domenica 8 maggio 2016

23 - Nietzsche

NIETZSCHE - LEZIONE 23
La Nascita della Tragedia

23.1 - il primo impianto della concezione filosofica tragica niceana appare nel 1872 con l'opera LA NASCITA DELLA TRAGEDIA, opera in cui Nietzsche utilizza categorie di tipo estetico e ricorre a due immagini di natura mitologica, DIONISIACO e APOLLINEO. In quest'opera non solo Nietzsche spiega la nascita della tragedia attica, a partire dallo spirito della musica, ma elabora anche una moderna concezione dell'arte e della cultura. Nel TRATTATO DI AUTOCRITICA del 1886, che costituiva la prefazione di una nuova edizione del libro, Nietzsche definisce quest'opera come problematica, stravagante e di difficile accesso; nel saggio autobiografico  ECCE HOMO sostiene che questo libro ha agito e affascinato proprio per ciò che aveva di sbagliato. Questa ambivalenza riflette bene la natura dei suoi rapporti con Wagner, dall'ammirazione giovanile per il compositore, di cui condivideva l'amore per il pensiero di Schopenhauer e il progetto di rinnovamento della cultura tedesca, al definitivo allontanamento. L'influenza wagneriana e schopenhaueriana si fa sentire sopratutto nel significato metafisico dell'arte e nella concezione del mondo come fenomeno esterno. In questa prospettiva l'arte e la musica sono esperienza che consentono di cogliere l'essenza della realtà: guardando alla realtà nella prospettiva dell'arte il filosofo riesce infatti a scorgere il mondo oltre il velo dell'apparenza. Nietzsche non era interessato a mostrare attraverso strumenti filologici la nascita della tragedia ma intendeva invece interrogarsi sul significato metafisico del reale, guardando la razionalità e la scienza nell'ottica dell'arte e l'arte nell'ottica della vita. In ECCE HOMO Nietzsche delinea il profondo antagonismo tra la tendenza dionisiaca dell'epoca tragica e il SOCRATISMO, la cui forza razionale reprime l'istintualità del dionisiaco. Alla visione concettuale della filosofia post-socratica Nietzsche oppone una filosofia tragica che traspone l'elemento dionisiaco in pathos filosofico o saggezza tragica.
Alla base della concezione niceana c'è il rifiuto della classicità ellenica.e dei suoi concetti di armonia, bellezza, equilibrio, proporzione e misura, che hanno valore secondo Nietzsche solo per l'arte del V secolo, per la scultura e l'architettura, ma non per l'intera grecità. L'analisi psicologica di Nietzsche porta a 4 domande: 

1) da  quale bisogno nascono l'arte e la ragione presso i Greci? 
2) qual è il rapporto dell'uomo greco con il dolore e con la sofferenza?
3) il pessimismo è un segno di forza o di debolezza e di decadimento?
4) l'avvento del razionalismo socratico - che ha portato alla fine della tragedia - è esso stesso un segno di decadimento?

