sabato 2 luglio 2016

Patristica

PATRISTICA

La Patristica è la filosofia cristiana dei primi secoli. La nascita del Cristo cadeva nel 753° anno dalla fondazione di Roma, proprio nell’anno in cui  Augusto aveva chiuso in segno di pace il tempio di Giano in Palestina.  La diffusione del nuovo credo religioso provoca una serie di sconvolgimenti a livello sociale, culturale e amministrativo, ponendo i Cristiani in una posizione difficile e in bilico tra i doveri civili e la coerenza con la propria professione di fede. Le autorità politiche cercarono di arginare il problema attraverso le persecuzioni a danno dei seguaci di Cristo, di cui la più famosa fu quella di Diocleziano,  nel 303 d.C., che segnò la fine dell’Impero Romano; parallelamente al decadimento dell’Impero va rafforzandosi la Chiesa, ossia l’assemblea cristiana, ormai organizzata e diffusa, tanto che l’Editto di Costantino la riconosce nel 313 come religione e nel 383, sotto Teodosio, il Cristianesimo diventa religione ufficiale dell’Impero.

Il pensiero cristiano si basava sui seguenti capisaldi:

 la fede, ossia l’adesione piena e totale alla verità rivelata;

 il volontarismo, per cui la verità non va scoperta, poiché è già data nel messaggio del Cristo, Uomo e Dio, e va solo interpretata; tutto è affidato alla volontà, come principio guida e di ispirazione, e non alla ragione;

 il personalismo, che fa del cristiano persona autocosciente e assolutamente responsabile delle proprie azioni;

 il peccato, che indica il male morale perfettamente conoscibile all’uomo, quale atto di ribellione alla legge divina;

 la vanità del cosiddetto “sapere astratto” ossia il sapere evidentemente fine a se stesso e privo di qualsiasi risvolto pratico nell’esercizio della virtù, tipico della vecchia speculazione greca;

 l’universalismo del Cristianesimo, che si traduce nell’uguaglianza e nella totale assenza di distinzione degli uomini davanti a Dio;

 il nuovo ruolo di Dio, non più principio di intelligibilità, ma Persona. Amore e Principio di redenzione del mondo;

 il carattere di interiorità della morale cristiana, che la differenzia dal concetto di morale tipico del pensiero classico, per il quale la stessa virtù è scienza.

Le fonti principali della religione cristiana sono il Nuovo Testamento, costituito dai tre Vangeli sinottici di Luca, Marco e Matteo e dal Vangelo di Giovanni, le Lettere di San Paolo e gli Atti degli Apostoli. La diffusione del Cristianesimo si estese al punto che si verificarono pericolosi sincretismi e commistioni con altri culti, e la Chiesa per arginare i pericoli di eresie, fissò i dogmi fondamentali della fede cristiana, dogmi che costituiscono la base della filosofia cristiana antica e medievale:

la Trinità
l’Incarnazione
la Redenzione
la Salvazione per mezzo della Grazia

in cui viene stabilito che

 Dio Padre è Unica Natura e in tre persone consustanziali e distinte;
 Dio si è fatto Carne nel Figlio, il Cristo (logos);
 il Cristo, come logos,  è venuto per redimere l’umanità e liberarla dalla macchia del peccato originale;
 tramite lo Spirito Santo l’uomo ha ricevuto il dono della Grazia, chi crede in Dio si salverà e potrà godere della beatitudine eterna.

