venerdì 29 luglio 2016

300

IL 300

I secoli XIV e XV rappresentano un momento critico nella storia europea, e ricco di transizioni a carattere economico, sociale e politico. Assistiamo al cambiamento della fisionomia politica degli stati europei, e ci avviamo all’età moderna in modo tutt’altro che indolore. La transizione coinvolge infatti nel suo decorso le due principali istituzioni temporali e spirituali, la Chiesa e l’Impero, e in ambito economico il succedersi di crisi produttive e di pestilenze fa precipitare il livello demografico, con un grave impoverimento dei paesi più colpiti. A uscire male dalla crisi del Trecento furono il Papato e l’Impero. Il Papato perse progressivamente la credibilità religiosa, minato dalla cattività avignonese e dal Grande Scisma, e fu spesso bersaglio dei movimenti ereticali, assimilandosi politicamente a un qualsiasi stato regionale italiano, mentre l’Impero fu ridimensionato al solo territorio tedesco, ed emersero nuove realtà politiche come le monarchie francese, spagnola e inglese e, in Italia, gli Stati Regionali. Nel corso del Quattrocento si assiste addirittura a una vera e propria rivoluzione intellettuale, che culminerà nell’epopea umanistico-rinascimentale. Alla metà del Trecento l’Europa è travagliata da una gravissima epidemia di peste nera, che peggiora lo stato già depresso dell’economia, gravato dalle ripetute carestie dovute allo squilibrio tra la domanda e le risorse effettive. Per effetto della crisi tutti i principali settori produttivi subirono un rallentamento, mentre la popolazione diminuiva progressivamente.

Crisi demografica – Agli inizi del secolo XIV si era verificato uno scompenso tra la popolazione in eccesso e la scarsità delle risorse agricole. A far calare la produzione agricola era l’inadeguatezza dei mezzi e delle terre coltivabili, che segnò l’inevitabile squilibrio tra la domanda e l’offerta. Va anche detto che uno dei fattori che incisero su questo problema fu il clima, che diventò più freddo e piovoso e rallentò la produzione cerealicola europea.
Tra il 1303 e il 1347 si succedono numerose carestie, che minano la natalità: la prima fu quella del 1315, che decimò l’Europa centro-settentrionale. Nel 1347 una nave genovese proveniente da Caffa, in Crimea, porta in Europa il morbo della peste, che si diffonde prima in Italia, Francia e Spagna, e si diffonde poi nella regione mitteleuropea. Il dilagare della peste nera risparmia pochissime zone, e il morbo, diventato endemico, provoca congiuntamente alle guerre un brusco crollo della popolazione, che scende sotto i 45 milioni di abitanti.

Il mondo rurale – Le campagne furono ovviamente molto colpite da questi problemi. I prezzi calarono di colpo, e i contadini poterono chiedere salari più alti, mentre i signori videro nettamente diminuite le proprie rendite. Molte terre, rivelatesi inadatte alla cerealicoltura, furono abbandonate, molti villaggi diventarono deserti, e alcuni terreni furono riconvertiti alla coltivazione di foraggio, incrementando lo sviluppo dell’allevamento. Il paesaggio agricolo europeo, come si era delineato nel periodo feudale, subì una trasformazione radicale e riapparvero zone paludose, boschive e popolate da pascolo brado. La mutata geografia dell’agricoltura europea finì col determinare nuove modalità di sfruttamento del suolo e un nuovo tipo di rapporti sociali. Si assiste alla nascita della specializzazione regionale (per esempio, Castiglia e Inghilterra diventarono esportatrici di lana, mentre la Polonia di cereali) e nelle zone meridionali dell’Europa vengono coltivate piante tessili e foraggere. Per contro nel sud europeo il feudalesimo trovò occasioni di rafforzamento e il servaggio della manodopera si rese ancora più pesante, mentre nel centro Europa l’economia feudale fu definitivamente accantonata su iniziativa della borghesia e delle monarchie nazionali. La nobiltà rinsalda ovviamente il suo potere, ma si tratta di una condizione diversa da quella feudale.

