domenica 26 giugno 2016

Classe 2 Parte 4b S

GLI ARABI
(570 – 1258)

Alla metà del VI secolo, l’Arabia conosce un cambiamento di clima, che trasforma l’ambiente fertile della penisola in una zona desertica; nel territorio sono presenti alcune città e varie oasi la cui popolazione è stanziale, ma la maggior parte dei nuclei residenti è costituito da beduini, dediti all’allevamento e generalmente nomadi. La struttura sociale del mondo arabo si riflette nelle tribù, solitamente rivali tra di loro. A dare unità al mondo arabo è il profeta Maometto. Nato da una famiglia di mercanti, Maometto sposa giovanissimo la ricca vedova Khadigia da cui si fa mantenere economicamente per dedicarsi liberamente alla speculazione religiosa, speculazione che culmina nella rivelazione monoteista che fa da base all’Islamismo, la religione da lui fondata. Maometto inizia a predicare alla Mecca nel 610 dove dominava la tribù dei Quraysh, ma la sua predicazione non è gradita dall’oligarchia mercantile e politeista, e Maometto è costretto a lasciare la Mecca e a rifugiarsi nel 622 a Jatrib, che verrà detta Medina-el-Nabi (= la città del Profeta). Questa data  della cosiddetta Egira, cioè la fuga, che rappresenta l’inizio della cronologia islamica. A partire da questa data ha dunque inizio la riunificazione del mondo arabo, basata non più sui vincoli di sangue ma su quelli religiosi. La predicazione maomettana viene accolta con molto fervore e il Profeta potè rientrare coi suoi seguaci alla mecca già nel 630, ma morì improvvisamente due anni dopo, nel 632, a Medina.
Morto Maometto si apre il problema della successione. Il potere passa ai califfi, o luogotenenti del Profeta, capi spirituali e politici, eletti tra i seguaci più attivi della religione musulmana. Il primo successore è Abu-Bekr, che regna nei due anni successivi alla scomparsa del Profeta e inizia l’ambizioso disegno espansionistico che porterà gli Arabi a impadronirsi del Medioriente. Sotto il regno di Omar (634-644) ecco i primi territori conquistati, che sono la Siria e la Palestina strappati all’imperatore bizantino Eraclio, a cui seguono la Persia e l’Egitto. Morto Omar sale al trono Otman, degli Omayyadi, che nel 645 conquista la Cirenaica. Accusato di nepotismo Otman viene assassinato nel 656 dagli oppositori Abbasidi, guidati dallo zio e dal genero di Maometto, Abul-al-Abbas e Alì; Alì sposta la capitale da Medina a Cufa, ma si scontra con un altro omayyade, Muawija (661-680), e alla fine cade pugnalato da un radicale.
Esaurita la discendenza diretta del Profeta la dinastia omayyade diventa ereditaria e la sede del califfato viene spostata a Damasco. A Muawija succede Yazid I (680-683) che soffoca la rivolta degli Sciiti e quindi Abd al-Malik (685-705) che allarga il dominio arabo all’Africa settentrionale conquistando Cartagine nel 698. Nel 705 viene eletto Walid I, che regna fino al 715: con lui gli arabi arrivano fino all’Indo nel 711, lo stesso anno in cui il generale Tarik passa lo Stretto di Gibilterra dando inizio alla campagna contro i Visigoti. Nel 717 l’Occidente si trova così stretto nella manovra a forbice dell’esercito arabo che assedia a est Costantinopoli e a ovest la Penisola Iberica, tranne il piccolo regno cristiano delle Asturie. Nel 718 Leone III Isaurico ferma l’invasione araba ad Antiochia, e lo stesso fa Carlo Martello nel 732 a Poitiers, dove gli Arabi si sono spinti oltrepassati i Pirenei e la Valle della Loira.
I dissidi interni tra i clan omayyade e abbaside sfociano in una guerra civile durante la quale il califfo omayyade Marwan viene sconfitto sull’alto Tigri, segnando la fine della dominazione omayyade; i superstiti riparano nella Penisola Iberica, dove Abderamo fonda nel 756 l’Emirato di Cordova.
Nel 750 inizia la dinastia abbaside, con Abul-Abbas, a cui succede nel 754 Mansur, che porta nel 752 la capitale a Baghdad. Infine col califfo Harum al-Rashid (786-809) ha termine la cosiddetta età eroica e comincia un periodo di assestamento territoriale caratterizzato da tensioni tra nuclei, nascite di principati indipendenti e da un progressivo sfaldamento del regno. Diviso tra diverse famiglie, il regno arabo abbaside cade in rovina, fino alla conquista di Baghdad operata dai Mongoli nel 1258. A differenza degli Abbasidi gli Omayyadi riescono invece a tenere saldo il loro dominio nella Penisola Iberica ma subiscono anch’essi le pericolose conseguenze dei dissidi interni. A far cadere il regno arabo in Spagna è il movimento cristiano della Reconquista: nel 1246 i possedimenti arabi sono limitati al solo Emirato di Granada.

