giovedì 14 luglio 2016

S. Anselmo

ANSELMO D’AOSTA

Due tendenze si incontrano nel periodo tra il IX secolo e l’inizio dell’anno Mille: la crisi della Chiesa infeudata all’Impero e la nascita del movimento monastico che comporta una svolta nella speculazione filosofica scolastica.  Per  molti storici è qui che comincia la Scolastica propriamente detta, giacchè è nei monasteri che prende forma la schola, dove la filosofia, come si ricorderà in Boezio, è intesa aristotelicamente come logica o dialettica, e dialettici sono detti quei filosofi che discutono e disputano le verità teologiche con un metodo razionale; antidialettici erano invece i loro oppositori, seguaci di una prospettiva più mistica, che ritenevano impossibile una razionalizzazione dei principi della fede cristiana.
Anselmo d’Aosta era un dialettico. La prospettiva anselmiana, coerente con la tendenza dialettica, non pretende di superare razionalmente la fede, poiché non vi è alcun motivo per farlo: la ragione procede infatti all’interno della fede stessa.  Quella di Anselmo è la giustificazione razionale di un contenuto di verità già presente con la rivelazione. Il metodo di Anselmo è espresso in due opere fondamentali:
il Monologion, che è una meditazione sulle ragioni della fede, supponendo egli stesso che i contenuti della fede siano problematici;
il Proslogion, che è il cammino compiuto dalla stessa fede alla ricerca della sua intelligenza.

IL PROBLEMA DELL’ESISTENZA DI DIO

Quello della dimostrazione dell’esistenza di Dio è il terreno di disputa preferito dai filosofi dialettici. Il Monologion presenta quattro prove, dette a posteriori in quanto partono dalla natura. La prova fondamentale arriva a identificare Dio come Bene Sommo e principio delle cose buone. Tutte le cose create da Dio sono buone. Bene si può dire in molti modi e gradi diversi, ma uno solo è il bene da cui tutto deriva. Lo stesso si può dire delle altre proprietà, della grandezza, dell’essere e dei gradi di perfezione: tutto porta a una sola essenza che incarna tutto ciò che è nel mondo poiché tutto è in Lui. E questo sommo bene è appunto Dio. Se questa prova parte dalla natura ed è perciò una prova a posteriori, quella del Proslogion parte dalla presenza di Dio nel nostro intelletto ed è perciò detta prova a priori o prova ontologica. Si tratta di una prova irrefutabile: anche lo stolto, l’insipiens, sa bene di non poter negare l’esistenza di Dio poiché sa di contraddirsi, giacchè non potrebbe parlare di qualcosa di inesistente: il concetto di Dio deve essere già dato per poterne parlare. Una cosa di cui non si può pensare nulla di maggiore non potrebbe esistere solo nell’intelletto, poiché significherebbe poter pensare qualcosa di maggiore esistente nella realtà; ora, pensare a Dio, significa ammettere un qualcosa di illimitato e di infinito e questo qualcosa non potrebbe essere solo nell’intelletto perché così l’ateo, negando Dio, ammetterebbe di conoscere o poter conoscere qualcosa di maggiore nella realtà, il che sarebbe contraddittorio. A questo argomento partecipa anche il monaco Gaunilone (Wenilo di Marmontier) che nel suo Liber pro Insipiente (= a favore dello stolto) obietta ad Anselmo: non basta dire che Dio è nel mio intelletto per intendere che Dio è anche realmente; io potrei pensare a un’isola ipotetica, bellissima, fantastica, la più fortunata, e pensare che sicuramente quest’isola esiste da qualche parte nell’oceano. Anselmo ribatte nel Liber Apologeticus che tale affermazione non ha senso, poiché la prova ontologica vale solo per ciò di cui non si può pensare il maggiore, mentre nel caso dell’isola non si può parlare in senso assoluto ma solo in relazione alla classe di cose considerata, l’isola nel nostro caso.
Questa polemica non si esaurisce con Anselmo ma è ripresa da molti altri filosofi scolastici ed è addirittura confutata da san Tommaso d’Aquino. Per Tommaso il passaggio dall’essenza all’esistenza reale non è immediato ma va dimostrato: pensare a Dio come qualcosa di cui nulla si può pensare di maggiore implica il pensarne l’essenza, ma resterebbe sempre da provare se questo Essere esiste realmente. Come si può vedere la prospettiva anselmiana è spiccatamente platonica e ritiene che la sola presenza illuminante di Dio nella nostra mente costituisca una prova irrefutabile, poiché non è la mente a formarsi arbitrariamente quest’idea, ma è Dio a illuminare la mente dell’uomo della Sua presenza. In questo senso ragione e fede arrivano a congiungersi agostinianamente nel motto “credo ut intelligam, intelligo ut credam”, poiché entrambe provenienti da un’Unica Fonte.

VERITA’ E LIBERTA’

Anselmo dedica una parte minore della sua produzione letterario-filosofica all’antropologia, sempre in relazione al rapporto che lega l’uomo a Dio. Il problema della verità è molto delicato, poiché se è vero che per il credente Dio è Verità, è altresì vero che razionalmente verità si dice in molti contesti, soprattutto sensibili. La verità implica il carattere di rettitudine: si dice il vero così come stanno realmente le cose; è la verità dell’evidenza, che assume un valore praticamente oggettivo, e si avvicina alla giustizia poiché enunciare il vero significa essere nel giusto. Ma questo carattere non dipende dalla coerenza logica di un ragionamento (anche chi dice il falso potrebbe infatti proporre un ragionamento coerentemente logico): il carattere eminentemente oggettivo dell’antropologia anselmiana implica la rettitudine e l’onestà dell’uomo che dice la verità, e il fine ultimo della verità è sempre Dio.
L’uomo retto è anche libero, ma il libero arbitrio di Anselmo non consiste nella libertà di peccare o non peccare, poiché se così fosse diremmo che Dio e le anime elette, che non peccano, non sono liberi; la libertà è invece la potenzialità di compiere l’azione retta, di operare il bene. Il peccato è un’azione volontaria dell’uomo che rinuncia così alla sua libertà, il giusto operare, e si fa schiavo del male. Ma come si accorda la libertà con la prescienza divina? E con la libertà dell’uomo? E con la grazia necessaria alla salvezza? Sono temi già presenti nella speculazione agostiniana.
La posizione di Anselmo è concordistica, ossia la libertà dell’uomo si accorda col piano eterno della creazione divina: è Dio che prevede di creare la possibilità che l’uomo agisca liberamente, è Dio che predestina alla salvezza, ed è la grazia intrinseca alla rettitudine dell’uomo libero. Chi rettamente vuole è già retto, se no non potrebbe rettamente volere.
Con Anselmo d’Aosta si entra nel pieno della maturazione della filosofia scolastica, in cui alla schola monastica va sostituendosi una dimensione più urbana e incline all’impegno civile e sociale.