giovedì 7 luglio 2016

Socrate

SOCRATE

L’importanza storica della filosofia socratica rappresenta non solo il nuovo ruolo assunto dall’uomo, già reso fondamentale dalla Sofistica, ma anche il diffondersi di una metodologia speculativa che  favorisce l’integrazione delle opinioni e l’interazione tra le parti coinvolte dialetticamente. La vita civile di Socrate si svolge tra l’Atene tardo periclea e l’Atene decadente, e in entrambe le epoche egli fu solerte cittadino attento alla vita politica e democratica ateniese. Figlio di uno scultore e di una levatrice, Socrate rifiutò sempre i vantaggi della vita borghese, astenendosi dalle mollezze della materia; visse sempre sobriamente e lontano dai lussi, coerente e probo; sofista lui stesso, non percepì mai denaro e condannò decisamente la mercificazione che i suoi colleghi facevano della cultura. Socrate è il primo martire della libertà di pensiero e il suo esempio di coerenza fu poi eternato nei dialoghi platonici in cui è protagonista.

IL METODO

Socrate accoglie i problemi, ma non le soluzioni, dei sofisti. I sofisti ebbero secondo Socrate il merito di effettuare una vera e propria rivoluzione copernicana nella storia del pensiero greco, spostando l’interesse del filosofo dalla natura e dalle forze primordiali che la guidano all’uomo e alle sue potenzialità. Ma il relativismo sofistico non è ben visto da Socrate per il quale si fa invece necessaria una ricerca più attenta della verità. L’uomo che fonda la sua conoscenza sui propri sensi non è dissimile dagli altri animali; ciò che distingue l’uomo dagli altri animali è la ragione, l’unico elemento che gli consenta di fornire ragioni valide universalmente. Solo sulla ragione e non quindi sulle opinioni della conoscenza sensibile si basa la teoria della gnoseologia socratica. L’uomo razionale è davvero misura di tutte le cose in quanto la sua ricerca ha valenza universale.

Ma qual è il modo migliore per iniziare la ricerca? La vera conoscenza inizia da noi stessi: il metodo ideale è l’introspezione, poiché non si può iniziare a conoscere l’esterno senza conoscere l’interno. Socrate fa suo il motto dell’oracolo di Delfi, “conosci te stesso”, primo passo indispensabile sulla strada della conoscenza, poiché l’uomo deve imparare a conoscere e a padroneggiare la propria  razionalità. Dopo il momento introspettivo e soggettivo viene il momento dialogico. Il dialogo è la forma più alta dell’insegnamento socratico, in cui  il maestro interviene sui singoli per liberarli dalle aporìe e dalle illusioni della vita sensibile. Nel dialogo Socrate sfrutta i vantaggi dell’apprendimento in comune, cercando di aiutare l’allievo a tirare fuori il positivo e a liberarsi dal falso. Questo metodo è l’arte levatrice per eccellenza, ossia la maieutica. Per far uscire le opinioni fallaci allo scoperto, Socrate usa l’ironia, attraverso cui demistifica i contenuti privi di effettivo fondamento. Al momento prettamente negativo subentra però il momento critico, ossia costruttivo, in cui Socrate aiuta l’allievo a ricostituire il proprio sapere secondo schemi razionali.
Il metodo socratico non segue degli schemi ben precisi. Lo scopo di Socrate non era infatti quello di dimostrare la verità, ma di mettere i suoi allievi in condizione di proseguire da soli la propria ricerca.

Per Socrate la vera sapienza consiste nella consapevolezza dei propri limiti; nell’Apologia di Socrate scritta da Platone egli chiede all’oracolo di Delfi il nome dell’uomo più sapiente e si sente rispondere “Socrate”; quando però Socrate interroga gli altri sapienti ateniesi per valutarne la preparazione, si accorge di quanto la presunzione avesse inficiato la cultura di queste persone. La vera sapienza è quella di Socrate che, certo di non sapere nulla,  ha piena coscienza dei propri limiti e dunque veramente sa.

