venerdì 13 maggio 2016

5 - Kierkegaard

KIERKEGAARD - LEZIONE 5
La realtà esistenziale dell’uomo

5.1 - La filosofia hegeliana aveva l’obiettivo di mostrare la realtà del pensiero, dissolvendo la singolarità nell’universalità della storia dello spirito. La filosofia di Kierkegaard riparte proprio dalla singolarità, dall’uomo visto nei suoi aspetti concreti e possibili. Kierkegaard contrappone al sistema filosofico hegeliano l’esistenza del singolo: ma egli non si considera un vero filosofo quanto uno scrittore di cose religiose, poiché solo la religione riesce a soddisfare i bisogni dell’uomo. Dalla sua posizione duplice di filosofo e di uomo religioso Kierkegaard è con Marx e Nietzsche uno dei critici più radicali della moderna società borghese e uno dei pensatori cristiani più innovatori. La caratteristica più evidente del suo pensiero è la SCRITTURA, non solo per la vocazione di scrittore ma anche per la forte accezione autobiografica della sua riflessione - come testimoniano le pagine del suo DIARIO, che accompagneranno il suo pensiero per oltre un ventennio - influenzata dal rapporto col padre, con la chiesa luterana danese e con la compagna Regine Olsen. Questi aspetti mettono in luce che la dimensione diaristica e autobiografica tipica dell’opera di Kierkegaard è una scelta coerente e voluta proprio per rafforzare la teoria che il pensiero è l’espressione di una esistenza singola, reale, concreta e non vuoto astrattismo. Proprio l’affermazione del primato dell’esistenza singolare e individuale, porta Kierkegaard a una dura critica al conformismo borghese del suo tempo, all’appiattimento dei singoli nella massa, dovuto anche alle dottrine egualitarie contro cui il filosofo si scaglia, nella difesa della monarchia e dell’ordine pubblico. Kierkegaard condannerà i moti insurrezionali del 1848, in quanto la massificazione dei singoli non era garanzia di libertà. Partendo da una prospettiva religiosa arriverà perfino a teorizzare un governo costituito da sacerdoti cristiani. Tuttavia la critica investe anche la stessa chiesa luterana danese, accusata di ateismo cristiano per aver allontanato il singolo da Dio in nome di una religione di stato, e la teologia razionalista, in quanto il cristianesimo non è dottrina ma pratica, basata sull’ascolto della parola di Dio: Kierkegaard infatti è interessato sopratutto all’itinerario esistenziale che porta a diventare cristiani. La dimensione soggettiva della coscienza, coi suoi dubbi, con le sue possibilità, deve essere salvaguardata: perciò Kierkegaard condanna il sistema hegeliano, per aver risolto nel concetto le finalità esterna e interna, pregiudicando così l’integrità dell’agire etico. 
Nella POSTILLA CONCLUSIVA alle BRICIOLE DI FILOSOFIA (1846) emerge tutto il carattere soggettivo del pensare, con la differenza tra il PENSATORE ASTRATTO, calato in una dimensione teoretica e non interessato ai bisogni dell’esistenza, e il PENSATORE ESISTENTE, coinvolto nell’esistenza, e per questo soggettivo, che rappresenta la forma di filosofia che si accorge delle esigenze dell’esistere, esigenze a cui il pensatore astratto, alla ricerca di una impossibile oggettività, invece si sottrae. Kierkegaard contrappone alla verità oggettiva, che prescinde dall’esistenza del soggetto conoscente, una verità soggettiva, indissolubilmente legata all’esistenza del soggetto, attenta non a ciò che si dice bensì al modo in cui qualcosa si dice: se il pensiero oggettivo si rivolge all’esteriorità, quello soggettivo fa i conti con l’interiorità e quindi con la coscienza esistente. Il concetto di verità soggettiva, in aperta opposizione alla filosofia hegeliana, costituisce l’autentico senso del cristianesimo: essa non va intesa come autosufficienza del soggetto ma come individuazione del soggetto quale soggetto dell’esperienza dell’assoluto. Questa affermazione allontana definitivamente Kierkegaard da Hegel, che per il suo tentativo di mediazione tra religione e filosofia e di giustificazione razionale dei contenuti religiosi viene accusato di essere un falsificatore del cristianesimo. La critica a Hegel mette bene in evidenza la distanza tra i due filosofi: se Hegel aveva considerato la figura di Gesù come conciliatrice tra l’uomo e Dio, Kierkegaard parte dal presupposto che tra uomo e Dio esiste una distanza abissale.
La riflessione di Kierkegaard deve tuttavia molto all’hegelismo, sopratutto nel concetto della DIALETTICA DELL’ESISTENZA. A differenza della dialettica di Hegel si deve notare la totale assenza di conciliazione e la presenza della contraddizione, come nei tre stadi dell’esistenza. 

5.2 - Il termine ESISTENZA può avere due significati: il primo ha il senso di “derivato” ossia “essere da” o “proveniente da” di un ente “dato dal di fuori” e cioè creato da Dio; il secondo rimanda alla distinzione aristotelica di potenza e atto e indica la fatticità e l’effettività, l’attualità dell’esserci contrapposta all’essenza in quanto possibilità. Questo duplice significato di esistenza la pone da un lato come CONTINGENZA e dall’altro come REALTA’ IN ATTO. Accanto a questi due caratteri di esistenza, Kierkegaard considera anche un terzo, l’INDEDUCIBILITA’ DELL’ESISTENZA DAL CONCETTO, nella stessa accezione già usata da Kant, nelle prove dell’esistenza di Dio, in cui Kant considera l’esistenza come posizione assoluta, non deducibile  logicamente dall’essenza. L’esistenza non è un concetto e non è deducibile dal concetto: è passione infinita e interesse. Mentre per il concetto non è essenziale che esista, per il singolo l’esistenza è fondamentale. L’esistenza, poiché si svolge nel tempo, è finita e contingente, ma tende alla trascendenza in quanto l’uomo è singolo poiché creato a immagine e somiglianza da Dio. 
La categoria che descrive meglio di tutte l’esistenza è la POSSIBILITA’ perché l’uomo, a differenza di altri animali, “è ciò che sceglie”: questo aspetto mette in evidenza tutta la problematicità e la complessità del modo di essere dell’uomo che esiste nel tempo. Essendo soggetta al divenire l’esistenza è estranea alla necessità: essa è possibilità e scelta, quindi libera. Questa libertà non va intesa in senso positivo, infatti la vita pone l’uomo di fronte a continue decisioni, scelte e alternative, inconciliabili, che mettono in gioco la stessa esistenza, poiché l’uomo è ciò che sceglie. Non è detto che nella scelta una possibilità si debba per forza realizzare, essa potrebbe diventare nulla. Il singolo che si trova a fronteggiare questa sorta di onnipotenza della possibilità sprofonda nell’ANGOSCIA, definita da Kierkegaard sentimento puro e angosciante possibilità di potere, da cui si guarisce solo affidandosi alla fede e al rapporto con Dio.