Appare evidente che un sistema filosofico basato su questi presupposti è molto diverso dai precedenti sistemi speculativi del pensiero classico. Al credente basta in effetti la Verità Rivelata, egli non ha bisogno di cercare questa verità nelle strade della ragione; questa particolarità determina una duplicità di indirizzi speculativi, uno volto al Misticismo e basato sulla serena accettazione dei principi della fede, e uno basato sul Razionalismo, che cerca di ricondurre alla ragione tali principi.
La filosofia cristiana antica si esprime nella Patristica, che deriva il suo nome da quello dei Padri Apologisti: compito della Patristica è infatti la difesa della fede attraverso la definizione filosofica del dogma. La Patristica dura otto secoli, i primi otto secoli del Cristianesimo; nel nono secolo viene sostituita dalla Scolastica, la filosofia cristiana del Medio Evo, che aveva invece un compito più maturo, la intelligenza del dogma e la giustificazione razionale della fede. Si tratta dell’espressione più elevata della filosofia cristiana, in quanto non va alla ricerca di una formulazione dottrinale ma di una interpretazione della verità data nella rivelazione; il suo problema principale era il rapporto fede-ragione, e descrive i limiti dell’una e dell’altra attraverso la loro necessaria contrapposizione.

LE ERESIE

La Patristica è la filosofia dei primi secoli dell’era cristiana, e la sua primissima funzione era quella della difesa della religione cristiana dalle eresie. Come già si è detto, il Cristianesimo si diffuse molto rapidamente e la sua propagazione nelle zone ancora contaminate dal pensiero classico obbligò i primi Apologisti a un lavoro di chiarificazione e di conciliazione della dottrina cristiana con i temi speculativi pagani: questo sforzo dava però luogo a errori di interpretazione e a pericolosi sincretismi, che si espressero nelle cosiddette eresie. In realtà le prime eresie furono molto importanti perché permisero alla filosofia cristiana di formarsi il proprio terreno speculativo. La maggior parte delle correnti eretiche cercava di unire il cristianesimo alle influenze di matrice greco-orientale.
Una delle correnti eretiche più famose fu lo Gnosticismo, che pretendeva di tradurre in termini concettuali il dogma cristiano. Il termine gnosi deriva dal greco gnosis, ossia conoscenza; espressa da esponenti quali Basilide, Carpocrate, Valentino e Marcione, la filosofia gnostica assumeva tutto il panorama fideistico della religione cristiana in un contesto speculativo vicino alle religioni misteriche di matrice orientale, secondo cui da Dio emanerebbero delle gerarchie divine chiamate Eoni, intermediari tra l’Assoluto e il mondo. Chiaramente la prospettiva gnostica rinuncia all’interpretazione del dogma dell’incarnazione e misconosce la filiazione del Padre nel Figlio-Logos. Circa il problema del male, gli gnostici ritengono che esso derivi dalla materia, e svincolano il ruolo dell’Uno dal mondo materiale, assumendo il problema del peccato originale come un errore cosmico compiuto dall’Eone Sophia. Lo stesso Gesù è un eone venuto sulla terra per redimere gli uomini, dotati di essenza spirituale, mentre gli esseri materiali sono condannati alla dannazione eterna.
Affine alla dottrina gnostica è il Manicheismo, filosofia religiosa fondata dal persiano Mane, che si fondava proprio sulla tradizione spirituale persiana, in cui Bene e Male sono due divinità antitetiche e contrapposte, che generano nell’uomo un dualismo dell’anima, divisa tra una a carattere sensibile e materiale e una spirituale, opera rispettivamente delle due divinità. L’uomo ispirato dal Cristo riesce ad affrancarsi dalla materia attraverso una serie di pratiche ascetiche volte a mortificare l’anima sensibile.
La difesa del dogma riguarda i principali misteri della dottrina cristiana (il mystès era colui che “guardava lontano socchiudendo gli occhi” e il mysterion era appunto ciò che non era immediatamente visibile a occhio nudo) misteri che vennero messi in discussione dalla teoria subordinazionista che tendeva a far dipendere le tre persone della Trinità l’una dall’altra, e quella monista di Sabellio, che unificava le tre persone in una sola, ammettendo Padre, Figlio e Spirito Santo solo come modi. Questo tipo di eresia si chiamava trinitaria, poiché minava la veridicità del dogma della trinità; a fianco a questo tipo di eresia vi era l’eresia di tipo cristologico, che mettevano in dubbio il ruolo di Cristo come Figlio di Dio. La dottrina di Ario (Arianesimo) condannata a Nicea nel 325 considerava il Cristo come persona umana e non dotata delle prerogative divine, essendo Cristo creato da Dio e inferiore a Lui; la dottrina di Nestorio considerava invece due distinte nature nel Cristo, una umana e una divina; la tesi adozionista considerava il Cristo come un uomo eccezionale “adottato” da Dio per i suoi meriti morali; infine la teoria del Docetismo riteneva che l’uomo condannato a soffrire sulla croce non fosse il Cristo ma una Sua “apparenza”.
Di fronte al dilagare delle eresie si afferma l’azione dei Padri della Chiesa, la cui azione ormai non è più semplicemente apologetica ma antieretica, volta alla difesa e alla ricostituzione della dogmatica cristiana e alla costruzione dell’edificio spirituale della Chiesa. Due sono gli indirizzi della Patristica, uno orientale, che risente dell’influenza ellenistica, e uno occidentale, più attivista e rispettoso della fede.