IL CONCETTO

Tutta l’indagine di Socrate ruota intorno a una domanda, “che cosa è ?” ma le risposte a questa domanda non bastano a Socrate: si possono dare risposte molto opinabili sulle argomentazioni sensibili e materiali, naturalmente soggettive, ma per rispondere a domande sul bene, sulla morale e sulla virtù Socrate ha bisogno di un’essenza universale, piuttosto che di una spiegazione pratica.  Per arrivare a ciò devo astrarre dalle opinioni particolari i caratteri comuni e universalmente validi: per esempio da varie descrizioni di piante differenti per tipologia, formo razionalmente l’idea di albero in base a pochi ma essenziali elementi (fusto, tronco, corteccia, foglie, radici).

La grande conquista della filosofia socratica è il concetto: si tratta di un elemento che l’uomo ha sempre posseduto, ma di cui ha dimenticato la funzionalità. Solo col concetto si può fondare un costrutto scientifico, poiché universale e uguale per tutti; soprattutto il concetto è necessario, così come sarà per Aristotele o per Kant, perché il concetto non può essere inteso in una forma diversa ma unica e perciò valida necessariamente. Alla base della sua teoria conoscitiva Socrate pone dunque una sostanza o ousìa, il cui valore universale e necessario ne fa uno strumento di fondamentale conoscenza scientifica. Ma a Socrate non interessano le cose fisiche, quanto il recupero degli ideali, e il concetto ha qui un’importanza in tal senso.

LA MORALE

Per Socrate la virtù è sapere. Se per i sofisti l’azione umana si doveva dispiegare verso l’utilitarismo pratico, Socrate, che ha una concezione idealmente elevata dell’uomo, l’azione umana ha per obiettivi il bene e la virtù. Ma per raggiungere il bene non ci si può rinchiudere nell’individualismo soggettivo presumendo di essere depositari della verità; il Bene è una realtà assoluta e universale, ed è scienza; proprio in quanto scienza chi conosce conosce il Bene, e dunque il Male è semplicemente ignoranza, ossia non conoscenza del Bene. Per Socrate è assurdo che l’uomo colto rifiuti il bene: solo applicando il Bene, l’uomo vive felice. In Socrate felicità e virtù coincidono (eudemonismo) e l’ideale socratico è quello di una vita felice lontana dalla materia e dalle sue false tentazioni. L’intima felicità del dotto rappresenta il raggiungimento del Bene.

Socrate onorava gli dei ma la sua religiosità si ispirava a un modello morale, e rifiutava di applicare al divino, seppure antropomorfizzato, le stesse storture della dimensione umana. Ciò gli valse l’accusa di empietà che fu uno dei motivi che ne determinarono la condanna.

Accusato di empietà e di corruzione della gioventù ateniese, inviso agli aristocratici e ai conservatori, Socrate fu condannato a morte. Nonostante avesse la possibilità di fuggire, egli preferì accettare la velenosa cicuta, come racconta il Fedone platonico, aspettando il momento conversando con i suoi discepoli sul tema dell’immortalità dell’anima.

DOPO SOCRATE

Platone fu di sicuro il discepolo più celebre di Socrate, ma oltre a Platone si distinguono varie tendenze tra gli scolari socratici. Fra essi è annoverato anche Senofonte, storico politico e militare, autore di un’Apologia del maestro ma per nulla interessato ad approfondirne o a svilupparne il pensiero. Quattro sono le scuole socratiche; di una, la scuola eretriaca, non abbiamo notizie certe.

