domenica 29 maggio 2016

3B

Volume 3 - Tomo 3B
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3B - U7
Husserl

HUSSERL - LEZIONE 38
Origini e metodo della fenomenologia

38.1 - La fenomenologia è il primo vero indirizzo filosofico del Novecento e nasce con le RICERCHE LOGICHE di Husserl, un’opera che, per la sua complessità e importanza, è stata paragonata alla Critica della Ragion Pura di Kant. Obiettivo primario del programma husserliano è l’elaborazione di un metodo che permetta di “vedere le essenze”, ossia di accedere mediante l’esperienza alle strutture che rivelano sia il senso dei fenomeni sia il loro rapporto con la coscienza: il fenomeno, per essere colto dalla fenomenologia, deve essere studiato nelle sue variazioni e nascondimenti. 
Fenomenologia non è una parola nuova. Fu coniata da Lambert nel 1768 e fu usata da Hegel per intitolare una delle sue opere fondamentali, La fenomenologia dello spirito. Nuovo è invece il contesto in cui la parola viene usata, a indicare una rottura con la filosofia del secolo precedente, incapace di elaborare modelli di pensiero adeguati alle nuove scoperte scientifiche e tecnologiche. Il movimento fenomenologico assume due tratti identificativi: la specificità del suo legame col fondatore Husserl, e l’universalità del suo metodo di indagine, che esce dal contesto teoretico per raggiungere quasi tutti i campi delle scienze, umane e biologiche. Se da un lato si coglie il carattere innovativo che contraddistingue la fenomenologia dagli altri indirizzi filosofici del XX secolo, dall’altro si deve constatare una struttura autocratica, dovuta alla dipendenza delle teorie fenomenologiche dai soli scritti di Husserl, poco propenso a un loro sviluppo o ad una revisione: molto probabilmente questo aspetto si deve proprio al carattere innovativo della fenomenologia, che di fatto riscrive la grammatica filosofica del Novecento. Infatti, per capire la fenomenologia, occorre assumere una prospettiva basata su un senso comune individualizzato e purificato rispetto alle visioni precedenti del mondo che lo stesso Husserl critica. Se prescindiamo dlalla realtà culturale in cui siamo immersi, non abbiamo percezioni, rappresentazioni, pensieri, giudizi di oggetti che immaginiamo, desideriamo, incontriamo, ma facciamo esperienza di determinati aspetti della realtà che successivamente vengono isolati, nessi in evidenza e dotati di significato, oppure oscurati, lasciati cadere e cancellati. Questo significa che l’esperienza autentica non si trova davanti delle “cose” già costituite o atti della coscienza come pensieri o percezioni oggettive, ma si articola in OPERAZIONI che RIVELANO la PRESENZA di CONTENUTI in cui interviene, in un secondo momento la CONCETTUALIZZAZIONE che li QUALIFICA in base a un SENSO (che può essere oggettivo o soggettivo, trascendente o immanente) e li ESPRIME attraverso un GIUDIZIO (che può essere predicativo, linguistico o discorsivo). L’esperienza autentica “pura”, mondata da ogni contaminazione culturale, è ATTIVA (agisce, costituisce e opera), MANIFESTATIVA (rivela i fenomeni) e ANTEPREDICATIVA poiché precede ogni razionalizzazione discorsiva (concetti, giudizi e ragionamenti). Il tentativo di cogliere il carattere “puro” dell’esperienza fa della fenomenologia un EMPIRISMO RADICALE, assai più forte dell’empirismo classico poiché prescinde da ogni teorizzazione simbolica dell’accadimento reale di ciò che viene concretamente vissuto. In pratica noi facciamo esperienza di ATTI che si manifestano in PROFILI e STRUTTURE (nel nostro caso di carattere sensoriale), costituiti in base a CONTENUTI ASSOCIATIVI  e CATEGORIALI   (colore, forma, relazione tra le parti) che tendono a OGGETTIVARSI secondo determinate SPECIE. Si deve notare che: 
l’accadimento reale di un vissuto non possiede solo un contenuto realistico e contingente ma anche uno irreale, atemporale ed essenziale; 
non tutto può essere reificato, ossia oggettivato, dipende dall’intenzionalità, ossia dalla direzione della stessa esperienza (si può infatti “intenzionare” un’esperienza in modo non oggettivo rivivendola o empatizzando il vissuto di un’altra persona).
Gli elementi che qualificano l’atteggiamento fenomenologico dunque sono:

l’ATTO OPERATIVO che fa nascere l’intenzionalità;
il CONTENUTO che manifesta e traduce il senso del fenomeno;
la STRUTTURA ANTEPREDICATIVA della PRESENZA di un CONTENUTO immediatamente colto attraverso l’INTUIZIONE;
l’ELABORAZIONE CONCETTUALE che rende esplicita in termini linguistici e predicativi un’ESPERIENZA VISSUTA mediante la RAZIONALIZZAZIONE.

