giovedì 18 agosto 2016

Filosofia e cosmologia

FILOSOFIA E COSMOLOGIA
Platonismo e Aristotelismo

Le due maggiori filosofie del Rinascimento costituiscono un consapevole ritorno al pensiero classico, e per questo il dibattito speculativo si combatte tra Platonismo e Aristotelismo, dibattito che nasce non per questioni dottrinali ma per difendere i rispettivi territori speculativi e spirituali. Gli Aristotelici del Rinascimento vedono in Aristotele il filosofo  della natura e intendono la filosofia aristotelica come un ritorno alla natura stessa; i Platonici vedono in Platone un ritorno alla spiritualità più antica e vera, relativa alla ricerca dell’unità della verità, battendo quindi la strada del rinnovamento religioso.

PLATONISMO RINASCIMENTALE
Cusano, Ficino, Pico della Mirandola, Patrizzi

CUSANO

Niccolò Krebs, detto Cusano dal suo paese natale, Cusa, presso Treviri, in Germania, è il massimo filosofo platonico del Rinascimento. L’opera più importante di Cusano è la “Dotta ignoranza”. Perché l’ignoranza è dotta? Secondo Cusano la conoscenza umana si basa su una proporzione tra ciò che già si conosce e ciò che si vuole conoscere. Quanto più noi ci allontaniamo da ciò che già conosciamo, tanto più ci scopriamo ignoranti, ma con la certezza di essere tali, consapevoli di non conoscere, perciò dotti.
Prendiamo per esempio la conoscenza di Dio, cavallo di battaglia delle disputationes scolastiche: Dio è infinito mentre l’uomo è finito, e conosce solo il finito, così l’uomo potrà anche tentare di avvicinarsi all’infinito ma mai raggiungerlo. Questa visione porta Cusano a intendere Dio nel senso mistico di coincidenza degli opposti, coincidentia oppositorum, riportando la speculazione religiosa al caratteristico Uno di matrice neoplatonica. Cusano rifiuta però anche la concezione aristotelica della separazione della sostanza celeste o etere dalla sostanza fisica, formata dai quattro elementi: ammette per contro che ogni parte del mondo è generata da Dio, perciò finita, fisica e imperfetta, un concetto che ci riporta ad Ockham e che anticipa le tendenze della filosofia della scienza rinascimentale. Appare significativo che Cusano rifiuti ancora un altro caposaldo aristotelico: il mondo non ha per il filosofo di Cusa né un centro né una circonferenza, per contro il mondo ha il suo centro dappertutto e la circonferenza in nessun luogo, proprio come Dio, che è ovunque e in nessun luogo. La Terra non è al centro del mondo, essa si muove di un movimento circolare imperfetto, come le altre stelle, su cui Cusano ammette la possibilità di altre esistenze. 
I movimenti che si verificano nella Terra sono soggetti a un ordine che va sempre ripristinato – la forza gravitazionale -  e a cui sono soggetti i corpi che vanno verso l’alto se sono leggeri e verso il basso se sono pesanti.
Si tratta di una visione decisamente innovativa e rivoluzionaria: Cusano nega l’assioma aristotelico secondo cui il motore segue il mobile lanciato o spinto, introducendo i prodromi di quel principio di inerzia che fu ripreso nella meccanica leonardesca e nella meccanica moderna. 

FICINO

L’aspetto mistico-religioso della speculazione di Cusano viene ripreso in Italia dall’Accademia Platonica di Firenze, fondata da Cosimo de’ Medici e da Marsilio Ficino. I Platonici fiorentini pensavano che la sapienza platonica derivasse da una sapienza ben più antica, risalente addirittura a Mosè.
Ficino fu uno dei più attenti traduttori e interpreti di Platone e di Plotino, nonché autore di una “Teologia platonica” e di dodici libri di Epistole, contenenti saggi e opuscoli. Ficino si propone di saldare religione e filosofia, compito svolto dalla dottrina platonica che, per questo motivo, è la forma più elevata di religiosità; ma si tratta di una religiosità che mira al rinnovamento dell’uomo e del suo mondo, e questo è appunto il compito che Ficino si è prefisso.
Tutta la realtà si divide per Ficino in cinque gradi, il corpo, la qualità, l’anima, l’angelo e Dio. Si nota qui la posizione volutamente mediana dell’anima, posta al centro di modo che si possa incontrare in terza posizione sia ascendendo sia discendendo. Si tratta del nodo vivente della creazione, della copula del mondo, e pertanto  è indistruttibile. Essa esercita la sua funzione mediana per mezzo dell’amore, che unisce le parti diverse e riconduce a Dio.

