lunedì 15 agosto 2016

Filosofia e natura

FILOSOFIA E NATURA
Telesio, Bruno, Campanella

Nel Rinascimento lo studio del mondo naturale non appare più come una pericolosa e fuorviante distrazione per l’uomo poiché si tratta di un uomo che ha acquisito la consapevolezza che la sua missione nel mondo si realizzerà proprio nel mondo naturale: la natura è regnum hominis e per questo l’uomo deve imparare a servirsene e a conoscerla per trarne il maggior profitto.
La magia si fondava su due presupposti, il primo era l’esistenza di forze simili all’uomo che animavano la natura, il secondo era la possibilità per l’uomo di assoggettare queste forze. Introdotta dal testo di Cornelio Agrippa “De occulta philosophia” la magia del Rinascimento ineriva tre ordini di riferimento, uno inferiore o naturale, uno mediano e soprannaturale e uno superiore e angelico, che portava direttamente a Dio. Era basilare per gli alchimisti e i maghi del Rinascimento mantenere una fede profonda e radicata, essendo la natura espressione di Dio se non Dio stesso. Il merito della magia, largamente diffusa in Europa e in Italia, fu l’aver introdotto il metodo sperimentale, anche se corrotto da frequenti influenze animistiche.

TELESIO

L’opera che riassume la filosofia di Bernardino Telesio si chiama “De rerum natura juxta propria principia” che già nel titolo latino (= sulla natura in base ai propri principi) esemplifica notevolmente la natura della speculazione telesiana. Quella di Telesio è la tipica prospettiva filosofico-naturalistica della scienza rinascimentale, in cui lo scienziato, filosofo della natura, si rende conto che la natura è la prima alchimista, e che tutto l’ambiente naturale costituisce un vero e proprio laboratorio per il ricercatore che qui trova gli elementi, le cause e le forze per spiegare i fenomeni. L’uomo è infatti esso stesso natura e i suoi cinque sensi gli consentono di interagire con le cose naturali.
Telesio spiega le cose naturali con le due forze, il caldo e il freddo: il caldo dilata le cose e le rende aeree e leggere, il freddo le condensa e le appesantisce; per agire queste due forze necessitano di una massa corporea, dotata di inerzia, che è il terzo principio per Telesio, dopo caldo e freddo. Telesio ritiene altresì importante la sensibilità, che è la condizione attraverso cui ogni organismo naturale percepisce la differenza tra i due stati. Secondo Telesio solo la terra e il sole sono elementi originari, mentre l’acqua e l’aria derivano dalla composizione dei primi due. Come si vede la fisica telesiana opera più sul piano qualitativo anche se il filosofo calabrese avverte dell’importanza dell’analisi basata sulla quantità. Contro la filosofia aristotelica Telesio oppone l’immagine di un Dio garante e conservatore dell’ordine cosmico, al posto della tradizionale figura del motore immobile dell’universo.
Secondo Telesio tutta la conoscenza umana si riduce alla sensibilità. L’anima umana è infatti un prodotto naturale come quella degli animali ed è lo spirito prodotto dal seme: tramite l’anima l’uomo si riconnette alla natura facendosi natura egli stesso. In pratica si tratta della rivelazione che la natura fa a se stessa. La sensazione è dunque una connessione con le cose esterne, ma non è un fatto puramente meccanico, poiché presuppone l’intervento di una coscienza mediante cui opera la percezione, quale coscienza del sentire.
Anche la vita morale dell’uomo è ridotta a principi naturali: il bene supremo è la conservazione dello spirito vitale nel mondo, ogni essere infatti tende, per via dell’ordine di conservazione garantito da Dio, a conservarsi e propagarsi. Solo un elemento sfugge al controllo dei sensi e del principio naturale, la vita religiosa. Le aspirazioni religiose necessitano di un tipo di anima extrasensoria, infusa da Dio come superaddita, cioè un’anima divina, che non condiziona la vita morale e intellettuale dell’uomo ma la libertà che gli è propria. L’uomo che tende alle cose superiori è libero di scegliere sapendo appunto quale strada percorrere per raggiungere determinati traguardi.
Come si può notare il titolo programmatico dell’opera telesiana costituisce il manifesto di una innovazione metodologica tendente a respingere l’aristotelismo. La tesi di Telesio è molto semplice: egli considera errato il modus operandi del filosofo della natura che pretende di spiegarne i principi dall’esterno, mediante razionalismi e sillogismi: in realtà, osserva Telesio, quanto ci è utile alla comprensione della natura è già insito nella natura stessa.