Adesso Husserl deve spiegare: a) in che modo certi aspetti di un’esperienza hanno maggiore rilievo rispetto ad altri; b) come si costituisce il significato di un’esperienza mondata di qualsiasi assunzione teorica; c) che senso o fine ha un sistema fenomenologico così costituito. Occorre dunque per prima cosa chiarire le fonti speculative della fenomenologia.

38.2 - La fenomenologia è, come si è visto, la risposta della filosofia del XX secolo alla crisi del pensiero dogmatico tradizionale, laddove il dogma si intende come l’assunzione unilaterale di un principio esplicativo che riduce a sé ogni spiegazione del reale: è ad esempio il caso dell’empirismo classico che assume i dati dell’esperienza sensibile, associati tra loro, come possibile spiegazione della realtà fenomenica. L’antidogmatismo fenomenologico ha  perciò un carattere critico e antiriduzionista. Pertanto le fonti speculative della fenomenologia vanno ricercate in quelle correnti di pensiero caratterizzate da ciò che Husserl definiva assenza di presupposti. Esse sono:
l’EMPIRISMO di Hume, di cui Husserl coglie sopratutto l’aspetto scettico, descrittivo e antimetafisico, e di cui apprezza la critica alla causalità, uno dei pregiudizi più diffusi della metafisica, ma di cui non condivide l’atteggiamento elementarizzante che tende a ridurre il reale alla somma delle sue parti;

il TRASCENDENTALISMO di Kant e del Neokantismo ottocentesco, il cui metodo critico, volto a ricercare le condizioni di possibilità dell’esperienza, consente un’efficace opposizione al dogmatismo e riabilita quella teoria della conoscenza in grado di distinguere tra l’aspetto psicologico e quello logico-obiettivo del pensiero;

la PSICOLOGIA RIFLESSIVA e AUTO-OSSERVATIVA di alcuni esponenti del realismo post-kantiano che, rispetto alla psicologia sperimentale (che trae la regola dal cumulo dei dati) si affida all’intuizione, anche singolare, degli elementi universali e necessari dell’esperienza, e che Husserl utilizza per l’intuizione dell’essenza;

la PSICOLOGIA DESCRITTIVA o PSICOGNOSIA di Brentano a cui Husserl deve la distinzione tra fenomeni fisici e fenomeni psichici, distinzione che si fonda sul concetto di origine medievale di intenzionalità della coscienza, secondo cui una coscienza è sempre coscienza di qualcosa; inoltre bisogna citare anche due allievi di Brentano, Stumpf e Meimong, da cui Husserl trae i concetti di fusione delle parti di un sistema percettivo e di oggettività di ordine superiore, grazie a cui tali parti si organizzano;

il LOGICISMO di Bolzano e Frege, da cui Husserl deriva gli elementi chiave della sua critica definitiva allo psicologismo, imperante nelle epistemologie ottocentesche, e precisamente:
1) Bolzano, attraverso le nozioni analitiche di proposizione in sé e di verità in sé, ottenute dalla netta separazione tra il procedimento di fatto, con cui si giunge a un giudizio, e il significato logico intrinseco di ciò che il giudizio esprime; 
2) Frege, attraverso la riconduzione di tutti i concetti a funzioni logiche che si possono ridurre a espressioni e relazioni simboliche. La nozione di funzione servirà a Husserl per criticare ogni sostanzialismo e per introdurre il concetto di variazione rispetto a un dato nucleo intuitivo, che permette di individuare l’ambito di un elemento intuito attraverso una serie di funzioni matematiche;

la PSICOLOGIA DELLA FORMA o GESTALT (presentata per la prima volta da von Herenfels, allievo di Meimong), che fornisce a Husserl il concetto di sintesi configurata degli elementi in un insieme, irriducibile alla semplice somma degli elementi che lo compongono, ascrivibile al concetto aristotelico di totalità organica, utile a spiegare quei fenomeni complessi che non si possono studiare col metodo del naturalismo tradizionale, come per esempio l’ascolto di una melodia.

38.3 - Il metodo di cui si avvale Husserl per la sua critica dell’esperienza pura è un metodo rigoroso, sviluppato in diversi momenti come quello strutturato secoli prima da Descartes. Il metodo fenomenologico di Husserl è sorretto da due atteggiamenti (la mancanza di presupposti e la descrizione) e da due criteri soggettivi (l’intuizione e l’evidenza) che, come dice Husserl, ci portano ALLE COSE STESSE. Eccone le fasi principali:

