sabato 17 settembre 2016

900 - Parte 2A

IL 900 - PARTE 2A
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
1939-1945

PRIMA PARTE
(settembre 1939 – novembre 1942)

Le folgoranti vittorie tedesche

Il 23 agosto 1939 il patto d’acciaio Ribbentrop-Molotov sanciva ufficialmente la non belligeranza tra Germania e URSS attraverso un accordo di non aggressione, poi trasformato in un patto di amicizia. Questo patto copriva di fatto le spalle alla Germania, consentendole di attaccare la Polonia. Il 1 settembre 1939 le Panzerdivisionen entrano in territorio polacco a ovest, piegandone le deboli difese in poco meno di tre settimane, mentre a est la Polonia veniva attaccata dall’esercito sovietico, così come volevano i dettami dell’accordo. Il successivo 3 settembre Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania. In realtà le operazioni di guerra vere e proprie si fanno attendere per mesi, e solo quando Hitler occupa la Danimarca e la Norvegia l’Inghilterra entra ufficialmente in guerra. La manovra tedesca era evidentemente orientata a un accerchiamento dell’Inghilterra: la Danimarca si piegò facilmente, mentre la Norvegia ostentò una resistenza approssimativa, che decadde nel governo collaborazionista di Vidkun Quisling. Accerchiata l’Inghilterra la manovra tedesca si spostava alla Francia: per aggirare la poderosa Linea Maginot Hitler attaccava Belgio, Olanda e Lussemburgo. A questo punto Hitler inviò i reparti più celeri verso la Manica, per contrastare eventuali attacchi inglesi e conservando a Dunkerque un distaccamento contro gli eserciti inglese e francese, secondo il rituale della cosiddetta guerra lampo (blitzkrieg).
Incredibilmente fu proprio in questa occasione che da Berlino giunse l’ordine di ritirarsi. Molti storici concordano sulla tesi che Hitler avesse concesso all’Inghilterra di reintegrare le proprie armate, poiché il dittatore attribuiva alla stessa Inghilterra un ruolo portante nell’equilibrio del conflitto. Solo le armate dislocate a Dunkerque furono bombardate dagli aerei della Luftwaffe.
Nel frattempo sul fronte francese il 14 giugno 1940 la Wehrmacht riusciva a travolgere la Linea Weygand, che i francesi avevano frettolosamente allestito per sopperire al crollo della Linea Maginot. Le armate tedesche si spinsero verso Parigi, entrarono nella capitale e proseguirono oltre la Loira, verso la Manica e il nord est. Anche in Francia si sviluppò un sentimento filonazista e, mentre il nord veniva occupato, nel sud del paese si formò su iniziativa del maresciallo collaborazionista Petain uno staterello vassallo del Reich che si disse Repubblica di Vichy.

L’Italia in guerra col Reich

L’Italia non era entrata da subito in guerra, poiché Mussolini ben sapeva di non poter disporre di un esercito adeguato, e inoltre non si poteva certo nascondere l’indiscusso vantaggio derivato dalla possibilità di intrattenere rapporti commerciali con i paesi belligeranti senza alcuno coinvolgimento diplomatico. Impegnato nel Patto Tripartito con Germania e Giappone, il Duce decise di intervenire solo dopo la capitolazione francese: il 10 giugno 1940 veniva pronunciata la solenne Dichiarazione di Guerra all’Inghilterra. La decisione fu criticata, poiché era una guerra senza logica e senza ragione poiché l’Italia non era mai stata direttamente coinvolta nel conflitto e non aveva interessi da difendere. Le operazioni preliminari si protrassero fino al 24 giugno, quando l’Italia conquistò, non senza fatica, pochi lembi di territorio francese.

Le mosse dell’URSS nei paesi baltici

Il patto di non aggressione permetteva all’Unione Sovietica di agire indisturbata nella regione baltica e nel nord est europeo. Stalin propose dunque ai paesi baltici la protezione sovietica. Di fronte al rifiuto della Finlandia l’Armata Rossa invadeva il territorio finnico, il 30 novembre 1939, con non poche difficoltà. Dopo aver sfondato la Linea Mannerheim la Finlandia fu obbligata alla resa, perdendo due avamposti fondamentali come la Carelia e la base navale di Hongö. La posizione finlandese interessava però la Germania, in quanto ora Hitler esaminava la possibilità di spingersi verso est, e fu così che, temendo un nuovo attacco sovietico, la Finlandia si piegò al Reich accogliendo truppe tedesche nel suo territorio.

