giovedì 28 luglio 2016

400 - Introduzione

IL 400 - INTRODUZIONE

Se il secolo XIV fu un secolo di crisi, il secolo XV è il secolo della ripresa e della fioritura intellettuale. La cultura umanistica e rinascimentale apre una nuova finestra sull’uomo, che riprende il suo ruolo centrale nella storia e nella cultura; le scoperte geografiche aprono nuovi orizzonti produttivi, economici, politici e sociali. Il Quattrocento è un secolo di transizione, che sancisce il passaggio all’età moderna. Possiamo definirlo un secolo rivoluzionario, poiché la transizione all’era moderna comportava il necessario abbandono di una prospettiva, quella teocentrica e caratteristica dell’intellettualismo scolastico, in favore di una nuova prospettiva antropocentrica e laica, basata sulla conoscenza della natura e sul ridimensionamento del ruolo della religione. Il passaggio fu favorito dalla crisi che la struttura ecclesiastica aveva attraversato nel corso del Trecento, prima con la cattività avignonese e poi col grande scisma d’occidente, avvenimenti che avevano allontanato da Roma i cattolici nazionalisti, ormai avviati verso un modello spirituale diverso da quello pontificio e legato al potere delle corone.
Ma anche l’istituzione imperiale è in decadenza e in Italia si sviluppa il fenomeno sociale e politico delle Signorie, che poi lasceranno il posto ai Principati, modelli di governo autocratici e autonomistici che contrastano con le grandi monarchie europee che si consolidano proprio in questo secolo. Le Signorie diventano così delle piccole monarchie assolute, in cui il sovrano governa indipendentemente dalla volontà dei ceti. Per trasmettere il potere ai propri discendenti il signore deve poter contare sul supporto dell’imperatore o del papa, che gli conferiscono un titolo nobiliare e lo status dinastico atto alla tradizione del titolo. Il signore diventa così principe, il cui governo è spesso accompagnato dal supporto di una classe di funzionari di stretta fiducia del principe stesso. I principi seguono le stesse prerogative degli altri sovrani: i Medici per esempio, pur mantenendo a Firenze la stessa struttura del comune duecentesco, governano di fatto un’ampia area regionale, costruiscono una politica espansionistica e fissano dei precisi confini territoriali.
In campo militare si consolida il fenomeno degli eserciti mercenari delle compagnie di ventura, i cui condottieri, spessissimo di famiglia aristocratica, hanno ambizioni politiche e arrivano alla costituzione di vere e proprie signorie, come quella milanese degli Sforza.
In campo economico si registra un rallentamento dei commerci di importazione sul mercato orientale, dovuto alla presenza di Turchi e cinesi della dinastia Ming; questa battuta d’arresto implica la nascita di una economia isolazionista e volta al protezionismo, subito soprattutto dall’Italia. Il commercio italiano inizia così la decadenza che si farà poi palese nel Seicento, mentre resiste il settore finanziario e bancario, che deve però fare i conti con le più importanti famiglie della finanza europea, rafforzate proprio dalla chiusura dei mercati orientali. L’agricoltura cerealicola si riduce notevolmente, mentre si estende la coltura di piante da foraggio e quindi prende piede l’allevamento: al sud la produzione granaria viene utilizzata per i bisogni delle famiglie contadine e per pagare i signori.
In ambito religioso assistiamo alla nascita di un movimento di pensiero che anticipa di un secolo la nascita del protestantesimo. Le tensioni sociali e spirituali che si estendono al Quattrocento trovano ampia eco in Inghilterra dove matura il pensiero di Wycliffe, teorico dell’inutilità della struttura ecclesiale e dell’apparato religioso. Il pensiero di Wycliffe viene portato avanti dai Lollardi, le cui rivendicazioni arrivano in Boemia, dove vengono raccolte da Jan Huss. Dopo la morte sul rogo di Huss la frangia protoprotestante si fraziona in estremisti e moderati, detti rispettivamente Taboriti e Utraquisti: sono questi ultimi alla fine ad avere la meglio e ad avviare il processo di dialogo con l’imperatore boemo Sigismondo e col papa. All’inizio del secolo il teologo parigino Jean Gerson porta avanti la tesi scismatica del conciliarismo, che riteneva superiore all’autorità pontificia quella della universitas fidelium; una dottrina non nuovissima, poiché ricalcava la dottrina laicista del marsiliano Defensor Pacis, ai tempi della querelle tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello. Dall’Olanda emerge invece l’indirizzo della devotio moderna, un indirizzo caratterizzato dal forte ascetismo ed espresso da Tommaso di Kempis nella sua Imitazione di Cristo.

