lunedì 29 agosto 2016

700 - Parte 2A

IL 700 - PARTE 2A
LA SECONDA METÀ DEL SETTECENTO

Il movimento di riforma a cui aveva aderito la borghesia francese nel secolo XVIII trovava il proprio ideale di cambiamento nella teoria politica del filosofo illuminista Voltaire. Voltaire, al contrario di Montesquieu, riteneva pericolosa una separazione dei poteri, perché avrebbe favorito il rafforzarsi del vecchio potere dell’aristocrazia feudale, con il conseguente indebolimento dell’istituzione monarchica. Era dunque necessario che il sovrano conservasse inalterata la sua autorità, accentrando nelle proprie mani tutto il potere, ma, in luogo del rigido assolutismo della corona francese, Voltaire proponeva un modello di sovrano illuminato, e garante delle libertà dei sudditi. Per libertà qui non si intende ovviamente la partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, ma si attua comunque una modernizzazione dell’istituzione monarchica, con l’introduzione di un modello amministrativo improntato al benessere della comunità e al suo progresso.
Caratteristica delle monarchie illuminate europee fu l’introduzione delle riforme, atte a migliorare e a modernizzare le strutture amministrative ed economico-politiche. In realtà quello che la propaganda dell’epoca faceva passare per “felicità del popolo” era solo il tentativo di rimpinguare le finanze statali e aumentare il controllo sulle masse e sul potere nobiliare, sempre di difficile gestione. Le stesse masse non vennero mai coinvolte nella gestione dello stato, tanto che il motto coniato a bella posta recitava tutto per il popolo, niente attraverso il popolo. Le riforme si svilupparono in diverse direzioni:
razionalizzazione dell’agricoltura, attraverso l’introduzione di nuove tecniche agricole, di nuove colture e di nuovi mezzi di produzione, e attraverso la soppressione dei vecchi privilegi come la manomorta e il fidecommesso, che impedivano il frazionamento e la ridistribuzione delle terre di proprietà ecclesiastica e nobiliare;
razionalizzazione dell’amministrazione statale, e soprattutto della burocrazia, dei meccanismi di esazione fiscale e dell’esercito;
rinnovamento delle istituzioni civili, con la riforma dei codici, l’abolizione della tortura e la promozione di maggiori garanzie di libertà per i sudditi, per esempio la libertà di stampa e la tolleranza religiosa;
la limitazione della potenza economica e politica della Chiesa, con la soppressione i alcuni ordini religiosi e il conseguente incameramento delle rispettive proprietà, con la riduzione o abolizione dei privilegi feudali della Chiesa e delle sue immunità, e con una progressiva laicizzazione dello stato; la Chiesa aveva infatti finito col costituire uno stato nello stato, e per questo era necessario ridimensionarne il potere, in nome dei principi giurisdizionalistici e per favorire la promozione della concezione laica dello stato.
Proprio in relazione a questo ultimo punto si sviluppa la persecuzione a danno della Compagnia di Gesù.  I Gesuiti detenevano a quel tempo il monopolio dell’istruzione, erano i garanti assoluti dell’ortodossia della Controriforma, avevano un enorme peso decisionale presso le classi dirigenti, e possedevano immensi patrimoni terrieri, costituendo la frangia più pericolosa dell’ingerenza della Curia romana in ambito temporale. Furono proprio i re cattolici a organizzare l’espulsione dai rispettivi paesi della Compagnia di Gesù: prima in Portogallo, poi successivamente in Francia, Spagna, nel Regno di Napoli e nel Ducato di Parma. Nel 1773 Clemente XIV con la bolla Dominus ac redemptor decreta lo scioglimento della Compagnia di Gesù, i cui beni vengono incamerati dai sovrani e destinati all’edificazione di scuole pubbliche laiche in luogo di quelle prima gestite dai Gesuiti.