La battaglia d’Inghilterra

Churchill aveva sempre rifiutato decisamente di scendere a patti con Hitler. Di fronte al diniego del rivale, Hitler fece bombardare Londra nella notte dell’8 agosto 1940, anticipando un attacco tedesco alla capitale.  La coraggiosa resistenza inglese scongiurò ogni possibilità di sbarco e di fatto Londra divenne la capitale della resistenza europea.

Le operazioni sul fronte libico-egiziano
e in Africa Orientale

Si tratta di due tra i punti nevralgici del conflitto. La minaccia italiana aveva infatti costretto l’esercito inglese a una poderosa controffensiva in Cirenaica nel febbraio 1941, per difendere l’Egitto, a cui Hitler rispose inviando in Africa un corpo di spedizione apposito, l’Afrika Korps, al comando del generale Rommel, che nella primavera del 1941 ricacciarono dalla Cirenaica le armate inglesi. Sul fronte dell’Africa Orientale l’Inghilterra riuscì tuttavia a occupare in poco tempo i territori coloniali italiani e a restaurare il deposto negus d’Etiopia Hailè Selassiè. Bastarono  dunque appena cinque mesi di campagna per perdere l’impero coloniale.

L’attacco italiano alla Grecia e
Il fallimento della guerra parallela

Il Duce era illuso di riuscire a condurre una guerra parallela alla campagna militare tedesca, rivendicando le proprietà di Nizza, Savoia, Corsica e Africa, e promuovendo l’espansione territoriale italiana nelle zone mediterranea e danubiano-balcanica. Il 28 ottobre 1940 Mussolini ordina l’invasione della Grecia, partendo dall’Albania, ma fu un solenne smacco, perché i greci respinsero con facilità l’attacco, passando a una pericolosa controffensiva. Inoltre tra l’11 e il 12 novembre aerosiluranti inglesi, alleati della Grecia, attaccavano la nostra flotta alla fonda nel porto di Taranto, infliggendo perdite pesantissime.
A salvare la situazione corse la Germania, con l’invio di un corpo di spedizione che invase i Balcani e giunse in Jugoslavia, proprio mentre in Jugoslavia si costituivano i nuclei della resistenza guidati da Tito.
La fragilità dell’esercito italiano metteva in evidenza la necessità di una dipendenza dalla Germania, accentuandone la subordinazione.

L’attacco tedesco all’URSS e
il Nuovo Ordine di Hitler

Il 22 giugno 1941 si rompeva il patto d’acciaio Ribbentrop-Molotov e iniziava l’attacco di Hitler all’URSS. Il Cremlino era stato in realtà messo in preallarme dalla diplomazia inglese, ma l’avviso era stato ignorato perché scambiato per una mossa propagandistica e destabilizzatrice. L’attacco si svolse su tre fronti principali:
a nord su Leningrado;
al centro su Smolensk;
a sud su Kiev.
Presi alla sprovvista e chiusi dall’incalzare tedesco, con l’aviazione distrutta da un bombardamento a tappeto, ai Russi non restava altro che affidarsi alla guerra di logoramento, che si concentrò nelle grandi città come Mosca, Leningrado e Stalingrado, iniziando così una lotta sfiancante con l’esercito del Reich.
Nel frattempo Hitler promuoveva un nuovo programma, derivato dal Mein Kampf, a cui fu dato il nome di Nuovo Ordine.
Era un programma ambizioso, votato alla realizzazione del pangermanesimo,   che vedeva il conclamarsi dell’indiscussa leadership della nazione tedesca. Quella tedesca era la razza eletta, la razza perfetta, a cui spettava il compito di guidare il mondo, mentre gli altri popoli erano considerati sottouomini (untermenschen). Il Nuovo Ordine prevedeva anche la colonizzazione dell’est europeo e la sua trasformazione in colonia agricola di sfruttamento. Il delirante progetto hitleriano continuava con la decisione di eliminare tutti gli Ebrei, gli intellettuali e i dissidenti, mediante la creazione di campi di sterminio e di lavoro (lager): oltre sei milioni di Ebrei subirono come si sa la feroce soppressione mediante le camere a gas, e a migliaia subirono l’onta della deportazione.

