lunedì 4 luglio 2016

Ellenismo

ELLENISMO

Il periodo etico è il quarto periodo della storia della filosofia antica e corrisponde storicamente alla dominazione di Alessandro Magno sulle pòleis greche. La politica e i costumi sono irrimediabilmente votati a un bieco utilitarismo, e si è persa quella idealità democratica trasmessa dalla speculazione post-socratica e dalle sue scuole. Il filosofo, deluso, fugge dal mondo e ricerca conforto in se stesso: il problema più importante diventa quello morale, legato ai doveri dell’uomo e la ricerca, un tempo caratterizzata dalla Logica e dalla Metafisica, ora percorre la ricerca della felicità, della libertà e del miglior modo per ottenerla stando bene con se stessi. Cambia il rapporto cittadino/stato: la centralità dello stato, un tempo bene comune, rappresenta ora un potere anonimo e inaccessibile; anche le vecchie classi sociali perdono valore nel nome di un    imperatore divinizzato e di un apparato militare oppressivo e repressivo;  si fa dunque strada l’individualismo, in quanto il cittadino non è più motivato a partecipare con convinzione alla vita pubblica.
Quella del periodo etico è un’antropologia negativa, che non può più indagare sull’uomo ma su i suoi limiti; e gli stessi concetti etici sono espressi in forma negativa: atarassia, aprassia, aponia, apatia. 

EPICUREISMO

L’Epicureismo non ebbe molta fortuna fuori dalla Grecia, pur restando una delle migliori forme speculative dell’Ellenismo; esso fu creazione esclusiva di Epicuro e i suoi discepoli non ne approfondirono il pensiero; si presentò come una meditazione che dovrebbe salvaguardare l’uomo dalla sua irrequietezza e dalla mancanza di serenità a causa della superstizione e del predominio degli istinti.  Epicuro si propone di liberare l’uomo da ogni forma di preoccupazione, e vede nell’atomismo la via di fuga dai due grandi terrori dell’umanità, l’aldilà e l’intervento di Dio nelle vicende umane. Epicuro intende la filosofia come cura dell’anima e la sola cura peraltro, poiché è risultato di conoscenza. L’uomo saggio che vuole placare le inquietudini deve farsi servo della filosofia. La filosofia epicurea si suddivide in una parte relativa alla Fisica, una relativa alla Canonica o Logica, e una relativa all’Etica e alla Morale.
La cosmologia epicurea ricalca quella di Democrito, ammettendo una materia omogenea divisa in una pluralità di atomi che si agitano nel vuoto per  pura causalità meccanica ma, mentre Democrito assegna agli atomi una rigorosa necessità nella loro caduta  perpendicolare, Epicuro assegna agli atomi una capacità di deviazione che Lucrezio chiamerà clinamen. Si tratta qui di una libertà data agli atomi che scelgono imprevedibilmente di aggregarsi. Anche Epicuro ritiene gli atomi come