LA PSICOLOGIA FENOMENOLOGICA E L’INTUIZIONE D’ESSENZA
Filosofia dell’aritmetica (1891)
Ricerche logiche (1900-1901)
Secondo Husserl la principale via di rinnovamento filosofico passa attraverso il superamento del conflitto tra logica e psicologia: la prima che porta a un vuoto formalismo, la seconda incapace di spiegare realmente la conoscenza senza ridurla a fatti della coscienza. Questo aspetto deriva dalla differenza dei due ambiti: infatti un conto è arrivare alle conclusioni per effetto di leggi fisiche (meccaniche, elettriche, fisiologiche o psichiche), un altro è arrivare a conclusioni in virtù di leggi logiche, col solo criterio della verità del risultato. Nella prima fase del suo pensiero Husserl cerca di superare questo conflitto attraverso l’INTUIZIONE D’ESSENZA o EIDETICA, dove intuizione significa cogliere nell’oggetto strutture invarianti di carattere logico, indipendenti dall’atto psicologico di conoscenza, che Husserl chiama strutture NOETICHE per distinguerle dalle condizioni empiriche o FATTUALI degli atti stessi. Ciò significa che a) esiste una correlazione tra strutture noetiche e strutture logico-obiettive degli atti che le intenzionano e che b) questa correlazione è sostenuta dall’intuizione, che ci offre l’aspetto essenziale dell’esperienza. 
Questa prima tappa del metodo husserliano rimette in discussione i due metodi induttivo e deduttivo tipici della logica formale, a causa della necessità di determinare un punto di partenza per isolare una classe di individui, e restituisce uno spessore oggettivo e materiale all’apriori.  

L’EPOCHE’ E LA RIDUZIONE EIDETICA
Idee per una fenomenologia pura (1913)
La psicologia, seppur orientata in senso descrittivo e fenomenologico, resta pur sempre una scienza di fatti naturali, ordinati dal tempo e condizionati dalla contingenza, in cui non è possibile cogliere una vera universalità. Una siffatta psicologia non si concilierebbe con la logica: è pertanto necessario procedere al primo momento della riduzione fenomenologica che Husserl chiama RIDUZIONE DELL’ESSENZA o RIDUZIONE EIDETICA, consistente prima di tutto nella sospensione di ogni presupposto o credenza (eèpchè) e quindi nella determinazione del residuo fenomenico (eidos), ovvero la parte essenziale, stabile e immodificabile di una cosa, dopo che si è sottoposto a variazione il suo concetto fino a snaturarne il contenuto: è infatti la modifica del residuato essenziale che trasforma una cosa in un’altra cosa. Questa riduzione o sospensione implica: a) una purificazione dell’essenza oggettiva o NOEMA da ogni contaminazione mondana; b) una purificazione della coscienza, i cui atti non sono più espressioni di un soggetto empirico ma determinazioni universali del vissuto definite da Husserl come NOESI. Nel rapporto noetico-noematico (il rapporto tra l’atto e l’oggettività essenziale) le cose non si mostrano come esterne ma si rivelano in noi come fenomeni o strutture ideali: se noi vediamo un albero bruciare, osserva infatti Husserl, l’albero che viene percepito non può bruciare. Questo aspetto è alla base dell’IDEALISMO FENOMENOLOGICO, che si riferisce ai significati essenziali dell’esperienza, rivelando la fenomenologia come scienza dei fenomeni e al tempo stesso scienza delle essenze.

LA RIDUZIONE TRASCENDENTALE
Logica formale e trascendentale (1929)
Meditazioni cartesiane (1931)
Già a partire dalle IDEE PER UNA FENOMENOLOGIA PURA Husserl si rende conto che l’intuizione e la riduzione eidetica non sono sufficienti a cogliere le strutture dell’esperienza. Infatti le strutture dell’esperienza benché ridotte al loro puro significato, a partire dai contenuti noematici (oggettivi e ideali), si rivelano sempre legate alle condizioni storiche e culturali da cui sono tratte: questo comporta il rischio di considerare certi modelli umani validi universalmente. Per ovviare a questo problema Husserl procede al secondo momento della riduzione fenomenologica, chiamato riduzione trascendentale e sviluppato sistematicamente da Husserl fin dagli anni Venti. Si tratta di una critica vera e propria dell’essenza allo scopo di sospenderne la validità. Ciò non implica la rinuncia al requisito della oggettività ideale attraverso cui si presentano i significati dell’esperienza, anzi comporta un’espansione della libera variazione dell’essenza, costretta nei limiti delle condizioni contingenti entro le quali viene determinata. Così pur essendo sempre l’oggetto a dettare le forme della sua conoscibilità, si afferma la primalità della struttura noetica, ossia della coscienza soggettiva, tale da consentire un’analisi genetica dell’esperienza. Pertanto non è più la sola essenza a determinare il senso della possibilità dell’esperienza ma sono anche i fenomeni soggettivi (la percezione, il ricordo, la fantasia, la pura pensabilità) a decidere ciò che l’essenza è nella sua piena universalità.

