venerdì 22 luglio 2016

600 - Introduzione

IL 600 - INTRODUZIONE

Con la scomparsa di Filippo II nel 1598 e di Elisabetta I nel 1603 si chiude anche, col trattato di Londra del 1604, il conflitto anglo-spagnolo, riportando così gli equilibri politici europei a una situazione di pace. La Spagna era ormai avviata verso una lenta e inesorabile decadenza, segnata dalla sconfitta del 1588, mentre emergeva la potenza navale inglese e si faceva strada anche uno sviluppo della neonata Olanda; in Francia il regno di Enrico IV gettava le basi per il futuro assolutismo monarchico caratteristico del regno francese, mentre non si erano ancora sanati i conflitti politico-religiosi in Germania, che di lì a poco avrebbero generato il nascere della Guerra dei Trent’anni. Molto interessante era, come già abbiamo visto, il panorama politico del nord est europeo, con l’ascesa del regno di Svezia e soprattutto con la fortissima monarchia zarista russa.
Il pensiero politico del Cinquecento si focalizzava sul tema dell’assolutismo regio, teorizzato e difeso dal filosofo Jean Bodin, convinto assertore della necessità di un potere monarchico centralizzato e soprattutto incondizionato e incondivisibile con altri organismi quali clero e nobiltà, un potere che dunque già si dichiarava assoluto. Contro la tesi bodiniana si scagliavano i monarcomachi fautori del regicidio come il già citato Du Plessis-Mornay in Francia e Knox e Buchanan in Scozia. Il pensiero di Bodin poggiava sulla convinzione che l’assolutismo regio servisse a tenere unito il paese garantendo uno stato di benessere a tutti i cittadini, e il suo unico limite erano le leggi divine e naturali. Si trattava di un pensiero che esprimeva le profonde tensioni religiose che facevano pericolare l’istituzione monarchica. Anche la tesi del regicidio poggiava sulle stesse basi e voleva giustificare la lotta confessionale delle minoranze religiose che si erano viste imporre la fede cattolica: non a caso si tratta di una rivoluzione culturale maturata in un ambiente preferibilmente calvinista. Il Seicento è il secolo del grande disagio sociale. Il ristagno demografico e il già annunciato calo della produttività avevano generato una profonda crisi economica, che ben presto divenne una crisi sociale e politica. Il secolo XVII è dunque il secolo delle grandi rivoluzioni, rivoluzioni che non ebbero solo un risvolto religioso, come quella dei Puritani inglesi, ma anche un forte accento politico e sociale, come le insurrezioni dei contadini e del ceto medio. Questa crisi ebbe due diverse prospettive:
nell’area mediterranea assunse il carattere della rifeudalizzazione, che fu avviata dal patriziato cittadino, scaricando sulla manodopera agricola il costo della crisi;
nell’area settentrionale dell’Europa assume invece il carattere della modernizzazione, specialmente in Olanda e in Inghilterra, spostando così il centro dell’economia europea dal Mediterraneo all’Atlantico, col rilancio delle attività agricole e manifatturiere e soprattutto con un’attenta politica di esportazione.
La politica di restaurazione del cattolicesimo in Germania operata dagli Asburgo e ancora la ripresa della potenza spagnola portarono il fragile equilibrio europeo a una nuova frattura, che degenerò nella Guerra dei Trent’anni. Il primo cinquantennio del Seicento si chiude con la Pace di Westfalia del 1648 che alterava il panorama politico europeo del XVI secolo: la Spagna decadeva e con essa i territori italiani soggetti al dominio spagnolo, il progetto filocattolico asburgico falliva miseramente, mentre si accresceva il potere inglese e quello olandese e iniziava a imporsi il ruolo politico della Svezia nel Nord Europa.
Due sono i modelli politico-amministrativi che si impongono all’attenzione nella seconda metà del XVII secolo: la monarchia costituzionale con un regime parlamentare, che si diffonde in Inghilterra dopo la Gloriosa Rivoluzione, e l’assolutismo monarchico che si instaura in Francia grazie a Luigi XIV e alla politica di centralizzazione perseguita dai cardinali Richelieu e Mazarino, che affonda le pretese nobiliari e parlamentari.

ECONOMIA E SOCIETA’

Abbiamo già osservato come il Seicento comincia con un gravissimo stato ci crisi economica, crisi peraltro già annunciata da precario equilibrio delle finanze spagnole; il crollo demografico, l’arresto delle attività agricole e manifatturiere e la carestia che a più riprese flagellò la Mitteleuropa, determinarono dunque un profondo stato di prostrazione. L’elemento che però differenziava le diverse nazioni europee era la risposta alla crisi, che nei paesi mediterranei si tradusse in una eccessiva preoccupazione da parte della nobiltà feudale, che temeva di perdere i privilegi accumulati, dando vita così a un processo di rifeudalizzazione che finì di vessare le classi contadine, col risultato di peggiorare lo stato dell’economia agricola, mentre nel Nord dell’Europa si tradusse in una spinta verso la modernizzazione che permise a paesi quali Inghilterra e Olanda di puntare proprio sul settore agricolo e manifatturiero attraverso un’adeguata politica di ristrutturazione delle realtà preesistenti e il rilancio delle attività commerciali mediante la colonizzazione e l’esportazione dei prodotti.

