIUDIZI: pensare significa infatti giudicare, unendo un soggetto e un predicato con una copula (per esempio: questo banco è sporco). Poichè le sensazioni sono sempre soggettive, anche il giudizio è soggettivo. Per renderlo universale e quindi valido sono necessari 3 elementi:

• le CATEGORIE o CONCETTI PURI DELL'INTELLETTO, strutture necessarie per classificare i giudizi;
• l'IO PENSO o APPERCEZIONE TRASCENDENTALE, funzione in grado di autorizzare l'uso corretto delle categorie;
• lo SCHEMA TRASCENDENTALE, che costituisce l'insieme delle regole che l'Io Penso deve seguire per autorizzare l'uso delle categorie.

L'intelletto è il legislatore della Natura: esso infatti pensa i fenomeni per come gli appaiono. Così Kant dimostra anche la possibilità della fisica pura.

LA RAGIONE - Malgrado i limiti imposti dalla sensibilità, la ragione, a differenza dell'intelletto, cerca di pensare (cioè di giudicare) anche dove non è possibile e questo produce le ANTINOMIE (cioè la compresenza di due tesi opposte nel ragionamento) ed i PARALOGISMI (cioè gli errori alla base di un ragionamento falso). Per giudicare la ragione non usa le categorie e l'Io Penso ma altri due elementi:

• le IDEE (di anima, di mondo e di Dio), oggetti del pensiero che non corrispondono a fenomeni, e per questo non dimostrabili;
• i SILLOGISMI (categorico, ipotetico e disgiuntivo), regole di ragionamento non corrette a causa dell'impossibilità di verificare la loro validità universale.
La metafisica non è dunque possibile. Tuttavia le sue idee hanno un uso REGOLATIVO: servono a delimitare i confini dell'esperienza e a tentare di superarli.

3 - LA MORALE  E  L'ARTE

LE OPERE - Il problema gnoseologico è solo uno dei temi speculativi affrontati da Kant. Oltre al problema della conoscenza trattato nella Critica della Ragion Pura e nei Prolegomeni (ad ogni futura metafisica che si vorrà presentare in quanto scienza), Kant affronta altri ambiti di riflessione:
• la morale e le azioni dell'uomo;
• l'arte e i giudizi non conoscitivi;
• la storia e la politica.
Il tema della morale viene trattato in altre due opere: la FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI COSTUMI e la CRITICA DELLA RAGION PRATICA. A queste due opere viene affiancata anche LA RELIGIONE NEI LIMITI DELLA RAGIONE.
Il tema dell'arte e del giudizio riflettente è trattato nella CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO coeva di altri scritti minori di ambito storico, politico e sociale.

LA MORALE - L'esigenza di una fondazione critica della morale nasce dal fatto che le azioni degli uomini non seguono un criterio universale. La morale deve essere AUTONOMA, cioè deve essere priva di qualsiasi finalità. Kant descrive la morale come un DOVERE PER IL DOVERE e questo vuol dire che seguire la legge morale non è come rispettare  le leggi per non andare in prigione o essere un buon cristiano o fare di tutto per essere felici: alla legge morale universale si DEVE solo ubbidire.
Kant opera una netta distinzione tra le MASSIME, le scelte che valgono solo per il singolo (facoltative) e le LEGGI, che invece valgono per tutti e perció sono dette IMPERATIVI (obbligatorie). A loro volta gli imperativi sono distinti tra imperativi IPOTETICI (che cioè hanno uno scopo: se vuoi essere promosso allora devi studiare) e imperativi CATEGORICI (che sono privi di uno scopo: DEVI studiare!).
L'uomo è in bilico tra due mondi: uno dominato dai sensi e uno dominato dalla morale. A differenza della conoscenza (dove l'Io Penso e le categorie ci obbligano a usare le regole dello schema) a livello pratico l'uomo è LIBERO di rispettare la legge morale universale: non avendo la certezza dell'esistenza delle idee (Anima, Mondo e Dio) l'uomo non si sente infatti tenuto a seguire un imperativo categorico. Per risolvere il problema Kant ricorre ai cosiddetti POSTULATI della ragion pratica:
• l'immortalità dell'anima;
• la libera causalità del mondo;
• l'esistenza di Dio.
I postulati, che non devono essere dimostrati, hanno un uso NORMATIVO, servono cioè solo a regolare i comportamenti umani.

L'ARTE - Il sentimento di piacere e di dispiacere non si basa su premesse universali e il giudizio che lo esprime è di natura RIFLETTENTE. A differenza del giudizio DETERMINANTE (cioè di conoscenza) che usa le categorie e contiene sia il particolare sia l'universale, il giudizio riflettente contiene solo il particolare (una scultura, un dipinto o un brano musicale) e l'universale si deve ricavare con la riflessione (da cui il nome). Il giudizio riflettente è di due tipi:
• il giudizio ESTETICO, che ha a che fare col gusto;
• il giudizio TELEOLOGICO, che ha a che fare con i fini delle cose.
Il giudizio estetico si esprime sul BELLO (ció che piace al singolo) o sul SUBLIME (ció che va ben oltre il gusto).
Il giudizio teleologico si esprime sulla natura, paragonata da Kant a un ORGANISMO in cui ogni parte ha un ruolo preciso  e di cui l'uomo è l'elemento fondamentale. Kant dà molta importanza alla storia dell'uomo e applica il concetto di organismo alla società e allo Stato, dove tutti i cittadini svolgono il proprio compito. Kant è molto interessato al progetto federativo attuato dagli Stati Uniti d'America e auspica una comunità di uomini liberi ed uguali. È questa comunità che Kant considera la vera Chiesa. La religione kantiana è diversa perchè non ha bisogno di riti e non è divisa ma è realmente una. Essa si fonda sulla legge morale incarnata dal Cristo. La storia umana inizia da Adamo. È dalla cacciata di Adamo ed Eva dall'Eden che Kant fa iniziare il progresso razionale dell'umanità.
L'evoluzione umana sarà completata quando tutti gli uomini si riconosceranno in una sola Chiesa universale.

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HEGEL

1 - LA DIALETTICA HEGELIANA

IL GIOVANE HEGEL - Hegel fu uno studente metodico e pignolo, quasi ossessivo, tanto da elaborare un originale sistema di classificazione basato su schede, che poi avrebbe usato per tutta la vita. Si era avvicinato all’Idealismo grazie alla sua amicizia con Schelling, e, come tanti filosofi del periodo concentrò il suo interesse per i temi religiosi, sopratutto sulla vita di Gesù nel suo ruolo “unificatore” nella riconciliazione tra il Dio degli Ebrei e il Popolo. Come tutti i filosofi romantici anche il giovane Hegel cercava la conoscenza della realtà nella sua totalità, ma dal punto di vista religioso Dio e il Popolo erano molto lontani: il primo era irascibile e punitivo, il secondo era confuso dai riti e dalle cerimonie, che dimostravano i tentativi degli uomini di raggiungere qualcosa di troppo perfetto e irraggiungibile. Hegel si rese presto conto che la religione non avrebbe mai potuto garantire l’unificazione del reale, e pertanto l’interesse si spostò alla filosofia.
Come per il suo predecessore Kant, che nel 1770 pubblica la celebre DISSERTAZIONE che segna il suo definitivo passaggio alla fase critica, anche Hegel è protagonista di una svolta speculativa che avviene nel 1800 con la pubblicazione del FRAMMENTO DI SISTEMA. Si tratta dell’opera che di fatto indirizza la filosofia hegeliana verso la nuova prospettiva dialettica.

LA DIALETTICA - La dialettica intesa da Hegel non ha nulla a che fare con la dialettica della filosofia antica: Hegel si propone infatti una vera e propria rifondazione della filosofia non come semplice metafisica ma come realtà essa stessa. La filosofia, dice Hegel, in polemica con i filosofi romantici, è come la NOTTOLA DI MINERVA, la civetta che giunge al crepuscolo quando il giorno volge ormai al termine. La filosofia è dunque paragonata da Hegel a questo animale notturno, arriva solo dopo che la realtà si è compiuta e deve darne una spiegazione. Una normale metafisica fallirebbe. La novità della dialettica hegeliana è che essa costituisce non solo il METODO per conoscere la realtà ma al tempo stesso il CONTENUTO, cioè lo sviluppo del reale, ossia di tutto ciò che è.

FINITO E INFINITO - Hegel descrive la realtà come un INFINITO DINAMICO. Questa definizione incarna la concezione romantica di ASSOLUTO già presente in Fichte e Schelling, ma, a differenza dei precedenti filosofi, Hegel vuole evitare qualsiasi frammentazione del reale, che è quindi una totalità, un intero, e allo stesso tempo una continua attività (non si deve usare la parola “creazione” perché altrimenti ciò presupporrebbe un prima e un dopo). Il traguardo della dialettica hegeliana è dunque LA RISOLUZIONE DEL FINITO NELL’INFINITO.
Se il reale è considerato un infinito e dinamico, il pensiero è invece finito, chiuso e determinato. La difficoltà di tutti i filosofi soggettivisti è quella di conciliare l’essere col pensiero. La difficoltà consiste nella separazione tra “ciò che è pensato (con tutte le pretese della ragione)” e “ciò che è (attraverso i sensi)”. Questa differenza produce una SCISSIONE che ha messo in crisi tutte le filosofie precedenti: Fichte si era trovato costretto ad ammettere un IO DIVISIBILE che doveva essere ricomposto per evitare il rischio di una frammentazione dell’Assoluto; Schelling addirittura pretendeva di cogliere l’Assoluto in modo totale e immediato, come se al suo interno non esistessero tanti “finiti”. Hegel si prende gioco dell’amico Schelling, paragonando la sua concezione di Assoluto a una notte nera in cui tutte le vacche sono nere. Né Fichte né Schelling riescono dunque a ricomporre questa scissione che pregiudica la totalità del reale. Per risolvere questa scissione e giustificare dunque la risoluzione del finito nell’infinito, Hegel utilizza appunto il metodo dialettico, che viene esteso a tutte le parti del reale. I due pilastri di questo metodo sono LA COINCIDENZA DI REALE E IDEALE ed il concetto di SUPERAMENTO.

LA COINCIDENZA DI RAZIONALE E REALE - L’identità di essere e pensiero è la grande rivoluzione della dialettica hegeliana: tutto ciò che è reale è razionale, scrive Hegel nei suoi LINEAMENTI DI FILOSOFIA DEL DIRITTO, e tutto ciò che è razionale è reale. Essere e pensiero sono la stessa cosa, ideale e reale coincidono. La cancellazione della separazione tra essere e pensiero garantisce la risoluzione del finito nell’infinito. Ma l’infinito è dinamico: la realtà si svolge continuamente e dialetticamente in una incessante attività, producendo sempre nuovi finiti. Hegel prende le distanze da Schelling ma si trova come Fichte davanti a una serie di nuove scissioni, data l’infinita attività dell’Assoluto.

IL CONCETTO DI SUPERAMENTO - L’infinito dinamismo del reale presuppone uno svolgimento dialettico che avviene attraverso tre fasi interdipendenti l’una dalle altre:

la TESI, che corrisponde all’essere in sé, il punto di partenza dell’azione dialettica, il momento positivo e determinato in cui una cosa “è”;

l’ANTITESI, che corrisponde all’essere fuori di sé, il momento cruciale dell’azione dialettica che nega il momento precedente e presuppone la diversità dell’essere rispetto a prima;

la SINTESI, la vera novità della dialettica hegeliana, che corrisponde all’essere “in sé e per sé” poiché risolve la separazione tra tesi e antitesi.

Il ruolo della sintesi è fondamentale perché evita alla filosofia hegeliana di incorrere nella divisibilità dell’Io già presente in Fichte. La realtà si svolge dunque - dialetticamente - in un continuo succedersi di tesi, antitesi e sintesi, dove ogni sintesi è a sua volta la tesi di un nuovo processo triadico. L’elemento che garantisce la continuità tra questi tre momenti è il SUPERAMENTO (in tedesco AUFHEBUNG, dal verbo Aufheben che significa conservare). Superare significa proprio “conservare ciò che era in precedenza”: in tal modo ogni fase della dialettica non “trasforma” l’essere con elementi nuovi e perciò tutto ciò che è finito è RISOLTO nell’infinito. Per esempio:

TESI: un cubetto di ghiaccio tolto dal congelatore;
ANTITESI: fuori dal congelatore il cubetto si scioglie;
SINTESI: passaggio dell’acqua dallo stato solido a quello liquido.

CONCLUSIONI - Il metodo dialettico è il solo che garantisce la possibilità di cogliere l’Assoluto evitando  ogni frammentazione: questo è possibile perché la dialettica hegeliana non è solo un metodo per conoscere la realtà, ma è essa stessa la realtà, cioè è sia metodo sia contenuto. La realtà è un infinito dinamico, ossia un tutto, un intero, che però si muove. Il pensiero invece è finito perché si riferisce a una parte di questo tutto. Ma la dialettica hegeliana ricompone questa separazione affermando che TUTTO IL FINITO SI RISOLVE NELL’INFINITO. Questa risoluzione è resa possibile da due elementi: l’identità di razionale e di reale (essere e pensiero sono la stessa cosa) e il concetto di superamento. La realtà si svolge dialetticamente in un processo infinito, scandito da tre fasi (tesi, antitesi e sintesi), collegate tra loro dal superamento, ossia la conservazione di tutto ciò che viene prima. In questo modo la realtà (infinito), sebbene colta col pensiero (finito) solo in parte, non è mai divisa.