HUSSERL - LEZIONE 39
Coscienza pura, mondo della vita e crisi delle scienze

39.1 - Poiché il tentativo husserliano di eliminare ogni limite psicologico dell’esperienza, mettendo in rilievo la cosiddetta coscienza pura, ossia il lato soggettivo della costituzione dei significati, rischia di degenerare in un nuovo idealismo, Husserl utilizza a questo punto il concetto di CORRELAZIONE INTENZIONALE tra soggetto e oggetto, allo scopo di evitare sia una forma di IDEALISMO SOGGETTIVO come in Berkeley (l’essere oggettivo si risolve nell’essere percepito), sia una forma di IDEALISMO TRASCENDENTALE come quello di Kant, in cui il fenomeno era la manifestazione di una inconoscibile e oscura cosa in sé. Il fenomeno è infatti per Husserl il darsi  della cosa stessa. A differenza dell’idealismo kantiano, che ha carattere regressivo poiché parte dai fatti per ricercare le condizioni della possibilità, quello husserliano, o fenomenologico, ha carattere progressivo, perché è genetico e costitutivo. Esso supera la contrapposizione tra la ricettività del dato empirico e l’attività spontanea dell’intelletto attraverso la categoria: nella forma estetica dell’esperienza è già incluso un momento noetico-sintetico e viceversa ogni forma noetico-intellettuale rimanda a un momento estetico-materiale. Si tratta della cosiddetta genesi o SINTESI PASSIVA, condensata da Husserl nel concetto di SCHEMATISMO FENOMENOLOGICO. La sintesi passiva ci spiega come si formano gli schemi tipici dell’apprensione. Essa è intenzionale, poiché sintesi, ma è anche dipendente dalle essenze colte intuitivamente nell’esperienza. Noi non percepiamo infatti dei meri oggetti ma incontriamo in modo immediato degli oggetti dotati di qualità di tipo spaziale, temporale, materiale, e così via: questi oggetti, prima ancora di appartenere  agli schemi tipici dell’apprensione, che ci dà le informazioni sulla distanza, vicinanza, forma, di un oggetto, si costituiscono passivamente nell’esperienza in base a processi sintetico-genetici: per esempio gli oggetti ci appaiono grandi o piccoli a seconda della nostra distanza da essi, la distanza implica la lontananza degli oggetti, in base a regole come la somiglianza, che nascono  dall’interazione tra l’intenzionalità soggettiva e le strutture oggettive che ci guidano nell’apprensione. Sulla base di questa passività si costituisce anche una SINTESI ATTIVA che, sulla base di oggetti dati ne forma di nuovi, per esempio un oggetto naturale assunto a simbolo di una divinità o di un movimento politico. Questa duplicità passivo-attiva o intuitivo-costitutiva è presente in ogni momento intenzionale e non dipende dalla rigorosa divisione delle facoltà presente nel kantismo (secondo cui la sensibilità è ricettiva e passiva, l’intelletto spontaneo ecc.). Per spiegarla Husserl ricorre al concetto di COSCIENZA PURA, una coscienza svincolata dai modi in cui le essenze si esprimono. ma è guidata dal solo criterio della possibilità massima di significazione delle essenze: il trascendentale indica dunque una possibilità genetica che viene applicata alla stessa logica formale. La logica formale ha raggiunto secondo Husserl uno sviluppo notevole a cui non corrisponde però un identico sviluppo per quanto concerne la sua funzione conoscitiva: essa perciò deve essere fondata su una logica superiore o TRASCENDENTALE, di natura non formale ma materiale poiché rivolta all’insieme del campo delle esperienze in cui ogni formalismo trova applicazione.
Nelle MEDITAZIONI CARTESIANE Husserl sottopone ad indagine il principio del cogito cartesiano, un tema fondamentale per collocare estensione e limiti della pura pensabilità, e quindi per tracciare la forma della coscienza pura. 
Husserl ritiene corretta la concezione cartesiana della centralità del pensiero, ma - nonostante questo aspetto positivo - ne mette in discussione le relative conseguenze: innanzitutto il carattere di sostanzialità del cogito cartesiano rende impossibile che esso sia al tempo stesso ciò che fonda e ciò che viene fondato; in secondo luogo conduce a un presupposto ingiustificato, quello dell’esistenza dell’io, mentre una vera fondazione dovrebbe eliminare ogni presupposto; in terzo luogo la deduzione logica di cui Descartes si serve nel suo metodo non è un vero processo trascendentale ma si tratta di una forma di ragionamento connessa a un certo aspetto della realtà; infine una simile prospettiva produce quella separazione psicologica tra i due mondi - res cogitans e res extensa - che rende il cogito incapace di ricomporre il conflitto tra una realtà interna e una trascendente ad essa. Non è dunque possibile pensare a una svolta cartesiana del pensiero husselriano, come sostenevano erroneamente alcuni suoi allievi, poiché nella concezione fenomenologica del mondo la coscienza è già in connessione con esso - poiché la coscienza è sempre “di qualcosa” - e il mondo e le cose che “abitano” la coscienza non sono pure rappresentazioni ma i loro significati. Perciò, non solo non c’è bisogno di alcun salto verso l’esistenza ma l’esistenza stessa è vista dalla coscienza come un significato della trascendenza, che appare immanente alla stessa coscienza.

