lunedì 2 maggio 2016

42 - Heidegger

HEIDEGGER - LEZIONE 42
L’analitica esistenziale

42.1 - Heidegger radicalizza la fenomenologia husserlian proponendosi di indagare il senso dell'essere. Questa indagine si articola sinteticamente in due momenti principali, il primo è quello del significato dell'esistenza dell'uomo "gettato" nel mondo, il secondo è la differenza ontologica tra l'essere e qualsiasi altro ente. Nonostante le innumerevoli influenze Heidegger restò fedele a una sola prospettiva di indagine, quella appunto del senso dell'essere. Affrontare un problema caro alla metafisica greca in un secolo di grande progresso scientifico e tecnologico appare sicuramente paradossale: ma l'obiettivo provocatorio di Heidegger è quello di far coincidere questa metafisica non tanto con l'esistenza dell'essere quanto col suo oblio. Il senso autentico dell'essere, spiega infatti Heidegger in ESSERE E TEMPO, si è perso a causa di una "chiacchiera planetaria" che attribuisce la forma dell'essere a tutto ciò che circola nel nostro linguaggio. 

42.2 - Il saggio ESSERE E TEMPO deve molto al metodo fenomenologico husserliano, necessario per forzare i vari "coprimenti" dell'essere e per portare alla luce le "cose stesse". L'esperienza che noi facciamo del mondo diventa razionalmente comprensibile quando viene riportata lla sua sorgente, la coscienza nella totalità dei suoi atti intenzionali. Lo stesso Heidegger mette in evidenza che solo l'uomo  (poi preciserà l'uomo occidentale) può interrogarsi sul senso dell'essere. Infatti un sasso o una pianta ci sono e sono qualcosa per l'uomo che li pensa, ma non sarebbero nulla di per se stessi se l'uomo non ci fosse. Ma l'accostamento a Husserl finisce qui. Heidegger infatti non parte dall'io trascendentale ma dall'uomo, quindi non usa l'epochè per mettere il mondo tra parentesi, in quanto l'uomo ha senso come "essere nel mondo", mondo che non può essere né sospeso né abbandonato. L'analitica esistenziale sviluppata in ESSERE E TEMPO ha come oggetto il rapporto tra uomo e mondo, dove lo stesso termine uomo è considerato da Heidegger troppo equivoco per poter essere impiegato: al suo posto Heidegger utilizza il termine ESSERCI. L'esserci non è la coscoenza, la mente o l'unione di anima e corpo ma è COLUI CHE SI INTERROGA SULL'ESSERE IN QUANTO "CI È". L'esserci implica infatti una rete di relazioni pratiche con gli enti che sono e sono pensati in base all'uso che se ne può far (per esempio: il martello che serve a piantare un chiodo nel muro, il chiodo che è resistente per appendere qualcosa, eccetera). La comprensione quotidiana del mondo è dunque una comprensione pratica del suo essere. Come si evince dall'esempio del martello e del chiodo il mondo dell'esserci è fatto di enti "usabili" e non oggetto di contemplazione teoretica (quelli che Heidegger chiama SEMPLICI PRESENZE): proprio per questo motivo l'essere è in questo senso un ESSERE CON GLI ALTRI, cioè posto in rapporto con gli altri uomini. Si tratta di una steuttura ESISTENZIALE che appartiene a priori sia all'esserci sia all'essere nel mondo. L'esserci e il mondo hanno una natura PRAGMATICA, poiché rivolta al futuro e implicante la progettazione dell'uso che si farà di un ente. Essi condividono perciò una struttura di tipo TEMPORALE: l'esserci a differenza degli altri enti vive sbilanciato in una situaione di continua progettazione  per il futuro e le cose sono in base all'uso che se ne potrà fare. Questa progettazione dell'avvenire è preceduta da un altro momento di consapevolezza che non ha natura cognitiva ma EMOTIVA: l'emozione è l'apertura al significato del mondo. È infatti nella paura, nella gioia, nella speranza che l'esserci entra per la prima volta in contatto con le cose che poi utilizzerà. Questo passato, o ESSERE STATO, è incancellabile: infatti l'esserci si trova in una SITUAZIONE EMOTIVA continua che non può mai essere sospesa come nell'epochè husserliana. Malgrado la libertà di progettare il futuro l'esserci è vincolato dall'essere stato in una concatenazione semantico-temporale nota come CIRCOLO ERMENEUTICO. La comprensione delle cose è dunque resa possibile da una PRR-COMPRENSIONE. La libertà dell'esserci è una forma di libertà vincolata. Heidegger chiarisce che dal circolo ermeneutico non si può usocre ma bisogna, invece, "gettarsi" ossia esserci dentro. Il pinto di convergenza dell'essere stato e dell'avvenire progettato dall'esserci è rappresentato dal presente del DISCORSO in cui parliamo delle cose che l'emozione ha SVELATO e che il progetto dell'esserci ha poi COMPRESO. Queste tre strutture esistenziali e temporali che Heidegger chiama ESTASI, costituiscono l'essenza dell'essercu come CURA. L'esserci, scrive Heidegger, si prende cura del mondo relazionandosi con esso: ciò che noi siamo e ciò che  il mondo è - l'ESSENZA - è determinato è determinato dalle strutture temporali della nostra esistenza. Oltrepassando dunque la metafisica tradizionale, Heidegger ne capovolge l'orientamento ed esce da essa, vincolando alla temporalità dell'esistenza l'essere  stesso.