23.2 - Lo sviluppo dell'arte, afferma Nietzsche, si deve alla coesistenza di due principi opposti, chiamati APOLLINEO e DIONISIACO. Si tratta dei due principi di natura mitologica - e non logica - che accoppiandosi danno vita alla TRAGEDIA ATTICA. Coerente con la sua prospettiva psicologica, Nietzsche li definisce IMPULSI e li paragona al SOGNO (l'apollineo) e all'EBBREZZA (il dionisiaco). Il rapporto tra queste due forze, paragonate da Nietzsche a quello tra i sessi finalizzato alla riproduzione, non conduce solo alla nascita della tragedia attica ma influenza lo sviluppo dell'intera civiltà. L'arte apollinea trova la sua maggiore espressione nella scultura: Apollo è il dio del sole e della luce, della chiarezza; l'arte apollinea esprime l'armonia delle forme, equilibrio e misura, perfezione. Apollo rappresenta la bella parvenza del sogno, la fiducia dell'uomo nel principium individuationis e quindi in ciò che appare al di qua del velo di Maya. Apollo dunque è il dio dell'illusione, la magnifica espressione della fiducia nelle apparenze, l'immagine dell'uomo che non sospetta che queste siano derivate dalla più profonda essenza del mondo, nascosta dal velo di Maya. Nell'origine della tragedia l'apollineo  non è un principio autonomo ma è intrinsecamente collegato al dionisiaco, anzi, in questa polarità è proprio il dionisiaco a svolgere il ruolo fondamentale, essendo l'artefice dello smascheramento della vera essenza, celata oltre il velo dell'illusione. Al contrario di Apollo, Dioniso è il dio dell'oscurità, dell'ebbrezza, della smisuratezza: egli simboleggia l'energia degli istinti, il rapimento estatico, il caos e l'eccesso. Il dionisiaco si esprime nella musica che genera stati passionali, in opposizione alla musica armonica e  misurata dell'apollineo. Il dionisiaco è la rottura del principium individuationis, la lacerazione del velo di Maya. Nietzsche si rifà qui a un celebre brano di Schopenhauer che descrive il sentimento di orrore dell'uomo che ha perso la fiducia nelle forme dell'apparenza, l'uomo che si rende conto che il principio di ragione non può essere applicato in tutte le configurazioni del reale: l'uomo abbandona la soggettività e si affaccia a un sentimento comunitario, rappresentato nel canto e nella danza. Egli si riconcilia con la natura, lasciando alla natura il ruolo di artista per diventare esso stesso un'opera d'arte, svelando la sua natura originaria. 
Questi due impulsi si incontrano nella tragedia di Eschilo e di Sofocle, in cui convivono il dionisiaco dell'ebbrezza (la musica e il coro) e l'apollineo del sogno (i dialoghi e il tessuto narrativo). L'elemento caratterizzante la tragedia, secondo una concezione già presente nella POETICA di Aristotele, è il CORO. Ma Nietzsche rompe gli schemi del classicismo e indica nel coro un elemento di voluto squilibrio, di mascheramento, di separazione tra la tragedia e la vita reale. A differenza di Aristotele che indicava la tragedia la vera arte imitativa,, Nietzsche la dipinge come la rappresentazione della parvenza e dell'illusione, ben rappresentate dal mascheramento del komos dionisiaco in figure innaturali (per esempio le maschere dei satiri): questo non significa che la tragedia rappresenta un mondo di fantasia, anzi, il mondo rappresentato sulla scena vuole essere credibile così come la teogonia degli dei dell'Olimpo. Il coro è l'eleemnto dionisiaco e comunitario che si oppone al momento soggettivo della recita dell'attore, quasi una barriera, che mostra il modo in cui la tragedia non si sente obbligata a imitare la vita e ne manifesta  per contro il lato gioioso, non più sofferente della mutevolezza dell'apparenza onirica. La tragedia non è quindi una forma di pessimismo, come aveva detto Schopenhauer, ma una manifestazione di forza vitale.

23.3 - La fine della tragedia coincide con un processo di decadenza che interessa tutta la storia delle civiltà occidentali. In questa fase alla visione tragica si sostituisce quella razionalistica, imponendo il primato dell'intelletto sul mondo e istituendo la conoscenza come valore supremo. La morte della tragedia, che nasce dal conflitto insanabile tra queste due visioni, è in realtà un suicidio, che viene operato da Euripide nell'espulsione dell'elemento dionisiaco: la tragedia perde così il suo aspetto mitico del racconto delle vicende dell'eroe e diventa una rappresentazione - non artistica - della vita quotidiana. Nietzsche attribuisce la responsabilità di questo suicidio alla filosofia socratica. Apollo e Dioniso sono sostituiti dal daimon, felicità e sapere si fondono nell'eudemonismo, la struttura razionale dell'universo soppianta il caos dionisiaco e l'uomo teoretico prende il posto dell'uomo tragico. L'influenza del razionalismo socratico si fa sentire anche nello stile e nella scrittura della tragedia euripidea, sopratutto nell'introduzione del prologo, elemento narrativo che anticipa ciò che succederà nel corso della rappresentazione, privando coaì la tragedia della tensione epica, dell'aspettativa, dell'incertezza. Per recuperare il pathos tragico Euripide è costretto a introdurre delle scene retorico-liriche, ma questo presente drammatico spezza l'equilibrio tra prologo ed epilogo, cassando la sintesi tragica della tragedia pre-euripidea. Epos e pathos vengono dunque separati così come si perde l'unione tra la musica e l'intreccio.
I limiti del socratismo emergono nella crisi della metafisica espressione delle filosofie di Kant e di Schopenhauer, consapevoli dell'irraggiungibilità della cosa in sé se non nella prospettiva di una conoscenza scientifica. Nietzsche vede nella musica di Wagner la possibilità di una RINASCITA DELLA TRAGEDIA in quanto l'opera wagneriana recupera la sintesi tragica riunificando gesto, musica e parola (forse anche a causa dall'abitudine di Wagner di scrivere i libretti dei propri drammi musicali).