BRUNO

Giordano Bruno è il filosofo della religione dell’infinito. La speculazione bruniana tende infatti all’eliminazione di ogni limite dell’universo. Quella di Bruno è una figura di rottura, come già quella di Telesio, ma la conclusione tragica della vita del filosofo di Nola, che fu arso vivo in Campo de’ Fiori a Roma il 17 febbraio 1600, dopo un processo che lo condannò come eretico, manifesta in modo più elevato, quasi socratico, il significato della sua speculazione. L’opera bruniana comprende dialoghi italiani sulla filosofia della natura, come “De l’infinito universo e i mondi” e “Della causa”, scritti sulla morale come “Lo spaccio della bestia trionfante” e “Degli eroici furori”, e scritti latini come il “De monade” e il “De minimo”.
Abbiamo indicato Bruno come filosofo dell’infinito, ed è proprio verso l’infinito che egli intende proiettare l’anima, il movimento, la vita e l’intelligenza. Questa è la religione di Bruno, una religione che non rifiuta le religioni positive tradizionali, la cui utilità è innegabile per domare i popoli rozzi e incolti, ma che si rifanno a modelli di ignoranza e superstizione. Quella proposta o cercata da Bruno è una religione universale, basata su un principio solo: la natura. Non si può risalire a Dio partendo dagli effetti naturali come è impossibile conoscere uno scultore dalle sue statue, Dio è un principio immanente, causa e principio del mondo: causa poiché determina le cose del mondo pur restandone distinto, principio poiché ne costituisce l’essere. Ma come causa e come principio Dio non si distingue dalla natura. La natura, scrive Bruno, o è Dio stesso, o è la virtù divina manifestata.
In quanto principio Dio è l’intelletto universale, prima facoltà dell’anima del mondo: in questa veste Dio è il grande artefice del mondo, e creatore della forma della materia. C’è solo una materia e c’è solo una forma nel mondo, ossia Dio creatore, e materia e forma insieme costituiscono la natura stessa, che è il Tutto, ossia Dio. Obbediente alla massima ermetica “ciò che è in basso è come ciò che è in alto” Bruno formula una soluzione panteista accettando la tesi parmenidea dell’Essere come un Tutto immobile, e questo Essere è il principio cosmico dell’Unità: materia e forma, corpo e anima, natura e Dio. Attributo principale di questo Tutto è l’infinità.
Bruno difende la tesi copernicana, che gli permette di supportare validamente il suo apparato speculativo, ma non per gli eventuali vantaggi di origine scientifica, peraltro è dubbio che Bruno ne avesse davvero capito l’impostazione geometrica. Bruno si rifà soprattutto all’occamismo: a una Causa infinitamente potente corrisponde un effetto indubbiamente infinito. Egli disprezza l’aristotelismo, affermando che ciò che è finito e chiuso è imperfetto, mentre è perfetto l’ordine che comprende innumerevoli mondi, generi, specie.
Occorre però precisare che la vera infinità per Bruno non è quella spaziale e corporea ma quella divina. Dio è tutto in tutto il mondo e tutto in ciascuna parte di esso, mentre l’universo è tutto in tutto se stesso ma non in ciascuna parte di esso. Nel “De minimo” Giordano Bruno osserva infatti che il cosiddetto minimo non è solo la minima parte ma anche il tutto, perciò non potrà mai esistere un unico minimo comune a tutte le cose ma diversi minimi, differenti a seconda del genere delle cose. Nel “De monade” Bruno precisa questa indeterminazione usando la dottrina pitagorica: dall’uno procede la diade, dalla diade la triade, e così via, fino alla decade. Ognuna di queste emanazioni dell’uno corrisponde a un preciso aspetto della realtà: risulta quindi difficile trovare un elemento veramente determinante, e il vero intento del poema bruniano è la riduzione numerica dell’universo per mostrarne la derivazione dalla Monade, dall’Uno, cioè da Dio, cioè la natura. La natura nella sua infinità è il termine ultimo nella speculazione bruniana, dove l’intima conoscenza della natura costituisce il grado più elevato della conoscenza umana. Questa conoscenza è ben rappresentata dal mito di Atteone. Scoperto a guardare la dea Artemide nuda, il cacciatore Atteone fu tramutato dalla dea in cervo, diventando da cacciatore cacciato, così come l’anima umana, giunta a contemplare la natura, diviene essa stessa natura.
In questa natura la libertà umana assume un ruolo particolare, poiché solo nel Dio-natura libertà e necessità si identificano: se anche la libertà dell’uomo fosse perfetta sarebbe assurdo poiché il volere dell’uomo sarebbe necessario, ma solo Dio ha questa prerogativa. E l’uomo si può solo conservarsi Dio della natura, spingendosi ad adeguarsi alla natura stessa. L’eroico furore che pervade l’uomo è la spinta razionale che rende l’uomo incontentabile e sempre pronto a migliorarsi e a guardare avanti.
Le personalità di Telesio e di Bruno sono molto diverse l’una dall’altra: il naturalismo di Telesio ha una valenza oggettiva e dà adito a una indagine sulla natura metodica e ordinata, mentre il naturalismo di Bruno rappresenta una vera e propria religione naturale e dell’infinità della natura e si basa sulla metafisica e sulla magia, allontanandosi dalla scienza naturalistica telesiana.

