domenica 28 agosto 2016

700 - Parte 2B

IL 700 - PARTE 2B
LE GRANDI RIVOLUZIONI ATLANTICHE
LA RIVOLUZIONE AMERICANA
(1773-1791)

INTRODUZIONE

La ribellione delle tredici colonie inglesi del Nord America verso l’eccessiva pressione fiscale della madrepatria e verso la servitù commerciale degenerò in una rivoluzione a carattere secessionista che trovò il suo documento nella Dichiarazione d’Indipendenza del 1776. La borghesia americana non era spinta soltanto dalle esigenze economiche, ma anche dalle idee illuministe che avevano portato nelle colonie nordamericane l’interesse verso i concetti di sovranità del popolo e libertà del cittadino. La rivoluzione americana ebbe il carattere di una vera e propria guerra di indipendenza, guerra a cui parteciparono gli stessi stati europei. Dal conflitto sorse una confederazione di stati, gli Stati Uniti d’America, che si dette una costituzione in grado di garantire l’unitarietà amministrativa e contemporaneamente di tutelare le rispettive libertà degli stati membri.

1 - LE TREDICI COLONIE E I RAPPORTI CON LA MADREPATRIA

Le tredici colonie (circa 1.650.000 abitanti) erano sorte in tempi diversi, con modalità diverse e soprattutto si costituivano di diversa popolazione, il che ne accentuava le differenze in ambito demografico, sociale ed economico. Le colonie meridionali si fondavano prevalentemente su un’economia agricola, basta sulle grandi piantagioni, dove era stridente il contrasto tra i grandi proprietari terrieri e i bianchi più poveri; le colonie del centro-nord erano invece soggette a un’economia differenziata, con diverse strutture produttive che andavano dall’agricoltura all’industria manifatturiera, e qui erano presenti i piccoli proprietari, gelosi della loro libertà.

Nord – Le colonie del nord costituivano quello che ancora oggi viene chiamato New England e la loro struttura economica era come già detto articolata in diverse tipologie produttive. Tra le più note vi erano l’officina navale, l’agricoltura fondata sulla piccola proprietà e i commerci con l’estero. La società era essenzialmente inglese e costituita dai discendenti dei Puritani, dalla morale rigidamente ascetica e nemici della chiesa Anglicana, oltre che intolleranti verso i cattolici. La città più importante dal punto di vista commerciale era Boston.

Centro – Le colonie del centro vantavano le città e i porti più importanti, come New York, Filadelfia e Baltimora; qui l’economia comincia a diversificarsi ed è presente anche l’attività di contrabbando. La popolazione non è totalmente inglese, ma composta anche da svedesi, olandesi (primi colonizzatori), e tedeschi e irlandesi di recente immigrazione. Si trattava di un amalgama culturale che favoriva una maggiore tolleranza religiosa e soprattutto una maggiore spinta colonizzatrice verso ovest.

Sud – Domina qui l’economia di piantagione e lo schiavismo; la società è fondata su una divisione tra ricchi proprietari, generalmente inglesi e anglicani, e bianchi poveri. Mancano vere e proprie città, e qui è molto forte la dipendenza economica dall’Inghilterra, specie per i manufatti.

Il rapporto con la madrepatria - Le tredici colonie erano accomunate solo dal rapporto con l’Inghilterra. Erano sostanzialmente autonome e in esse era presente lo stesso tipo di libertà costituzionale presente nella madrepatria. Erano governate da un governatore di nomina regia, mentre il potere legislativo era gestito da una assemblea locale eletta a suffragio censitario. Ma la popolazione delle colonie era priva di rappresentanti al Parlamento di Londra. In più erano vincolate a mantenere una politica mercantilistica esclusiva con la sola Inghilterra, solo su navi inglesi, ed era fatto loro divieto di produrre ciò che l’Inghilterra vendeva loro. In pratica si trattava di una pesante subordinazione che l’economia americana subiva da quella inglese. La situazione fu in principio tollerata, anche perché il meccanismo di esazione fiscale era certamente meno oppressivo e poi il contrabbando con le zone caraibiche consentiva alle colonie di allentare la pressione commerciale inglese.
La situazione divenne insostenibile dopo la Guerra dei Sette Anni, quando, per rifarsi dei costi, l’Inghilterra fu costretta a gravare le colonie con una maggiore pressione fiscale; la nuova politica fiscale non fu gradita, esasperando quindi l’intolleranza verso la servitù commerciale inglese. L’accordo dell’Inghilterra con le tribù indiane, che impegnava i contraenti a non varcare la linea dei monti Allegheny, precluse poi l’espansione dei coloni verso l’ovest, creando un clima di tensione in quegli strati della popolazione coloniale desiderosi di espandersi territorialmente. La crisi si aprì per questioni fiscali.