I tumulti contadini – La manodopera agricola fu aiutata molto dalla crisi nel suo riscatto sociale e le tensioni tra contadini e signori degenerano in sanguinosi conflitti civili. Nel 1358 scoppia in Francia la jacquerie (il nome derivava da Jacques Bonhomme, soprannome dispregiativo che veniva dato ai contadini) si estende a diverse zone del paese, mentre in Inghilterra la tensione sociale è alimentata dalla predicazione egualitaria dei Lollardi e obliga la corona ad un ridimensionamento delle corvées e dello sfruttamento della manovalanza agraria. Se in francia le jacqueries non rispondevano a un preciso disegno politico, e si conclusero perciò nel nulla, nel resto dell’Europa i contadini riuscirono a scrollarsi il giogo feudale e finirono col frammentarsi in due sottoclassi, un ceto di contadini ricchi e proprietari e un proletariato rurale formato da braccianti senza terra.

Le città – La crisi di metà Trecento non risparmiò le città, dove anzi gli effetti furono peggiori di quelli del settore agrario; tra il 1343 e il 1346 falliscono i banchieri fiorentini Peruzzi e Bardi, che avevano prestato soldi al re inglese per finanziare la Guerra dei Cento Anni, senza però riceverli in restituzione. Il fallimento coinvolse gli altri finanzieri del paese e finì con l’estendersi ad altre categorie di risparmiatori.

Manifatture e commerci – In campo manifatturiero crolla la produzione dei panni lana e i centri specializzati nel settore tessile, come le Fiandre, perdono la loro leadership perché la produzione si sposta nelle zone rurali dove il costo della manodopera è più basso; in compenso molti centri riescono a riqualificarsi produttivamente dirottando la manifattura tessile verso gli articoli di lusso destinati alle famiglie signorili. Questa tendenza si diversifica a seconda della zona: abbiamo infatti l’incremento della produzione laniera di qualità medio-bassa accentata in Olanda e Inghilterra, dove poi si svilupperanno le aziende a conduzione familiare, mentre in Italia si afferma l’industria serica. Inizia inoltre il fenomeno della massificazione dei prodotti, grazie ai costi contenuti.
Si afferma anche il settore metallurgico e quello minerario.  L’economia di mercato assume ora una fisionomia più attiva, con una maggiore circolazione di moneta dovuta all’aumento dei consumi di massa e soprattutto con un netto avanzamento tecnologico che rende il trasporto della merce sicuro e veloce.
Anche la geografia commerciale inizia a cambiare. Ferme restando le condizioni dei paesi tradizionalmente importatori ed esportatori, le rotte commerciali verso il Nord Europa non sono più una novità e l’avanzata turca nel Mediterraneo comincia a segnare la decadenza del ruolo produttivo del relativo bacino.

I tumulti urbani – Le rivolte e le tensioni che animarono il mondo contadino non furono esclusiva prerogativa della manodopera agraria, ma coinvolsero anche la controparte urbana. Due erano infatti le cause del malessere: la disoccupazione e la formazione di un nucleo di proletari urbani, che venivano esclusi dal governo cittadino e che quindi rivendicavano il proprio ruolo politico. Nel 1357 scoppia a Parigi una rivolta borghese guidata da Etienne Marcel, esasperata dal severo regime fiscale causato dalle necessità della Guerra dei Cento Anni. Dopo un buon inizio la borghesia parigina, spaventata dalla violenta jacquerie contadina, abbandona il proprio leader per fare lega con la nobiltà impegnata a reprimere la rivolta agraria.
Nel 1378 scoppia a Firenze il tumulto dei Ciompi, i salariati del settore laniero. Si trattò di una vera lotta di classe: i Ciompi erano il proletariato fiorentino, impossibilitato a costituirsi in Arte e protestavano contro i potenti signori dell’oligarchia borghese e mercantile, che controllavano il Comune fiorentino, dal cui governo i Ciompi erano esclusi. La protesta fece sì che uno dei Ciompi, Michele Lando, venisse nominato Gonfaloniere di Giustizia del Comune fiorentino, e che venissero istituite tre nuove Arti minori (ciompi, tintori e farsettai) con la riserva di un terzo degli uffici alle Arti minori.

Il patriziato cittadino – La ricca borghesia urbana esce a testa alta dalla crisi del Trecento consolidando il suo potere in una ristretta oligarchia mercantilistica e finanziaria e integrandosi con il vecchio ceto dell’aristocrazia feudale, rendendo così palesi e insanabili le distanze dalle plebi: l’asservimento borghese ai nuovi stati nazionali e a quelli regionali, soprattutto in Italia, permise la formazione di un patriziato cittadino. Questo patriziato sposò ben presto le usanze dei ceti nobiliari a cui fu accomunato dall’acquisto di terre e di titoli e dall’amore per i generi di lusso.