enti indivisibili e indefinibili, aventi un peso e conseguentemente una caduta; proprio nella caduta si ha l’aggregazione degli atomi. Anche la conoscenza funziona così: atomi più pesanti che colpiscono e si aggregano ad atomi più leggeri (quelli dell’anima). Anche l’anima infatti è costituita da atomo, quasi impalpabili ma pur sempre materiali, e pertanto inevitabilmente soggetta alla legge del clinamen e chiaramente anche alla libertà del volere e alla sorte del corpo: l’anima muore col corpo ed è assurdo pensare a una sua sopravvivenza nell’aldilà. Stolto è chi teme la morte, sostiene Epicuro, quando c’è vita lei non c’è e quando lei c’è saremo noi a non esserci, dunque non dovremo preoccuparcene.
La canonica epicurea è l’architettura logica della filosofia di Epicuro; essa deriva il suo nome proprio dal canone che è la regola o la squadra con cui un architetto costruisce un edificio; allo stesso tempo il canone epicureo è un criterio di verità e per Epicuro il miglior criterio di verità è costituito dalla sensazione: quando i nostri sensi sono colpiti dagli atomi di un oggetto noi conosciamo certamente e immediatamente l’oggetto, coadiuvati dall’attività ordinatrice dell’intelletto che riceve e coordina le impressioni sensibili. E proprio grazie all’intelletto e alla sua capacità di conservare la memoria degli oggetti impressionati, possiamo contare sull’esercizio della prolessi o anticipazione, mediante cui riteniamo erroneamente di conoscere qualcosa senza essere colpiti dai suoi atomi. Per Epicuro i sensi non possono ingannare. L’errore nasce dalle nostre capacità anticipatorie che spesso ci ingannano e ci deviano dalla verità.
Ovviamente la sensazione può essere gradevole o sgradevole. L’uomo veramente saggio ricerca solo le sensazioni gradevoli e assume un atteggiamento dilettoso nei confronti della realtà. La ricerca del piacere non è fine a se stessa, ma porta alla virtù: vera virtù è l’appagamento di quei bisogni che non comportano sforzo o inquietudine. L’ideale etico epicureo consiste nella pace dell’anima, ossia l’atarassia. La ricerca epicurea del piacere non è ricerca del superfluo, ma al contrario  consiste nell’abbandonare le cose materiali e finite, che portano insoddisfazione e inquietudine. Epicuro considera infatti tre tipi di bisogni: quelli naturali e necessari, quelli naturali e superflui e quelli non naturali, e questi ultimi destano appunto fatica e inappagamento. Vero saggio è colui che si accontenta, vive nascosto e lotta contro il dolore (aponia) in modo imperturbabile (atarassia). Epicuro considerava la filosofia come un quadrifarmaco, che curava oltre le ben note paure umane dell’aldilà e del timor di Dio anche la paura di non raggiungere il bene e la paura del dolore e del male.

