sabato 9 luglio 2016

Mistici medioevali

MISTICI MEDIOEVALI

Il misticismo rappresenta una delle tendenze più importanti della filosofia scolastica prima e dopo san Tommaso d’Aquino: prima tramite l’opera portata avanti dagli ordini mendicanti, dai Vittorini e dalla scuola di san Bernardo, poi tramite la nuova via segnata dalla predicazione francescana di san Bonaventura e dei membri della scuola di Oxford, principalmente Giovanni Duns Scoto. Questa via mistica consiste nel travalicare i limiti umani per cercare Dio mediante un processo ascensivo e di purificazione, una trasumanizzazione, attraverso cui l’uomo si affranca dalla sua naturale condizione di essere limitato e peccatore per trovare la Verità spinto dalla forza della verità stessa. In tal senso la via mistica si oppone alla via dialettica che pretende di giustificare razionalmente i principi della fede.
Due sono le scuole fondamentali della mistica medioevale, quella di san Bernardo e quella dei Vittorini.

BERNARDO DI CLAIRVAUX

Bernardo di Clairvaux (Chiaravalle) incarna nella sua dottrina un vero e proprio piano strategico per la difesa dalle eresie e per la definitiva supremazia della Chiesa. La sua dottrina potrebbe essere infatti riassunta in tre punti fondamentali:

la negazione del valore della ragione
la negazione del valore dell’uomo

il compito dell’uomo ridotto all’ascesi e all’elevazione mistica
Riguardo il primo punto Bernardo si pronuncia senza riserve contro la ragione e la scienza: il desiderio di conoscere gli appare infatti come una “turpe curiosità”. Riguardo al secondo punto va osservato che esso rappresenta indubbiamente il vero acme operativo del cammino mistico, in cui l’uomo, per mezzo della propria virtù, si riconosce “vile”, praticamente un nulla in confronto a Dio. Il terzo punto incarna il vero ruolo dell’uomo mistico, cioè il ricongiungimento a Dio. Esso avviene rigorosamente per gradi, tre in tutto: la consideratio, che è la disposizione dell’anima a intraprendere questo cammino, la contemplatio, che è l’atto della contemplazione in cui l’uomo si eleva al di sopra della vita materiale, e l’ascesi mistica vera e propria, in cui l’anima umana si riunisce all’Assoluto.    Bernardo tratta filosoficamente solo due problemi, quello della grazia e quello del libero arbitrio.
Egli distingue innanzitutto tre tipi di libertà, libertà dalla necessità, dal peccato e dalla miseria. La libertà dalla necessità è il libero arbitrio che costituisce l’essenza stessa della libertà umana. L’uomo libero è colui che liberamente vuole e ha la facoltà di esercitare questa libertà. Riguardo il problema del male, Bernardo non ritiene che il libero arbitrio comporti una scelta tra bene e male, poiché lo stesso Dio che è libero non ha questa possibilità di scelta: il male è frutto dell’inevitabile limitazione umana, che costringe spesso l’uomo a scegliere una via lontana da Dio. A differenza dal libero arbitrio, le altre due libertà sono concesse dalla Grazia, mentre il libero arbitrio, quale volontà tipicamente umana, fa parte della natura.

ISACCO DI STELLA

Isacco di Stella  desume da Agostino un concetto che avrà riscontro maggiore nella speculazione cartesiana: la conoscenza di Dio risulta più facile all’uomo rispetto alla conoscenza del corpo e dell’anima. Infatti la conoscenza che abbiamo del nostro corpo è inferiore a quella dell’anima, e la conoscenza che abbiamo dell’anima è inferiore alla conoscenza di Dio. L’anima è l’elemento conoscitivo più vicino a Dio, ed è perciò un tramite importantissimo tra Dio e il corpo. Essa opera nell’ambito conoscitivo attraverso cinque gradi: 

senso corporeo
immaginazione
ragione
intelletto
intelligenza

Il senso corporeo percepisce i corpi, l’immaginazione ne conserva le impressioni, la ragione astrae le forme incorporee dalle cose corporee, l’intelletto percepisce le forme incorporee nelle cose incorporee, e l’intelligenza percepisce la forma incorporea per eccellenza, ossia Dio. Isacco riprende il concetto di teofania di Scoto Eriugena, secondo cui Dio si conosce attraverso la conoscenza delle cose da Lui create.