La Carta Atlantica

Il 14 agosto 1941 il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, da poco eletto per la terza volta alla presidenza degli Stati Uniti, e il premier inglese Winston Churchill, si incontravano a bordo di una nave da guerra al largo delle coste di Terranova per firmare la Carta Atlantica. Era una risposta al Nuovo Ordine hitleriano, una comune dichiarazione di intenti promossa dalle democrazie occidentali per abbattere il Nazismo. L’importanza del documento, che riprendeva la struttura dei Quattordici Punti di Wilson era rappresentata dall’uscita definitiva degli Stati Uniti dal loro isolazionismo.
Sulla base della Carta Atlantica nasceva il 1 gennaio 1942 la Dichiarazione delle Nazioni Unite, ventisei stati impegnati in un fronte comune contro le potenze del Tripartito, e costituenti il nucleo originale della futura ONU, che sorgerà a San Francisco a fine conflitto. Alla testa del patto si ponevano USA, URSS, Inghilterra e paesi del Commonwealth, ma è soprattutto significativa la presenza americana, che di fatto anticipava, prima di Pearl Harbour, l’ingresso statunitense nel conflitto.

L’attacco giapponese agli Stati Uniti
e il Nuovo Ordine giapponese in Asia

Fino al 7 dicembre 1941, gli unici scenari di guerra furono in pratica soltanto tre:
la zona mediterranea;
la zona atlantica;
l’est europeo.
Si apre ora un quarto scenario, quello della zona pacifica, dove la massiccia presenza nipponica disturbava già da tempo gli Stati Uniti.
L’embargo americano nei confronti del Giappone provocò una reazione immediata e a sorpresa: alle ore 7 e 55 del 7 dicembre 1941, mentre l’ambasciatore giapponese a Washington notificava la dichiarazione di guerra, 189 bombardieri nipponici calavano a Pearl Harbour, nelle Hawaii, distruggendo metà della flotta americana, che si trovava alla fonda e ovviamente impreparata all’attacco. Il pesante bilancio includeva otto corazzate, tre incrociatori e un alto numero di aerei a terra.
L’azione giapponese non si limitò a Pearl Harbour, ma si estese al golfo del Siam, dove era stanziata la flotta inglese, e nei punti principali del Pacifico e del sud est asiatico. Il 10 dicembre Italia e Germania dichiararono guerra agli Stati Uniti; il Regno Unito e i paesi del Commonwealth dichiaravano guerra al Giappone. L’URSS rimase neutrale.
Come le forze alleate del Patto Tripartito il Giappone si diede un Nuovo Ordine. Il programma, pur improntato su una solida base di interesse economico, propagandava i giapponesi come liberatori e artefici della fine dello sfruttamento coloniale europeo in Asia. La realtà dei fatti non fu però lontana dal vedere nel disegno nipponico un chiaro intento dominatore, con la presenza di una razza superiore rispetto alle altre, sul modello nazista.

La ripresa dell’offensiva tedesca in URSS

Tra l’estate e l’autunno 1941 l’avanzata tedesca coprì mille chilometri del territorio sovietico. Durante la pausa invernale l’esercito riuscì a riprendersi, ma non potè godere degli aiuti alleati, poiché la vastità del territorio e l’incedere dell’inverno russo isolavano di fatto il paese. Nel corso dell’inverno 1941/42 l’Armata Rossa riuscì comunque a riguadagnare buone posizioni sul fronte orientale, approfittando delle difficoltà degli avversari, sorpresi dai rigori climatici. Nella primavera del 1942 la Wehrmacht riprese le ostilità, a sud verso Kiev e il Caucaso e a nord est verso Stalingrado, lungo il Volga: fu questo l’errore fatale che compromise la campagna. L’Armata Rossa non ebbe nessuna difficoltà a serrare in una morsa la Sesta Armata tedesca, e il 23 novembre l’esercito italo-tedesco fu obbligato alla ritirata. Decimati dal freddo solo pochi uomini riuscirono a guadagnare il confine il 2 febbraio 1943: facevano parte del corpo di spedizione anche il corpo italiano dell’ARMIR, pesantemente decimato. 