CAMPANELLA

Quella di Tommaso Campanella è una speculazione che investe un altro settore, quello della teologia politica. Domenicano come Giordano Bruno, ordì infatti una congiura contro il governo spagnolo allo scopo di istituire una repubblica teocratica, di cui egli stesso sarebbe dovuto essere il legislatore e il capo. Scoperto, Campanella si finse pazzo per resistere agli interrogatori. Rimasto in carcere per ventisette anni, il filosofo calabrese non smise di promuovere le sue idee. Lo scritto più importante è sicuramente “La Città del Sole” che fa parte dell’opera “Philosophia realis” e che costituisce il manifesto politico-religioso campanelliano. Come tutti i filosofi rinascimentali anche Campanella tenta di giungere a un rinnovamento dell’uomo, un rinnovamento di natura politico-religiosa che passa per la fisica e per la magia per giungere poi a una metafisica teologica che egli assume proprio come canale principale di questo rinnovamento spirituale.
Campanella accetta la tesi di Telesio secondo cui la conoscenza umana si deve necessariamente basare sulla sensibilità, ma cerca anche un nuovo orientamento speculativo: solo i sensi possono determinare la vera conoscenza, correggere e confutare; “il senso è certo e non vuol prova” scrive il filosofo di Stilo, ma nello stesso tempo Campanella propone un problema nuovo, ossia il modo in cui l’anima conosce, sente, se stessa.
Ridotta tutta la conoscenza a sensibilità, sappiamo che esiste un sapere originario di cui non possiamo dubitare (vedi il principio del “cogito” cartesiano) che è la conoscenza che l’anima ha di se stessa: questo sapere originario è la conoscenza innata (notitia sui ipsius innata). Si tratta della condizione prima di ogni altra conoscenza. Tutte le cose naturali secondo Campanella sono sensibili, hanno cioè facoltà di essere modificate dagli agenti esterni. Lo spirito senziente che sente il calore sente in realtà se stesso modificato dal calore. La conoscenza acquisita (illata) oscura questo tipo di sapere originario che, se non ci fosse, non sarebbe possibile sentire alcunchè. L’uomo è perciò illuso di possedere solo conoscenze acquisite dall’esterno, ma in realtà egli ha la facoltà di acquisirle grazie alla conoscenza innata: solo in Dio, che non ha acquisizioni conoscitive esterne, la conoscenza innata mantiene tutta la sua potenza.
Il secolo XVII rappresenta un grosso passo avanti per la filosofia della scienza, con la determinazione cartesiana dell’autocoscienza come fondamento del sapere scientifico. Anche la metafisica campanelliana affronta il tema dell’autocoscienza, ma lo rinchiude nella sensibilità, intendendolo come capacità di sentire una modifica procurata da un agente esterno, mentre la scienza cartesiana promuove il pensiero umano, affrontando il problema della res extensa come corpo al di là del pensiero res cogitans, e dei modi relativi per conoscere una realtà al di fuori del pensiero stesso. Per Campanella l’autocoscienza rivela i principi fondamentali della realtà naturale: noi siamo infatti consapevoli di potere, di sapere e di amare, e ammettiamo dunque che l’essenza di ogni cosa si costituisce di queste tre primalità, potere (potentia), sapere (sapientia) e amore (amor). Ogni cosa è in quanto può essere, e il poter essere è la condizione dell’essere e dell’azione di ogni cosa. Ma solo in Dio, che è Perfetto, riscontriamo un poter essere allo stato puro: nelle cose finite abbiamo una condizione imperfetta poiché all’essere delle cose si associa il non essere. Potenza, sapienza e amore sono dunque limitate nelle cose finite e spesso sostituite da impotenza, insipienza e odio.  