PICO DELLA MIRANDOLA

La speculazione di Giovanni Pico della Mirandola è ugualmente improntata verso il platonismo mistico-religioso, ma è priva delle pregiudiziali antiscolastiche che caratterizzavano le altre filosofie. Lo sforzo di Pico è uno sforzo conciliatore, espresso in un ricco lavoro di sintesi delle principali filosofie classiche e cristiane. Per cementare il proprio lavoro Pico riunì a Roma un largo numero di dotti per discutere 900 tesi inerenti sistemi speculativi diversi, alcune delle quali eretiche e perciò ferocemente osteggiate dalla Chiesa. Pico pubblicò allora un’Apologia in loro difesa e poi anche le Conclusiones derivanti da questo dibattito.
Una delle opere più interessanti di Pico è il “De hominis dignitate”, che si cimenta sul tema della superiorità dell’uomo sulle altre creature, già oggetto delle speculazioni umanistiche. Qual è il posto dell’uomo nell’universo? Poiché di fatto l’uomo fu creato per ultimo, a Dio non restò che concedere all’uomo tutte le attribuzioni che aveva assegnato singolarmente alle altre creature. Ecco che l’uomo non ha una sua prerogativa, una sua attribuzione, ma è lasciato libero di usufruire di ogni cosa come meglio ritiene. E l’uomo non è né celeste né terreno, né mortale né immortale, ed è libero di degenerare con le cose inferiori come di rigenerarsi con le cose superiori e divine.
Pico intende ovviamente per rigenerazione il ritorno alla sapienza antica, platonica nella fattispecie, la sola che porta l’uomo alla pace. Pico è il filosofo della pace, intesa come unione interumana ma anche come accordo tra i vari sistemi di pensiero. Molto importante nel “De ente et uno” l’unificazione tra il racconto biblico del Genesi e la filosofia cosmogonica classica: Pico ritiene che anche la Magia e la Qabbalah abbiano la loro importanza, la Magia perché è la forma più alta della filosofia della natura, la Qabbalah perché permette di interpenetrare i misteri divini. La magia non infrange l’ordine naturale, piuttosto lo asservisce, usando quelle forze latenti nella natura stessa; la Qabbalah è in accordo perfetto con le dottrine della Chiesa e della filosofia cristiana, e , naturalmente, con la dottrina di Pitagora e di Platone. Pico ha qualche riserva solo riguardo l’astrologia cosiddetta giudiziale, cioè l’astrologia che pretende di guidare la vita dell’uomo in base a dei segni celesti, mentre ammette l’astrologia matematica e speculativa, che si preoccupa solo di determinare le leggi matematiche dell’universo. Sarebbe infatti assurdo pretendere di pensare l’uomo, superiore per natura ad ogni elemento del Creato, come dipendente da un corpo celeste. Pico difendeva così la libertà e la dignità dell’uomo contro quella che era una delle più diffuse credenze del suo tempo.

PATRIZZI

La filosofia di Francesco Patrizzi è dominata da un analogo senso di rinnovamento religioso. Patrizzi è avversario dichiarato della filosofia aristotelica e tenta un ritorno alle credenze orientali, pitagoriche e platoniche, allo scopo di difendere e rinnovare la religione cristiana. Con i Neoplatonici Patrizzi ammette la principalità dell’Uno, da cui procedono per discesa gli altri gradi dell’essere. La conoscenza umana è un atto d’amore che tende a riunirsi con il principio, quindi con Dio; così come già Cusano aveva notato si tratta dell’unione con l’oggetto conoscibile ed è possibile se l’oggetto ha una natura identica a quella del soggetto conoscente (panpsichismo).