SECONDA PARTE
(novembre 1942 – settembre 1945)

La controffensiva americana
sul fronte del Pacifico

Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour la controffensiva americana si era messa in moto sul fronte del Pacifico. La prima azione ebbe luogo nel Mar dei Coralli, tra il 7 e l’8 maggio 1942; la seconda nell’arcipelago delle Midway, nel giugno successivo; la terza ebbe come teatro un’isola delle Salomone, Guadalcanal, dove la flotta nipponica si preparava all’assalto della Nuova Guinea. A supporto dell’offensiva americana partecipava anche la Cina con il Kuomintang e l’Esercito Rosso di Mao, che sostenevano l’aviazione statunitense.

La controffensiva americana
sul fronte del Mediterraneo

Contro l’Asse l’esercito angloamericano adottava una manovra a forbice: da un lato gli Inglesi al comando del generale Montgomery, dall’altro gli Americani guidati dal generale Eisenhower. 
Nell’ottobre 1942 l’esercito di Montgomery travolse l’esercito tedesco a El Alamein, penetrando in Cirenaica e in Tripolitania: il 23 gennaio 1943 cadeva Tripoli e l’esercito italo-tedesco riparava in Tunisia, dove si arrendeva nel maggio seguente. Pochi mesi prima, dopo un vertice a Casablanca tra Churchill e De Gaulle, nel novembre 1942, l’esercito americano, con l’appoggio  della Resistenza francese, sbarcava in Algeria e Marocco, sottraendo il nord ovest africano alla Repubblica di Vichy. Il 30 maggio 1943 i bombardieri inglesi della Royal Air Force calavano su Colonia e sulle principali città tedesche, dimostrando l’imminente fine tedesca. Il 9 luglio gli Americani sbarcavano in Sicilia.

La crisi del Fascismo in Italia e
l’inizio della Resistenza

Lo sbarco in Sicilia dette il colpo di grazia alla traballante macchina statale fascista. Il regime era in crisi: la fallimentare campagna di Russia, la conclamata debolezza dell’esercito italiano e soprattutto la pesante sudditanza al regime hitleriano, avevano minato la stabilità del governo di Mussolini. I sempre più frequenti scioperi nelle fabbriche e le tensioni sociali palesavano il crescente malcontento dei ceti medio bassi della popolazione.
Dopo lo sbarco americano il Gran Consiglio del Fascismo si ribellò dunque al Duce e chiese il ripristino della legalità costituzionale e del potere della Corona. Il 25 luglio Mussolini, formalmente invitato a rassegnare le dimissioni da Capo del Governo, rimetteva l’incarico nelle mani del re Vittorio Emanuele III a Villa Savoia. Arrestato, il Duce fu condotto in un albergo sul Gran Sasso, mentre il maresciallo Badoglio assumeva il controllo dell’esecutivo.
Mentre le diplomazie continuavano a mantenere un accordo di facciata col Reich, il governo italiano iniziò a trattare segretamente con gli angloamericani: il 3 settembre 1943, mentre le armate inglesi di Montgomery passavano lo Stretto di Messina e mettevano piede in Calabria, veniva firmato l’armistizio, reso pubblico, per ragioni di sicurezza, il successivo 8 settembre. Contemporaneamente iniziava l’occupazione tedesca dell’Italia settentrionale.
Il re aveva lasciato Roma e aveva raggiunto Pescara, e quindi Brindisi, nella zona occupata dagli inglesi: l’Italia si era trovata divisa in due, il nord in mano ai tedeschi e il sud in mano agli alleati. Mussolini si era nel frattempo liberato, con l’aiuto di un gruppo di paracadutisti tedeschi, ed era riuscito a riparare a Salò, nel Bresciano, dove aveva costituito una repubblichetta indipendente, la Repubblica Sociale Italiana, infeudata al Reich come Vichy.
L’8 settembre si costituiva ufficialmente il movimento della Resistenza italiana. Nel nord occupato i principali partiti antifascisti confluivano nel CLN (Comitati di Liberazione Nazionale); il 13 ottobre il maresciallo Badoglio dichiarava guerra alla Germania. Le Nazioni Unite avevano accolto l’Italia come cobelligerante, permettendo alla nazione di partecipare al conflitto con le proprie forze armate.
Accanto al CLN si costituiva il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), un’organizzazione partigiana riconosciuta dagli stessi alleati. Ogni partito aveva la sua formazione partigiana: il PCI aveva le Brigate Garibaldi, il PSI le Brigate Matteotti, il Partito d’Azione aveva fondato Giustizia e Libertà, e ancora esistevano formazioni afferenti alla Democrazia Cristiana e apartitiche.
I partigiani catturati furono uccisi e deportati nei lager, dove furono blanditi con la possibilità di aderire alla RSI, proposta che fu ovviamente rifiutata. Al sud la Linea Gustav delimitava una nazione a sé, riproduzione del vecchio sud monarchico e feudale, con i privilegi dei signori e lo sfruttamento delle terre e dei cafoni locali.