Stagnazione demografica – Tra il 1450 e il 1600 la popolazione europea era praticamente raddoppiata; nel corso del secolo invece si ha un debole aumento da 95 a 102 milioni di abitanti, escludendo la Russia. Questa situazione assume però diverse prospettive a seconda della zona geografica: infatti la stagnazione vera e propria si ha più che altro in Spagna e nei paesi dell’area mediterranea, mentre il record negativo spetta alla Germania; in Francia, in Olanda, in Inghilterra e nei paesi scandinavi si ha addirittura un trend positivo. Ma quali erano le cause di questo fenomeno?

in primo luogo le epidemie di tifo, peste (questa addirittura endemica per buona parte del secolo), sifilide e malaria, determinate dalle carestie e dalle cattive condizioni igieniche;
in secondo luogo dalle guerre, come la stessa Guerra dei Trent’anni che aveva decimato la popolazione tedesca.

Alcuni storici ritengono che questo problema fosse in realtà speculare di una crisi più ampia dovuta proprio alla sottoalimentazione determinata dalla scarsa produttività agricola tedesca: infatti è evidente che la crisi non si presentò allo stesso modo in tutta l’Europa, e la stessa Inghilterra e l’Olanda, che pure non furono immuni alle pestilenze, conobbero pure un incremento della popolazione, segno che evidentemente esistevano carenze sotto altri punti di vista, come la produzione insoddisfacente.

Agricoltura – Nel Seicento assistiamo a una vera e propria inversione di tendenza rispetto al secolo precedente, con una progressiva diminuzione della produzione, causata principalmente dall’arretratezza delle strutture e dal riconsolidarsi di forme di dipendenza feudale; a questo va aggiunto un calo dei prezzi e una deficienza di terre da coltivare, anche perché la scarsa redditività di certi fondi determinò l’abbandono degli stessi al pascolo brado, con grave detrimento delle derrate alimentari, all’origine delle carestie e delle epidemie. Il conseguente calo dei prezzi peggiorò ulteriormente la situazione e soprattutto nei paesi mediterranei, molto più arretrati rispetto al resto d’Europa.
Come già si è visto il problema fu affrontato in modo diverso nelle diverse aree geografiche: nell’area mediterranea si riafferma una sorta di feudalizzazione, generata ovviamente dalla preoccupazione dell’aristocrazia terriera di perdere i propri privilegi, con conseguenti vessazioni per i contadini e col riaffermarsi di antichi diritti di pedaggio e di caccia, retaggio del Feudalesimo; questa situazione comportava la ruralizzazione della società e il manifestarsi di pericolosi sintomi di arretratezza sociale e culturale; nell’area settentrionale dell’Europa si va affermando invece un processo di modernizzazione delle strutture produttive che, soprattutto in Olanda, permette di integrare meglio l’attività dell’allevamento con la messa a coltura di piante da foraggio e un conseguente aumento della quantità di carne e di prodotti lattiero-caseari. In Inghilterra nasce invece la moderna azienda agraria, portata avanti dalla cosiddetta gentry (i gentiluomini di origine borghese nobilizzati col titolo di sir) e dagli yeomen, i contadini liberi: viene infatti adottata la politica delle enclosures che distruggeva la vecchia concezione comunitaria dei campi aperti (open fields) per sposare una nuova concezione gestionale più avanzata, che aveva tra i suoi vantaggi la nascita di una manodopera salariata e l’indirizzamento della produzione verso il mercato dell’esportazione. Ecco perché soprattutto in questa zona si crearono i migliori presupposti per un incremento demografico e ovviamente per lo sviluppo delle industrie manifatturiera e agricola. Certo, questo avanzamento non nascondeva i problemi, poiché la politica delle chiusure accentuava lo stato di miseria dei contadini senza terra, che spesso si davano al vagabondaggio.