ARISTOTELISMO RINASCIMENTALE
Pomponazzi

Mentre i Platonici  obbediscono soprattutto all’esigenza di un rinnovamento religioso, gli Aristotelisti rinascimentali mirano ad una rinascita e a un rinnovamento della filosofia della natura. Per questo essi guardano ad Aristotele in quanto filosofo della natura, e per conseguenza il ritorno a un’indagine naturale è vista come ritorno alla filosofia aristotelica.

AVERROISMO E ALESSANDRISMO
Pomponazzi

Il ritorno all’Aristotelismo classico è iniziato in Italia dai dotti greci rifugiatisi in Italia dopo la presa di Costantinopoli per mano dei Turchi (1453): tra i più attivi aristotelisti ci furono Giorgio Scholarios e Giorgio Trapezunzio; a opporsi per primo all’interpretazione arabo-scolastica della filosofia aristotelica fu però Ermolao Barbaro. Un significativo passo verso il ritorno all’aristotelismo originario fu compiuto grazie all’Alessandrismo, la scuola interpretativa che seguiva il canone di Alessandro di Afrodisia e che ebbe per iniziatore Pomponazzi. Carattere della polemica tra Alessandristi e Averroisti era la separazione dell’intelletto attivo dall’anima degli uomini, negata dagli Alessandristi e sostenuta dagli Averroisti. A unire le due fazioni era invece l’ordine necessario del mondo e l’assenza conseguente del miracolo e dell’intervento diretto di Dio nelle cose del mondo.  Per liberare la scienza dalle preoccupazioni dogmatiche Alessandristi e Averroisti si trovarono pure d’accordo nel sostenere la doppia verità, verità di ragione e verità di fede.
Il maggiore degli Aristotelisti rinascimentali fu senza dubbio Pietro Pomponazzi, detto Peretto, fondatore e iniziatore dell’Alessandrismo.
L’intento di Pomponazzi è quello di mostrare che il mondo si fonda su un ordine razionale necessario, infatti egli prende a modello Aristotele che aveva escluso ogni intervento diretto di Dio dalle cose del mondo, essendo il mondo un insieme razionale di cause ed effetti. Pomponazzi non nega la presenza di fatti strabilianti e miracolistici, di magie e stregonerie, ma precisa che tali fatti non sono veramente miracoli: l’uomo li considera tali solo perché accadono raramente, ma in realtà essi sono ricompresi nell’ordine necessario delle cose del mondo.
Questi fatti si spiegano con l’azione degli astri, poiché Dio non agisce direttamente ma tramite i corpi celesti, per gradi gerarchici. A questo ordine appartengono anche i fatti della storia umana, della religione, degli stati e dei popoli. Pomponazzi preannuncia la fine della fede proprio per l’esaurirsi dei miracoli.
Per Pomponazzi infine l’anima è inseparabile dal corpo, e quindi è difficile dimostrarne veramente l’immortalità. Si annulla con questo la vita morale dell’uomo? Certamente no. L’uomo non avrà mai la certezza di un castigo o di un premio, ma l’esercizio della virtù come la pratica del vizio presuppongono comunque un premio e un castigo: il premio per la virtù è la virtù stessa, che rende l’uomo felice, e il castigo per il vizio è lo stesso vizio, che rende l’uomo misero e infelice.
La posizione di Pomponazzi ci riporta immediatamente al problema del rapporto tra la libertà umana e la prescienza e la predeterminazione divine: Pomponazzi accetta qui la tesi stoica del Fato, che meglio si concilia con l’Onnipotenza divina; verrebbe fuori però un ulteriore dubbio, ossia come si spiegherebbe la presenza del male: Pomponazzi sposa la tesi della necessaria presenza del male in un ordine necessario tendente all’armonia e all’equilibrio.