Scuola Megarica – Fu fondata da Euclide di Megara, omonimo del matematico posteriore, e assomma nella sua speculazione temi socratici ed eleatici. Euclide riteneva come Socrate l’essenziale unità del Sommo Bene, inteso come Dio, come intelligenza universale, come Uno e Assoluto; ma al centro della speculazione euclidea trovavano posto temi già cari agli eleati e a Zenone, come l’illusorietà della conoscenza sensibile. Tra i megarici c’era anche Eubulide che, per dimostrare l’inconsistenza del molteplice usava l’argomento del sorite (cumulo): togliendo un elemento da un cumulo, esso non diminuisce; parimenti la realtà è una e non molteplice. Sempre suòòo stesso tema Stilpone riteneva impossibile attribuire al cavallo un predicato come “corre”, poiché il “corre” del cavallo è diverso dal “corre” di un altro animale e dal senso stesso del correre, rendendo assurdo ogni riferimento al molteplice. Tra le asserzioni più famose dei megarici ci sono le antinomie o paradossi, tra cui il celebre argomento riportato da Cicerone: se dico di mentire, o dico il falso, e allora non mento, o mento e dico la verità. Queste affermazioni non riguardano la critica al molteplice ma si tratta di argomenti indecidibili, e dunque paradossali. Infine Diodoro Crono rifiutava la potenza in assenza dall’atto: tutto ciò che non si è verificato, tutte le cose che esistono solo in fase progettuale, per Diodoro sono inesistenti; solo ciò che si è già verificato è possibile. Tutto ciò che accade deve necessariamente accadere, altrimenti, perché la possibilità si sarebbe trasformata in impossibilità?

Scuola Cirenaica -    Si tratta della scuola fondata da Aristippo di Cirene e si caratterizza per la scarsa importanza attribuita alla vita teoretica in favore della ricerca della felicità e della condotta morale. Questa praticità fraintende l’insegnamento socratico, e porta la ricerca della felicità alla ricerca del piacere, o meglio nella sensazione piacevole. Per i cirenaici il conoscere si fonda sulla sensazione, e di conseguenza il bene sensibile è rappresentato dal piacere: il piacere va vissuto nella sua immediatezza e intensità. Tra gli allievi della scuola si sviluppano diverse teorie sulla tipologia dei piaceri (edonismo). Quella di Aristippo è una teoria che ricalca la filosofia di Protagora: come il sofista, anche Aristippo considera l’uomo “misura di tutte le cose” proprio in quanto “sente”; e questa sensazione fa sì che l’uomo sia il momento passivo del sentire poiché recepisce lo stimolo sensoriale, mentre la causa ne è il momento attivo. La sensazione è il fondamento dei tre stati emotivi dell’uomo, che sono il piacere, il dolore e la quiete, e che sono paragonabili allo stato del mare. La vera felicità risiede per Aristippo nell’attimo, ed in questo attimo si esplica la libertà dell’uomo, “che possiede e non è posseduto”. Dopo Aristippo si segnala una seconda scuola cirenaica che estremizza il problema arrivando al conflitto tra principio del piacere e ricerca del piacere guidata dell’intelletto (Teodoro l’Ateo, Egesìa, Anniceride).

La Scuola Cinica -  La scuola cinica fu fondata dall’ateniese Antistene, già scolaro di Gorgia e di Socrate; il nome cinico deriva dal greco (cane) a voler sottolineare lo stile di vita, spartano e sfacciato, dei suoi membri.  Per Antistene, così come per i megarici, la conoscenza di una cosa prevede l’impossibilità di predicarle un attributo. Ma i cinici arrivano all’estremismo negando che si possa effettivamente conoscere il vero o negarlo assolutamente. Una frase come “la mela è un frutto” è assurda poiché mela e frutto sono termini diversi e irrelativi; così come è assurdo dire “l’uomo è buono” per lo stesso motivo. I cinici operano come tutti gli allievi socratici la ricerca della virtù, e lo dimostrano coerentemente disprezzando le comodità e i lussi, come già fece Socrate.
Il più estremista fu Diogene di Sinope, allievo di Antistene, che realizzò fattivamente il sogno del ritorno alla natura vagheggiato dai cinici; noto come il “Socrate pazzo”, Diogene viveva in una botte a dispregio del superfluo. E’ assai probabile che molte notizie su Diogene siano fantastoriche, ma, per quanto siamo certi che egli non sempre visse in una botte, è vero che, come tutti i cinici, predicava l’antimaterialismo mendicando e ostentando una “cittadinanza del mondo” in modo sfacciato.