Nella seconda metà del Quattrocento tramonta definitivamente la dialettica tra le classi, propria dei Comuni, e si afferma una profonda stratificazione sociale, minata dalle diseguaglianze e dalla distanza tra i due poli sociali. I ceti sono esacerbati dallo strapotere del principe, i nobili perché si vedono drasticamente limitati i propri privilegi, i meno abbienti perché vessati dall’aristocrazia: è il periodo in cui maturano le congiure (come quella dei Pazzi nella Firenze medicea) e decadono le assemblee rappresentative che connotavano il comune medioevale.
In Europa si lotta tenacemente per evitare la restaurazione del potere feudale delle famiglie baronali. In Inghilterra la Guerra delle due Rose tra Lancaster e York favorisce la nascita della monarchia Tudor, che si caratterizza per un rigoroso centralismo politico, espresso da organi consultivi di strettissima nomina del sovrano. Ma anche in Francia si avvia una politica di centralismo, con la differenza che, mentre in Inghilterra il potere regio aveva escluso la nobiltà dall’amministrazione diretta, in Francia si sviluppa una classe sociale di pubblici funzionari detta nobiltà di toga (noblesse de robe), in tensione con la vera aristocrazia della nobiltà di spada.
In campo economico inizia a delinearsi il famoso cambiamento che porterà il bacino del Mediterraneo a un ruolo di importatore, in favore delle regioni nordeuropee. Questo cambiamento è causato dalla chiusura dei mercati orientali e della conseguente perdita per l’Italia dell’egemonia dei traffici commerciali con l’Oriente, ormai sostituito dalle nuove terre scoperte da Colombo e dagli altri esploratori.
In campo religioso si consuma la progressiva decadenza dello stato pontificio, gravata dalla crisi temporale e spirituale. La reazione ai movimenti ereticali e di protesta si esprime nella formazione del tribunale della Santa Inquisizione, che nella Spagna unificata dei re cattolici assume una connotazione autonomistica.
Storicamente la Santa Inquisizione è un Tribunale creato dalla Chiesa di Roma nel Basso Medioevo per arginare il pericolo di eresie e per conservare l’ortodossia cristiana al riparo dalle pressanti minacce arabe e giudaiche. Solitamente si distinguono due periodi, uno medioevale, che arriva fino alla Riforma luterana, e uno moderno, che arriva all’Età napoleonica.
L’Inquisizione medioevale era caratterizzata da una peculiarità più spiccatamente politica e combatteva tendenzialmente non solo i reali delitti contro la fede ma anche i reati a carattere insurretizio che avevano di mira l’autorità regia, come si ricorderà spesso compromessa dal potere delle grandi famiglie della nobiltà feudale.
L’Inquisizione moderna ebbe invece un carattere meno politico e più spirituale, dovuto indubbiamente allo spirito controriformista della Chiesa Cattolica, pur conservando il ruolo di controllo delle masse esercitato nei casi di rivolta popolare, secondo l’assunto “non est potestas nisi a Deo” ossia nessun potere era dato se non da Dio, quindi inviolabile. Proprio nel secolo XIII assistiamo a un cambiamento formale nel modus agendi inquisitorio che si traduce nell’invio di veri e propri legati pontifici, come Domenico di Guzman o il monaco Pierre de Castelnau, con il compito di ascoltare, interrogare, indagare (inquisire, appunto) ed eventualmente denunciare i sospettati di eresia alle autorità competenti, laiche o ecclesiastiche.