2 - IL MOVIMENTO INDIPENDENTISTA

Era ormai diventata questione di principio, ma anche di interesse economico, che il Parlamento londinese dovesse regolare i commerci coloniali con l’imposizione di forti dazi doganali, a cui i coloni inglesi risposero con il boicottaggio delle merci della madrepatria e con il contrabbando. Prima fu lo Sugar Act, che imponeva ai coloni di acquistare lo zucchero nei Caraibi inglesi, e non in quelli francesi dove costava meno; poi toccò allo Stamp Act, che imponeva una marca da bollo su tutti i documenti pubblici, compresi i giornali. Le due imposte furono ritirate sotto i boicottaggi e anche la solidarietà di parte dell’opinione pubblica inglese, ma la situazione tornò ad aggravarsi con il Townshend Act, con cui si imponeva una tassa su tutti i prodotti importati nelle colonie. La crisi secessionista si mise in moto, con la nascita di movimenti separatisti quali i Figli della Libertà e i Comitati di Corrispondenza Intercoloniali.
Motto della rivolta era “no taxation without representation” che ineriva chiaramente alla necessità di una rappresentanza parlamentare per le colonie a Londra. Boicottaggi e proteste portarono ancora al ritiro della nuova tassa, ma restava in vigore la Tea Tax, la tassa sul tè, che colpiva soprattutto Boston. Quando il 5 marzo 1770 vengono massacrati cinque coloni in una guerriglia con l’esercito inglese, la situazione precipita.

Il 16 dicembre 1773 un gruppo di Figli della Libertà travestito da indiani getta a mare il carico di tè di una nave della East Indian Company alla fonda nel porto di Boston. Dopo l’episodio, ricordato come Boston Tea Party, il porto viene chiuso e la città posta sotto vigilanza militare.

Il I Congresso di Filadelfia nel 1774 vide  i coloni decisi nel boicottare le merci inglesi, come atto di disobbedienza civile. A quel tempo non si era costituito un vero e proprio esercito, ma esisteva solo un corpo di volontari, i cosiddetti minute-men, che derivavano il nome dalla possibilità di lasciare in un minuto il lavoro per vestire la divisa da soldati. Nel II Congresso di Filadelfia, nel 1775, fu costituito un esercito di ventimila uomini, posto sotto il comando di George Washington.
Il congresso era diviso tra tre fazioni, quella dei radicali, che volevano la rottura con Londra, quella dei moderati, che speravano in una situazione di compromesso, e quella dei lealisti, che erano invece fedeli alla monarchia. In un estremo tentativo di mediazione, pur essendo già cominciati i primi scontri armati, il Congresso mandò al re Giorgio III la cosiddetta Petizione del ramo d’Olivo, invitandolo a limitare l’ingerenza del Parlamento (era però un atto inutile, perché il Parlamento inglese era indipendente dal potere monarchico). Il governo inglese decide però l’embargo verso le colonie, causando l’inevitabile rottura e l’inizio della guerra.

3 - LA GUERRA DI INDIPENDENZA

Le assemblee locali delle tredici colonie si danno nel 1776 costituzioni autonome, tra cui spiccava il Bill of Rights della Virginia che poneva la sovranità popolare a fondamento del potere politico. Nello stesso anno lo scrittore politico inglese Thomas Paine pubblica il Common Sense, un opuscolo dove si giustificava la necessità della lotta per l’indipendenza. Ma il vero atto di secessione è quello che viene firmato a Filadelfia il 4 luglio 1776, cioè la Dichiarazione d’Indipendenza delle tredici colonie, stilata dall’avvocato virginiano Thomas Jefferson. La Dichiarazione sanciva il distacco delle colonie dalla madrepatria e la nascita di una federazione di stati che si chiamò Stati Uniti d’America. Era fondata su idee illuministe e promuoveva in sostanza tre principi:
il diritto naturale e inalienabile alla libertà, alla felicità e alla vita;
il dovere dei governi di garantire questi diritti e di fondare la propria azione politica sul consenso del popolo;
il diritto di ribellione contro un governo che non garantisse questi diritti. 
Si trattava di principi dall’enorme portata storica e politica, ancorchè basati sui temi più avanzati dell’Illuminismo moderno di Montesquieu e di Rousseau.