STOICISMO

Il nome Stoicismo deriva da Stoà ossia il porticato ateniese dove Zenone fondò la sua scuola. Lo stoicismo è sicuramente l’indirizzo più affine all’intellettualismo etico socratico-platonico tra le filosofie ellenistiche. Concetto fondamentale dello stoicismo è il determinismo fatalistico. Per gli stoici il mondo è governato da una necessità razionale, un ordine cosmico perfetto che l’uomo non può guidare o influenzare, ma solo accettare e comprendere. Questo ordine è evidentemente frutto di una ragione universale e perfetta a cui la ragione umana deve conformarsi. Per gli stoici come per gli epicurei la ragione è uno strumento di liberazione ma sempre in senso negativo; l’uomo è indifferente alla vita, alla luce e al buio, alla povertà e alla ricchezza, e si libera dalle passioni per purificare l’anima. Anche la filosofia stoica è tripartita in logica, fisica ed etica.
La cosmologia stoica concepisce il mondo come un grande organismo vivente animato da un principio vitale detto pneuma, analogo al logos eracliteo. Si tratta di un qualcosa di diverso, una ragione seminale (logos spermatikòs) che è immanente nella natura; non è un principio divino ma un agente di ordine e perfezione a cui nessuno può sottrarsi e l’origine di ogni evento, favorevole o sfavorevole, che, in quanto generato da questa razionalità, è comunque perfetto e buono. Secondo gli stoici il mondo procede in un continuo ripetersi di cicli scanditi ogni trecento anni da una conflagrazione universale: tutto nasce dal fuoco e al fuoco ritorna per ricominciare il ciclo. Chiaramente  il destino è inesorabile e tutto si determina per ragioni di necessità e di fato; ma il destino è cieco solo per chi non accetta la legge del Tutto e del Bene. Gli stoici, a differenza degli epicurei, ritenevano l’anima immortale: infatti, essendo determinata dalla perfezione del logos, l’anima non muore col corpo e non si deteriora come la materia, ma dopo la morte fisica si ricongiunge al pneuma originario.
Anche per gli stoici l’anima è una tabula rasa che necessita di essere “impressionata” dalle percezioni sensibili. Ma la sensazione isolata non è né assolutamente vera né falsa; la conoscenza infatti richiede un atto attraverso il quale noi accettiamo o respingiamo le sensazioni che si chiama assenso. Zenone raffigurava questo criterio con le mani e associava all’assenso la mano chiusa a pugno (difatti chiama le opinioni vere catalettiche, dal verbo katalombano, ossia “afferro”) poiché l’assenso rappresenta l’accordo del fenomeno con le altre rappresentazioni accessorie. Nell’assenso le cose appaiono complete e chiare, ma anche il linguaggio può determinare la completezza o la chiarezza di un concetto, attraverso il collegamento tra gli enunciati di una proposizione. Per esempio dire “è giorno” o “è notte” non basta, ma il significato della frase consiste nel collegamento tra gli enunciati: “o è giorno o è notte”, “se è giorno c’è luce”. Anche gli stoici negano ogni forma di innatismo, pur sostenendo la presenza di nozioni comuni prodotto però di sensazioni ripetute.
Come Socrate e come la scuola Cinica, lo stoicismo associava al bene e alla virtù la vera scienza e al male il vizio, quali estremi oltre i quali nulla vale la pena di essere considerato. Tutto il mondo è governato come si è visto da un ordine razionale e di conseguenza il compito dell’uomo saggio consiste nel cercare la strada verso la virtù conformandosi a questo ordine e accettando la propria umana impotenza senza alcuna riserva. Scopo dello stoico è vivere secondo natura ubbidendo alla ragione; il filosofo stoico è imperturbabile e fonda la sua libertà nell’apatia (assenza di dolore) che lo affranca da ogni sentimento. La libertà dello stoico consiste infatti nell’autodeterminazione che eleva il saggio al di sopra della vita materiale e lo libera nell’affermazione di se stesso (ricorrendo addirittura al suicidio se è il caso). Per questo motivo, pur non escludendo i rapporti umani, lo stoico ama vivere isolato in quanto bastante a se stesso (autarchia), cittadino di un mondo perfetto e isolato.