In questo periodo si svolge la famosa crociata contro gli Albigesi promossa e guidata da Simon de Montfort, occasione che permise al re francese Filippo Augusto di impadronirsi del meridione del Paese; e, sempre nello stesso periodo, l’imperatore svevo Federico II dichiarando la facoltà imperiale di condannare i sospettati di eresia, produce uno dei primi conflitti tra le competenze imperiali e quelle pontificie, tanto che Gregorio IX ribadisce l’assoluta primalità della Chiesa nella condanna dei presunti eretici. Tra le varie tensioni verificatesi si segnalano anche quelle scoppiate tra inquisitori e vescovi locali. Ma dove fu attiva l’Inquisizione? Nel secolo XIII soprattutto in Francia, in Italia Settentrionale (contesa tra Guelfi e Ghibellini), in Germania, Boemia e Ungheria; non si segnalano in questo periodo attività inquisitorie in Spagna e Inghilterra.
Tra i perseguitati non solo eretici come Catari e Albigesi, ma anche coloro che professavano altre religioni politicamente vietate come quella islamica e quella ebraica – di solito si trattava di cristiani neoconvertiti, come sarà il caso dei conversos spagnoli, che continuavano a coltivare i culti della loro etnìa in segreto – oltre ai Francescani dissidenti (gli Spirituali), i Templari e coloro che erano dediti ad attività occulte, sataniche e stregonesche. Inutile precisare il risvolto politico che ebbero in questo periodo molte condanne effettuate dall’Inquisizione, come quella del Savonarola e di Giovanna d’Arco, o le persecuzioni subite dall’Ordine Templare. Tra i manuali ad uso degli inquisitori figurava l’opera di Bernard Gui “Practica inquisitionis hereticae pravitatis” in cui venivano richiamate le modalità attraverso cui procedere per interrogare e eventualmente condannare il sospettato eretico. Questi aveva la possibilità, entro quindici giorni dalla sua scoperta, di autodichiararsi colpevole, ottenendo una specie di sconto della pena che di solito veniva tradotta in opere pie o pellegrinaggi; seguiva un processo in cui il sospetto era assistito da un avvocato difensore, ovviamente non sospettato di collusione con l’imputato, e venivano sentiti due o più testimoni, che restavano occulti. Quindi veniva emessa la sentenza, letta pubblicamente nel corso di maestose manifestazioni – che in Spagna furono poi dette autodafè, ossia atto di fede – nel corso delle quali all’eretico, se riconosciuto tale, veniva comminata una pena che variava dalla più lieve espiazione fino alla reclusione a vita (e alla conseguente confisca dei beni), e, nei casi più gravi, si procedeva al rogo pubblico dell’eretico. Il condannato poteva anche appellarsi al Papa, di solito inutilmente.
In Spagna l’inquisizione arriva nel 1478, durante il regno di Isabella la Cattolica, che chiese al papa Sisto IV l’istituzione di un Tribunale allo scopo di esercitare un maggiore controllo sui reati connessi alla fede, ovviamente con un preciso intento politico: durante il regno di Carlo V e di suo figlio Filippo II il ruolo politico dei conversos andò aumentando e costituiva un grosso pericolo per la stabilità del potere e per la centralità della Corona. A destare le maggiori preoccupazioni erano infatti i cristiani nuovi o conversos, generalmente discendenti dei musulmani o degli ebrei spagnoli, ora convertiti al cristianesimo ma praticanti in segreto i loro culti. I cristiani spagnoli di antica data li appellavano col soprannome dispregiativo di porci (marranos); si trattava di gente molto in vista, che poteva causare disordini e spezzare l’unità territoriale e religiosa del paese. Queste persecuzioni però ottennero un grave risultato collaterale: i cristiani vecchi impegnati nelle stesse attività produttive, per paura di essere scambiati per conversos, iniziarono ad abbandonare i propri settori lavorativi, causando una pericolosa crisi economica.
I Re Cattolici ottennero tra l’altro una speciale deroga da parte della Chiesa che permise loro di gestire direttamente il Tribunale con inquisitori spagnoli indipendenti da Roma, come fu il caso del famoso Torquemada. Nel 1813 le Cortes di Càdice aboliranno l’Inquisizione, che, secondo lo storico spagnolo Llorente conta 31.912 arsi vivi e 291.450 detenuti.