2 - LA STORIA DELLO SPIRITO

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO - Si tratta della prima delle due opere fondamentali di Hegel. A differenza dell’ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE non ha un carattere scientifico e sistematico ma è un vero e proprio romanzo: per essere esatti viene definita un ROMANZO DI FORMAZIONE (in tedesco Bildungroman) perché racconta le tappe di formazione dello Spirito, lo stadio dialettico ultimo e definitivo, corrispondente al SAPERE ASSOLUTO della FILOSOFIA, che è il solo a consentire una conoscenza totale dell’Assoluto, senza scissioni, senza divisioni, senza frammentazioni, intera e completa. Con la Fenomenologia Hegel prende le distanze da Schelling, che sosteneva la possibilità di cogliere l’Assoluto in modo immediato, tutto quanto insieme, come se la realtà fosse una specie di impasto disordinato di tutti i vari finiti (le famose vacche nere nella notte nera, un tutto indistinto appunto); per contro Hegel descrive un percorso, che conduce al sapere assoluto, e che si snoda attraverso 3 tappe: la COSCIENZA, l’AUTOCOSCIENZA e la RAGIONE, seguite infine dallo SPIRITO. Essendo una storia dello Spirito Hegel fa uso della stessa scansione della storia umana, spiegando l’evoluzione dei singoli e delle comunità umane dall’antichità al Romanticismo, il periodo storico decisivo per la manifestazione (fenomenologia significa proprio “studio sulla manifestazione”) dello Spirito. Si tratta di un viaggio verso la libertà, viaggio necessario perché gli uomini non sanno di essere liberi e attendono la manifestazione dello Spirito per rendersi consapevoli di non avere limiti e accedere dunque al Sapere Assoluto.

LA COSCIENZA - La prima tappa della formazione dello Spirito è la COSCIENZA INDIVIDUALE. Individuale perché è SOGGETTIVA. In questa tappa non trovano posto altre coscienze, esiste solo l’Io, come un feto nel grembo materno che non sa dell’esistenza di altri esseri, come ignora l’esistenza di una realtà esterna e diversa. Hegel paragona la coscienza alla sensibilità kantiana, condizione obbligata del soggetto ma ovviamente limitata e incompleta. L’individuo è illuso di essere libero ma è una libertà effimera.

L’AUTOCOSCIENZA - La seconda tappa della formazione dello Spirito è l’AUTOCOSCIENZA, ossia l’antitesi della coscienza individuale. Si tratta del momento in cui la coscienza individuale scopre di non essere l’unica coscienza. Il momento è cruciale e drammatico, perché la coscienza era infatti convinta di essere singola: un po’ come il neonato che scopre non solo l’esistenza della mamma ma anche di altri esseri. La coscienza individuale è egoista e non accetta che ci sia un ALTRO, che ci sia una SCISSIONE, essendo convinta che la sola realtà fosse quella individuale e soggettiva, e iniziano i tre tentativi per ricomporre questa frattura, rappresentati da tre figure storiche: servitù e padronato (antichità), stoicismo e scetticismo (periodo ellenistico) e la mistica medioevale.

Servitù e padronato - La prima fase dell’autocoscienza è una vera e propria lotta di potere. Tutte le coscienze si scontrano e una sola vince, le altre o muoiono o si devono arrendere. Nascono così nell’antichità le due figure storiche del SERVO e del PADRONE. Diversamente da quello che si potrebbe pensare è il servo ad avere più possibilità del padrone: infatti il padrone potrebbe anche uccidere tutti i suoi schiavi ma resterebbe senza servitori, mentre un servo si può emancipare ed essere libero oppure trovare un nuovo padrone da servire. Ma il servo ignora di avere questo vantaggio e continua a servire senza mai disattendere gli ordini del padrone. Il primo tentativo di risoluzione fallisce ed Hegel sposta la sua attenzione a un altro periodo della storia umana, quello della sovranità macedone sulla Grecia, periodo in cui si sviluppano le filosofie ellenistiche, incentrate sui limiti dell’uomo.

Stoicismo e Scetticismo - La seconda fase dell’autocoscienza riguarda proprio la filosofia stoica e scettica: si tratta di concezioni negative, orientate all’apatia (assenza di dolore), atarassia (assenza di turbamento), aponia (assenza di sofferenza spirituale), aprassia (assenza di volontà d’agire) e afasia (assenza di volontà di parlare). Il saggio stoico era consapevole dell’ineluttabilità del destino e della necessità dell’eterno ritorno dei cicli cosmici, sempre uguali ogni trecento anni; il saggio scettico era convinto dell’inutilità della ricerca a causa di una vera possibilità di conoscere il mondo e di accedere a un criterio oggettivo di verità. Le risposte di queste filosofie sono radicali: per lo Stoicismo l’uomo avrebbe dovuto vivere nascosto dal mondo e da ogni cosa che gli avesse potuto arrecare dolore, per lo Scetticismo era sufficiente arrendersi a una conoscenza parziale della realtà ed evitare sopratutto di usare delle parole per descriverla, tanto nessuna parola sarebbe servita. Il determinismo fatalistico stoico e il nichilismo scettico testimoniano per Hegel l’atteggiamento rinunciatario di un’umanità che aveva tutte le possibilità di liberarsi dal dubbio. Hegel infatti nutriva una profonda ammirazione per la cultura greca, sopratutto per il ruolo del cittadino (il politico, ossia colui che appartiene alla polis e non che semplicemente ci abita). Purtroppo il mondo greco disperde questo patrimonio, dissipandolo inutilmente nell’individualismo e nel bieco utilitarismo l’esperienza delle poleis del V secolo e fallendo così il secondo tentativo di superare le divisioni del mondo. A questo punto Hegel si rivolge al Cristianesimo medioevale, terza e ultima figura storica dell’autocoscienza.

La mistica medievale - La riconciliazione tra uomo e Dio, rappresentata dalla mistica medievale, è la terza e ultima figura storica dell’autocoscienza. Il mistico cerca Dio nella preghiera e nell’ascesi, consapevole di ricomporre finalmente le divisioni del mondo, ma non sa (per ora) che quel che sta cercando in realtà lo possiede già. La coscienza è infelice, perché nonostante gli sforzi non riesce a ricongiungersi all’Assoluto: non può sapere che tutto il finito si risolve nell’infinito perché ancora non ha raggiunto il sapere assoluto (che può essere raggiunto solo dallo Spirito).

Nessuna delle tre figure storiche dell’autocoscienza è dunque in grado di ricomporre la separazione tra oggettivo e soggettivo, finito e infinito, ideale e reale. Hegel affronta una nuova tappa della formazione dello Spirito, la RAGIONE, che caratterizza il periodo storico compreso tra il Rinascimento e l’Illuminismo.

LA RAGIONE - La filosofia dell’età moderna lascia dietro di sé il buio dogmatico della Scolastica medioevale, schiava della teologia e asservita alla Chiesa, e scopre la conoscenza scientifica della Natura come ordine misurabile. La ragione si prende dunque la sua rivincita sulla fede ma è ancora soggetta al carcere sensibile, che la limita e la riporta alla realtà. La tappa della ragione si sviluppa come l’autocoscienza attraverso tre stadi: la ragione osservativa, la ragione attiva e la libertà individuale.

La ragione osservativa - Il primo stadio della ragione riguarda la CERTEZZA SENSIBILE. La ragione si considera onnipotente ma le sue pretese vengono limitate dai sensi a cui deve rendere conto.

La ragione attiva - Il secondo stadio della ragione riguarda il SENTIMENTO. La ragione cerca di affrancarsi dai sensi ma il suo tentativo di unificare l’Assoluto viene ancora una volta vanificato dalla pretesa di cogliere la totalità in modo immediato: il romantico desidera tutto e subito, senza concedere nulla alla finitezza, e rimane deluso.

L’Io - Il traguardo della ragione è la conquista della libertà individuale, che si sviluppa a sua volta in tre momenti. Nel primo momento abbiamo un’individualità quasi animalesca, fondata sulla volontà bruta e oscura. Nel secondo momento interviene il diritto, che regola gli egoismi della volontà individuale. Infine il compimento della libertà arriva con la consapevolezza dell’appartenenza allo Stato, che per Hegel è un vero e proprio Dio reale, autoritario e assoluto. Hegel critica la morale kantiana, formale e rigorosa, che l’uomo DEVE seguire come si ubbidisce a una legge (dovere per il dovere). Hegel nota come la legge morale universale di Kant sia estranea all’uomo. Così Hegel guarda al mondo greco, dove il cittadino (il politico) era parte dello Stato e non doveva ubbidire alle leggi per dovere, ma perché erano le regole della comunità (come la lingua, le tradizioni, la cultura).

CONCLUSIONI - Il traguardo della della storia dello Spirito coincide col SAPERE ASSOLUTO, risolutore del conflitto tra la soggettività e l’oggettività. Questo obiettivo poteva essere raggiunto solo dalla filosofia romantica (in realtà è strettamente auto-referenziale perché si riferisce quasi esclusivamente al suo pensiero, escludendo Fichte e Schelling). Hegel vede nella sua epoca il compimento della formazione dello Spirito, punto di partenza della vera conoscenza dell’Assoluto. Hegel si pone il problema di spiegare adesso le tappe di questa conoscenza.

3 - IL SISTEMA HEGELIANO

LE OPERE SISTEMATICHE - I fondamenti del sistema hegeliano si trovano in due opere. La prima è la SCIENZA DELLA LOGICA, che inizia proprio dalla formazione dello Spirito, necessaria a COMINCIARE la conoscenza. L’opera, suddivisa in due volumi (LOGICA SOGGETTIVA, che comprende la DOTTRINA DELL’ESSERE e la DOTTRINA DELL’ESSENZA, e la LOGICA OGGETTIVA, che comprende solo la DOTTRINA DEL CONCETTO), è la “pietra angolare” del sistema hegeliano, perché descrive la nascita dell’IDEA, che non è un semplice pensiero ma è la coincidenza di essere e di pensiero. Spiegare cosa è l’idea è fondamentale per comprendere l’intero sistema hegeliano: nel suo stadio iniziale, l’idea “in sé” (la LOGICA, appunto), essa non sarebbe conoscibile perché ancora VUOTA. L’opera più completa che descrive l’intero sistema è sicuramente l’ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE. Si tratta di un compendio, tipico strumento utilizzato a quei tempi dai docenti delle Università tedesche per raccogliere i contenuti delle proprie lezioni a beneficio dei propri studenti. Hegel ne scrive uno che poi fa pubblicare come dissertazione vera e propria. L’opera comprende la SCIENZA DELLA LOGICA di cui sopra, a cui si aggiungono la FILOSOFIA DELLA NATURA e la FILOSOFIA DELLO SPIRITO.

LA SCIENZA DELLA LOGICA - Nel sistema hegeliano la Logica corrisponde come già detto all’Idea “in sé”. Il problema che Hegel si pone inizialmente è quello del COMINCIAMENTO: è infatti fondamentale per Hegel sapere come COMINCIA la conoscenza. La Logica hegeliana è molto diversa dalle altre logiche, come quella aristotelica o quella kantiana. La sua originalità consiste nel suo carattere NEGATIVO. Hegel affida un ruolo centrale all’antitesi, perché rappresenta la diversità, pur senza perdere la continuità dell’Assoluto, garantita dalla sintesi. Come comincia un processo conoscitivo? Come si fa a dire che qualcosa “è”?
Prima dell’essere, a differenza di quello che hanno temuto molte filosofie precedenti a quella hegeliana, non c’è il non essere, ma due elementi VUOTI, che non si possono conoscere: l’ESSERE e il NULLA. Sono elementi CHIUSI e INACCESSIBILI in quanto non sono DETERMINATI (non possiamo dire cosa essi siano). Essi hanno lo stesso valore e la stessa importanza, e sono dipendenti l’uno dall’altro. Essi si manifestano alla conoscenza solo quando si attua il DIVENIRE, il passaggio dal nulla all’essere. Il divenire infatti dimostra un cambiamento: questo passaggio ci fa uscire dal momento zero della conoscenza, che adesso può cominciare.

