domenica 15 maggio 2016

2 - Schopenhauer

SCHOPENHAUER - LEZIONE 2
La realtà metafisica dell’uomo

2.1 - La filosofia di Schopenhauer prende le distanze dalla filosofia hegeliana per abbracciare una concezione della realtà fondata sulla volontà e sulla rappresentazione, e in cui la filosofia deve essere lo strumento per superare la conoscenza rappresentativa della realtà per isolarne l’essenza, ossia la volontà. L’opera più importante di Schopenhauer è sicuramente IL MONDO COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE. Nella prefazione Schopenhauer indica quali fonti d’ispirazione le opere di Kant e di Platone e i libri sacri della tradizione induista, Veda e Upanishad. Da Kant Schopenhauer eredita la scissione tra fenomeno e noumento, ma a differenza di Kant egli considera il noumeno conoscibile, attraverso il concetto di volontà. Da Platone eredita invece la divisione dei due mondi, a cui accompagna la creazione di un mondo intermedio fondato sulla volontà. Dai testi sacri dell’induismo infine egli eredita la concezione illusoria della realtà empirica, che è solo apparenza, e che deve essere superata per passare a una verità più stabile e meno effimera. Come i filosofi del suo tempo anche Schopenhauer sente l’esigenza di dare un’espressione sistematica e scientifica al suo pensiero, ma non segue la concezione architettonica dei suoi contemporanei, bensì predilige una prospettiva organica e circolare, in cui ogni parte sostiene il tutto e viceversa. L’esigenza di abbandonare una tradizione gerarchica nasce dal fatto che ogni uomo è portato a interrogarsi sulla realtà da una continua meraviglia. Lo stupore filosofico è la conseguenza dalla ricerca dell’uomo che non si arrende di fronte alla morte, al male, al dolore, e cerca di soddisfare il proprio bisogno metafisico. L’inquietudine deriva dalla consapevolezza che la non esistenza del mondo è possibile quanto la sua stessa esistenza. Ma per questo motivo Schopenhauer non si rivolge al concetto tradizionale, razionalistico, di metafisica, quella che Kant aveva definito abisso senza fondo, e che pretende di andare oltre il fenomeno: egli elabora la concezione di una metafisica immanente, che parte proprio dal fenomeno empirico, e che considera indispensabile per spiegare la realtà, in quanto gli stessi concetti che la metafisica usa per spiegare il reale partono dal reale stesso, e quindi è necessario ammettere una metafisica che parta dal fenomeno per spiegare il fenomeno stesso. Si tratta dunque di una metafisica completamente diversa da quella degli idealisti, che Schopenhauer critica e dileggia per il linguaggio oscuro, espressione a suo dire di una disonestà intellettuale. Obiettivo delle suecritiche è sopratutto il pensiero hegeliano, non solo per la mistificazione di un’illusoria coincidenza tra ideale e reale ma sopratutto per aver occultato quelle caratteristiche umane che permettono all’uomo di agire, imprigionando l’uomo nell’obbedienza alla religione e allo Stato.