LA PATRISTICA ORIENTALE

Oltre a Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazanzio, i Padri orientali più famosi sono quelli della cosiddetta Scuola Alessandrina, Clemente e Origene. Clemente si formò nell’ambiente dell’apologismo e il suo scopo è quello di sostenere la continuità storica tra pensiero classico, tradizione ebraica e Cristianesimo come momenti graduali del processo attraverso cui la Verità è andata svelandosi agli uomini; egli nega ogni disaccordo tra fede e filosofia, intendendo la filosofia addirittura come propedeutica al pensiero cristiano, riconoscendo l’insufficienza della filosofia nel cogliere il Vero, che può essere colto solo con la fede nel Cristo e nel Suo messaggio.
Origene era di formazione neoplatonica, probabilmente ebbe a che fare con Plotino e con Ammonio Sacca, e ricercava una assimilazione tra neoplatonismo e Cristianesimo attraverso la trattazione del problema della Creazione e di quello del Male. Secondo Origene è impossibile che Dio, quale Essere Perfettissimo, abbia creato la materia, imperfetta. Dio ha creato esseri eterni e spirituali, simili a Lui, e la materia non è altro che una bieca degradazione. Tutto il mondo è coeterno a Dio, perché  Dio è immutabile e la materia è in questo senso il divenire negativo. L’unica trasformazione si ha con la redenzione: il peccato consiste nell’errore di alcuni spiriti incarceratisi nella materia corporea, spiriti che verranno liberati dall’azione del Cristo-Logos che li ricongiungerà alla perfezione divina. Secondo Origene lo stesso demonio non sfuggirà a questa opera redentrice.

LA PATRISTICA OCCIDENTALE

Oltre a Cipriano, Arnobio e Lattanzio, l’esponente più illustre della Patristica occidentale è Tertulliano. Nella sua opera principale, l’Apologetico, egli mette in luce la veridicità del messaggio cristiano proprio basandosi sull’assurdità dei suoi contenuti in relazione alla ragione (credo perché è assurdo) infatti la soprannaturalità di quanto è contenuto nella Rivelazione ne garantisce la bontà, poiché nessuna mente umana poteva concepirlo. La prospettiva di Tertulliano si corrompe però col materialismo ammettendo che l’anima è corporea e  passa da padre a figlio, come il tralcio (tradux, da cui traducianesimo) della vite; questo spiegherebbe anche la trasmissione del peccato originale.

S. AGOSTINO

Agostino è il pensatore più importante e profondo della Patristica. Egli esercitò il suo ruolo in un’epoca in cui il Cristianesimo era ormai maturo  e libero dal problema delle eresie: ecco perché Agostino può dedicarsi tranquillamente alla sistematica del pensiero cristiano, e alla ricerca spirituale, espressa nel problema del rapporto fede-ragione. Nasce a Tagaste da padre pagano e madre cristiana (santa Monica) e vive una vita piena e ricca di esperienze, materiali e speculative; dopo una prima adesione al Manicheismo se ne distacca, per passare allo Scetticismo prima e al Neoplatonismo poi; decisivo è l’incontro milanese con Ambrogio, che lo conduce alla conversione al Cristianesimo. Due sono le opere che eternano filosoficamente Agostino (anche se coltivò un’ampia fioritura letteraria speculativa) : le Confessioni e il De Civitate Dei.