La Dottrina dell’Essere - La prima parte della Logica Soggettiva si occupa del problema del COMINCIAMENTO, rispondendo così alla domanda da cui procede questa fase dell’indagine hegeliana: come inizia la conoscenza? Il passaggio dal nulla all’essere è rappresentato dal divenire: quando una cosa diviene significa che ha un LIMITE che la racchiude e la DETERMINA (per esempio: l’acqua diventa ghiaccio). La prima categoria dell’essere è la qualità, che appunto qualifica una cosa come esistente (per esempio: questo è il cubetto di ghiaccio). Dopo avere qualificato una cosa la conoscenza entra in crisi perché nell’essere le cose sono tante e uguali e diverse (per esempio: nella vaschetta del congelatore ci sono vari cubetti di ghiaccio). La seconda categoria dell’essere è la quantità. Questa categoria NEGA la qualità introducendo il NUMERO e rischiando di confondere la conoscenza. A questo punto è necessaria una terza categoria che serve a mediare il conflitto tra qualità (LA cosa) e la quantità (MOLTE cose uguali tra loro): entra così in gioco la misura. La misura serve a paragonare le cose tra loro mediante il GRADO (per esempio: un cubetto di ghiaccio è più squagliato di un altro o più piccolo).

La Dottrina dell’Essenza - La seconda parte della Logica Soggettiva si pone un altro problema, quello del FONDAMENTO dell’essere. Dopo essersi manifestato, l’essere ha bisogno di riflettere sulla sua condizione, cioè deve “guardarsi dentro”. Questa introspezione si rende necessaria perché senza l’essenza l’essere non ci sarebbe: l’essenza è infatti ciò che sta dietro l’essere che si è appena “reso disponibile” alla conoscenza: è un po’ come se l’essere guardasse la propria immagine riflessa in uno specchio e si riconoscesse. Questa riflessione avviene in tre momenti. Prima di tutto l’essenza si pensa IDENTICA a sé stessa, come un’essenza singola e solitaria. Il pensiero non si può conoscere (a meno che una persona che pensa non dica cosa sta pensando). In un secondo momento l’essenza si riconosce esistente e quindi DIVERSA da tutte le altre essenze. Infine, nel terzo momento, l’essenza si trasforma nella realtà in atto: ogni cosa che “è” esiste in quanto identica a sé stessa (per esempio: il libro è il libro) e diversa dalle altre (per esempio: il libro di filosofia è diverso dal libro di storia). I due aspetti fondamentali dell’essenza sono MATERIA e FORMA: questi due aspetti si uniscono (Hegel dice “precipitano”) nel FONDAMENTO, cioè la realtà in atto, dove tutte le cose sono uguali e diverse tra loro.

La Dottrina del Concetto - La Logica Oggettiva, che contiene solo la Dottrina del Concetto,  affronta il terzo e ultimo problema della Logica hegeliana, quello di rivelare l’INTERO. L’intero è rappresentato dall’IDEA, nella quale essere e pensiero si fondono. L’indagine, così come nelle due dottrine precedenti, è svolta in tre momenti, uno di tipo soggettivo, uno oggettivo e uno risolutivo e sintetico. Il primo momento descrive i tre aspetti tradizionali della logica formale: il CONCETTO LOGICO (cioè i nomi delle cose, i termini, le parole); il GIUDIZIO (cioè la connessione tra i termini attraverso il predicato, quindi la proposizione, la frase), e infine il SILLOGISMO (cioè il discorso logico, l’unione tra le proposizioni). Il secondo momento affronta i tre aspetti della natura, cioè della realtà esterna al pensiero: il MECCANISMO, cioè tutto ciò che riguarda il movimento di una cosa sola; il CHIMISMO, cioè tutto ciò che riguarda i rapporti tra le cose che si muovono; e infine il FINALISMO, che riguarda le conseguenze dei movimenti e le ragioni di esse. Il terzo momento dell’indagine hegeliana sul concetto è dedicato all’IDEA, che riconcilia l’Io e la Natura unendo essere e pensiero, reale e ideale. L’idea è vista da Hegel nelle sue tre forme: quella IMMEDIATA, quella MEDIATA e quella ASSOLUTA, che rivela appunto l’intero.

La rivelazione della totalità dell’intero nell’idea, chiude la Scienza della Logica. Il sistema hegeliano prosegue con la Filosofia della Natura. La Logica hegeliana rappresenta infatti l’idea “in sé” cioè nel suo aspetto individuale, singolo, soggettivo. Adesso l’idea deve farsi “altro da sé” scoprendo l’esistenza di altre idee: il luogo dove avviene questa nuova consapevolezza dell’idea è la natura.

LA FILOSOFIA DELLA NATURA - Hegel non aveva una grande interesse per la natura, perché ai suoi occhi era troppo soggetta ai cambiamenti, e non dava quindi delle garanzie di stabilità. Per questo egli arriva perfino a deridere certi aspetti romantici della natura stessa, come per esempio le albe e i tramonti che affascinavano gli esseri umani, e dedica agli aspetti filosofici un’attenzione frettolosa. Tuttavia egli è costretto a riconoscere alla natura un ruolo centrale nel sistema, in quanto luogo dell’ALIENAZIONE dell’idea. Alienarsi significa diventare altro: l’idea che si è manifestata nella Logica, deve uscire “fuori da sé” e scoprire il mondo confrontandosi con esso. Questo percorso si divide, come sempre, in tre momenti: il primo momento è quello della MECCANICA (da non confondere con l’omonimo aspetto del meccanismo descritto nella Dottrina del Concetto) secondo la quale tutto nella natura è soggetto al movimento; il secondo momento è quello della FISICA, secondo la quale tutti gli elementi naturali sono soggetti a meccanismi di attrazione e di repulsione; il terzo momento infine è quello dell’ORGANISMO, ossia della vita. Hegel distingue qui la vita GEOLOGICA, i minerali, quella VEGETALE, le piante, e quella ANIMALE, gli animali. Il percorso dell’idea sta per concludersi nel momento finale, rappresentato dalla FILOSOFIA DELLO SPIRITO: l’idea, dopo essersi alienata nella natura torna a sé con la consapevolezza di essere parte dell’Assoluto, diventando “in sé e per sé” nella totalità.

LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO - Lo Spirito è il traguardo del percorso dell’idea, che diventa consapevole della propria libertà. Libertà per Hegel non significa anarchia ma riconoscersi parte del tutto: la sua concezione di libertà rispecchia la rigorosa classificazione del suo sistema. Hegel suddivide la Filosofia dello Spirito in tre aspetti: uno SOGGETTIVO e individuale, uno OGGETTIVO e collettivo, e uno ASSOLUTO, che è la sintesi definitiva del sistema.

Lo Spirito Soggettivo - La nascita dell’Io è una tappa fondamentale nella storia dell’idea. Affermare la propria individualità significa infatti poter pensare sé stessi. Ma questo risultato come sempre non è immediato e passa attraverso tre momenti. Il primo è quello dell’ANTROPOLOGIA: è il primo barlume della coscienza, una coscienza ancora oscura, quasi animalesca, priva di razionalità, condizionata solo dalla sensibilità. Il secondo momento è la FENOMENOLOGIA: qui si compie un’evoluzione della coscienza, che dalla sensibilità arriva alla razionalità. Infine il terzo momento è quello della PSICOLOGIA: l’Io, che ha preso coscienza della propria singolarità, diventa consapevole della sua libertà. Questa consapevolezza è ancora limitata, perché l’Io - come la coscienza individuale nella Fenomenologia dello Spirito - non si pone nemmeno il problema dell’esistenza di altri Io: esiste solo lui e basta. Ecco perché è necessario che si compia la sua alienazione nell’oggettività.

Lo Spirito Oggettivo - Il problema della libertà dell’Io attraversa l’intera speculazione hegeliana. La coscienza che si è manifestata nello Spirito Soggettivo non sa ancora cosa significa libertà, in quanto manca di un elemento contrario: per sentirsi veramente libero l’Io deve infatti prendere atto dell’esistenza della sfera sociale, e quindi oggettiva; in caso contrario non ha senso parlare di libertà vera e propria. Lo Spirito Oggettivo si articola in tre momenti: diritto, moralità ed eticità. Il diritto è il riconoscimento del possesso: si tratta di un vincolo importante nel momento in cui l’Io ha a che fare con altre individualità. Poiché tutti sono legittimati a possedere le cose, è necessario che il possesso sia regolato per evitare che ognuno si prenda le cose degli altri. Questa necessità viene superata dalla moralità, il secondo momento dello Spirito Oggettivo: qui si esce dalla sfera individuale e si entra nella sfera sociale. Nella moralità il diritto perde la sua rigorosa importanza perché l’Io si accorge di essere parte della collettività: ma questo sentimento non è ancora spontaneo: la moralità è ancora un dovere, si fa perché “‘è bene”. Il vero compimento della libertà avviene nell’eticità: à qui che l’Io diventa veramente consapevole del suo ruolo sociale. Hegel descrive in questa parte le tre strutture sociali per eccellenza: la famiglia, la società e lo Stato. La famiglia è il primo nucleo sociale, a cui segue la società, che è l’unione di più famiglie. Infine lo Stato, autoritario e assoluto, in quanto fondamentale per il cittadino (possono esistere delle società senza uno Stato ma non uno Stato senza società): è proprio nello Stato che si compie la vera libertà dell’Io. Lo Spirito Oggettivo si manifesta nella STORIA come SPIRITO DEL POPOLO (in tedesco  Volksgeist): la storia è il percorso dello Spirito nelle società umane. Ma non possiamo ancora parlare di una vera totalità perché l’oggettività è ancora un momento di conflitto. La conclusione del percorso dell’Idea avviene infatti nello SPIRITO ASSOLUTO.

Lo Spirito Assoluto -  L’Idea arriva alla conclusione del proprio percorso e si rende consapevole della propria assolutezza. Questa presa di coscienza avviene ancora una volta in tre momenti: l’ARTE, la RELIGIONE e la FILOSOFIA. Questi tre momenti cercano di riflettere l’Assoluto ma solo la filosofia ci riesce. L’arte sarebbe perfetta per riflettere la totalità: all’artista infatti spetta il compito di immaginare e di contemplare l’infinito. Ma l’arte esige uno strumento e un medium creativo: la tela e i pennelli per il pittore, lo strumento musicale per il musicista, il marmo e lo scalpello per lo scultore. Solo il poeta non ha teoricamente bisogno di strumenti: se il pittore non dipinge, se lo scultore non scolpisce, se il musicista non suona, noi non possiamo ammirare nessuna opera d’arte; il poeta potrebbe anche comporre improvvisando o comunque recitare. Ma anche il poeta, se non avesse uno strumento (la sua voce o quella di altri, un libro di poesie, un foglio di carta) non potrebbe far conoscere al mondo i suoi versi. L’arte è - come si vede - inadeguata a riflettere l’Assoluto ma nemmeno la religione viene considerata idonea a questo compito. La religione infatti ha solo una funzione di rappresentazione della totalità: la presenza dei riti, delle preghiere, delle cerimonie tipiche delle religioni che Hegel chiama positive (come il Cristianesimo) dimostrano che il praticante non si sente veramente parte di un Tutto, tanto da invocare la divinità. Solo la filosofia, in quanto dialettica, riflette l’Assoluto come coincidenza di ideale e di reale, di finito e di infinito. Hegel definisce la filosofia una STORIA DELLA FILOSOFIA perché sottolinea in senso dialettico il modo in cui le tappe della storia dello Spirito si svolgono nell’unità del tutto. A questo punto il percorso dell’Idea si rivela in tutta la sua interezza e l’Idea può tornare a sé stessa consapevole di essere parte della totalità.

Piergiovanni Morittu

giovedì 30 marzo 2017

Moduli di Storia - 3

 Storia 3 - Moduli

 C3 - U1
La nascita dell'Europa

1 - LA CAMPAGNA E LE CITTÀ

L'ANNO MILLE

L'anno Mille è considerato storicamente lo spartiacque tra Alto e Basso Medioevo. I due periodi sono assolutamente diversi, sia da un punto di vista politico (la decadenza dell'Impero Romano e quindi la nascita del Sacro Romano Impero) sia economico e sociale (l'affermarsi prima del feudalesimo e poi l'espansione delle città). Da un punto di vista storico è evidente che le caratteristiche principali del Basso Medioevo sono la DECADENZA DEI DUE POTERI UNIVERSALI (Chiesa e Impero) e la formazione di una IDENTITÀ EUROPEA, favorita soprattutto dal consolidamento progressivo di una borghesia cittadina.

LA CAMPAGNA

Il FEUDALESIMO è una caratteristica struttura socio-economica dei Franchi. Non è un caso: il rigoroso rapporto di "commendatio" vincolava di fatto i contraenti a una serie di diritti e di doveri, quasi un'appartenenza, che, secondo molti storici, è alla base del sentimento di individualismo e di libertà  di molte popolazioni europee. La catena feudale consisteva in un rigoroso legame gerarchico che iniziava dal FEUDATARIO, e proseguiva con i livelli inferiori, VASSALLI, VALVASSORI e VALVASSINI, fino ai SERVI DELLA GLEBA, che erano i lavoratori agricoli di proprietà del feudo. Nel corso degli anni si nota come i feudatari aumentino il loro potere e si affranchino dal potere centrale dell'Imperatore. È questo il periodo in cui assistiamo alla  progressiva crescita demografica, e al rinnovamento dell'agricoltura, fonte principale di approvvigionamento della società feudale. La produzione cresce grazie anche all'introduzione della rotazione triennale dei campi (coltivati per un terzo a frumento e segale, per un terzo a orzo e avena, e per un terzo a maggese) e all'utilizzo di nuovi strumenti per il lavoro.
Nel XIII secolo va affermandosi l'istituzione della CAVALLERIA, dapprima come corpo militare, poi come una vera e propria classe sociale. Fonte dell'arricchimento dei cavalieri erano tornei e missioni al servizio dapprima degli Imperatori e dei locali feudatari, e poi della Chiesa secolarizzata, che li trasformò in "milites Christi".

