domenica 7 agosto 2016

Leibnitz

LEIBNIZ

La dottrina di Spinoza é una filosofia basata sull’ordine geometrico del mondo, un ordine necessario a cui nulla sfugge e che é incarnato dall’assunto Deus sive natura; il carattere di necessità scompare nella speculazione di Leibniz e viene sostituito dal carattere di libertà e di spontaneità. G. W. Leibniz nasce a Lipsia nel 1646, e, dopo essersi laureato in Giurisprudenza ad Altdorf, si affiliò all’ordine mistico dei Rosacroce, da cui trasse notevoli conoscenze naturalistiche; fu quindi consigliere del principe elettore di Magonza. Fu un periodo molto proficuo, che vide parecchi scritti a carattere politico e giuridico.
Dopo questa esperienza fu inviato in Francia in missione diplomatica, e qui Leibniz conobbe gli scritti cartesiani e approfondì le sue conoscenze in ambito fisico e matematico. In seguito fu bibliotecario del duca di Hannover, e fu qui che Leibniz maturò alcune delle sue opere fondamentali. Morì proprio ad Hannover nel 1716. La letteratura filosofica leibniziana é vasta ed eterogenea. Il filosofo di Lipsia coltivò infatti parecchi interessi, che spaziarono dalla filosofia alla matematica, dalla religione alle scienze della natura, dalla logica alla politica.
Principalmente si ricordano il Discorso di Metafisica e la Monadologia, a cui seguirono i Nuovi saggi sull’intelletto umano, che era una critica a Locke. Queste opere furono scritte in francese e non vennero pubblicate subito, mentre fu pubblicato il Saggio di teodicea.

L’ORDINE UNIVERSALE

La filosofia di Leibniz parte da questo concetto: esiste un ordine non geometricamente determinato, non necessario, e quindi spontaneamente organizzato, libero. Questo concetto é il punto di partenza e di arrivo della filosofia leibniziana. Spinoza riteneva che ci fosse un ordine necessario e inderogabile, che era poi Dio stesso, mentre Leibniz ritiene che esiste solo la possibilità di rintracciare un ordine. Un ordine che dunque non é vincolato in maniera precisa ma é conforme a una scelta, e Dio viene appunto presentato come Colui che ha scelto l’ordine migliore e più perfetto per l’universo. E questo ordine include ovviamente la possibilità della scelta e viene da Leibniz applicato a tutti i campi della conoscenza.
In primo luogo Leibniz cerca i fondamenti per una matematica generale e universale, cercando uno strumento, un organo, in grado di applicare il criterio di verità a tutti i campi del sapere. In secondo luogo Leibniz tenta di ricondurre tutta la realtà fisica a un ordine siffatto. Questo criterio generale ed universale riflette la vera vena politica di Leibniz, che intende coinvolgere non solo le scienze ma anche la religione nel suo disegno armonico universale.


VERITA’ DI RAGIONE E VERITA’ DI FATTO

Ordine non significa necessità. Secondo Leibniz il concetto di necessità é proprio della logica, non della realtà. Un ordine reale non é mai necessario. Perciò Leibniz distingue verità di ragione e verità di fatto. Le verità di ragione sono necessarie ma non riguardano la realtà; esse si fondano sul principio di contraddizione, secondo cui una cosa é o A o B, e se é A non potrebbe essre B, e viceversa. Queste verità sono necessarie, ma utili solo ai fini logici, per i quali ci é utile sapere se una cosa é vera o falsa, ma non dicono nulla sulla realtà di fatto delle cose perché non hanno niente a che vedere con l’esperienza, e perciò sono verità innate. Leibniz non rifiuta le idee innate come fece Locke, ma ne confina il loro utilizzo, sostenendo che ai fini empirici la loro utilità é nulla. Solo l’esperienza può rendere chiare e distinte quelle idee che prima nell’anima erano delle semplici possibilità. Le verità di fatto sono contingenti e riguardano la realtà effettiva. Queste verità si fondano sul principio di ragion sufficiente, che consente praticamente di dare a ogni evento una spiegazione circa la sua possibilità di accadimento. Nella filosofia di Leibniz le verità di fatto assumono un carattere di limite, perché riguardano l’esperienza, quindi ciò che accade, e il principio di ragione é detto sufficiente poiché inerisce la possibilità del soggetto senziente di coglierlo. Si tratta di un principio di libertà, che postula l’intelligibilità delle cose reali. Una delle domande ricorrenti nella filosofia é “se molti mondi sono possibili, perché solo questo é reale?” e la domanda pretende la risposta leibniziana in base al principio di ragion sufficiente: perché questo era per Dio il più perfetto e Dio, Essere Perfetto, doveva fare questa scelta.   Si noti come la posizione di Leibniz differisca da quella di Spinoza: qui il principio di ragion sufficiente inclina senza necessitare; il filosofo ammette la possibilità ma anche una scelta, il che non esclude la possibilità ma la inclina verso ciò che é stato compiuto. Soprattutto va segnalato il finalismo, che stacca decisamente la filosofia leibnziana da Cartesio e Spinoza: Dio ha operato quella scelta per un fine ben preciso, fine che é la vera causa della sua scelta.