Agostino è un filosofo che vuole conoscere Dio. La sua duplice esperienza, religiosa e speculativa, porta Agostino sulla strada della ricerca della Verità attraverso il problema del rapporto fede-ragione. La ragione conduce l’anima verso la verità ma deve arrendersi ai propri limiti e lasciare il posto alla fede. La verità è una e sia che provenga dalla ragione sia che provenga dalla fede e la speculazione agostiniana si fonda sul motto “credo ut intelligam, intelligo ut credam” poiché è necessario credere per capire come è necessario capire per credere.

LA VERITÀ, L’ANIMA E DIO

L’indagine di  Agostino comincia proprio dalla contestazione del concetto di dubbio proposto dai suoi ex-colleghi Scettici. Nell’atto di negare la verità, dice Agostino, essi si contraddicono, perché per parlare di verità bisogna avere già il concetto interiore di verità in modo da poterla cercare o confutare. Il dubbio mi porta cartesianamente a una prima certezza, quella di esistere: si fallor sum, se mi posso ingannare, se sbaglio, se dubito, allora devo necessariamente esistere. Da questa certezza derivano altre due certezze, il conoscere, poiché “so” di esistere, e il volere, poiché “voglio” esistere. Queste tre certezze, esse, nosse, velle, esistere, conoscere, volere, sono tre verità immediate e accessibili a chiunque, poiché proprie dell’anima: l’uomo che riflette e guarda dentro di sé ha immediato accesso a queste verità. L’ammonimento di Agostino è l’invito a non uscire da se stessi, poiché dentro di sé si trova la verità (in interiore homine habitat veritas)  e, se la natura umana è mutevole e precaria, il filosofo invita l’uomo a trascendere il materiale per volgersi alla Luce della Verità universale.
Agostino ritiene che queste verità universali non siano innate ma frutto dell’azione diretta di Dio sull’uomo. La materia è oscura e ha bisogno di essere rischiarata dalla luce di Dio, ecco perché anche la scienza fine a se stessa non porta a niente: le cose esterne all’interiorità sono infatti opache e solo una illuminazione, operata dall’Altissimo, le rende comprensibili ai nostri occhi. Come il sole rende visibili gli oggetti, così Dio rende intelligibili i concetti alla mente umana. Dio ci ha creati a Sua immagine e somiglianza e le tre verità dell’anima, esse, nosse e velle, sono Somme Manifestazioni dell’azione perfetta di Dio. Senza di Lui la nostra anima limitata non potrebbe cogliere nulla, nulla le sarebbe accessibile e meno che mai il mistero della Trinità.

LA CREAZIONE E IL TEMPO

Nella sua mutevolezza il mondo è divenire e non essere. Solo Dio è immutabile e il mondo ha dovuto essere creato da Dio perché solo in Dio ci sono le idee immutabili di tutte le cose. Questa creazione è continua poiché  Dio ha posto nel mondo dei germi latenti, detti ragioni seminali, che sono in continuo sviluppo col volgere dei secoli. Questo discorso sembrerebbe in antitesi col concetto di Dio quale Eternità Atemporale; Agostino cerca dunque di spiegare il concetto di tempo. Cosa è il tempo? 
Il tempo è presente, passato, futuro; ma il passato è il ricordo e il futuro è l’attesa di un presente, entrambi non sono reali, perché uno non è più e l’altro ancora non è, solo il presente è reale ed è reale solo nell’attimo in cui si coglie, perché un attimo dopo è già passato e un attimo prima è ancora futuro. Questa è la condizione dell’anima umana che è limitata temporalmente essendo inevitabilmente legata al corpo e a tutto ciò che tale vincolo comporta, ma non certo è il caso di Dio, che nella Sua Onniscienza è in grado di vivere solo il presente reale ed eterno, ovviamente estraneo al divenire. Il tempo non è realtà coeterna a Dio, ma è nato con la Creazione del mondo e ha valore solo in relazione al mondo stesso.