LA CITTÀ

Dopo il Mille si assiste a una rapida espansione delle città, non tanto in Italia e nell'Europa Mediterranea, dove la città era presente da tempo, ma sopratutto nel Nord Europa. Si va formando una nuova classe sociale, la BORGHESIA, costituita da commercianti, proprietari terrieri non appartenenti alla nobiltà e giuristi. Anche i feudatari iniziano ad apprezzare la comodità della vita cittadina. Questa nuova società ha esigenze diverse rispetto alle comunità rurali, a causa dei frequenti spostamenti necessari al commercio. Ben presto le città si affrancarono dal potere signorile, guadagnando la propria autonomia e sviluppando delle leggi a tutela dei commerci e delle proprietà. Un cardine dello sviluppo urbano fu sicuramente la CULTURA laica e religiosa. Dopo il Mille si assiste infatti alla fioritura della cosiddetta Scolastica, ossia la diffusione dell'insegnamento della filosofia, del diritto, e della grammatica, presso le "scholae" ubicate nelle cattedrali, dalle cui "societates" di maestri e studenti nascono le università.  La nascita delle prime università dette non solo nuovo impulso alla cultura, ma ebbe il merito anche di favorire l'esigenza di un sistema del sapere, che condusse al recupero e alla trascrizione dei testi antichi, sopratutto quelli di Aristotele. Un altro cardine dello sviluppo delle città furono i COMMERCI, favoriti in modo particolare dove fossero presenti fiumi navigabili. La differenza di moneta tra una città e l'altra fa nascere la professione del cambiabalute, che assume progressivamente una certa importanza nel corso del XIII secolo.

LE CITTÀ MARINARE

Le prime città a emanciparsi dai poteri signorili furono le città marinare, inizialmente quelle del Nord Europa, legate spesso da vincoli associativi come le città della Lega Anseatica, e poi le repubbliche marinare italiane. La prima città marinara italiana a emanciparsi - dall'Impero Bizantino - fu AMALFI, che riuscì ad affrancarsi già nel IX secolo grazie ai commerci. Il predominio di Amalfi fu interrotto dall'ascesa di PISA, che sostituiva ai commerci un forte apparato militare. Dopo aver attaccato e saccheggiato Amalfi nel 1135, i Pisani iniziano il loro predominio sul Mediterraneo, conquistando diversi avamposti strategici come la Corsica e la Sardegna giudicale. La diretta avversaria di Pisa era GENOVA che, già indipendente dal X secolo, aveva trasformato il proprio apparato amministrativo con un nuovo governo retto da una associazione di armatori e commercianti. Il nuovo governo si era dato regole ben precise e molto rigide, come la scelta di proteggere i propri traffici chiudendo le associazioni mercantili ai non genovesi e impedendo alle navi il trasporto di mercanti stranieri. Il rapido sviluppo dei commerci genovesi provocò l'inevitabile conflitto con Pisa, culminato nello scontro del 1288 nella battaglia della Meloria, che segnò la sconfitta di Pisa e l'inizio della decadenza pisana. La nascita di VENEZIA fu causata dalla discesa dei Longobardi, che obbligarono i locali a rifugiarsi sulle isole della laguna, dando vita a un nucleo urbano retto dapprima da Bisanzio e poi da una classe di magistrati locali chiamati DOGI. Nel corso del X secolo si andò rafforzando l'autonomia cittadina fino al distacco da Bisanzio. In breve tempo Venezia divenne il principale centro commerciale dell'Adriatico, oltre a garantire, grazie alla sua flotta, una barriera protettiva dalle incursioni dei pirati che infestavano il Mediterraneo. Nel 1172 l'elezione dei dogi passò dal popolo a un MAGGIOR CONSIGLIO costituito di 40 membri, che dal 1297 fu chiuso ai membri delle nuove famiglie - SERRATA DEL MAGGIOR CONSIGLIO - trasformando il governo veneziano in una OLIGARCHIA a tutti gli effetti. Nel 1381 Venezia sconfisse Genova nella guerra di Chioggia.

I COMUNI

Il comune nasce intorno all'XI secolo, quando va affermandosi un patto di solidarietà tra gli abitanti delle città, la CONIURATIO, in difesa delle autonomie locali dalle ingerenze dei feudatari. Col tempo, venuta meno questa esigenza, le coniurationes si trasformarono appunto in comuni, regolati da documenti manoscritti chiamati STATUTI, redatti da notai e archiviati. La borghesia dei commerci e dell'artiginato dette vita a CORPORAZIONI (dette anche ARTI in Italia) allo scopo di tutelare gli affari e controllare meglio la concorrenza. Lo sviluppo del comune assunse connotati differenti in tutta Europa. In Italia il comune fu caratterizzato da una maggiore libertà amministrativa e politica rispetto a quelli europei. Esso si affermò soprattutto a Nord, mentre nel Mezzogiorno il comune rivestì solo una funzione amministrativa, essendo il potere feudale molto più forte. A limitare il ruolo politico dei comuni italiani fu l'isolamento, che spesso degenerava in tensioni tra comuni vicini, esponendo i comuni alle mire di realtà politiche più organizzate come l'Impero. A governare il comune era un CONSOLATO, composto da un numero variabile di membri, a mandato annuale, coadiuvati da una assemblea dapprima limitata agli aristocratici e poi aperta alla borghesia, chiamata ARENGO. Va sottolineato che la partecipazione all'arengo era garantita ai soli cittadini iscritti alle ARTI (le corporazioni) e non a tutti indistintamente. La partecipazione alla vita politica era molto vivace. Il ruolo dei consoli era quello di mediare i conflitti ma spesso si lasciavano coinvolgere dalle cause di gruppi di cittadini. Allo scopo di tutelare l'imparzialità molti comuni ricorsero all'arbitrato di un PODESTÀ, spesso proveniente da un altro comune e quindi estraneo alle cause dei conflitti.

2 - LA CHIESA E L'IMPERO

LA CRISI DELLA CHIESA E LA LOTTA PER LE INVESTITURE

Tra i secoli IX e X la Chiesa sente l'esigenza di una separazione tra i poteri temporale e spirituale. Ad avvertire maggiormente questa esigenza furono i monaci benedettini di Cluny a cui si aggiunse un altro ordine, sempre ispirato alla regola di San Benedetto, i Cistercensi (il nome derivava dal toponimo latino Cistercum, poi Citeaux, dove sorgeva l'abbazia dell'ordine). A differenza del monachesimo tradizionale, il nuovo ordine dava maggiore spazio al lavoro. Accanto a questi impulsi di revisionisti del movimento ecclesiale si registra una progressiva crisi interna alla Chiesa. L'elezione pontificia era affidata a un collegio cardinalizio, espressione della volontà popolare e sottoposta all'influenza della nobiltà romana. Per contrastare questa ingerenza un gruppo di cardinali dissidenti elesse a Siena l'anti-papa Niccolò II, che, con l'appoggio delle milizie imperiali riuscì a cacciare il papa Benedetto X, voluto proprio dalla nobiltà romana. Raggiunto il soglio pontificio Niccolò II convocò il sinodo dei vescovi in Laterano per deliberare l'autonomia dell'elezione pontificia dal volere popolare. Tuttavia l'appoggio dato dall'imperatore costituiva un vincolo ulteriore.  Nel 1073 il nuovo pontefice, l'ecclesiastico riformatore ILDEBRANDO DI SOANA fu eletto per acclamazione popolare col nome di Gregorio VII. Il nuovo papa emanò un documento fondamentale che svincolava l'elezione del pontefice da qualsiasi diritto di veto, nobiliare e imperiale: il DICTATUS PAPAE ammetteva non solo la superiorità della Chiesa, ma anche la sua infallibilità, attribuendo pertanto alla sola Chiesa di Roma il diritto all'investitura dei vescovi, sottraendola all'Imperatore. Il Dictatus Papae, sottraendo il controllo dell'elezione dei vescovi all'Imperatore, riaccendeva il conflitto tra i due poteri universali.
La LOTTA PER LE INVESTITURE era già scoppiata nei secoli precedenti, ma tornò a inasprirsi quando l'Imperatore ENRICO IV DI SASSONIA cercò di far valere la sua autorità sui nobili tedeschi fedeli al papa Gregorio VII. Privo del sostegno di una buona parte dei vescovi tedeschi e scomunicato dal papa, Enrico cercò una soluzione di comodo fingendo un pentimento e raggiungendo il pontefice al castello di Canossa, dove Gregorio VII era ospite della contessa Matilde di Toscana, supplicando il pontefice di revocargli la scomunica che lo rendeva evidentemente non credibile per i suoi sudditi. Ottenuta la revoca Enrico riprese la lotta contro il papa, e, dopo averlo sconfitto, lo esiliò a Salerno. La sconfitta del papa non segnò però una conclusione definitiva della lotta per le investiture, che proseguì anche dopo la morte dei due contendenti con i legittimi successori. Una temporanea conclusione del conflitto è però rappresentata dal CONCORDATO DI WORMS del 1122, che concedeva agli Imperatori tedeschi il privilegio di concedere feudi e cariche ai vescovi PRIMA della loro consacrazione, unica eccezione in Europa.

FEDERICO I BARBAROSSA E LO SCONTRO CON I COMUNI

Federico di Hohenstaufen è il secondo imperatore dopo Enrico IV di Sassonia a tentare di ristabilire il primato del potere universale dell'Impero, scontrandosi sia con la Chiesa, sia con i comuni italiani. Erede dei duchi di Svevia da parte di padre, e dei duchi di Baviera da parte di madre, proveniva da due famiglie nemiche, che avevano dato origine a due partiti: i GHIBELLINI (il nome deriva dal feudo di Waiblingen dove nacque lo stesso Federico) che erano fedeli all'autorità imperiale, e i GUELFI (dal nome del capostipite dei duchi di Baviera, Welf) che erano ovviamente ostili all'Imperatore. Per estensione si intesero poi come guelfi i sostenitori del papa. Lo scontro con i comuni ha origine quando, nel 1154 in occasione della dieta di Roncaglia, Federico pretende dai comuni la restituzione delle cosiddette REGALIE, come il versamento di tributi, la facoltà di battere moneta, e la nomina dei magistrati. A peggiorare la situazione fu l'elezione nel 1059 del pontefice Alessandro III, avverso a Federico. A differenza della Francia che si schierò con nuovo papa, i comuni italiani si divisero. A sostenere il papa ci fu sopratutto Milano, che Federico cinse subito d'assedio. Conquistata Milano, il Barbarossa scese fino a Roma dove nominò un anti-papa, Pasquale III. A ribellarsi per prime alle ingerenze dei funzionari imperiali furono i comuni di Verona, Padova e Vicenza, unite nella LEGA VERONESE, che nel 1164 oppose una coraggiosa resistenza alle milizie imperiali, costringendo Federico a tornare in Germania sconfitto. Tornato dopo due anni, Federico, alla testa del suo esercito, si mise in marcia verso Roma. A questo punto insorsero diversi comuni lombardi, che confluirono nella LEGA CREMONESE. L'anno successivo i comuni aderenti alle due leghe si unirono con altri, formando un nucleo più forte, la LEGA LOMBARDA sfidando apertamente Federico. L'Imperatore, tornato a Pavia, vide precipitare rapidamente la situazione. La dichiarazione di guerra dei comuni ribelli era simbolicamente rappresentata dalla fondazione di Alessandria, in onore del papa nemico dell'Imperatore, ma sopratutto questo atto era una sfida alla stessa autorità imperiale, poiché solo l'Imperatore poteva autorizzare la fondazione di nuove città. Nel 1176 avviene lo scontro decisivo a Legnano. Federico I, sconfitto, rinunciò a quasi tutti i privilegi, eccetto il versamento di alcuni tributi e il diritto di ricevere da parte dei consoli il giuramento di fedeltà.