UGO DI S.VITTORE

Al contrario di san Bernardo, che contrappone la vita mistica alla ricerca razionale, Ugo assomma le due vie nella sua speculazione. L’atteggiamento di Ugo nei confronti della scienza è infatti totalmente opposto a quello di Bernardo, poiché nulla è inutile nel sapere. La ragione e la rivelazione sono fra loro in rapporto costante, così come gli oggetti della conoscenza umana sono in rapporto costante con la ragione, e proprio dal loro rapportarsi con essa Ugo deriva la categorizzazione di questi oggetti: le cose derivanti dalla ragione sono necessarie, quelle conformi alla ragione sono probabili, quelle al di sopra della ragione sono mirabili e quelle contrarie alla ragione sono impossibili. Le cose probabili e mirabili sono gli unici oggetti della fede, infatti le cose necessarie sono derivanti dalla ragione e perciò sono note, dunque non possono essere credute, e le ultime non possono essere credute poiché la ragione non troverebbe mai una risposta. A queste quattro categorie corrispondono altrettanti atteggiamenti soggettivi: la negazione, l’opinione, la fede e la scienza;  solo nella scienza l’oggetto della ricerca è realmente presente, e per questo motivo la scienza può dirsi conoscenza perfetta, proprio perché ha al suo interno l’oggetto della conoscenza.
Il motivo della non conflittualità tra teologia e ricerca filosofica  è determinato dal fatto che queste due discipline si riferiscono ad altrettanti ambiti dell’uomo. La stessa dimostrazione dell’esistenza di Dio si differenzia a seconda che muova dall’interno o dall’esterno dell’uomo. Lo spirito umano si riconosce come esistente, ma è evidente che l’uomo che si scopre esistente  scopre anche inevitabilmente che non sempre è esistito, ed essendo privo di qualsiasi possibilità creatrice si rimanda perciò a una Causa che lo ha determinato: ora, non potendo risalire all’infinito, deve aristotelicamente definire una Prima Causa che lo abbia creato. Secondo Ugo Dio ha creato il mondo sia secundum se, ossia in conformità di se stesso, sia  propter se, ossia a causa di se stesso. Dio è causa e non effetto, non generato, non creato, quindi principio, mentre all’estremo opposto c’è la materia, effetto e mai causa, generata e creata da Dio.  La materia rappresenta quell’elemento informe, forma confusionis, che ancora Dio non ha disposto, a cui non ha ancora dato forma, forma dispositionis, conferendole la disponibilità ad essere plasmata. Il volere creativo di Dio è eterno, mentre non è eterno il creato; la creazione non è necessaria ma bensì libera, come appunto è libero il volere creativo di Dio.
Il ruolo dell’uomo nel disegno creativo divino è molto importante, infatti l’uomo è il primo essere del mondo sensibile e allo stesso tempo l’ultimo a essere creato: Dio ha creato l’uomo perché Lo serva e ha creato la natura perché serva l’uomo. Il bene dell’uomo è doppio, poiché egli ha a disposizione un bene di necessità, fornitogli dalla natura e un bene di felicità, fornitogli da Dio. Anche la natura umana è doppia, ed è intellettibile, ossia non sensibile e non simile ad esso, e intelligibile, ossia non sensibile e simile al sensibile: l’anima è appunto intellettibile, ma è anche intelligibile, e consente all’uomo di rapportarsi sia col sensibile sia  col soprasensibile. Anche Ugo di S.Vittore considera l’uomo assolutamente libero nella scelta del suo percorso di vita, anche se all’uomo è dato sapere che il bene è rappresentato dalla ricerca e dal congiungimento a Dio, mentre il male è la strada che allontana l’uomo da Dio. Scopo dell’uomo virtuoso è la strada mistica che si esplica attraverso tre fasi graduali, la cogitatio, ossia la presenza nell’anima di un pensiero, di una cosa in immagine, suscitata da un ricordo o da una esperienza sensibile, la meditatio, ossia l’atto di esaminare proprio del pensiero, e la contemplatio, ossia l’intuizione dell’anima che si diffonde su tutte le cose esaminate. La contemplazione stessa è ripartita in due gradi di cui il secondo, ultimo e perfetto, è la contemplatio mistica, cioè la contemplazione di Dio.