IL PROBLEMA DEL MALE E LE DUE CITTÀ
IL DE CIVITATE DEI

Il problema del male si esprime nella polemica agostiniana contro il manicheismo. Tutto ciò che è esiste in quanto creato da Dio, e Dio ha creato solo cose buone, ciò che Dio crea è Bene. Dire che ogni cosa è bene perché creata da Dio non significa per Agostino che si identifica con la Sua Perfezione, ma che partecipa a questa perfezione divina. Il male è una realtà negativa. Agostino individua tre tipologie di male: il male metafisico, che fa parte delle cose create, in quanto le cose create sono necessariamente create limitate e deficienti perciò di bene; il male morale, che dipende dalla volontà dell’uomo, a cui Dio, nella Sua infinita bontà, ha concesso il libero arbitrio, rendendo l’uomo perfettamente consapevole del significato positivo o negativo del suo agire (si noti come qui Agostino sposa la tesi filosofica cristiana del volontarismo) e quindi responsabile della propria condotta; il male fisico, che consegue dai due mali precedenti e consiste nella limitazione corporea a cui è sottoposto inevitabilmente l’uomo, che deve perciò soffrire. La tesi agostiniana del libero arbitrio portò il monaco Pelagio a elaborare una interpretazione delle Scritture in cui si affermava l’estraneità del genere umano al peccato originale, le cui conseguenze sarebbero dovute spettare ai soli Adamo ed Eva: di conseguenza Pelagio demoliva l’intero dogma della salvazione per mezzo della Grazia e lo stesso ruolo della Chiesa, intermediatrice tra l’uomo e Dio.
Agostino respinge con veemenza la tesi pelagiana. Adamo peccò per sua volontà ma prima di Adamo l’umanità avrebbe potuto peccare o non peccare: il ruolo do Adamo è un ruolo “genetico” nel senso che marchia invariabilmente il genere umano che da lui discende, e l’uomo, ora come ora, non saprebbe salvarsi senza l’intervento necessario della Grazia. Si tenga altresì presente che la Grazia non è un diritto del credente ma una concessione di Dio, che, essendo onnisciente, sa bene a chi è concessa la salvazione e a chi sarà negata, il tutto senza ovviamente interferire col libero arbitrio. Agostino diversifica il libero arbitrio dalla libertà. Infatti il libero arbitrio è uno strumento concesso all’uomo per demarcare autonomamente le proprie azioni, mentre la libertà si ottiene per mezzo della Grazia: essa non potrebbe essere controllata dall’uomo, poiché l’uomo, dopo il peccato originale, è naturalmente incline verso il male.
Il De Civitate Dei costituisce una delle due opere speculative più profonde di Agostino, che, che nelle Confessioni affronta le tematiche più propriamente metafisiche, nel De Civitate Dei esplora l’ambiti della teologia storica. Per la prima volta il concetto di predestinazione viene applicato alla storia. Le due città sono ovviamente la città terrena e peccatrice, simboleggiata da Roma imperiale, e la città di Dio, perfetta e a Sua immagine; la caduta di Roma è vista come un segno da Agostino, che considera la fine dell’Impero come l’inizio di una nuova era; ma Roma ha costituito un ruolo fondamentale, perché il sacrificio dei martiri cristiani ha permesso il diffondersi ulteriore del Cristianesimo: ora Roma ha esaurito questo compito e in un disegno provvidenziale Dio la distrugge per edificare sulle sue macerie la Chiesa. Con il De Civitate Dei si chiude la speculazione agostiniana e, per molti versi, anche quella della Patristica, che, dopo Agostino, non seppe ritrovare spunti filosofici originali. Tra il VI e il IX secolo non si hanno notizie effettive in merito alla speculazione filosofica. La filosofia, e in particolare quella cristiana, riprende sotto Carlo Magno, appoggiata dal Papato e espressa primariamente nella Schola Palatina carolingia. La nuova filosofia assume la tendenza scolastica, donde il nome, fino a caratterizzare i metodi e gli scopi.