I REGNI DELL'ITALIA MERIDIONALE
NORMANNI, ANGIOINI E ARAGONESI

I Normanni giunsero al Meridione d'Italia nella seconda metà dell'XI secolo, guidati da ROBERTO I detto IL GUISCARDO, appartenente alla nobile casata degli ALTAVILLA. Mentre il loro insediamento sulla parte continentale fu abbastanza graduale, in Sicilia dovettero affrontare una trentennale lotta contro gli Arabi. I Normanni non furono da subito stanziali: essi erano infatti dei guerrieri mercenari, spesso alla ricerca della protezione dei principi locali, a cui concedevano i propri servigi in cambio di terre. Furono proprio queste terre a costituire il primo nucleo della dominazione normanna nel Mezzogiorno d'Italia. Nel 1069 il papa Leone IX riconobbe i regni normanni con l'accordo di Melfi, considerando tali feudi una buona protezione del Sud Italia, considerato dalla Chiesa come un proprio territorio.
Questi regni normanni furono unificati nel 1139 da RUGGERO II DI ALTAVILLA, nipote di Roberto il Guiscardo, che formò il REGNO DI SICILIA, il più grande regno della Penisola. Il regno di Ruggero II è ricordato per l'ammodernamento delle istituzioni. Le vecchie norme consuetudinarie furono sostituite infatti da un vero e proprio corpus legislativo, le ASSISE, assai avanzato per l'epoca; inoltre Ruggero fece di Palermo la capitale del Regno, promuovendo un'intensa opera di abbellimento. Occorre però precisare che a differenza del Nord, il Sud normanno non conobbe una vera e propria età comunale, essendo i comuni normanni sottoposti all'autorità del sovrano e quindi non autonomi politicamente.
La figlia di Ruggero II, COSTANZA D'ALTAVILLA, andò in sposa al figlio dell'imperatore Federico I di Svevia, ENRICO, che, salito al trono come Enrico VI, rivendicò il titolo di re di Sicilia, aprendo un nuovo conflitto col papa, INNOCENZO III. L'aspirazione di Enrico era infatti quella di dare vita a un unico grande Stato, avamposto dell'Impero, centro focale dell'espansione tedesca sul Mediterraneo. Il progetto si scontrava col progetto politico del pontefice, che riassumeva la sua concezione del potere nella cosiddetta TEORIA DELLE DUE SPADE: quella del potere spirituale era in mano al papa, quella del potere temporale era affidata dal pontefice stesso ai sovrani.
La crisi tra Impero e Papato subì una battuta d'arresto quando Enrico VI morì nel 1197, lasciando il piccolo Federico, il futuro  imperatore FEDERICO II. Ancora minore, Federico aveva ereditato un impero immenso da parte dei genitori. Diventato re dei Normanni dopo la morte della madre Costanza fu quindi incoronato imperatore nel 1220. Federico II fu un uomo di grande cultura. Cresciuto in un ambiente di grande erudizione, aveva respirato l'atmosfera di un Sud ancora impregnata della cultura araba. Fondò a Napoli l'Università, progettò una grande riorganizzazione del regno, e promosse - assistito dal cancelliere Pier delle Vigne - una serie di riforme giuridiche note come Costituzioni Melfitane.
Egli non solo riconobbe l'autonomia della Chiesa ma si pose anche a difesa della cristianità, indicendo la prima Crociata a difesa dei luoghi santi. In difficoltà a causa di una improvvisa epidemia, Federico dovette rimandare la spedizione in Palestina, ricevendo la prima scomunica dal papa GREGORIO IX. Deciso a riparare tentò un secondo viaggio in Oriente l'anno successivo. Qui tuttavia non intraprese una battaglia ma usò la sua abilità diplomatica per raggiungere un accordo col sultano d'Egitto. Ma le tensioni col papato si riaprirono nel 1239 a causa di una seconda scomunica di Federico II, stavolta a causa dei pesanti tributi imposti dall'Imperatore al clero siciliano. A Federico II succedette il figlio MANFREDI, che tuttavia non regnò a lungo, poiché il papa CLEMENTE IV - che come tutti i papi considerava l'Italia meridionale come un proprio feudo - concesse nel 1265 il Regno di Sicilia a CARLO D'ANGIÒ, fratello del re Luigi IX di Francia. Nonostante la resistenza di Manfredi, Carlo, aiutato dalle milizie guelfe, sconfisse l'esercito normanno a Benevento, impossessandosi del regno. Il nuovo re spostò la capitale da Palermo a Napoli, iniziando una serie di opere di abbellimento e di ammodernamento della città, che nei suoi sogni doveva diventare la capitale di un grande regno mediterraneo. Il progetto si interrompe nel 1282, quando, dopo una lunga serie di tensioni, scoppiò una rivolta popolare a Palermo, la sera del 30 marzo all'ora del vespro (e per questo passata alla storia come i VESPRI SICILIANI). I siciliani chiesero la protezione del genero di Manfredi, PIETRO III D'ARAGONA, a cui offrirono la corona del regno di Sicilia. Sconfitto l'esercito angioino, Pietro d'Aragona prese possesso dell'isola, separandola di fatto dall'Italia continentale. Il papa riconobbe la sovranità aragonese nel 1302 col trattato di Caltabellotta.

3 -  I PRIMI CONFLITTI RELIGIOSI

LE CROCIATE

La prima crociata nasce dalla richiesta di aiuto dell'imperatore bizantino ALESSIO I COMNENO rivolta al papa URBANO II nel 1070. L'espansione turca in Siria, in Palestina e in Asia Minore preoccupava molto Costantinopoli, ma il vero problema fu l'occupazione turca di Gerusalemme e il conseguente divieto ai Cristiani di recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa. In risposta all'invocazione dell'Imperatore d'Oriente, il papa indisse il CONCILIO DI CLERMONT con la partecipazione di molti nobili francesi. L'imperatore aveva chiesto al papa l'invio di milizie cristiane, e il papa fece leva proprio sul sentimento religioso al fine di coinvolgere l'occidente cristiano in una guerra santa contro gli infedeli. Tuttavia, prima della crociata vera e propria (la cosiddetta CROCIATA DEI SIGNORI) ci furono due spedizioni passate alla storia col nome di  CROCIATE DEI PEZZENTI. Molti poveri, pensando di trarre profitto da questo evento, formarono delle bande, disarmate e disorganizzate, che autonomamente cercarono di raggiungere il Bosforo per combattere contro i Turchi. L'inesperienza e l'assenza di un supporto costarono care a queste milizie improvvisate, che furono decimate dall'esercito turco. La vera prima crociata partì solo nel 1096, guidata da GOFFREDO DI BUGLIONE, duca della Bassa Lorena, alla testa di un esercito formato perlopiù da nobili francesi e normanni. Questi ultimi erano in gran parte feudatari, ispirati dalle parole del papa sulla necessità di una guerra santa; accanto a loro c'erano anche i membri CADETTI delle grandi famiglie aristocratiche, in cerca di fortuna e di denaro, e i MERCANTI, che avevano visto i loro commerci decadere a causa delle incursioni dei Turchi. La divisione all'interno dei Turchi (i SELGIUCHIDI da una parte e i FATIMIDI dall'altra) comportò un indebolimento del fronte anti-cristiano: nel 1099 Gerusalemme fu cinta d'assedio e conquistata. La conquista della città coincise anche con un vergognoso saccheggio e con l'umiliazione dei suoi abitanti. Prima che la difesa dei Luoghi Santi fosse affidata ai Cavalieri Templari e ad altri ordini religiosi,  Goffredo di Buglione ne fece un proprio feudo, assumendo il titolo di difensore - ADVOCATUS - del Santo Sepolcro. Alla morte di Goffredo di Buglione i Turchi ripresero ad assediare Gerusalemme,  costringendo il nuovo pontefice EUGENIO III a bandire nel 1145 la seconda crociata.
A differenza della prima crociata, che aveva coinvolto le MONARCHIE FEUDALI, la seconda e la terza crociata coinvolsero direttamente i sovrani (le MONARCHIE NAZIONALI). La seconda fu bandita direttamente dal papa, mentre la terza fu portata avanti dagli stessi sovrani - tra cui l'Imperatore Federico I di Svevia - alla ricerca di nuove conquiste territoriali, oltre alla motivazione religiosa.   Nel 1187 il Sultano d'Egitto SALADINO (Salah ad Din) riconquistò Gerusalemme, e, dopo la sua morte, il potere passò nelle mani dei MAMELUCCHI, una casta militare che riuscì ad arginare in maniera più incisiva l'azione dei crociati. Per questo il papa INNOCENZO III bandì la quarta crociata.
La quarta crociata come quelle seguenti non aveva una reale motivazione religiosa. Non vi parteciparono sovrani europei, ma la protagonista fu Venezia che mise a disposizione la sua flotta. Venezia - che aveva patito più di altre repubbliche le incursioni turche a discapito dei suoi commerci nel Mediterraneo - chiese in cambio la liberazione di Zara e l'occupazione di Costantinopoli, allo scopo di ristabilire il suo primato. La conquista di Costantinopoli e la fondazione dell'Impero Latino d'Oriente (durato fino al 1261) cambiò completamente la fisionomia delle crociate, che da guerra santa si trasformarono in una guerra economica tra potenze mercantili. Le tre crociate successive si caratterizzarono proprio per questa nuova motivazione.

ERESIE E SCISMI NEL BASSO MEDIOEVO
L'INQUISIZIONE E GLI ORDINI RELIGIOSI

Sicuramente il conflitto religioso di maggiore interesse del Basso medioevo è quello che portò allo Scisma del 1054 che determinò la separazione della Chiesa Ortodossa, che faceva capo al Patriarca di Costantinopoli, MICHELE CERULARIO, da quella Cattolica, con sede a Roma. Il conflitto nasce per motivi legati al primato dell'autorità pontificia, contestata da Cerulario, ma soprattutto per motivi politici. La primalità temporale del pontefice fu messa in discussione nel corso del XII secolo anche dall'ERESIA CATARA. I Catari (dal greco katharos, cioè puro) erano una setta che si era diffusa nell'Italia Settentrionale e nella Francia Meridionale, dove i Catari si erano stabiliti nella cittadina di Albi, in Linguadoca, da cui il nome di Albigesi. I Catari si ponevano in aperto conflitto con l'autorità del papa, rifiutando la procreazione e la ricchezza, la validità dei sacramenti e la stessa autorità di Roma. La loro diffusione e soprattutto il rischio del loro peso politico, costrinse nel 1209  il papa INNOCENZO III a bandire contro di loro una crociata, nella quale furono coinvolti molti nobili francesi guidati da SIMON DE MONTFORT e che si risolse con un vero e proprio sterminio, allo scopo di impossessarsi dei beni dei Catari. La nascita di queste prime eresie moderne indusse la Chiesa a istituire un vero e proprio Tribunale per individuare e debellare sul nascere gli eventuali movimenti ereticali. L'INQUISIZIONE in realtà era già presente, ma i suoi tribunali si erano diffusi proprio a partire dal XII secolo, in Francia prima e poi in Spagna, a causa della presenza degli Arabi e degli Ebrei e dello sviluppo di svariati movimenti ereticali. In origine i Tribunali avevano lo scopo di indagare au eventuali crimini di eresia, ma in seguito il potere di questa istituzione si trasformò in un vero e proprio alleato delle monarchie europee al fine di tenere sotto controllo la popolazione. Conto le eresie si impegnarono anche i nuovi ORDINI RELIGIOSI. Il primo fu quello dei DOMENICANI, fondato dallo spagnolo Domenico di Guzman. Il religioso, dopo la crociata contro gli Albigesi, si era convinto che lo strumento più efficace contro le eresie fosse la predicazione. Accanto all'Ordine Domenicano si sviluppa però un vasto movimento di rinnovamento interno della Chiesa che culmina nella fondazione di un altro Ordine, detto FRANCESCANO dal nome del suo fondatore, il mistico assisiate Giovanni di Pietro Bernardone detto Francesco, che costituì una comunità religiosa ad Assisi. La sua REGULA NON BULLATA (priva cioè dell'approvazione pontificia) per quanto rispondesse alle esigenze di rinnovamento della Chiesa Cattolica fu sospettata di eresia per l'eccessivo rigore (legato agli obblighi di povertà, castità e obbedienza) tanto che Francesco non riuscì a ottenere la necessaria validazione fino al 1210, quando il papa Innocenzo III ne approvò una versione definitiva meno rigida. Bisogna dire che tuttavia la predicazione francescana si discostava dall'eresia catara per il rispetto delle gerarchie della Chiesa e per l'assoluta obbedienza al papa. Il contributo francescano non fu circoscritto alla sola religione, ma anche alla cultura italiana, dato che le sue opere furono tra le prime composizioni in lingua VOLGARE.

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La crisi del Medioevo

1 - LA NASCITA DELLE MONARCHIE NAZIONALI

DALLE MONARCHIE FEUDALI ALLE MONARCHIE NAZIONALI

Nel corso del Basso Medioevo si assiste alla progressiva evoluzione delle monarchie nazionali.
Per monarchia FEUDALE intendiamo il governo di un territorio concesso a un signore dal sovrano per beneficio, col privilegio di avere un proprio esercito, pronto, in caso di necessità, ad affiancare il sovrano insieme ad altri eventuali eserciti di altri feudi.
Per monarchia NAZIONALE intendiamo invece il governo proprio di un sovrano sul territorio, solitamente coadiuvato da funzionari, limitante l'autonomia del potere signorile.