39.2 - Come si è visto la riduzione trascendentale di Husserl viene duramente  criticata da alcuni allievi e da alcuni studiosi - tra i quali Scheler e Hartmann - che la ritenevano un vero e proprio tradimento delle finalità originarie del programma fenomenologico. Questi duqneu richiesero che si tornasse alla visione tradizionale pre-trascendentale annunciata dalle RICERCHE LOGICHE  e che si operasse una distinzione rigorosa tra metodo e contenuto della fenomenologia, il primo oggettivo e descrittivo, il secondo suscettibile di ulteriori sviluppi in senso idealistico o realistico. Ma la scissione più famosa all’interno del movimento fenomenologico fu sicuramente quella portata avanti dall’allievo più famoso di Husserl, Martin HEIDEGGER, che nel 1927 pubblicò la sua opera più famosa, ESSERE E TEMPO, che porta lo stesso Husserl a rivedere alcuni concetti fondamentali della sua dottrina, compresa la dimensione esistenziale dell’esperienza ricompresa nella sua temporalità e storicità. Dopo l’uscita di Heidegger dal movimento, si consuma una definitiva svolta nella fenomenologia husserliana, motivata dal cambiamento politico e culturale, che coincide con l’ultima grande opera di Husserl, LA CRISI DELLE SCIENZE EUROPEE, pubblicata tra il 1935 e il 1937. Si tratta di un vero e proprio percorso, a partire dal pensiero greco, che, dopo aver preso atto della situazione storica e sociale e della frammentazione del sapere scientifico, cerca di restituire quella ragione di esistenza consegnata dai filosofi della scienza come Galileo e Descartes allo scopo di fare della conoscenza della totalità dell’essere uno strumento al servizio dei fini razionali dell’uomo, e non allo scopo di governare il mondo. Husserl critica le scienze di recente sviluppo, sopratutto la fisica e la psicologia, incapaci di cogliere una totalità dell’essere, che hanno disatteso il compito affidato loro dalla ragione riducendo il mondo naturale a una serie di frammenti e l’anima umana a un oggetto di esperimenti. Nella sua accusa contro l’oggettivismo della scienza Husserl non intende certo escludere l’esistenza di un mondo scritto con il linguaggio della matematica, piuttosto intende sottolineare l’esistenza di un MONDO DELLA VITA irriducibile e sfuggente poiché soggettivo, che non può essere spigato in modo analitico dalla scienza ma solo dalla fenomenologia in quanto scienza obiettiva della soggettività.

39.3 - A questo punto Husserl palesa il doppio ruolo della fenomenologia, scienza del mondo vitale e suo prodotto al tempo stesso, inducendo così il paradosso che il sapere fenomenologico serva a scoprire le possibilità della coscienza essendo anche una delle manifestazioni della stessa coscienza. A tale scopo l’indagine fenomenologica viene estesa alla storia, considerata qui in una duplice prospettiva, quella della storia empirica e fattuale, insieme non organico di eventi senza senso o correlazione, e quella della storia interna, la cui costituzione rappresenta il senso stesso degli eventi che la costituiscono e solo in questa prospettiva è possibile cogliere il movimento intenzionale teleologico che rappresenta uno dei caratteri fondamentali della coscienza fenomenologica. Entrambe le riduzioni, eidetica e trascendentale, servono  a mettere in contatto pensiero e significato, la parte logico-linguistica e quella pragmatico-vettoriale: in assenza di un collegamento si perderebbe il senso del mondo e dei suoi oggetti. Husserl vorrebbe intraprendere un processo di razionalizzaione degli eventi storici, a cominciare dagli albori del pensiero scientifico galileiano e cartesiano, passando per Hume e Kant e arrivando proprio alla fenomenologia, ma poi si accorge che questo tentativo non è attuabile a causa della presenza di PROFILI che sfuggono a ogni tentativo di universalizzazione.

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3B - U8
Heidegger

HEIDEGGER - LEZIONE 42
L’analitica esistenziale

42.1 - Heidegger radicalizza la fenomenologia husserlian proponendosi di indagare il senso dell'essere. Questa indagine si articola sinteticamente in due momenti principali, il primo è quello del significato dell'esistenza dell'uomo "gettato" nel mondo, il secondo è la differenza ontologica tra l'essere e qualsiasi altro ente. Nonostante le innumerevoli influenze Heidegger restò fedele a una sola prospettiva di indagine, quella appunto del senso dell'essere. Affrontare un problema caro alla metafisica greca in un secolo di grande progresso scientifico e tecnologico appare sicuramente paradossale: ma l'obiettivo provocatorio di Heidegger è quello di far coincidere questa metafisica non tanto con l'esistenza dell'essere quanto col suo oblio. Il senso autentico dell'essere, spiega infatti Heidegger in ESSERE E TEMPO, si è perso a causa di una "chiacchiera planetaria" che attribuisce la forma dell'essere a tutto ciò che circola nel nostro linguaggio. 