La Dichiarazione di Indipendenza costituiva anche una dichiarazione di guerra all’Inghilterra. Il conflitto fu lungo e aspro, e condotto da persone inesperte e inferiori numericamente. A garantire il successo delle operazioni contribuirono non poco l’entusiasmo dei patrioti americani, la loro migliore conoscenza del territorio, la forte personalità di Washington, e anche l’appoggio dell’opinione pubblica europea di parte illuminista, che inviò dei volontari a combattere nella campagna rivoluzionaria.
A dare una svolta decisiva alle operazioni militari fu la vittoria sugli Inglesi a Saratoga, il 17 ottobre 1777: dopo la vittoria infatti la Francia decise di appoggiare i ribelli con un accordo di cui si fa portavoce lo scienziato Benjamin Franklin, stimatissimo negli ambienti scientifici europei e soprattutto parigini. La Francia entra dunque in guerra contro l’Inghilterra, seguita da Olanda e Spagna. Furono proprio le flotte delle tre potenze a isolare le armate inglesi dalla madrepatria, permettendo all’esercito americano di respingere il tentativo di invasione nelle colonie meridionali. La decisiva vittoria di Yorktown, nel 1781, costringe di fatto l’Inghilterra alla resa.
Il 5 settembre 1783 viene conclusa la pace di Versailles, con cui l’Inghilterra riconosceva l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, e la sovranità di questi sul territorio compreso tra l’Atlantico, il Mississippi e la zona dei Grandi Laghi; la Francia ottiene Tobago e Senegambia e la Spagna Minorca e Florida.

IL DOPOGUERRA

Mentre la guerra era ancora in pieno svolgimento le tredici colonie iniziarono a discutere sul ruolo politico e costituzionale da svolgere in seno all’Unione. Tutte le colonie adottarono inizialmente gli Articoli Confederali con cui:
le Assemblee dei singoli stati mantenevano la loro autonomia;
ogni stato avrebbe avuto un voto al Congresso dell’Unione e le decisioni di questo andavano prese all’unanimità;
il Congresso si sarebbe occupato limitatamente di politica estera e di conflitti internazionali e interstatali.
Il dopoguerra vede però emergere delle forti tensioni sociali e politiche, dovute alle differenze tra gli stati. A causare le tensioni erano soprattutto:
l’inflazione e i debiti dovuti al conflitto;
le agitazioni dei contadini poveri;
la fame di terre;
il dibattito politico e istituzionale tra coloro che volevano un potere centrale forte, cioè le colonie del nord, e coloro che lottavano per l’autonomia dei singoli stati;
le speculazioni finanziarie.
Questo stato di cose degenerò nel 1786 in una rivolta di contadini e veterani di guerra, guidati da Daniel Shays, domata dall’esercito americano dopo due anni di lotta. Dalla guerriglia venne fuori un terzo schieramento tra autonomisti e centralisti, i cosiddetti federalisti, che ricompattarono i due schieramenti.
Per risolvere il problema dei territori del nord ovest il Congresso col Proclama del Nord Ovest decise di porre queste terre sotto controllo federale, sottraendole così agli interessi dei vari stati, e ponendo le basi per la nascita di nuovi stati, che sarebbero diventati membri dell’Unione quando avessero raggiunto i sessantamila abitanti.
Nel settembre 1787 una commissione di 55 saggi guidata da Washington stila la Costituzione degli Stati Uniti d’America. Erano organi centrali del governo federale:

il Congresso, che deteneva il potere legislativo, e si componeva di una Camera dei Rappresentanti e di un Senato;
il Presidente, che deteneva il potere esecutivo, eletto a cadenza quadriennale da un collegio di elettori designati dagli stati, col compito di guidare lo stato e il governo, nominare i ministri e i membri della Corte Suprema;
la Corte Suprema, che deteneva il controllo del potere giudiziario, composta da nove membri nominati a vita.
La carta costituzionale viene approvata nel 1788 da 11 stati su 13 (North Carolina e Rhode Island l’approveranno più tardi)e l’anno successivo George Washington viene eletto primo presidente degli Stati Uniti. La Costituzione viene arricchita nel 1791 dai Dieci Emendamenti, che rappresentavano un contrasto stridente con la realtà sociale: proponevano infatti un modello egualitario e libertario, fondato su dettami di chiara matrice illuminista, malgrado il paese tollerasse ancora la schiavitù e il potere fosse accentrato sulle mani delle classi dominanti.
Proprio durante la presidenza di Washington si riaccende il conflitto tra gli autonomisti, guidati da Jefferson (che nel 1800 succederà a Washington), e i centralisti, guidati da Hamilton. Lo scontro culmina con la fondazione del Partito Repubblicano Democratico, nel 1792, guidato da Jefferson e Madison.