LA MONARCHIA INGLESE

Fino all'XI secolo le Isole Britanniche erano popolate dagli Angli e dai Sassoni, che, dopo la conversione al Cristianesimo, si erano uniti e  avevano fondato un regno, in cui il potere baronale, come si conveniva all'uso germanico, non era soggetto all'autorità del sovrano. Le cose cambiano quando, dopo il Mille, sale al trono l'ultimo re anglosassone, EDOARDO IL CONFESSORE, che, essendo di origini normanne, introduce alcuni usi normanni destando le ire dei baroni, i quali cercano di destituirlo opponendogli il loro rappresentante HAROLD GOODWINS. Della crisi approfitta però il duca di Normandia GUGLIELMO, che, alla testa di un possente esercito formato da arcieri e cavalieri, affronta l'esercito baronale sconfiggendolo a HASTINGS nel 1066. Dopo questa vittoria, Guglielmo I, detto poi il Conquistatore per celebrare l'evento, costituì un proprio feudo su circa un quinto delle terre, dividendo il territorio rimanente in CONTEE affidate a dei funzionari chiamati SCERIFFI. In tal modo Guglielmo consolidò il potere sovrano sul territorio limitando le pretese baronali. Nel 1086 Guglielmo I indisse il primo grande censimento dell'Europa medievale (DOMESDAY BOOK) allo scopo di conoscere il numero di proprietari terrieri che avrebbero dovuto versare i tributi al sovrano. Tuttavia la monarchia inglese dovette fare i conti con due poteri ostili, quello dei baroni e quello della Chiesa.
Lo scontro con la Chiesa avvenne durante il regno di ENRICO II, quando il re rivendicava il diritto di sottoporre anche gli ecclesiastici al giudizio dei tribunali civili e di nominare i vescovi. La decisione originò uno scontro che alla fine obbligò Enrico a revocare le COSTITUZIONI DI CLARENDON, che vincolavano i membri del clero alla giurisdizione regia, riservandosi comunque il diritto di giudicare gli ecclesiastici nelle cause civili.
Nel 1215 il re GIOVANNI SENZA TERRA concesse ai baroni inglesi la MAGNA CHARTA LIBERTATUM che confermava ai feudatari i privilegi già concessi con documenti simili. L'importanza del documento non é statutaria, poiché non si trattava di una vera e propria costituzione, ma si tratta comunque della codifica di una serie di consuetudini concesse prima solo ad beneficium dal sovrano, e adesso validate con un documento scritto. Durante il regno del successore di re Giovanni, ENRICO III, i baroni ottengono l'istituzione di un consiglio con funzioni di controllo sull'amministrazione del regno. Tale consiglio fu poi esteso anche a cavalieri e borghesi, chiamati "a parlamento". Questa prima assemblea non aveva una funzione legislativa, ma solo di vigilanza sull'esecutivo del sovrano.

LA MONARCHIA FRANCESE

Il regno di Filippo II Augusto, anche se caratterizzato da notevoli riforme amministrative come l’istituzione del BALIVATO, non bastò a proteggere la centralità del potere regio dall’influenza esercitata dai grandi feudatari.
Il consolidamento del potere regio nella Francia del XIII secolo fu compiuto da LUIGI IX con l'istituzione di organismi in grado di arginare il potere feudale. I più importanti furono il CONSIGLIO DEL RE con funzioni consultive e il PARLAMENTO con funzioni giudiziarie (e non legislative), a cui si aggiunsero un solido apparato burocratico e degli ISPETTORI inviati direttamente da Parigi.

LA MONARCHIA SPAGNOLA

La monarchia spagnola si costituisce durante quella che fu detta RECONQUISTA, ossia la sottrazione dei territori della Penisola Iberica occupati dagli Arabi.  Il dominio arabo era stato arginato dalla resistenza di alcuni regni cristiani, come quello di Castiglia, quello di Leon e quello di Navarra, oltre alla contea di Oporto da cui nascerà il regno portoghese. La reconquista fu portata avanti dai regni di Castiglia e di Leon, che riuscirono a togliere diversi territori agli Arabi, come la città di Toledo, rioccupata dal re di Castiglia Alfonso VI: alla reconquista seguivano i ripopolamenti, con la nascita di villaggi cristiani e con la ridistribuzione delle terre tra i contadini.  La vittoria più importante fu quella riportata nella battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212, dopo la quale l'espansione fu inarrestabile, proseguendo fino al 1270 quando agli Arabi restava il solo regno di Granada. La Spagna non fu da subito una nazione, ma la fede cristiana e il sentimento comune che ispirava i vari regni a lottare uniti contro gli Arabi, facevano sì che il paese apparisse come un vero Stato nazionale. Bisogna anche dire che già dal XII secolo era presente in Spagna una civiltà comunale, come testimoniato dalla presenza di statuti (CARTAS DE POBLACIÒN) concessi a molte città. Questi statuti contemplavano franchigie e privilegi, che favorirono lo sviluppo di una borghesia artigianale e mercantile e la nascita di assemblee cittadine (CORTES) rappresentative anche di nobiltà e clero.

IL PRIMO CONFLITTO TRA LE MONARCHIE NAZIONALI
LA BATTAGLIA DI BOUVINES

Il primo grande scontro tra monarchie nazionali nel Basso Medioevo ebbe luogo a BOUVINES nel 1214, scontro che, oltre al papa Innocenzo III, coinvolse il re Filippo II Augusto di Francia, l'imperatore del Sacro Romano Impero  Ottone IV di Germania e il conte Ferdinando di Fiandra. Ottone IV fu sconfitto e costretto ad abdicare in favore di  Federico VII Hohenstaufen, poi Federico II di Svevia. Ferdinando venne catturato e imprigionato. Quanto a Filippo, grazie al trattato di Chinon, riuscì ad avere il controllo completo e indiscusso sui territori di Angiò, Bretagna, Maine, Normandia e Turenna che aveva da poco strappato al re inglese Giovanni Senza Terra, parente e alleato di Ottone. La battaglia di Bouvines è fondamentale per le sue conseguenze:
l'affermazione dell'autorità del re di Francia sulla feudalità e il controllo sul territorio;
la rinuncia di Giovanni Senza Terra a ogni pretesa sulla Normandia (Trattato di Chinon);
la rinuncia al trono di Ottone e l'ascesa al potere di Federico II.
Dopo Bouvines non vi furono ulteriori scontri. Il secondo - e ultimo - grande conflitto tra monarchie nazionali nel Basso Medioevo sarà la  Guerra dei Cento Ann.

2 - LA CRISI POLITICA E RELIGIOSA

INTRODUZIONE

Il tramonto dell'età medioevale si attesta nel significativo passaggio dalle monarchie feudali alle monarchie nazionali ma anche nel declino dei due poteri universali, che perdono progressivamente la propria autorità. La crisi divide i sostenitori dei due poteri in GUELFI (fedeli alla Chiesa) e GHIBELLINI  (fedeli all'Imperatore): questo conflitto si fa più acceso a Firenze, che si spacca tra le fazioni dei Bianchi e dei Neri, guidate dalle due famiglie dei Cerchi e dei Donati (e a questa era imparentato Dante Alighieri, marito di Gemma Donati). Intellettuali e letterati sono coinvolti nel conflitto tra i due poteri:
• Marsilio da Padova nel suo saggio DEFENSOR PACIS vede l'Imperatore come unico garante della stabilità politica;
• per Dante Alighieri i due poteri non sono in conflitto e li descrive come due soli che devono regnare concordi come nel passato.
Il tentativo di mediazione di Dante fallisce. La situazione a Roma si inasprisce a causa della guerra tra le famiglie della nobiltà romana (Colonna e Orsini sopra tutte) che si intensifica durante il periodo avignonese.

BONIFACIO VIII

Dopo il breve pontificato di CELESTINO V (Pietro da Morrone) conclusosi con la rinuncia del Papa all'esercizio del proprio ministero, viene eletto a Napoli - dove era stata spostata la sede papale a causa delle troppe ingerenze dei nobili romani - il cardinale Benedetto Caetani, che prende il nome di Bonifacio VIII. Spinto da un sogno IEROCRATICO secondo il quale l'autorità del pontefice era superiore a qualsiasi altra, era sostenitore della TEORIA DELLE DUE SPADE ma a differenza degli altri Papi aveva assegnato la spada del potere temporale al re di Francia FILIPPO IV IL BELLO. La scelta della monarchia francese era non solo una provocazione nei confronti dell'Imperatore ma anche il tentativo di controllare gli Angió, costretti a cedere agli Aragonesi la Sicilia e poi ad accettare la Bolla che vietava le  esportazioni senza l'autorizzazione papale.
Nel 1300 Bonifacio VIII indice il Grande Giubileo e promette una Indulgenza Plenaria per tutti i pellegrini,  seguendo la consuetudine di alcuni precursori ma con lo scopo di un ritorno in termini economici e d'immagine.
Nel 1302 Bonifacio VIII emana la Bolla UNAM SANCTAM ECCLESIAM, con cui ribadisce la superiorità assoluta del potere della Chiesa. La Bolla suscita le reazioni dei nemici di Bonifacio VIII, primi fra tutti i membri  della nobiltà romana (sopratutto la famiglia Colonna, il cui feudo di Palestrina era stato distrutto su ordine dello stesso Papa): nel 1303 accade il celebre episodio dell'OFFESA DI ANAGNI, storicamente incerto, in cui il Papa fu vittima dello schiaffo del principe Sciarra Colonna. Bonifacio VIII morirà un mese dopo.

DOPO BONIFACIO VIII

IL PAPATO AVIGNONESE - Alla morte di Bonifacio VIII viene eletto Papa BENEDETTO XI, il cui pontificato sarà molto breve (sette mesi). Durante questo periodo esplode la tensione tra le famiglie della nobiltà romana e la Francia di Filippo IV si ribella all'autorità del Papa: i due eventi anticipano la cosiddetta CATTIVITÀ AVIGNONESE. Nel lunghissimo conclave di Perugia (ben undici mesi) i cardinali elettori si spaccano tra anti-francesi e filo-francesi: alla fine viene eletto Papa il vescovo di Bordeaux, Bertrand De Got, che prende il nome di CLEMENTE V. De Got si fa incoronare a Lione e cerca un accordo col re francese Filippo il Bello, a cui è concesso di processare i Cavalieri Templari. Nel 1309 la sede papale è spostata ad Avignone (feudo angioino): lo spostamento della sede, non definitivo, era dovuto all'instabilità di Roma, dilaniata dalla guerra tra i nobili. La cattività avignonese durerà fino al 1377 con sei papi, tutti francesi. Ci furono alcuni tentativi di rientro a Roma che peró fallirono, sempre a causa della guerriglia baronale. Solo nel 1377, anche grazie all'intercessione di Caterina da Siena, Papa GREGORIO XI riportó la sede a Roma.

COLA DI RIENZO - Durante la cattività avignonese, in una Roma dilaniata dalla guerra tra le famiglie della nobiltà feudale, nasce il progetto politico moderno e innovativo del notaio Cola di Rienzo. Nato da genitori umili (padre taverniere e madre lavandaia) il giovane Niccoló detto Cola accede al notariato e inizia una carriera brillante in giro per l'Impero, restando affascinato dal modello politico. Il suo sogno era quello di trasformare Roma in un comune moderno e la sua iniziativa viene presentata con un grande affresco in Campidoglio, dal contenuto allegorico, a rappresentare una Roma morente. L'affresco - primo esempio di pubblicità elettorale - ebbe successo e Cola fu acclamato come ultimo dei Tribuni del Popolo. Deciso a estendere il progetto a tutta l'Italia, per offrirne la corona all'Imperatore, Cola di Rienzo si trasformó in uno spietato dittatore, determinando il fallimento della stessa Repubblica Romana da lui creata. Il disegno politico di Cola era molto moderno, sopratutto riguardo la corretta distribuzione delle risorse tra i cittadini e la cessazione di ogni forma di sopruso e di violenza tra le varie fazioni politiche. La resa dei baroni e la vittoria popolare lo consacrano ma la sete di potere e le simpatie ghibelline lo fanno cadere in disgrazia.  Viene ucciso in un attentato nel 1353 mentre si accingeva a tenere un comizio.

IL GRAMDE SCISMA - Nel 1378 i cardinali francesi riuniti ad Avignone eleggono un anti-papa, CLEMENTE VII, causando il GRANDE SCISMA. In questo periodo, che durerà fino al 1417, si avranno due sedi con due papi, uno a Roma e uno ad Avignone (e per un brevissimo periodo se ne aggiunge una terza).

LA BOLLA D'ORO - Nel 1356, dopo l'ascesa al trono di Boemia del re CARLO IV DI LUSSEMBURGO nasce il conflitto col Pontefice INNOCENZO VI, che lo avrebbe incoronato a Norimberga. Per la prima volta dai tempi di Carlo Magno il diritto del Papa di incoronare l'Imperatore è sostituito dall'elezione.
La BOLLA D'ORO imperiale prevedeva (tra le sue numerose disposizioni) la nomina per elezione dell'Imperatore da parte di una Dieta costituita da 7 membri, 4 nobili e 3 arcivescovi. L'incoronazione inoltre si sarebbe dovuta  tenere in Germania.