LA GUERRA DEI SETTE ANNI

Dopo la pace di Aquisgrana del 1748 si verificò uno straordinario caso di rovesciamento diplomatico, che portò la Prussia ad allearsi con l’Inghilterra, e l’Austria con la Francia. Nel primo caso fu essenzialmente la volontà di uscire dall’isolamento politico a spingere la Prussia a cercare l’accordo con gli inglesi (1756, Convenzione di Westminster), mentre nel secondo caso si nota la reazione antiprussiana dell’Austria e delle nazioni confinanti (1756, Trattato di Versailles), che avrebbero ricambiato la Francia con una collaborazione nella guerra coloniale. Proprio nel 1756 Federico II invade la Sassonia, e il meccanismo diplomatico scatta, determinando così l’inizio del conflitto.
Si trattò di un vero conflitto mondiale, perché la guerra si combattè sia sul fronte europeo, dove la Prussia riportò pesanti perdite e fu sul punto di soccombere, sia su quello coloniale, dove la Francia perse quasi tutti i suoi possedimenti. A salvare la situazione fu l’uscita dal conflitto della Russia il cui zar Pietro III, successore della zarina Elisabetta, firma un accordo filoprussiano, e di conseguenza l’abnorme costo della guerra anglo-francese nelle colonie, che obbligò i Francesi a ritirarsi e l’Austria a seguirne l’esempio sul suolo europeo.
Due furono le paci, quella di Hubertsburg per quanto riguarda la guerra europea, che non produce mutamenti sostanziali se non la definitiva concessione della Slesia alla Prussia, e la pace di Parigi che pone fine alla guerra nelle colonie, entrambe firmate nel 1763. Il conflitto aveva consolidato le potenze territoriali di Prussia e Russia, ora legate da un accordo, e aveva promosso da un lato il declino della Francia e dall’altro l’assoluta supremazia coloniale dell’Inghilterra. Il trentennio di pace che seguì al conflitto fu caratterizzato dall’affermarsi del dispotismo illuminato in Europa e del tentativo di trasformazione delle strutture politiche e amministrative europee.

LA CRISI DELL’EUROPA ORIENTALE

Parallelamente alla Guerra dei Sette Anni si registra un momento di grave crisi nell’est europeo, crisi che coinvolge la Polonia e l’Impero Ottomano.
Alla morte del re polacco Augusto III di Sassonia, la zarina Caterina II, Maria Teresa d’Asburgo e Federico II si accordarono per porre sul trono polacco il nobile Stanislao Poniatowski, già amante della stessa zarina. Debole e inesperto, Poniatowski regnava su uno stato privo di solide tradizioni monarchiche, e, durante la guerra russo-turca, Austria e Prussia, preoccupate dell’avanzamento territoriale russo, chiesero una prima spartizione del territorio polacco, che aveva evidenti funzioni di cuscinetto, a cui lo stesso Poniatowski non si oppose. La Polonia fu dunque ripartita tra le tre potenze.
Concluso l’accordo, la Russia infliggeva ai Turchi una pesante sconfitta, ottenendo l’accesso al Mar Nero, che fu esteso all’intera costa nel corso della seconda guerra russo-turca: questo segnava la fine dell’Impero Ottomano.
Nel frattempo i germi della Rivoluzione Francese si estendevano in Polonia, dove un ardito disegno di riforme, che avrebbe trasformato lo stato polacco in monarchia ereditaria, obbligò Russia e Prussia a un intervento militare nel paese, che obbligò Poniatowski ad accettare una seconda spartizione. Una rivoluzione popolare nel 1794 costrinse le tre potenze a un definitivo intervento e soprattutto a una terza spartizione, che cancellava definitivamente la Polonia dalla carta geografica dell’Europa.

IL DISPOTISMO ILLUMINATO IN EUROPA

L’attività riformatrice dei sovrani illuminati si assestò principalmente al centro e al sud dell’Europa, per la necessità di riequilibrare i fondi dello stato gravati dalle consistenti uscite a causa delle guerre di successione e di modernizzare le arretrate strutture economiche.

Federico II di Prussia – Il re filosofo, così chiamato per il suo razionalismo e ateismo, è il capostipite dei sovrani illuminati. Fu amico di Voltaire, ed ereditò dal padre, il famoso re sergente, uno stato militarmente potente e fondato sul poderoso esercito che egli stesso provvede a rafforzare, fino a costituire il 6 % della popolazione prussiana. Nel 1763 viene istituita l’obbligatorietà dell’istruzione elementare, impartita dai maestri di stato; in seguito Federico II provvede a razionalizzare la magistratura, abolendo i tribunali feudali, affidandoli a funzionari in carriera, e riformando il codice penale con l’abolizione della tortura e della pena di morte. In campo economico si segnala l’introduzione di opere di bonifica e di nuove colture, oltre a un maggiore impulso dell’industria mineraria e manifatturiera.

Caterina II di Russia – Nei suoi 34 anni di regno la zarina riprende il progetto espansionistico di Pietro il Grande. Anche Caterina fu in rapporti diretti con gli illuministi francesi, e alle loro teorie ispira il proprio piano di riforme politiche e amministrative. Tra le riforme principali ricordiamo la nazionalizzazione dei beni della chiesa russo ortodossa, il progetto di un nuovo codice legislativo di impronta illuministica, e soprattutto l’aumento del numero dei governatorati per garantire un maggiore controllo delle province russe, e quindi favorire il centralismo dell’amministrazione. Purtuttavia non vi furono mai reali riforme, e la situazione sociale russa fu sempre divisa tra la condizione servile dei contadini e quella privilegiata del ceto nobiliare, situazione che sfocia nella rivolta contadina del cosacco Pugacev, che nel 1773 raduna ventimila servi chiedendo la fine della servitù della gleba e la spartizione delle terre. Dopo due anni Pugacev viene sconfitto, mentre i nobili ottengono dieci anni dopo una Carta dei Diritti, con cui viene loro concesso l’esonero dal servizio nei ranghi dello stato.