SCETTICISMO

L’indirizzo scettico esprime estremisticamente la sfiducia dell’uomo seguita al crollo degli ideali e dei valori dell’epoca ellenistica. Lo scetticismo fu iniziato da Pirrone, ma venne ripreso dai platonici della Media Accademia, Arcesilao prima e poi Carneade, infine fu ulteriormente diffuso in epoca già cristiana da Enesidemo e Sesto Empirico. Esso costituisce un pensiero estremamente negativo che estremizza le critiche portate avanti dalle correnti precedenti fino a giungere alla svalutazione di ogni valore oggettivo. La ricerca assume infatti per la prima volta dai tempi di Gorgia un valore esclusivamente negativo, conducendo l’uomo a un eterno cercare nella convinzione che nulla vi è di certamente vero e conoscibile; donde il nome di filosofia scettica, da skepsi, ossia “ricerca”. Questa ricerca insoddisfatta trova il terreno più fertile nell’Accademia Platonica, proprio perché lo stesso Platone concepiva la filosofia come una eterna ricerca, destinata a restare insoddisfatta finchè si fosse rivolta al mondo sensibile; ma Platone aveva posto una realtà ideale quale “premio” per l’anima, ormai affrancata dal corpo dopo la morte, mentre gli Accademici posteriori hanno perso la speranza nell’oggettività del mondo ideale, mantenendo soltanto la convinzione della fallacia del mondo sensibile.
Il nichilismo post platonico determina così un indirizzo filosofico in cui, posto che  l’uomo è purtroppo costretto al carcere delle opinioni derivanti dalla conoscenza sensibile, si nega alla mente umana di giungere a conoscere veramente la realtà e l’universalità dei concetti. Se ciò fosse possibile potremmo usare un criterio di validità, il reale in sé; ma l’uomo non ha il privilegio di conoscerlo ed è condannato a subire percezioni esclusivamente sensibili relative a oggetti che egli non potrà mai certamente conoscere. Dunque la verità che si offre all’uomo non sarà mai oggettiva e universale, ma presunta e dogmatica.
Ovviamente se la conoscenza sensibile è priva di fondamento, altrettanto si potrà dire di quella intellettuale; qui perdono validità i principi primi aristotelici, tecnicamente inutili poiché viene a cadere il presupposto dell’accordo delle impressioni sensibili e dei giudizi da esse  derivanti; e se andiamo a vedere le logiche stoica ed epicurea si noterà che anche qui non si va oltre l’assenso, fondato sulla conoscenza sensibile: ma la conoscenza di questo tipo è soggettiva e non è valida, anzi, proprio le cose più evidenti e soggettive sono meno valide. Il saggio scettico evita quindi di pronunciarsi su quello che coglie con i sensi (afasia) e sospende il giudizio (epochè) non essendo ovviamente possibile esprimerlo. Anche il bene non sfugge a questa regola, non esiste un bene assoluto.
Ma il saggio come deve regolarsi? Uno degli esponenti della Media Accademia, Carneade, ritiene che al vero saggio resta solo lo strumento del probabile (pithanòn) non potendo dare nulla per certo, il saggio può solo affidarsi a quelle tesi che riscuotono il maggior numero di consensi, e per questo certamente più vere delle altre, e in base a queste egli dirigerà le sue azioni. Contro il probabilismo pratico si scaglia Enesidemo, che espone la sua tesi in dieci argomenti detti tropi. Enesidemo denuncia infatti l’impossibilità di ricorrere al probabilismo, viste le differenze tre gli uomini e la conseguente incomunicabilità: perciò altro non si può fare che sospendere il giudizio. Ma la  tesi più estremista è quella di Sesto Empirico, che nega ogni credito alla logica, alla fisica e perfino all’etica, ritenendo che il vero saggio deve limitarsi alla sola accettazione delle impressioni sensibili senza poter speculare. Dall’atteggiamento di Sesto Empirico deriva l’empirismo.