I LOLLARDI - I Lollardi sono il primo nucleo pre-protestante nato in seno alla Chiesa di Roma. Nati come dediti alle opere pie (la cura dei feriti  e dei malati e la sepoltura dei caduti in battaglia) sposano le tesi del teologo e predicatore Giovanni WYCLIFFE: la necessità di tradurre le Scritture e la lotta alla corruzione nella Chiesa. Contrari alla presenza del clero, non erano peró SCISMATICI, come saranno poi i Luterani, in quanto volevano solo una riforma della Chiesa. In segno di disprezzo furono detti "seminatori di zizzania" da cui appunto il soprannome di Lollardi.

3 - LA CRISI ECONOMICA E SOCIALE

INTRODUZIONE

Il XIV secolo è segnato anche da una profonda crisi sociale ed economica, dovuta a diversi fattori tra cui:
• l'epidemia di peste nera
• le avverse condizioni climatiche
• le carestie
• le tensioni nelle città e nelle zone rurali
• il declino dell'area mediterranea
Gli storici definiscono questa fase come CRISI DEL TRECENTO.

LA CRISI DEMOGRAFICA

Agli inizi del secolo XIV si era verificato uno scompenso tra la popolazione in eccesso e la scarsità delle risorse agricole. A far calare la produzione agricola era l’inadeguatezza dei mezzi e delle terre coltivabili, che segnò l’inevitabile squilibrio tra la domanda e l’offerta. Va anche detto che uno dei fattori che incisero su questo problema fu il clima, che diventò più freddo e piovoso e rallentò la produzione cerealicola europea.
Tra il 1303 e il 1347 si succedono numerose carestie, che minano la natalità: la prima fu quella del 1315, che decimò l’Europa centro-settentrionale. Nel 1347 una nave genovese proveniente da Caffa, in Crimea, porta in Europa il morbo della peste, che si diffonde prima in Italia, Francia e Spagna, e si diffonde poi nella regione mitteleuropea. Il dilagare della peste nera risparmia pochissime zone, e il morbo, diventato endemico, provoca congiuntamente alle guerre un brusco crollo della popolazione, che scende sotto i 45 milioni di abitanti.

IL MONDO RURALE

Le campagne furono ovviamente molto colpite da questi problemi. I prezzi calarono di colpo, e i contadini poterono chiedere salari più alti, mentre i signori videro nettamente diminuite le proprie rendite. Molte terre, rivelatesi inadatte alla cerealicoltura, furono abbandonate, molti villaggi diventarono deserti, e alcuni terreni furono riconvertiti alla coltivazione di foraggio, incrementando lo sviluppo dell’allevamento. Il paesaggio agricolo europeo, come si era delineato nel periodo feudale, subì una trasformazione radicale e riapparvero zone paludose, boschive e popolate da pascolo brado. La mutata geografia dell’agricoltura europea finì col determinare nuove modalità di sfruttamento del suolo e un nuovo tipo di rapporti sociali. Si assiste alla nascita della specializzazione regionale (per esempio, Castiglia e Inghilterra diventarono esportatrici di lana, mentre la Polonia di cereali) e nelle zone meridionali dell’Europa vengono coltivate piante tessili e foraggere. Per contro nel sud europeo il feudalesimo trovò occasioni di rafforzamento e il servaggio della manodopera si rese ancora più pesante, mentre nel centro Europa l’economia feudale fu definitivamente accantonata su iniziativa della borghesia e delle monarchie nazionali. La nobiltà rinsalda ovviamente il suo potere, ma si tratta di una condizione diversa da quella feudale.

I TUMULTI CONTADINI

La manodopera agricola fu aiutata molto dalla crisi nel suo riscatto sociale e le tensioni tra contadini e signori degenerano in sanguinosi conflitti civili. Nel 1358 scoppia in Francia la jacquerie (il nome derivava da Jacques Bonhomme, soprannome dispregiativo che veniva dato ai contadini) si estende a diverse zone del paese, mentre in Inghilterra la tensione sociale è alimentata dalla predicazione egualitaria dei Lollardi e obliga la corona ad un ridimensionamento delle corvées e dello sfruttamento della manovalanza agraria. Se in francia le jacqueries non rispondevano a un preciso disegno politico, e si conclusero perciò nel nulla, nel resto dell’Europa i contadini riuscirono a scrollarsi il giogo feudale e finirono col frammentarsi in due sottoclassi, un ceto di contadini ricchi e proprietari e un proletariato rurale formato da braccianti senza terra.

LE CITTÀ

La crisi di metà Trecento non risparmiò le città, dove anzi gli effetti furono peggiori di quelli del settore agrario; tra il 1343 e il 1346 falliscono i banchieri fiorentini Peruzzi e Bardi, che avevano prestato soldi al re inglese per finanziare la Guerra dei Cento Anni, senza però riceverli in restituzione. Il fallimento coinvolse gli altri finanzieri del paese e finì con l’estendersi ad altre categorie di risparmiatori.

MANIFATTURA E COMMERCIO

In campo manifatturiero crolla la produzione dei panni lana e i centri specializzati nel settore tessile, come le Fiandre, perdono la loro leadership perché la produzione si sposta nelle zone rurali dove il costo della manodopera è più basso; in compenso molti centri riescono a riqualificarsi produttivamente dirottando la manifattura tessile verso gli articoli di lusso destinati alle famiglie signorili. Questa tendenza si diversifica a seconda della zona: abbiamo infatti l’incremento della produzione laniera di qualità medio-bassa accentrata in Olanda e Inghilterra, dove poi si svilupperanno le aziende a conduzione familiare, mentre in Italia si afferma l’industria serica. Inizia inoltre il fenomeno della massificazione dei prodotti, grazie ai costi contenuti.
Si afferma anche il settore metallurgico e quello minerario.  L’economia di mercato assume ora una fisionomia più attiva, con una maggiore circolazione di moneta dovuta all’aumento dei consumi di massa e soprattutto con un netto avanzamento tecnologico che rende il trasporto della merce sicuro e veloce.
Anche la geografia commerciale inizia a cambiare. Ferme restando le condizioni dei paesi tradizionalmente importatori ed esportatori, le rotte commerciali verso il Nord Europa non sono più una novità e l’avanzata turca nel Mediterraneo comincia a segnare la decadenza del ruolo produttivo del relativo bacino.

I TUMULTI URBANI

Le rivolte e le tensioni che animarono il mondo contadino non furono esclusiva prerogativa della manodopera agraria, ma coinvolsero anche la controparte urbana. Due erano infatti le cause del malessere: la disoccupazione e la formazione di un nucleo di proletari urbani, che venivano esclusi dal governo cittadino e che quindi rivendicavano il proprio ruolo politico. Nel 1357 scoppia a Parigi una rivolta borghese guidata da Etienne Marcel, esasperata dal severo regime fiscale causato dalle necessità della Guerra dei Cento Anni. Dopo un buon inizio la borghesia parigina, spaventata dalla violenta jacquerie contadina, abbandona il proprio leader per fare lega con la nobiltà impegnata a reprimere la rivolta agraria.
Nel 1378 scoppia a Firenze il tumulto dei Ciompi, i salariati del settore laniero. Si trattò di una vera lotta di classe: i Ciompi erano il proletariato fiorentino, impossibilitato a costituirsi in Arte e protestavano contro i potenti signori dell’oligarchia borghese e mercantile, che controllavano il Comune fiorentino, dal cui governo i Ciompi erano esclusi. La protesta fece sì che uno dei Ciompi, Michele Lando, venisse nominato Gonfaloniere di Giustizia del Comune fiorentino, e che venissero istituite tre nuove Arti minori (ciompi, tintori e farsettai) con la riserva di un terzo degli uffici alle Arti minori.

IL PATRIZIATO CITTADINO

La ricca borghesia urbana esce a testa alta dalla crisi del Trecento consolidando il suo potere in una ristretta oligarchia mercantilistica e finanziaria e integrandosi con il vecchio ceto dell’aristocrazia feudale, rendendo così palesi e insanabili le distanze dalle plebi: l’asservimento borghese ai nuovi stati nazionali e a quelli regionali, soprattutto in Italia, permise la formazione di un patriziato cittadino. Questo patriziato sposò ben presto le usanze dei ceti nobiliari a cui fu accomunato dall’acquisto di terre e di titoli e dall’amore per i generi di lusso.

CONCLUSIONI

Il Trecento si presenta quindi diversificato nelle due zone geografiche europee: al centro nord abbiamo una condizione di estrema miseria dovuta alla crisi economica, che si ripercuote sui contadini e sui lavoratori delle città, mentre la nobiltà e le oligarchie cittadine escono rafforzate dalla crisi; al sud si ha il rafforzamento delle istituzioni feudali che aggravano il servaggio dei contadini e del proletariato urbano.

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La fine del Medioevo

1 - DALLE SIGNORIE AGLI STATI REGIONALI

INTRODUZIONE - Alla fine del XIII secolo molti comuni  del Nord e del Centro Italia passano dal governo del podestà al dominio di un signore. Le signorie cittadine sono perció l'evoluzione del comune podestarile. I signori che ricevono un titolo nobiliare trasformeranno le Signorie in Principati. Il Principato italiano non ha elementi in comune con quello  tedesco del XVI secolo,  che sarà una  conseguenza segnale della crisi del centralismo asburgico.

LE SIGNORIE - La signoria si forma con l'attribuzione della carica di podestà al capo di una famigla, con una durata vitalizia e con poteri estesi, molto spesso il signore era espressione di una maggioranza popolare in qualità di Difensore del Popolo.I signori più forti e più ricchi iniziarono a designare un successore originando le dinastie signorili. Il potere signorile si rafforza con la legittimazione dei poteri da parte dell'imperatore o del papa. L'autorità del signore potevano essere circoscritta a una città o estesa a più città. Le più importanti Signorie cittadine furono Milano e Firenze.

MILANO - La Signoria di Milano fu governata in tempi diversi da tre famiglie:

• Della Torre
• Visconti
• Sforza

Milano era in territorio imperiale. Fu l'imperatore Venceslao a insignire  Gian Galeazzo Visconti del titolo ducale. Gian Galeazzo allarga il suo ducato con una brillante campagna espansionistica ma dopo la sua morte il territorio di Milano sarà frazionato e perderà la sua stabilità. Con Filippo Maria Visconti il ducato viene riunificato e Milano torna a dominare il Nord Italia. Nel 1427 l'esercito ducale è sconfitto nella BATTAGLIA DI MACLODIO dalla Lega guidata da Firenze e Venezia. Nel 1434 inizia a Firenze, con Cosimo il Vecchio, la dinastia dei De' Medici.
Cosimo si allea con il successore di Filippo Maria Visconti, suo genero Francesco Sforza. Inizia così la guerra di Milano e Firenze contro Venezia, che si stava espandendo nella pianura padana. La guerra finirà nel 1454 con la PACE DI LODI. Dopo un ventennio di pace peró il ducato è di nuovo scosso dalle tensioni politiche e nel 1476  Galeazzo Maria Sforza resta ucciso in una congiura. La vedova Bona di Savoia tenta di esercitare la reggenza del legittimo erede Gian Galeazzo, ancora bambino, ma nel 1480 lo zio Ludovico Sforza detto il Moro, dopo aver isolato Gian Galeazzo nella Certosa di Pavia, si impadronisce del potere.

FIRENZE - La Signoria di Firenze si trovava in un territorio che non era soggetto nè all'imperatore nè al papa e per questo era spesso in lotta con entrambi. La Signoria ha inizio nel 1434 con Cosimo De' Medici detto il Vecchio, a cui succede Piero detto il Gottoso. Ma è con l'erede di Piero, Lorenzo il Magnifico, che Firenze conosce il suo periodo d'oro. Oltte ad abbellire la città con le opere dei piú rinomati artisti di quel tempo, Lorenzo era considerato da Guicciardini  l'ago della bilancia della politica regionalista per il suo ruolo di mediatore. Il nemico di Lorenzo era il papa Sisto IV Della Rovere, che si allea con la famiglia dei Pazzi. Nel 1478, nella Basilica di Santa Maria del Fiore, si consuma la congiura dei Pazzi, nella quale muore Giuliano, il fratello di Lorenzo, a sua volta ferito. Il papa cerca allora l'appoggio di Siena prima e poi di Napoli, ma  Lorenzo riesce ad allearsi con Ferdinando d'Aragona e a portare Napoli dalla sua parte. La pace con Roma arriva nel 1480.
Lorenzo il Magnifico muore nel 1492 e la sua morte segna la decadenza di Firenze e delle altre Signorie italiane, troppo deboli e isolate per contrastare la discesa delle grandi monarchie nazionali. É proprio dopo la discesa di Carlo VIII di Francia che  finisce la Signoria dei Medici. Tra i protagonisti del periodo c'é il frate domenicano Girolamo Savonarola. Approfittando del clima di instabilità e della crisi politica dopo la cacciata dei Medici da Firenze, il Savonarola, nel timore che la città cadesse in mano al papa, tenta di instaurare un governo teocratico. Il frate infatti si era da molto tempo fatto portavoce dello stesso rinnovamento che molti teologi del periodo ritenevano necessario nella Chiesa di Roma, il cui governo era in mano al dissoluto Alessandro VI Borgia. Il papa aveva scatenato le ire di diversi religiosi per i nepotismi e la corruzione del potere, e molti prelati si erano resi colpevoli di simonìa (la vendita delle indulgenze penitenziali) e di concubinato (contravvenivano cioé all'obbligo di celibato). Ma i seguaci del Savonarola (chiamati, in segno di dileggio, Piagnoni, in opposizione ai Palleschi, i sostenitori dei Medici) erano troppo pericolosi in un momento storico così delicato e il progetto del frate era una minaccia per il potere del papa. Nel 1497 subì la scomunica e nel 1498 fu impiccato e bruciato sul rogo perché "eretico, scismatico e per avere predicato cose nuove".