42.2 - Il saggio ESSERE E TEMPO deve molto al metodo fenomenologico husserliano, necessario per forzare i vari "coprimenti" dell'essere e per portare alla luce le "cose stesse". L'esperienza che noi facciamo del mondo diventa razionalmente comprensibile quando viene riportata lla sua sorgente, la coscienza nella totalità dei suoi atti intenzionali. Lo stesso Heidegger mette in evidenza che solo l'uomo  (poi preciserà l'uomo occidentale) può interrogarsi sul senso dell'essere. Infatti un sasso o una pianta ci sono e sono qualcosa per l'uomo che li pensa, ma non sarebbero nulla di per se stessi se l'uomo non ci fosse. Ma l'accostamento a Husserl finisce qui. Heidegger infatti non parte dall'io trascendentale ma dall'uomo, quindi non usa l'epochè per mettere il mondo tra parentesi, in quanto l'uomo ha senso come "essere nel mondo", mondo che non può essere né sospeso né abbandonato. L'analitica esistenziale sviluppata in ESSERE E TEMPO ha come oggetto il rapporto tra uomo e mondo, dove lo stesso termine uomo è considerato da Heidegger troppo equivoco per poter essere impiegato: al suo posto Heidegger utilizza il termine ESSERCI. L'esserci non è la coscoenza, la mente o l'unione di anima e corpo ma è COLUI CHE SI INTERROGA SULL'ESSERE IN QUANTO "CI È". L'esserci implica infatti una rete di relazioni pratiche con gli enti che sono e sono pensati in base all'uso che se ne può far (per esempio: il martello che serve a piantare un chiodo nel muro, il chiodo che è resistente per appendere qualcosa, eccetera). La comprensione quotidiana del mondo è dunque una comprensione pratica del suo essere. Come si evince dall'esempio del martello e del chiodo il mondo dell'esserci è fatto di enti "usabili" e non oggetto di contemplazione teoretica (quelli che Heidegger chiama SEMPLICI PRESENZE): proprio per questo motivo l'essere è in questo senso un ESSERE CON GLI ALTRI, cioè posto in rapporto con gli altri uomini. Si tratta di una steuttura ESISTENZIALE che appartiene a priori sia all'esserci sia all'essere nel mondo. L'esserci e il mondo hanno una natura PRAGMATICA, poiché rivolta al futuro e implicante la progettazione dell'uso che si farà di un ente. Essi condividono perciò una struttura di tipo TEMPORALE: l'esserci a differenza degli altri enti vive sbilanciato in una situaione di continua progettazione  per il futuro e le cose sono in base all'uso che se ne potrà fare. Questa progettazione dell'avvenire è preceduta da un altro momento di consapevolezza che non ha natura cognitiva ma EMOTIVA: l'emozione è l'apertura al significato del mondo. È infatti nella paura, nella gioia, nella speranza che l'esserci entra per la prima volta in contatto con le cose che poi utilizzerà. Questo passato, o ESSERE STATO, è incancellabile: infatti l'esserci si trova in una SITUAZIONE EMOTIVA continua che non può mai essere sospesa come nell'epochè husserliana. Malgrado la libertà di progettare il futuro l'esserci è vincolato dall'essere stato in una concatenazione semantico-temporale nota come CIRCOLO ERMENEUTICO. La comprensione delle cose è dunque resa possibile da una PRR-COMPRENSIONE. La libertà dell'esserci è una forma di libertà vincolata. Heidegger chiarisce che dal circolo ermeneutico non si può usocre ma bisogna, invece, "gettarsi" ossia esserci dentro. Il pinto di convergenza dell'essere stato e dell'avvenire progettato dall'esserci è rappresentato dal presente del DISCORSO in cui parliamo delle cose che l'emozione ha SVELATO e che il progetto dell'esserci ha poi COMPRESO. Queste tre strutture esistenziali e temporali che Heidegger chiama ESTASI, costituiscono l'essenza dell'essercu come CURA. L'esserci, scrive Heidegger, si prende cura del mondo relazionandosi con esso: ciò che noi siamo e ciò che  il mondo è - l'ESSENZA - è determinato è determinato dalle strutture temporali della nostra esistenza. Oltrepassando dunque la metafisica tradizionale, Heidegger ne capovolge l'orientamento ed esce da essa, vincolando alla temporalità dell'esistenza l'essere  stesso.