Il fronte italiano

A poco a poco la zona di guerra italiana perse d’importanza, perché Churchill voleva aprire un secondo fronte per alleggerire la pressione tedesca sull’URSS: l’apertura del secondo fronte sul nord della Francia sarà un’idea di Roosevelt, contro il parere sfavorevole di Churchill che temeva un’eccessiva presenza sovietica nei Balcani.
Intanto gli alleati, guidati dal generale Alexander, salivano per lo stivale e travolgevano la Linea Gustav, liberando prima Roma e poi Firenze tra il giugno e l’agosto del 1944, e obbligando i tedeschi ad allestire un secondo fronte difensivo dalla Versilia alle coste romagnole, la Linea Gotica. Nel mese di giugno dello stesso anno il re Vittorio Emanuele III trasferiva i poteri della corona in favore del figlio Umberto, nominato luogotenente del Regno, quasi un presagio di quella che poi sarà l’effettiva abdicazione.
Intanto il maresciallo Badoglio si dimetteva e saliva al governo Ivanoe Bonomi, che si pose a capo di un governo di coalizione dove erano rappresentati tutti i sei più importanti partiti antifascisti.

Il "giorno più lungo":
Lo sbarco alleato in Normandia

Su volere del presidente americano Roosevelt il secondo fronte si aprì dunque sulle coste settentrionali della Francia. Quella che è ricordata come Operazione Overlord, una delle più importanti della seconda fase del conflitto, si svolse tra il 5 e il 6 giugno 1944, nel tratto di costa francese compreso tra Caen e Cherbourg, dove l’esercito angloamericano trovò ad attenderlo una poderosa struttura fortificata, il Vallo Atlantico, fatto costruire da Hitler in previsione dello sbarco,  e sessanta armate del Reich. Mentre gli alleati entravano in Francia liberando il nord, in Provenza il 3 agosto sbarcava l’esercito di De Gaulle e il 18 agosto insorgeva Parigi. In pochi mesi la gran parte dei territori francese e belga erano liberati, anche se la Resistenza continuava.
Nel marzo 1945 l’esercito angloamericano oltrepassava il Reno ed entrava in territorio tedesco.

Le operazioni sovietiche sul Baltico e nei Balcani

Sul fronte orientale la controffensiva russa aveva ricacciato indietro l’esercito tedesco, arrivando fino a Varsavia e ai Carpazi. Mentre a Lublino i comunisti prendevano il potere, tra il 1 agosto e il 2 ottobre 1944 si consumava il dramma di Varsavia, priva dell’appoggio sovietico nella resistenza all’invasione nazista. Intanto l’esercito sovietico superava brillantemente le frontiere tedesche e liberava la Romania e la Bulgaria sul fronte balcanico, e l’Estonia e la Lettonia in quello baltico. La Jugoslavia otteneva la liberazione guidata dalla resistenza partigiana del maresciallo Tito.
In Grecia scoppiava la guerra civile tra il Fronte Nazionale di Liberazione e le forze monarchiche: del conflitto cercò di approfittare l’URSS, da sempre interessata a un avamposto sul Mediterraneo, ma l’intervento inglese pose fine alla guerra civile e, liberata Atene dai tedeschi, sottraeva la Grecia dall’influenza sovietica. Nel mese di ottobre, durante la Conferenza di Mosca, l’Europa veniva divisa in due zone di influenza e quella balcanica toccava, a eccezione della Grecia, all’Unione Sovietica.