Conclusioni – Il Trecento si presenta quindi diversificato nelle due zone geografiche europee: al centro nord abbiamo una condizione di estrema miseria dovuta alla crisi economica, che si ripercuote sui contadini e sui lavoratori delle città, mentre la nobiltà e le oligarchie cittadine escono rafforzate dalla crisi; al sud si ha il rafforzamento delle istituzioni feudali che aggravano il servaggio dei contadini e del proletariato urbano.

L’EUROPA DEL TRECENTO

Il XIV secolo fu un secolo di profonda crisi storica, politica, economica e istituzionale. Si tratta di un periodo molto vivace dal punto di vista degli avvenimenti politici, tanto che in questo secolo si delinea la fisionomia geopolitica della nuova Europa, ormai lontana dal Feudalesimo e vicina all’età moderna.

Impero – Il sogno di rendere ereditaria la corona imperiale asburgica svanisce. Nel 1310 scende in Italia Enrico VII di Lussemburgo per restaurare l’autorità imperiale, ma viene ostacolato dalle forze guelfe, avverse all’istituzione imperiale. Si deve sottolineare che l’investitura imperiale, per essere valida, doveva essere convalidata da quella pontificia. Per questo, alla morte di Enrico, l’ascesa al trono di Ludovico il Bavaro viene accompagnata dalla scomunica del papa Giovanni XXII. Ludovico scende allora a Roma e si fa incoronare dal popolo romano, e, convocata una riunione dei principi elettori, stabilisce che l’elezione imperiale comporti automaticamente l’assunzione del potere, senza il placet pontificio. Carlo IV di Lussemburgo, che succede a Ludovico nel 1347 sposta la capitale imperiale a Praga, in Boemia, e allontana così l’impero dalla penisola italiana. Con la Bolla d’Oro nel 1356 il nuovo re di Boemia stabilisce che l’elezione imperiale era di competenza esclusiva dei principi elettori, quattro laici (Boemia, Brandeburgo, Sassonia e Palatinato) e tre religiosi, cioè vescovi (di Colonia, Magonza e Treviri). Questo documento assestava di fatto il potere imperiale su una base politica piuttosto precaria e soggetta ai particolarismi autonomistici dei principi. L’impero rinunciava a ogni forma di espansione territoriale.

Italia – Si affermano in Italia gli Stati Regionali. Le Signorie assumono una dimensione allargata, rispetto a quella locale del secolo precedente. I ghibellini Visconti instaurano a Milano un forte potere signorile con l’appoggio di Enrico VII, e danno vita a un grande progetto di espansione territoriale che coinvolge buona parte della Lombardia, Alessandria e Vercelli. Il potere è nelle mani di Matteo Visconti, creato vicario imperiale da Enrico VII; il suo successore, Giovanni, allarga ulteriormente il territorio visconteo, inglobando Bologna e Genova, ma alla sua morte la signoria viene spartita tra i nipoti che perdono il controllo dei centri periferici. A Venezia si consolida il potere del patriziato cittadino, che prosegue l’espansione sulla terraferma e soprattutto la rivalità navale e commerciale con Genova. A Firenze è al potere un governo guelfo, espressione del popolo grasso, la cui egemonia subisce una battuta d’arresto con l’arrivo della peste. 
Lo Stato Pontificio vive un periodo travagliatissimo e noto come cattività avignonese. Morto Benedetto XI sale sul soglio pontificio il francese Bertrand de Got, che assume il nome di Clemente V e che sposta la sede papale ad Avignone. A Clemente V succederanno sei papi, tutti francesi, ma l’elemento di spicco del periodo avignonese è la caduta del prestigio spirituale del papato, istituzione che oramai dai tempi di Bonifacio VIII sentiva aria di crisi, soprattutto per il perseguimento ostinato di disegni politici temporalistici e accentratori, asservita alla corona francese e ormai dimentica della propria missione unificatrice.
La cattività avignonese si espresse duramente verso quei movimenti pauperistici ed estremisti come la setta di fra’ Dolcino e verso i filosofi della tarda Scolastica che furono costretti a riparare presso le corti imperiali. L’allontanamento dei papi da Roma favorisce la rivalsa delle grandi famiglie della nobiltà romana che approfittano del momento di vacanza pontificia per ribadire il proprio potere. Il notaio Cola di Rienzo, con l’appoggio dei popolani, costituisce nel 1347 una Repubblica Romana, sul modello di Roma repubblicana. La usa dittatura si rivela ben presto oppressiva e viene dunque cacciato dopo una sollevazione popolare; Cola ripara presso Carlo IV di Boemia, presso il quale sperava di trovare appoggio militare, ma Carlo lo fa prigioniero e lo manda ad Avignone dal papa Innocenzo VI che lo libera e lo nomina senatore, inviandolo a Roma come suo rappresentante. Qui Cola riprende il potere, ma una nuova insurrezione nel 1354 lo depone e lo fa giustiziare.
Tre anni dopo il cardinale Albornoz viene inviato a Roma per ricostituire il potere papale, impresa difficile e resa ancora più complicata dalle famiglie nobili romane, disabituate a un governo superiore. Nel 1377, durante il pontificato di Gregorio XI, la sede pontificia torna a Roma.
Il pericolo di una seconda cattività avignonese viene sentito dal popolo romano, che, alla morte di Gregorio XI, pretende che il conclave elegga un papa italiano. Nel 1378 sale perciò al potere  Urbano VI, ma i francesi eleggono un secondo papa, Clemente VII, che, dopo aver cercato di conquistare Roma, torna in Francia dove restaura la corte papale avignonese, dando inizio a quello che si conosce come il Grande Scisma d’Occidente.
Il Mezzogiorno d’Italia è sempre diviso tra Angioini e Aragonesi, i primi a Napoli, dove la corte vive un momento di splendore, i secondi in Sicilia. La mancanza di un ceto borghese che funzionasse da contrappeso politico rende palesi le distanze tra il popolo e l’alta aristocrazia del meridione, impedendo agli Angiò e agli Aragona la costruzione di uno stato accentrato.