42.3 - L'atteggiamento dell'esserci verso il mondo è un atteggiamento pratico che coinvolge l'utilizzabile in un progetto. Heidegger è molto attento a distinguere tra la ricchezza temporale dell'esserci, ossia l'unione delle strutture temporali convergenti nel circolo ermeneutico, e la semplice presenza degli oggetti della sola contemplazione teoretica, privi di passato e non utilizzabili nel progetto dell'avvenire. Ma le parole parlano delle cose in modo equivoco, perdendo così la ricchezza temporale e decadendo il discorso nella chiacchiera. La quotidianità è allora un presente vuoto e senza senso, dove si dice e si fa senza nessuna consapevolezza della propria singolarità esistenziale e senza alcuna responsabilità di progettare. Questa massificazione dei discorsi e dei comportamenti produce la forma INAUTENTICA dell'esistenza: nessuno è sé stesso e ciascuno è tutti gli altri di cui condivide parole e atti. Così il presente vuoto e superficiale annulla le due estasi - passato e futuro - e le sprofonda nell'OBLIO. La metafisica di un essere sempre presente nasce quindi dalla comprensione del quotidiano e della chiacchiera. Questa inautenticità trova un radice esistenziale più profonda nel tentativo della chiacchiera di coprire la finitezza dell'esserci e il suo ESSERE PER LA MORTE. Si tratta del rifiuto dell'integrale finitezza dello stesso esserci e il tentativo di rimuovere il pensiero della morte. Rifiutare la morte significa rifiutare la propria temporalità e sopratutto dimenticare che l'essere è tempo. L'esserci si distrae "pascalianamente" con il presnete, con la chiacchiera, curandosi solo di ciò di cui si parla nel presente, poiché il pensiero della morte è troppo forte per essere cancellato del tutto, e può essere ridotto solo a un generico "si muore" in un tempo che è "non ancora". La forma AUTENTICA dell'esistenza si conquista proprio con l'accettazione del proprio essere per la morte e la conseguente consapevolezza della propria temporalità, al pari dell'essere nel mondo e dell'essere con gli altri. Innanzitutto bisogna sostituire la forma impersonale "si muore" con "qualcuno muore". Il pensiero della mia morte poi non deve essere ottimisticamente allontanato con la forma del "non ancora" ma la sua esperienza deve essere preparata dall'esperienza della morte degli altri anche se la morte è un fatto personale - mia e solo mia - che non può essere consivisa con nessuno. È proprio la morte a restituire all'essere il suo senso autenticante temporale. Abbandonando la chiacchiera per il silenzio e la distrazione per l'ANGOSCIA, l'essere ha la responsabilità di compiere una "decisione anticipatrice" della morte, che non significa suicidarsi ma vivere in maniera consapevole tutto ciò che riguarda la temporalità. L'angoscia ci pone di fronte al NULLA TEMPORALE del nostro esserci e del mondo, facendo sprofondare la rete di abitudini e chiacchiere che impediscono all'esserci di diventare un sé autentico.

HEIDEGGER - LEZIONE 43
La differenza ontologica e il linguaggio

43.1 - ESSERE E TEMPO non è mai stata completata: la seconda pRte dell'opera, dedicata a una decostruzione della storia della metafisica, è infatti incompleta. Pur tuttavia questa mancanza viene compensata da diversi corsi universitari pubblicati in raccolte - sopratutto negli anni Settanta - e da altre opere come KANT E IL PROBLEMA DELLA METAFISICA del 1929. Ma va detto che anche la prima parte dell'opera non è completa: la terza sezione, che si sarebbe dovuta intitolare Tempo ed essere, fu solo abbozzata e poi abbandonata. Motivo di questa improvvisa battuta d'arresto del processo avviato con ESSERE E TEMPO fu la resistenza incontrata nel linguaggio stesso della metafisica. La fondazione del pensiero sulla struttura temporale dell'essere implicava infatti l'uscita dalla metafisica tradizionale, colpevole secondo Heidegger di aver condannato l'essere all'oblio attraverso il cpncetto della presenza. Ma questo nuovo processo del pensiero heideggeriano non poteva essere sviluppato col linguaggio della metafisica che proprio ESSERE E TEMPO voleva superare. Dalla metà degli anni Trenta emergono nel pensiero di Heidegger alcuni temi che vengono solitamente indicati (forse in maniera riduttiva) come una SVOLTA (Kehre), in realtà però non si tratta di un vero e proprio cambio di direzione rispetto a ESSERE E TEMPO quanto un approfondimento di alcune tematiche non completamente sviluppate nell'opera precedente, e precisamente:

il superamento del grado preparatorio dell'analitica esistenziale in direzione dell'ONTOLOGIA;
la maggiore consapevolezza delle difficoltà di abbandonare la storia della metafisica;
l'attenzione al problema del linguaggio, che era stato trascurato in ESSERE E TEMPO.