ECLETTISMO

La parola eclettismo significa scelta ed eclettico è colui che opera una scelta. La filosofia eclettica è la filosofia che arriva a Roma dalla Grecia, accolta con successo dal mondo culturale latino. Roma  non può vantare una tradizione filosofica prima del suo incontro con la Grecia, e del resto Roma non vanta veri e propri filosofi, quanto “cultori di filosofia”. Il romano era tendenzialmente pratico, interessato all’organizzazione amministrativa, giuridica e militare dello Stato, poi Impero; il periodo in cui si sviluppa la diffusione della corrente ellenistica è compreso tra la decadenza della Grecia e l’avvento del Cristianesimo e la filosofia eclettica si propone da subito come filosofia dell’uomo (humanitas). Diciamo dunque che l’eclettismo non rappresenta un indirizzo filosofico autonomo, ma raggruppa le tematiche speculative più vicine alle esigenze dell’uomo romano.
L’atteggiamento eclettico nel vero senso della parola si ritrova in Cicerone: per Cicerone infatti la filosofia è cultura e non scienza , e dunque non ha un oggetto ma è un’attività assolutamente liberale e formativa. Il vero padre dell’eclettismo è Cicerone, poiché fu proprio l’avvocato di Arpino ad accogliere speculativamente i vari temi della filosofia greca, unitamente a vari temi “universali” poiché basati sul “consensum gentium”; e l’atteggiamento ciceroniano eliminava ogni  discrepanza dal pensiero, cercando appunto di far convergere le asserzioni in un luogo comune, espressione appunto di questo “consensum”. L’uomo colto è l’uomo che si è “coltivato”, liberandosi mediante il ragionamento dalle passioni: e questo per Cicerone significa essere consapevole del proprio compito e assumerlo con onestà e decoro. L’onestà è il tratto fondamentale dell’uomo colto.
Accanto all’indirizzo eclettico, portato avanti da Cicerone, la vita culturale romana è assorbita dalle nuove tendenze ellenistiche relative all’epicureismo e allo stoicismo. Tra i seguaci di Epicuro troviamo Lucrezio, autore del componimento “De rerum natura”, che però abbandona la posizione cosmologica in favore di una funzionalità etica meno sommessa di quella del predecessore.
L’indirizzo filosofico più importante nella cultura romana fu senza dubbio lo stoicismo, che aveva un’impronta consolatoria visto il periodo di crisi politica. Tra i maggiori stoici romani ci fu Seneca; la filosofia di Seneca mirava a recuperare il vivere secondo natura degli stoici greci, ma nell’accezione della natura di un uomo mortale e saggio. La saggezza è l’elemento che per Seneca divide l’uomo filosofo dall’uomo stolto; egli ritiene che tutti gli uomini siano stati generati fratelli da un unico corpo che è la natura, e pertanto ammette l’esistenza di Dio come Fattore del mondo e creatore di questo vincolo universale. L’uomo saggio non sopprime le passioni ma cerca di convertirle al Bene. Queste tematiche ricorrono nella speculazione di un altro filosofo stoico, Epitteto: Epitteto ritiene che in natura vi siano due classi di cose, quelle che possiamo controllare con la nostra volontà, come le virtù e le passioni, e quelle che ci sfuggono come la ricchezza e tutto quello che non appartiene alla sfera dello spirituale. Per Epitteto hanno valore solo le prime, che fanno parte dello spirito umano, mentre le seconde devono lasciare l’uomo indifferente: il motto di Epitteto era infatti “sopporta e astieniti “ intendendo con ciò di sopportare quel che non ci è dato di controllare e senza alcun turbamento.

DOPO LA FILOSOFIA GRECA

Con l’avvento dell’era cristiana anche il mondo culturale e filosofico entra in contatto con questa nuova forma di speculazione religiosa. Si preannuncia una nuova era, e di conseguenza inizia quel cammino a ritroso che porterà l’uomo a riscoprire l’Uno. La fine della filosofia greca si accompagna dunque alla nascita di varie tendenze speculative ispirate al recupero dei valori unitari dell’antichità. L’aspetto più interessante di questi nuovi indirizzi è la fusione tra le tematiche di stampo orientale e quelle di stampo occidentale (sincretismo), fusione che è pervasa da una nota di accentuato misticismo che è ispirato dal dilagare del Cristianesimo. Accanto al Neoplatonismo cui dedicheremo una sezione autonoma, bisogna citare due grandi scuole, quella del Neopitagorismo e quella Giudaico-Alessandrina.
Iniziatore del Neopitagorismo fu Apollonio di Tiana, uno dei più esemplari seguaci di Pitagora: per i neopitagorici Dio è uno ed è inaccessibile al pensiero umano; per cogliere Dio nella Sua unità l’uomo deve trascendere se stesso. Il movimento neopitagorico esprimeva la necessità di un rapporto diretto con la divinità.
La scuola Giudaico-Alessandrina rappresentava l’incontro tra le due omonime tradizioni e annovera tra i massimi rappresentanti Filone. Filone compie una interpretazione allegorica della Bibbia ribadendo il dualismo tra Dio e la materia e affermando l’inconoscibilità di Dio per l’uomo. Possiamo dire che Dio è, sostiene Filone, e non che cosa è. Fra Dio e il mondo Filone pone un mediatore, il logos, assumendo qui evidentemente il pensiero cristiano, in cui sono le idee di tutte le cose del mondo. Compito dell’uomo è liberarsi della schiavitù della carne mediante l’ascesi mistica che culmina con l’estasi, atto in cui ogni anima sente Dio identificandosi moralmente in Lui. Queste tematiche saranno alla base della speculazione neoplatonica.