42.3 - L'atteggiamento dell'esserci verso il mondo è un atteggiamento pratico che coinvolge l'utilizzabile in un progetto. Heidegger è molto attento a distinguere tra la ricchezza temporale dell'esserci, ossia l'unione delle strutture temporali convergenti nel circolo ermeneutico, e la semplice presenza degli oggetti della sola contemplazione teoretica, privi di passato e non utilizzabili nel progetto dell'avvenire. Ma le parole parlano delle cose in modo equivoco, perdendo così la ricchezza temporale e decadendo il discorso nella chiacchiera. La quotidianità è allora un presente vuoto e senza senso, dove si dice e si fa senza nessuna consapevolezza della propria singolarità esistenziale e senza alcuna responsabilità di progettare. Questa massificazione dei discorsi e dei comportamenti produce la forma INAUTENTICA dell'esistenza: nessuno è sé stesso e ciascuno è tutti gli altri di cui condivide parole e atti. Così il presente vuoto e superficiale annulla le due estasi - passato e futuro - e le sprofonda nell'OBLIO. La metafisica di un essere sempre presente nasce quindi dalla comprensione del quotidiano e della chiacchiera. Questa inautenticità trova un radice esistenziale più profonda nel tentativo della chiacchiera di coprire la finitezza dell'esserci e il suo ESSERE PER LA MORTE. Si tratta del rifiuto dell'integrale finitezza dello stesso esserci e il tentativo di rimuovere il pensiero della morte. Rifiutare la morte significa rifiutare la propria temporalità e sopratutto dimenticare che l'essere è tempo. L'esserci si distrae "pascalianamente" con il presnete, con la chiacchiera, curandosi solo di ciò di cui si parla nel presente, poiché il pensiero della morte è troppo forte per essere cancellato del tutto, e può essere ridotto solo a un generico "si muore" in un tempo che è "non ancora". La forma AUTENTICA dell'esistenza si conquista proprio con l'accettazione del proprio essere per la morte e la conseguente consapevolezza della propria temporalità, al pari dell'essere nel mondo e dell'essere con gli altri. Innanzitutto bisogna sostituire la forma impersonale "si muore" con "qualcuno muore". Il pensiero della mia morte poi non deve essere ottimisticamente allontanato con la forma del "non ancora" ma la sua esperienza deve essere preparata dall'esperienza della morte degli altri anche se la morte è un fatto personale - mia e solo mia - che non può essere consivisa con nessuno. È proprio la morte a restituire all'essere il suo senso autenticante temporale. Abbandonando la chiacchiera per il silenzio e la distrazione per l'ANGOSCIA, l'essere ha la responsabilità di compiere una "decisione anticipatrice" della morte, che non significa suicidarsi ma vivere in maniera consapevole tutto ciò che riguarda la temporalità. L'angoscia ci pone di fronte al NULLA TEMPORALE del nostro esserci e del mondo, facendo sprofondare la rete di abitudini e chiacchiere che impediscono all'esserci di diventare un sé autentico.