LA SOSTANZA INDIVIDUALE

Proprio il concetto di ragion sufficiente porta Leibniz a determinare il concetto di sostanza individuale, chiave di volta della sua metafisica. Nelle verità di ragione abbiamo una assoluta identità di soggetto e predicato, tanto che l’uno non potrebbe negare l’altro pena una contraddizione (dire ad esempio che il triangolo equilatero non ha tre lati eguali), mentre nelle verità di fatto questa identità non sussiste, col supporto della ragion sufficiente che il soggetto contiene del proprio predicato. Questo soggetto é quello che Leibniz chiama sostanza individuale. Sostanza perché dotata di una natura tale da contenere tutti i possibili predicati del soggetto stesso, per quanto nessun uomo possa conoscerli tutti: solo Dio può tanto. Anche qui verrebbe spontaneo scambiare questa natura per necessaria: in realtà Cesare poteva passare il Rubicone, come poteva non farlo, la possibilità esisteva e la scelta é stata compiuta in virtù della natura della sostanza individuale di Cesare, che doveva condurlo a operare quella scelta, restando ferma l’alternativa. E vanno considerate libere sia la scelta di Dio di imprimere alla sostanza individuale di Cesare quel tipo di scelta, sia la scelta stessa di Cesare che si trovava a scegliere fra diverse alternative.

FORZA E MECCANISMO

Dunque tutto il mondo é retto da un finalismo perfetto, libero e non necessario: questo non esclude il meccanismo, che però é visto entro i confini della cusa finale e non nel rigido schema necessario della filosofia cartesiana. Per Leibniz vi é qualcosa di più profondo rispetto alla res extensa, ed é la forza (conatus), un principio che tende a diffondersi se non trova un altrettanto conatus contrario che lo ostacola. cartesio poneva alla base di tutto l’istinto di conservazione del movimento, Leibniz pone invece l’istinto di conservazione della forza. Il particolare interessante é che Leibniz allontana la forza come elemento attivo da ogni ambito corporeo per ammetterla in ambito spirituale, avvicinandola ala forma o entelechìa aristotelica. Questo avvicinamento svuota il corpo della corporeità per renderlo spirituale. Ecco che dunque il mondo dell’estensione risulta costituto da un meccanismo non esteso, la forza, e si risolve nello spirito. Tutto nell’universo é spirito e vita in quanto tutto é forza. Partendo dalla sostanza individuale Leibniz giunge a formulare l’unicità del principio costitutivo del mondo esteso e spirituale.

LA MONADE

Questo elemento si chiama monade ed é l’elemento ultimo delle cose, l’atomo della natura. Non si tratta qui di un atomo epicureo o democriteo, perché parliamo di un atomo spirituale, incorruttibile e privo di estensione, che solo Dio può creare e distruggere. La monade é un microcosmo chiuso e non può essere modificata dalle altre monadi, e inoltre ogni monade é diversa dalle altre. Inoltre ogni monade cambia e questo cambiamento avviene per gradi, con una pluralità di stati e di rapporti la cui unità sostanziale é chiamata da Leibniz percezione, per distinguerla dall’appercezione propriamente detta, che appartiene all’anima razionale; si chiama invece appetizione il principio interno che opera il passaggio da una appercezione all’altra. Il filosofo sta bene attento a fare queste distinzioni per definire esattamente il concetto di anima, in quanto la monade non é anima, offrendo una percezione semplice e priva di consapevolezza. Contro Cartesio e i Cartesiani egli ammette che gli animali hanno un’anima, seppur mancante di quella consapevolezza che caratterizza la cosiddetta anima razionale (in termini rosacrociani sono assenti o rarefatti i due eteri superiori, spiegazione che lo stesso Leibniz conosceva). Tutto é riconducibile a queste monadi, di cui la monade suprema per eccellenza é Dio. In Dio ogni cosa é chiara e distinta, mentre nelle altre monadi abbiamo una decadenza graduale, fino alle monadi costituenti i corpi inorganici. Va anche rilevato che mentre la materia si compone organicamente ed é per questo divisibile, i suoi elementi ultimi, appunto le monadi, sono di natura spirituale. Anche nel caso dell’uomo abbiamo tante monadi dipendenti da una monade unica e dominante.

UNA ARMONIA PRESTABILITA

Leibniz descrive dunque la monade come un microcosmo chiuso e senza finestre, dunque senza possibilità di comunicare con l’esterno. Tuttavia esiste una comunicazione poiché ogni monade é uno specchio del mondo e contiene le caratteristiche delle altre monadi, in una sorta di armonia prestabilita da Dio. Anche Dio é una monade, con la dovuta eccezione che tutto in Dio é chiaro e distinto. In Dio possibilità e realtà coincidono, ecco perché non incontra limiti, e rappresenta l’essere la cui essenza implica l’esistenza. Nella Sua perfezione é Dio stesso a creare le monadi e a farle coincidere e armonizzare, senza alcun intervento continuo, come due orologi, scrive Leibniz, costruiti da un bravo artefice per cui non hanno bisogno di essere messi a punto e in grado di segnare sempre la stessa ora.