2.2 - Kant aveva sostenuto che del reale si potesse cogliere il solo aspetto fenomenico, relegando quello noumenico a qualcosa di pensabile ma non conoscibile, e per questo limite indispensabile della conoscenza umana. Schopenhauer riprende questa dicotomia nella sua descrizione del mondo, indicando il fenomeno come la RAPPRESENTAZIONE del mondo stesso, ossia come effettivamente appare ai nostri sensi, e affermando il noumeno come VOLONTA’, ossia il mondo come noi vorremmo che fosse, espressione di quella forza metafisica che eccede il piano empirico. Schopenhauer però prende le distanze da Kant, in quanto Kant considerava il mondo una delle idee della ragion pura, di natura dunque noumenica e inconoscibile, mentre il filosofo di Danzica pone il mondo al centro di tutta la sua speculazione. Nella sua riflessione Schopenhauer considera il mondo come rappresentazione, dal punto di vista fenomenico, e come volontà, dal punto di vista noumenico. Nel primo caso, relativo alla conoscenza scientifica, il mondo viene visto come un oggetto per il soggetto. Il soggetto è ovviamente l’uomo che lo deve conoscere. Nel secondo caso invece il mondo è l’oggettivazione di quella forza metafisica che è la volontà in quanto forza viva, ossia volontà di vivere. Il mondo in quanto rappresentazione non può prescindere dai due aspetti,  inseparabili, di soggetto e oggetto, che caratterizzano ogni esperienza. La dimensione oggettiva si basa a sua volta sulle forme di spazio e e tempo e sulla causalità: ogni esperienza infatti non potrebbe prescindere dallo spazio, dalla successione temporale e dalle relazioni causali che legano gli oggetti tra di loro. Si tratta del mondo del cosiddetto PRINCIPIUM INDIVIDUATIONIS per cui la realtà appare frammentata e divisa come sono separati soggetto e oggetto, e che  Schopenhauer riconduce al termine sanscrito AHAMKARA che nei Veda indica praticamente la coscienza nel suo atto rappresentativo del reale (da aham, cioè io, e  kara, fare). Il soggetto, in quanto condizione della stessa esperienza, a differenza dell’oggetto, non può essere conosciuto e a lui non si possono ricondurre le stesse prerogative dell’oggetto poiché la è unitario e non frammentato come la realtà: per questo motivo le forme del mondo della rappresentazione sono a priori e indipendenti sia dall’esperienza sia dal soggetto stesso da cui ogni esperienza dipende. Rispetto a Kant Schopenhauer riduce le dodici categorie a una sola, quella della causalità, e, in un modo diverso da Kant, distingue nel soggetto tre facoltà conoscitive: la SENSIBILITA’, l’INTELLETTO (facoltà delle rappresentazioni intuitive) e la RAGIONE (facoltà delle rappresentazioni astratte). La collaborazione tra sensibilità e intelletto permette di applicare a tutti i fenomeni il principio della causalità. che è forma a priori dell’intelletto: grazie a questa collaborazione le sensazioni esterne sono interpretate dall’intelletto come effetti di cui occorre ricercare le cause, a loro volta proiettate fuori dall’organismo. L’intuizione nella filosofia di Schopenhauer è dunque opera dell’intelletto, e si tratta di una intuizione empirica. La fissazione delle conoscenze acquisite con l’intuizione dà luogo alla conoscenza astratta che è oggetto della ragione e riguarda invece i concetti. La dottrina della causalità, altrimenti detta da Schopenhauer PRINCIPIO DI RAGION SUFFICIENTE, riveste un ruolo fondamentale nel sistema (tanto che egli dedica a questo problema la sua tesi di laurea): niente è senza ragione. La formulazione wolffiana di tale principio (nihil est sine ratione cur potius sit, quam non sit) non viene assunta da Schopenhauer in senso ontologico ma critico, riferendosi cioè al modo in cui il soggetto si rapporta agli oggetti e al modo in cui gli oggetti si rapportano tra loro. Schopenhauer individua quattro forme del principio di ragion sufficiente, che corrispondono ad altrettanti modi di connessione necessaria tra gli oggetti:

DIVENIRE - si applica alle rappresentazioni intuitive che ci permettono di avere un’immagine della realtà empirica e coincide con la necessità fisica delle relazioni causali;
CONOSCERE - si applica alle rappresentazioni astratte, cioè ai concetti, e coincide con la necessità logica delle relazioni tra premesse e conseguenze;
ESSERE - si applica alle intuizioni a priori di spazio e di tempo in ambito matematico e coincide con la necessità matematica e geometrica;
AGIRE - si applica al soggetto e coincide con la necessità morale, in quanto spiega il motivo delle azioni.

Queste quattro forme del principio di ragion sufficiente forniscono nell’insieme una prospettiva del mondo, ma la conoscenza del mondo per Schopenhauer non finisce qui: anzi, l’immagine del mondo che ci rappresentiamo è solo una parvenza illusoria che nasconde la vera essenza, quella che Kant chiamava la cosa in sé. Il compito della filosofia è quello di svelare questa essenza, liberandola dal velo di illusorietà che Schopenhauer chiama col termine sanscrito maya.