Verso la fine della guerra

Già durante la seconda fase del conflitto i governi delle potenze vincitrici si erano incontrati per restaurare la situazione geopolitica del continente. La prima conferenza si tenne a Teheran alla fine del 1943: l’Europa fu divisa secondo sfere di influenza, rispettivamente quella orientale all’URSS, e quella occidentale agli angloamericani. Churchill e Stalin, durante il successivo vertice di Mosca, stilavano l’accordo in base al quale l’Unione Sovietica avrebbe avuto campo libero sui Balcani e nel contempo la Grecia era riconosciuta sotto la protezione inglese. Nel febbraio 1945 si teneva la conferenza di Yalta, in cui la Germania veniva divisa in quattro zone e si decideva anche l’assetto dell’ONU. L’ultima conferenza si tenne a Potsdam, presso Berlino, nel luglio 1945, dove i capi del governo rappresentati (Attlee al posto di Churchill per la Gran Bretagna) decidevano l’intervento estremo contro la Germania e il Giappone.   

La resa di Germania e Giappone

Nell’aprile 1945 l’esercito sovietico entrava a Vienna. Le pressioni sui due fronti avevano pesantemente compromesso il sistema difensivo tedesco e anche qui, come in Italia, il ruolo del Fuhrer era stato messo in discussione. Il 20 luglio 1944 l’attività cospirativa era giunta a tentare l’omicidio di Hitler, ma il Fuhrer si salvò  e iniziò una dura repressione contro i sospettati di dissidenza col Reich. Tuttavia la crisi del regime era ormai in atto e la Germania si trovò stretta in una morsa: a ovest gli alleati avevano superato il Reno a Remagen, erano entrati in territorio tedesco e avevano raggiunto Monaco e Amburgo, mentre a est l’esercito sovietico aveva raggiunto Berlino.
In Italia, dove era crollata la Linea Gotica, gli alleati liberavano Milano il 25 aprile. Mussolini, che tentava la fuga travestito da tedesco, fu catturato a Dongo da una brigata partigiana e fu fucilato su sentenza del CLNAI. Il 28 aprile l’esercito sovietico entrava a Berlino e sul pennone del Reichstag veniva issata la bandiera rossa. Hitler si tolse la vita nel suo bunker. La resa incondizionata fu firmata dal generale Jodl il 7 maggio 1945.
La resa tedesca permetteva agli USA di scatenare il proprio potenziale bellico contro il Giappone. Tra l’ottobre 1944 e l’aprile 1945 i Giapponesi avevano rimediato alcune pesanti sconfitte, prima nelle Filippine, a Leyte, poi il bombardamento americano di Tokyo, e quindi la sconfitta di Okinawa: ma il Giappone, convinto della santità della guerra e della missione divina dell’imperatore Hirohito, non voleva arrendersi. Il neopresidente americano Truman, succeduto nel frattempo a Roosevelt, decise di tentare la mossa estrema dell’arma atomica, uno strumento bellico di elevatissimo potenziale, già in mani tedesche. Dopo l’ennesimo rifiuto di arrendersi, il 6 agosto 1945 il bombardiere americano Enola Gay sganciava su Hiroshima la prima bomba atomica, che rase la città al suolo. Una seconda bomba colpiva tre giorni dopo la città di Nagasaki. In mezzo a questi avvenimenti anche l’URSS dichiarava guerra al Giappone e invadeva Manciuria e Corea. Il Giappone notificava la resa il 14 agosto, con la garanzia della permanenza sul trono imperiale di Hirohito.
Il 2 settembre 1945 si chiudeva definitivamente il conflitto.