LE ALTRE SIGNORIE - Milano e Firenze furono le più importanti Signorie in Italia. Tra le altre dinastie signorili si ricordano:

• a Mantova i Gonzaga
• a Verona i Della Scala
• a Bologna i Bentivoglio
• a Ferrara gli Estensi
• a Rimini i Malatesta
• a Urbino i Montefeltro

I PRINCIPATI- I principati furono una  evoluzione delle signorie nati com il conferimento di un titolo nobiliare al Signore. Si trattava di una forma di monarchia assoluta, in cui tutto il potere era in mano al solo principe. Il primo Signore a essere imsignito del titolo fu Gian Galeazzo Visconti, che ricevette il titolo di duca di Milano ma il modello di principe per eccellenza fu il duca di Valentinois, Cedare Borgia, a cui Machiavelli si ispirerà per il saggio "Il principe".
L'assolutismo del potere del principe era legato alla ragion di stato, che giustificava ogni scelta del sovrano, perfino il diritto di vita o di morte sui sudditi. Nonostante si trattasse di un potere laico. Tutti i principi si dedicavano a opere pie per salvarsi l'anima, resa spesso poco pulita dalle efferatezze. Il grande merito dei principi fu il mecenatismo di artisti e poeti che spesso venivano chiamati per dare lustro alla corte del principe. Lo svantaggio dei principati era l'assenza di un esercito regolare. Sostituito da mercenari e  condottieri al servizio dei principi. Va infine sottolineata ancora una volta la differente caratterizzazione del principato italiano (evoluzione dello Stato signorile) da quello che si sviluppa nel Sacro Ronano Impero, in quanto gli Stati Regionali tedeschi non nascevano dalle Signorie cittadine e non erano entità territoriali autonome.

GLI STATI REGIONALI ITALIANI - Si definisce "stato regionale" un territorio compremdente diversi centri urbani e governato da un duca o principe o da un'oligarchi cittadina. Gli Stati Regionali si formano im seguito alle campagne di espansione dei principi e alla naturale conquista di Signorie più deboli. È un fenomeno tipicamente italiano. Alla fine del XV secolo gli Stati Regionali italiani più importanti erano:

• il Ducato di Milano
• le due Repubbliche di Genova e di Venezoa
• la Signoria (Repubblica) di Firemze
• lo Stato della Chiesa
• il Regno di Napoli (nato nel 1442 con la conquista aragonese e l'unificazione col Regno di Sicilia).

2 - L'EUROPA DELLE MONARCHIE NAZIONALI  E IL NUOVO MONDO

INTRODUZIONE - Il XV secolo vede l'espansione territoriale di Inghilterra e Francia e la nascita della Spagna, col matrimonio dei due "re cattolici". Nel 1453 cade la città di Costantinopoli e finisce l'Impero (già decaduto) di Bisanzio. Le esplorazioni geografiche e la scoperta di un nuovo continente segnano per gli storici la fine dell'età medievale e l'inizio di una nuova epoca anche se diversi studiosi concordano nell'indicare il 1453 come l'anno della vera fine del Medioevo.

FRANCIA E INGHILTERRA - Dopo la battaglia di Bouvines, la guerra dei Cento Anni è il primo vero scontro tra le monarchie nazionali. Si combatte dal 1337 al 1453  e dura quindi 116 anni non continuativi, suddivisi in 4 fasi (storia inglese) o 2 fasi (storia francese). È un momento essenziale nello sviluppo dell'assetto geopolitico della Francia moderna, il cui territorio non cambia di molto nei secolo successivi (a parte Calais,  che resta in mano degli inglesi fino al 1558). I 116 anni furono interrotti da due periodi di tregua, di 9 e 26 anni rispettivamente, ma non da una vera pace. Nella fase finale la Francia si impone sugli  inglesi con il contributo di Giovanna d'Arco. Con la vittoria gli inglesi sono cacciati dalla Francia (a parte Calais).
Dopo la Guerra dei Cento Anni l'Inghilterra è di nuovo interessata da problemi dinastici che coinvolgono due casate. I Lancaster e gli York, nei cui rispettivi emblemi era raffigurata una rosa (bianca per gli York e rossa per i Lancaster). Ció indusse lo scrittore Walter Scott a chiamare il conflitto con l'espressione "Guerra delle Due Rose" che è poi rimasta a indicare tale contesa. La guerra dura dal 1455 al 1485 e si chiude con la vittoria del lancasteriano Enrico VII Tudor, che - in segno di pace - sposa Elisabetta di York, dando cosí inizio a una nuova dinastia (sul cui emblema  campeggiava una rosa bianca e rossa come simbolo di unione tra le due casate. Il regno dei Tudor dura fino al 1603, anno della scomparsa di Elisabetta I che muore senza eredi.
Queste due guerre sono importanti a causa delle armi e delle strategie di combattimento moderne. Sopratutto è fondamentale notare che con Enrico Tudor e la sconfitta dei baroni alleati agli York la monarchia inglese si rafforza. La stessa cosa accade in Francia con la sconfitta definitiva dei Borgognoni da parte del re Luigi XI, che cessa le rivendicazioni baronali e impone un rigido centralismo,  segnando una svolta politica.

SPAGNA - Il matrimonio, nel 1469, dei "re cattolici" (Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia) unifica la Spagna, già unita dalla lingua e dalla religione cattolica. La Spagna, col sostegno dello Stato della Chiesa, diventa una monarchia molto solida e in seguito una potenza commerciale anche grazie al supporto dei banchieri genovesi. Il governo dei re cattolici fu un rigoroso centralismo che consentì la stabilità politica ed economica necessaria per la sua espansione.
È infatti dalla Spagna che cominciano i  viaggi verso il "Nuovo Mondo": il 12 ottobre 1492 il navogatore genovese Cristoforo Colombo approda su quelle che pensava fossero le indie, dando così inizio alle prime esplorazioni geografiche.
La Spagna fu lo Stato con maggiori possedimenti nella parte centromeridionale del continente americano.

3 - L'ETÀ DI CARLO V

INTRODUZIONE - La prima metà del XVI sec. puó essere indicata in 3 diversi nomi:

• dal pumto di vista politico come Età di Carlo V
• dal punto di vista religioso come Età della Riforma Protestante
• dal punto di vista culturale come Età del Rinascimento

È un periodo di importanti cambiamenti sopratutto in politica, con l'affermarsi degli STATI REGIONALI tedeschi sul CENTRALISMO imposto da Carlo  V e in ambito religioso, per la nascita e la diffusione delle Chiese RIFORMATE, ma anche dal punto di vista sociale,  per il ruolo di spicco della BORGHESIA sopratutto grazie anche alla scoperta del NUOVO MONDO. La fine dell'Età Medioevale fu anticipata   dalll'UMANESIMO già nel XV secolo, ma è nel XVI secolo che si puó davvero comprendere il senso di questa rivoluzione di carattere culturale e scientifico, il cui simbolo è di sicuro il passaggio al SISTEMA COPERNICANO.

RIFORMA E CONTRORIFORMA - Si chiama così il processo di radicale rinnovamento spirituale e religioso che coinvolge la Chiesa. Già in passato si registrano  tentativi di riforma della Chiesa, mai di carattere SCISMATICO (Catari e Lollardi). Alla fine del 400 Savonarola denunciava la corruzione del potere di Alessandro VI e tentava l'instaurazione a Firenze di uno Stato teocratico.
Il vero inizio del processo di Riforma è il 31 ottobre 1517, data in cui il frate agostiniano MARTIN LUTERO affigge sul portone della chiesa di Wittenberg, in Sassonia,  95 tesi in latino sul valore e sull'efficacia delle indulgenze. Questo atto (che era la confutazione del pensiero di un frate domenicano, Giovanni Tetzel) non era una vera rivoluzione:  rivoluzionario fu il rifiuto opposto alla convocazione di Lutero a Roma per rispondere alle accuse di eresia con cui rifiutava di obbedire  all'autorità del papa. Nel 1520 Lutero viene scomunicato con la Bolla "Exsurge Domine"; nel 1521 l'Editto di Worms lo espelle pure dall'Impero. Lutero riesce a ottenere la protezione di alcuni Stati e il movimento si diffonde in Svizzera e in Olanda. Tra i diffusori del Protestantesimo europeo ricordiamo:

• Calvino
• Zwingli
• Melantone

Il movimento si diffuse tra i contadini e i nobili come  reazione al centralismo asburgico. In realtà Lutero non voleva la guerra né uno scisma: gli obiettivi della riforma erano infatti:

• la capacità di salvazione  del credente attraverso la  fede
• l'accesso ai Libri Sacri e la possibilità di leggerli e interpretarli
• la centralità dei soli due Sacramenti prescritti dal Cristo, ossia Battesimo e Eucarestia

In Inghilterra il re Enrico VIII Tudor fu nemico della Riforma e di Lutero tanto che nel 1521  ricevette da Leone X  il titolo di "Difensore della Fede". Questo titolo  fu revocato da Paolo III a causa dei contrasti con Clemente VII che furono la causa dello Scisma. Il re era sposato da 24 anni con Caterina d'Aragona (figlia dei "re cattolici" e zia di Carlo V d'Asburgo). Enrico aveva chiesto che il matrimonio fosse sciolto per sposare Anna Bolena ma il papa si oppose alla richiesta. Nel 1533 tuttavia il matrimonio fu celebrato e il re venne scomunicato da Clemente VII. Un anno dopo Enrico fa approvare gli atti  dello Scisma:

• la Legge di Supremazia, con la quale il re viene riconosciuto unico "Capo Supremo" della Chiesa d'Inghilterra
• la Legge di Tradimento, con la quale il rifiuto di riconoscere questo ruolo al re era un reato di alto tradimento e punibile con la morte
• la Legge di Successione con la quale si dispose la  successione al trono dei figli di Anna ed Enrico

Solo nel 1545 la Chiesa di Roma indice un Concilio Ecumenico con lo scopo di riunificare protestanti e cattolici. Il Concilio viene organizzato a Trento per la posizione equidistante della città da Roma e dal centro della protesta, e la sua durata fu di ben 18 anni, fino al 1563. La sua importanza è tale che per 4 secoli le disposizioni tridentine sono rimaste invariate. Le decisioni dei conciliaristi costituirono una Riforma della Chiesa Cattolica che  molti storici definiscono CONTRORIFORMA per opporla alla vera Riforma Protestante.
Due sono le istituzioni a sostegno del  processo di Controriforma cattolica:

• l'ordine dei Gesuiti, che svolse un importante ruolo nella formazione culturale con collegi, scuole e università
• il Tribunale della Santa Inquisizione, che diventò lo strumento di controllo della Chiesa contro nuovi tentativi di eresia

Tra le vittime famose del "Sant'Uffizio"si ricordano Galileo Galilei e Giordano Bruno. Dopo 4 secoli, nel 1963, il papa GIOVANNI XXIII indisse il Concilio  Vaticano II, che modificó alcune delle disposizioni tridentine.

CARLO V - I due sovrani protagonisti della prima metà del XVI secolo sono Enrico VIII e Carlo V. Gli Asburgo, in particolare a partire dallo scontro tra il pontefice ed Enrico VIII , furono i veri custodi della Controriforma. Carlo era il nipote dei "re cattolici" e suo nonno paterno era l'Imperatore Massimiliano e sua nonna paterna era Maria di Borgogna. In 3 anni (tra il 1516 e il 1519) Carlo eredita sia la Corona del Regno di Spagna (con il relativo impero coloniale) sia quella di Imperatore: si trattava di un dominio  cosi esteso da dire che in esso "non tramontava mai il sole". Avversari di Carlo erano la Francia e i principi protestanti tedeschi riuniti nella LEGA DI SMALCALDA. La guerra si concluse nel 1555 con  la PACE DI AUGUSTA, i cui principali punti furono:

• il diritto di professare la propria fede religiosa per i principi e i loro sudditi (CUIUS REGIO EIUS RELIGIO cioé "a ogni re la propria religione"
• l'obbligo di restituzione dei benefici concessi dal papa (feudi e titoli) per i principi che sceglievano la religione protestante (RESERVATUM ECCLESIASTICUM)

Conseguenza della pace di Augusta fu la fine del centralismo. Carlo V nel 1556 abdicó dividendo l'Impero tra il figlio Filippo, che ereditó la Spagna, e il fratello Ferdinando, a cui spettó l'impero. L'ex imperatore si ritirò nel monastero spagnolo di Yuste in cui morirà due anni dopo.

Piergiovanni Morittu