La Guerra dei Cento Anni (prima fase) – Francia e Inghilterra si trovano coinvolte nella guerra dei Cento Anni, che dura dal 1337 al 1453. Il motivo era di origine dinastica e dovuto alla pretesa di successione di Edoardo III d’Inghilterra, che, alla morte del re francese Carlo IV Capeto, era stato scavalcato da Filippo VI di Valois, nipote di Filippo il Bello (a sua volta nonno materno di Edoardo, che essendo quindi discendente il linea diretta avrebbe dovuto legittimamente essere designato successore al trono di Francia). Ad aprire le ostilità fu il re francese che aveva inviato una flotta in aiuto della dinastia dei Bruce di Scozia, in guerra contro l’Inghilterra; Edoardo III reagisce invadendo le Fiandre e assumendo a Gand il titolo di re di Francia. Riesce dunque a sconfiggere Filippo, ma non arriva a Parigi. Nel 1346 a Crécy l’esercito francese viene rovinosamente sconfitto ed Edoardo conquista il prezioso avamposto navale di Calais, che resterà inglese fino al 1558. A Filippo VI succede intanto Giovanni II, che viene imprigionato da Edoardo nella battaglia di Poitiers del 1356 e costretto a firmare nel 1360 la pace di Bretigny, con cui Edoardo rinunciava alle pretese dinastiche e si impegnava a liberare il re francese, dietro pagamento di un pesante riscatto pecuniario e territoriale.

In ambito giuridico-amministrativo segnaliamo soprattutto l’opera di Bartolo da Sassoferrato, che cerca di integrare il diritto giustinianeo con le norme di diritto feudale e di governo comunale, contrastando ferocemente lo strapotere signorile, e quella del cardinale spagnola Egidio di Albornoz, autore delle Costituzioni Egidiane, in vigore fino al secolo XIX, atte a limitare i poteri signorili nello stato pontificio.
Nelle campagne e nelle città il problema delle disuguaglianze sociali causa pericolose tensioni, aggravate anche dal fatto che nelle città il popolo grasso si assimila ormai agli usi della nobiltà, sposandone i privilegi e creando di fatto uno squilibrio. Esempio palese di queste tensioni sono le rivolte popolari che scoppiano un po’ ovunque: a Firenze si registrano due insurrezioni del proletariato del settore laniero, dapprima nel 1345 contro il popolo grasso e poi nel 1378 (il tumulto dei Ciompi) contro il Governo delle Arti; a Perugia e a Siena si ribellano i piccoli artigiani e i salariati; in Francia scoppia il fenomeno contadino della jacquerie, poi seguito dalla rivolta borghese di Etienne Marcel; in Inghilterra la pressione fiscale e gli abusi baronali portano nel 1381 alla rivolta guidata da Tyler e Ball, soffocata nel sangue.