Maria Teresa d’Asburgo – Il quarantennio di Maria Teresa sul trono austriaco fu particolarmente ricco. Fervente cattolica, la figlia di Carlo VI introduce un ampio programma di riforme con la collaborazione del conte Haugwitz e poi del cancelliere Kaunitz. Il territorio fu diviso in sei dipartimenti, controllati dal Consiglio di Stato, e furono introdotte identiche misure di esazione fiscale, estesa anche al clero e all’aristocrazia. Viene varato un nuovo codice penale e, come in Prussia, l’istruzione viene statalizzata e resa obbligatoria nel grado elementare.
Nel dominio austriaco della Lombardia viene introdotto il catasto, che poi si estenderà anche in altri domini. La Lombardia austriaca traeva molto vantaggio dal dominio asburgico, non solo per l’introduzione del catasto, che censiva tutte le terre agricole per una migliore perequazione fiscale, ma anche per l’impulso modernizzatore che fu entusiasticamente appoggiato dalla nobiltà lombarda, che fornì un buon numero di tecnici e funzionari all’apparato burocratico e amministrativo austriaco. 

Giuseppe II d’Asburgo – Già associato al trono dalla madre Maria Teresa, Giuseppe II promosse una politica di libertà e di tolleranza religiosa, aprendo il suo regno con un atto che concedeva libertà di culto a ebrei e protestanti. Provvede poi a nazionalizzare la Chiesa Cattolica, confiscando molti beni ecclesiastici, istituendo seminari di stato, e considerando il clero alla stregua di funzionari statali; vieta inoltre la pubblicazione delle bolle pontificie prive di autorizzazione regia. Invano il papa Pio VI cerca di far recedere il sovrano dal suo progetto. Tra le riforme sociali vi è l’abolizione della servitù della gleba e il riscatto  dei diritti signorili dietro pagamento di una quota, oltre alla possibilità all’acquisto delle terre  da parte dei contadini. Queste riforme furono però cancellate dal suo successore, Leopoldo II, pressato dalle forze conservatrici.

Pietro Leopoldo di Toscana – Secondogenito di Maria Teresa e quindi fratello di Giuseppe II, Pietro Leopoldo (che succederà al fratello nel 1790 alla guida dell’impero) opera un notevole progetto di trasformazione delle strutture del granducato. In campo legislativo il Codice Leopoldino abolisce la tortura e la pena di morte; in campo culturale e religioso si impegna a concedere libertà di stampa e di culto, abrogando l’Inquisizione e introducendo importanti riforme scolastiche; in campo economico si segnalano opere di bonifica e la liberalizzazione del commercio dei grani.
Le riforme dell’agricoltura permisero di incentivare la piccola e media proprietà terriera, e la mezzadria; invece non decollò il progetto di autonomia della Chiesa Toscana, portato avanti dalle tesi gianseniste del vescovo pistoiese Scipione de’ Ricci.

Carlo III di Borbone – Il regno di Napoli viveva un momento di particolare impulso dovuto alla trasformazione illuminata. Soprattutto ci sembra qui il caso di richiamare la resistenza delle classi baronali che impedirono il decollo del meccanismo catastale di matrice asburgica e poi il concordato con la Santa Sede che contribuì a limitare le pretese del clero. Questo impulso riformatore si interrompe con l’ascesa al trono di Ferdinando IV.

Nell’ultimo decennio del secolo XVIII si conclude l’epopea illuminista, ma dell’Illuminismo restava comunque l’impronta in campo culturale, filosofico, scientifico, politico, economico e amministrativo. L’esperienza del dispotismo illuminato comportò indubbiamente un notevole impulso trasformatore e modernizzatore, ma lasciando inalterata la situazione sociale di partenza, aumentando così la centralità e l’assolutismo del potere regio, in luogo della libertà sognata dagli illuministi. Se infatti si guarda la carta geografica delle riforme illuminate in Europa si nota come questo programma si sia affermato in aree economicamente depresse, mentre in aree forti questo disegno non è presente, e meno che mai in Francia, dove l’assolutismo regio continuò a farla da padrone. Alla fine del secolo furono gli stessi illuministi a constatare che un vero progetto di riforme non poteva realizzarsi senza la partecipazione diretta del popolo alla vita politica dello stato, e così vennero gettate le basi per le grandi rivoluzioni borghesi.