L’industria – Tra il 1609 e il 1613 inizia la decadenza delle principali attività manifatturiere, che risentono del contraccolpo della crisi demografica e produttiva: anche qui però dobbiamo sempre distinguere il diverso effetto nelle due aree geografiche, poiché nell’Europa settentrionale assistiamo a un vero e proprio rilancio di queste attività. La crisi più forte si ebbe nel settore tessile e si fece sentire soprattutto in Italia e nei paesi limitrofi. Le ormai desuete tecniche di lavorazione laniera e spesso i massacranti turni di lavoro, finirono per segnare una violenta battuta d’arresto nel settore, e proprio nei centri dove la produzione era sempre stata di grossa portata, come l’Italia e le Fiandre. Per contro resisteva il settore serico.
In Inghilterra si afferma un nuovo prodotto laniero, le new draperies, ossia tessuti di lana non ottimi ma comunque validi, e soprattutto iniziano a formarsi piccole aziende a conduzione familiare in cui lavorano sia le donne sia gli uomini. La massificazione della lana rese il prodotto più vendibile e questo aumentò la portata dei traffici verso l’esterno.

Geografia – Questa crisi influiva ovviamente anche sui traffici internazionali dei paesi dell’area mediterranea e si traduceva in tre sotto-crisi:

crisi del ruolo distributore del Mediterraneo, e conseguente spostamento del polo del mercato import-export verso l’Atlantico settentrionale e il mare del Nord;
crisi del ruolo produttivo del Mediterraneo e in primo luogo dell’Italia, che doveva subire la spietata concorrenza dei mercanti anglo-olandesi, diventando da esportatore importatore dei manufatti;
crisi del ruolo politico del Mediterraneo, poiché ormai la decadenza della Spagna e dell’Impero Ottomano cedeva inevitabilmente il passo al superiore mercato inglese e olandese e di conseguenza maggiorava il ruolo politico e sociale dei due paesi.

Dal bacino del Mediterraneo l’attenzione va spostandosi verso le rotte atlantiche, assolute protagoniste dei traffici mercantili inglesi e principalmente olandesi. Tra i generi di importazione ricordiamo le spezie, le stoffe di cotone indiano, lo zucchero, il caffè, il tè, il tabacco e il cacao; si diffonde la patata. Tra i lati negativi la tratta degli schiavi e il loro utilizzo nelle attività coloniali inglesi, olandesi e spagnole.

Colonialismo – Si afferma così un nuovo colonialismo, dal carattere spiccatamente economico e commerciale, e ad opera delle grandi compagnie commerciali inglesi e olandesi.
Le nuove colonie inglesi assumono quindi un ruolo essenzialmente produttivo, anche se va riscontrata un’ampia tipologia di utilizzo, come ad esempio il caso delle Piccole Antille, le cosiddette isole inutili, usate dapprima da Francesi, Inglesi e Olandesi come base dove far partire gli attacchi corsari ai galeoni spagnoli e poi trasformate in piantagioni, oppure il caso del Nord America, usato come colonia di popolamento dove trarre ex galeotti e disoccupati, incaricati presso le locali piantagioni, e più tardi abitato dai Puritani inglesi, i cosiddetti 102 Padri Pellegrini fuggiti dall’ingerenza degli Stuart, che a bordo della Mayflower giunsero nel 1620 sulle coste di quello che poi sarà detto Massachussetts, fondando la città di New Plymouth.
Il colonialismo olandese si rivolgeva invece preferibilmente verso l’Asia, usata però quasi esclusivamente per questioni mercantilistiche. Porti olandesi si aprirono comunque anche sull’Atlantico, come le colonie della Guyana olandese, strappata ai portoghesi e delle Antille, e soprattutto come la colonia di popolamento di Nuova Amsterdam, poi ceduta agli inglesi, che diventerà New York. L’impero coloniale olandese si fonda sull’iniziativa delle due Compagnie delle Indie, operanti sui mercati asiatici e americani. Proprio la Compagnia Riunita delle Indie Orientali è la protagonista assoluta del rilancio della presenza europea in Asia, principalmente nell’arcipelago indonesiano e nell’Oceano Indiano.
Anche la Francia dava il via alla propria espansione coloniale, operando nelle coste atlantiche americane – si ricorda principalmente la penetrazione in territorio canadese con la colonia del Québec – e nel sud degli odierni Stati Uniti, in cui la stanzializzazione si attiva maggiormente durante il periodo di Colbert. Molto attive furono però anche le colonie fondate dalle Compagnie Francesi delle Indie in Asia e Africa.

Mercantilismo – La politica mercantilistica, già vista durante il periodo di Filippo II, fu semplicemente una necessità, adoperata dalle grandi potenze per aumentare la ricchezza interna e incentivare quindi il proprio ruolo politico internazionale: il metodo era quello di frenare le importazioni, incentivando invece il mercato export tramite l’attività delle Compagnie nazionali delle Indie.. Tra le potenze quella che adottò una politica di mercato migliore fu la Francia assolutista di Colbert, durante il regno di Luigi XIV, non solo con l’attività delle Compagnie ma anche con la promozione delle attività manifatturiere francesi nel settore delle merci di lusso.