RICCARDO DI S.VITTORE

Riccardo di S.Vittore è l’ultima grande figura della mistica di questo secolo. Allievo e successore di Ugo, a cui seguì come Priore dei Vittorini, Riccardo distingue tre tipi di verità, quelle fondate sull’esperienza, quelle fondate sulla ragione e quelle fondate sulla fede. Se l’uomo può conoscere le cose temporali con l’esperienza, può conoscere le cose eterne con la ragione e con la fede. Così come Ugo anche Riccardo fa cominciare ogni processo dimostrativo dall’esperienza, quindi la stessa dimostrazione dell’esistenza di Dio, che parte dalle cose finite: esse non potrebbero autocrearsi e necessitano di un principio creatore, di una causa prima. Riccardo parte dall’esperienza per dimostrare il significato della Trinità: come il raggio del sole è prodotto dal sole e coevo ad esso, anche il prodotto della luce spirituale è coeterno ad essa. In Dio vi sono tre persone ma UNA sola sostanza.
L’antropologia di Riccardo è, come quella di Ugo, un’antropologia mistica. Così come Ugo distingue il sensibile, l’intellettibile e l’intelligibile, quali ambiti di conoscenza, così Riccardo ripartisce le tre facoltà dell’anima: immaginazione, ragione, intelligenza. Sull’immaginazione  si fonda il pensiero o cogitatio, sulla ragione la meditazione o meditatio e sull’intelligenza si fonda la contemplazione o contemplatio: quest’ultima è l’ultimo stadio della strada mistica ed esige due condizioni fondamentali, la purezza di cuore e la conoscenza di sé.  A questo proposito Riccardo paragona la contemplazione alla storia biblica di Giacobbe: Giacobbe desiderava sposare la figlia di Labano, Rachele, ma Labano gli diede in sposa la prima figlia, Lia; Lia era feconda, mentre Rachele era sterile, e da Lia Giacobbe ebbe sette figli e sette figlie; così Lia rappresenta lo spirito di Dio che feconda la volontà umana, mentre la bella Rachele rappresenta il dono divino della Grazia che sposa la ragione umana raggiungendo la conoscenza più alta. Le virtù sono figlie di Lia, ma la vera vita mistica comincia con Rachele, che rappresenta la conoscenza che l’anima ha di sé. E proprio l’ultimo figlio di Giacobbe e di Rachele, Beniamino, rappresenta l’unione mistica tra l’uomo e Dio. Sei sono i gradi della contemplazione:

in imaginatione et secundum imaginationem;
in imaginatione et secundum rationem;
in ratione et secundum imaginationem;
in ratione et secundum rationem;
supra rationem et non praeter rationem; 
supra rationem et praeter rationem.

Il primo grado considera il mondo sensibile come tale, il secondo conduce dal mondo sensibile al mondo intelligibile, il terzo riporta il sensibile al soprasensibile, il quarto considera l’anima e i puri spiriti, il quinto si rivolge a Dio in quanto conoscibile dalla nostra ragione, e il sesto considera gli attributi della divinità assolutamente trascendenti la ragione umana. Il grado più alto della contemplazione e ovviamente della vita mistica è l’estasi o excessus mentis, rappresentata dalla morte di Rachele, cioè della ragione, e dalla nascita di Beniamino, ossia il congiungimento mistico con Dio.