Attraverso le tre primalità Dio crea e governa il mondo. Dalla Potenza divina deriva la Necessità, per cui una cosa è come deve essere; dalla Sapienza divina deriva il Fato, che è la catena delle cause naturali (una legge di conseguenza); dall’Amore divino deriva l’Armonia, per cui tutte le cose sono indirizzate verso un fine supremo. Questi sono i tre grandi influssi attraverso cui Dio crea e sorregge il mondo.
La fisica e la metafisica campanelliane non sono fini a se stesse ma costituiscono il punto di partenza per un ambizioso e radicale progetto di rinnovamento politico-religioso dell’umanità. Sperava Campanella nella forza di una monarchia in grado di unificare spiritualmente il mondo, ma le sue speranze furono deluse, dalla Spagna prima e dalla Francia poi; purtuttavia Campanella non modificò mai il suo indirizzo speculativo.
“La Città del Sole” rappresenta molto più di un manifesto teologico-politico. Essa è infatti la ricerca di una religione universale attraverso il tratteggio di una comunità politica ideale, uno stato perfetto, guidato dal Principe Sacerdote o Sole e governato dalle tre primalità, potere, sapienza e amore, raffigurate da Pon, Sin e Mor. Due cose vanno sottolineate. La prima è l’assoluta fedeltà al modello platonico (comunanza dei beni e delle donne), la seconda è l’istituzione di una religione universale e naturale fondata sul principio solare: tema questo tipicamente rinascimentale e in accordo con le nuove leggi dell’astronomia che rivoluzionavano un sistema di conoscenze basato sul vecchio modello geocentrico di Tolomeo. La religione naturale è innata (indita) in tutti gli uomini, ma quella cristiana pur essendo acquisita (addita) conserva il proprio valore poiché rappresenta la legge naturale con in più i sacramenti. Campanella afferma che in effetti il vero Cristianesimo costituisce la vera legge naturale, se privato beninteso  degli abusi. Ma Campanella fa presente che la religione innata è propria di tutti gli esseri naturali che faranno ritorno a Dio che li ha creati, mentre la religione indita appartiene solo all’uomo e solo in relazione a lui ha valore: la religione innata di per sé non ha dunque alcuna utilità se non è commisurata alla religione acquisita. Campanella indicò espressamente nel Cattolicesimo il vero modello di religione indita.
Per proporre il cattolicesimo come religione indita occorreva però modificarlo e spogliarlo dagli inevitabili problemi interpretativi. Nell’opera “Atheismus triumphatus” e nel “Quod reminiscentur” (titolo espressamente tratto dal Salmo 22) Campanella dimostra appunto questa caratteristica del cattolicesimo. Egli si rivolge a tutti i cristiani e ai non cristiani mostrando loro i segni astrologici e le profezie che dichiarano l’imminente ritorno al principio, quindi a Dio, invitandoli ad agire in conformità. Quella campanelliana è dunque una filosofia della Controriforma, inserita nel grandioso processo di rinnovamento della Chiesa, ma nello stesso tempo si tratta di una speculazione indirizzata verso un interesse filosofico e naturale, perciò non si può definire l’indirizzo speculativo del filosofo di Stilo prettamente religioso.