43.2 - Heidegger ha chiarito in ESSERE E TEMPo che l'essere non è un ente, non è una delle cose che incontriamo o con cui abbiamo a che fare, non è una cosa o un ente speciale, eternamente presente e stabile e disponibile. Per comprendere il senso dell'essere occorre sviluppare la natura temporale dell'esser i e del mondo come sistema di rimandi che l'esserci progetta. La natura temporale dell'essere e la sua assoluta alterità rispetto all'ente sono chiariti da Heidegger mediante il concetto di DIFFERENZA ONTOLOGICA. Già la metafisica tradizionale ha sempre differenziato "ciò che È perché NON diviene" da "ciò che NON è poiché diviene". Nelle varie epoche della storia del pensiero l'essere è sempre stato considerato il fondamento dell'ente: le idee, la sostanza, la res cogitans, la volontà di potenza, lo spirito assoluto hanno segnato la storia della metafisica come modelli di riferimento delle cose esistenti. Ma, si domanda Heidegger, la metafisica tradizionale ha davvero pensato in questi paradigmi la differenza tra essere ed ente?
In realtà la storia della metafisica non ci ha mai consegnato una vera distinzione tra essere ed ente: nonostante la successione di differenti modelli la metafisica non ha mai potuto pensare l'essere come tale: l'essere infatti si SVELA nelle varie epoche ma allo stesso tempo si sottrae all'interpretazione e si ritira usando le stesse forme che ha svelato.
La temporalità. Continua Heidegger, rivela la differenza tra essere ed ente. Questa differenza è espressa dalla metafisica, che non può pensarla come differenza in quanto l'essere si nasconde nelle varie epoche della metafisica. La metafisica stessa è dunque oblio di questa differenza. Una tale concezione porta il filosofo a cambiare lo stesso concetto di verità, che proprio in base alla differenza ontologica assume il ruolo espresso nella sua origine greca, aletheia, ossia dis-velamento. La metafisica esprime la sola dimensione ontica di ciò che viene svelato e che tuttavia tende subito a nascondersi, implicando un nuovo velamento.

43.3 - Heidegger ammette dunque che: 1) non si può chiudere con la metafisica cancellandola con un colpo di spugna; 2) ogni epoca della metafisica interpreta l'essere così come appare in quell'epoca, per poi ritirarsi; 3) ogni epoca ha i suoi peopei concetti e linguaggi per esprimere l'essere, che si fa ALTRO.
Queste caratteristiche portano Heidegger ad assegnare alla metafisica non un carattere espansivo, come sosteneva Hegel, ma INVOLUTIVO: il senso e il significato stesso dell'ontologia si riduce e si restringe dalla grecità, passando per la Scolastica e il pensiero rinascimentale, fino a Nietzsche. Queste tappe hanno il loro culmine nell'attuale epoca della TECNICA. Heidegger vede come una semplice illusione il tentativo della tecnica di liberare l'essere dalla metafisica: in realtà è la stessa tecnica a imprigionare l'essere, con la pretesa di dominare l'intera natura. Per questo Heidegger la considera il culmine della metafisica. Ma l'epoca della tecnica ha un carattere ambiguo e, proprio per questo, non si può affermare che la condanna heideggeriana sia inappellabile: comprendendo la tendenza nichilista della metafisica occidentale, la tecnica annienta quella differenza ontologica che - a questo pinto - non è dunque mai stata nulla (Heidegger scrive Sein, cioè essere, sbarrato). È proprio questo nichilismo che, annullando la differenza, prepara il nuovo inizio. Tale compito è affidato al la oro silenzioso del PENSIERO RAMMEMORANTE. Esso ripercorre le tappe della storia della metafisica, cercando di "rammemorare" ciò che la metafisica non ha mai pensato. La metafisica si supera dunque riportando alla luce il rapporto tra il suo non-pensiero e il LINGUAGGIO.
In che modo le strutture attraverso cui l'essere si svela nei diversi momenti della storia della metafisica vengono inviate all'esserci?
Se il pensiero è tra i responsabili di questi invii è certamente l'OPERA D'ARTE ad aprire un mondo storico.  Il mondo della polis greca è aperto dal TEMPIO. Esso raduna intorno a sé la comunità, iniziando un'epoca storica. La vera forma d'arte essenziale però è la POESIA, che Heidegger considera nel suo senso più alto, poiché riassume la potenza dell'opera d'arte. La poesia restituisce la PAROLA all'essere, che ne è proprietario: viene dunque così il momento dell'ascolto del linguaggio dell'essere sono i grandi poeti a farci comprendere il movimento della storia. Per esempio in Sofocle risplende la meraviglia dell'uomo greco per l'essere, prima che la metafisica ne inizi a velare il significato, mentre in Holderlin viene cantata la notte del mondo abbandonato dagli dei, nella speranza del loro ritorno. È proprio la poesia la risorsa più grande del pensiero rammemorante, che tenta di recuperare quanto nella metafisica è rimasto impensato,  consegnando dunque all'uomo la responsabilità di meditare e sorvegliare il linguaggio.