L’unificazione del mondo arabo attuata da Maometto comportava dal punto di vista politico la realizzazione di uno stato teocratico in cui il Profeta rivestiva il duplice ruolo di capo politico e spirituale. Alla morte di Maometto il mondo arabo mantiene la stessa struttura politica e religiosa e il potere viene affidato ai califfi, carica elettiva che ricopriva sia il ruolo di capo politico, ossia quello di emiro, sia quello di guida religiosa, ossia quello di imam. Sotto la dinastia omayyade lo stato nazionale arabo diventa un vero e proprio impero in cui tutti i sudditi sono uguali poiché uguali dinanzi ad Allah, e anche i vinti, se convertiti alla religione musulmana, sono pareggiati ai vincitori nel nome della fede in Dio. Di norma le terre conquistate sono disciplinate  da un'amministrazione militare: i proprietari terrieri vengono lasciati liberi di gestire le proprie terre dietro pagamento di un tributo se essi si consegnano spontaneamente ai vincitori, ma se essi oppongono resistenza subiscono la confisca della terra e sono obbligati al lavoro coatto e dietro pagamento di pesanti tasse. La situazione sociale araba cambia con l’introduzione del califfato ereditario che favorisce la nascita del latifondo tra le grandi famiglie della Mecca, alterando così il disegno politico-religioso di natura egualitaria del Profeta.
Con la dinastia abbaside e il trasferimento del califfato a Baghdad lo stato arabo muta politicamente e amministrativamente diventando una specie di monarchia assoluta di tipo orientale, in cui il califfo vede diminuire lentamente il suo prestigio mentre si accresce quello del visir, il primo ministro, che controlla un rigido sistema burocratico improntato su quello bizantino. Il potere del califfo decade definitivamente nell’ultimo periodo della dinastia abbaside, in cui il potere diventa appannaggio dei capi militari, mentre si incrementano i separatismi degli stati nazionali arabi che danno vita a emirati sempre più indipendenti da Baghdad, come quello spagnolo di Cordova.
Legge e religione sono elementi inscindibili. L’esercito sotto la dinastia omayyade si regge su legami di fedeltà tribali che vengono meno sotto la dinastia abbaside quando lo stato arabo cambia fisionomia sociale e amministrativa. Sotto gli Abbasidi il nucleo centrale dell’esercito si compone di mercenari perlopiù turchi, comprati giovanissimi e cresciuti nelle caserme arabe.
Prima della predicazione maomettana gli Arabi erano pagani e politeisti. Simbolo della loro unità politica e territoriale era la cosiddetta Kaaba, un edificio di forma cubica situato al centro della Mecca, dentro al quale ogni tribù conservava il proprio feticcio, e al cui interno, dentro il famoso recinto sacro, si conservava la Pietra Nera, un probabile frammento meteoritico, che la credenza popolare voleva portata dall’Arcangelo Gabriele. Vi erano tra queste tribù alcune minoranze cristiano-monofisite e nestoriane, più qualche presenza giudaica: sono questi i primi soggetti, ovviamente monoteisti, a cui si dirige la predicazione maomettana. Dopo un lungo travaglio interiore il giovane Muhammad prende coscienza della missione di diffondere la rivelazione di un solo Dio, Allah, che prima di lui si era manifestato ad Abramo, a Mosè e a Gesù, e si reca alla Mecca dove incontra appunto i rappresentanti di queste tribù monoteiste, in qualità di rashul, cioè di profeta. Inizialmente la predicazione di Maometto è trasmessa unicamente in forma orale, solo nel 653 viene messa per iscritto nel Corano. Il Corano si compone di 114 sure o capitoli, ossia i detti del Pofeta, che sono formulati in versetti e che vanno seguiti pedissequamente dal credente o muslìm (ossia il devoto dell’Islam, che significa assoluta sottomissione alla volontà di Allah) dal cui nome deriva la parola musulmano. Dall’Islam il credente devoto riceve il premio del Paradiso, premio riservato soprattutto ai coraggiosi guerrieri della jihad, la guerra santa del Profeta contro gli infedeli. Ma accanto alle sure coraniche la religione araba prevede anche delle regole non scritte come la Sunna, ossia l’habitus morale e spirituale del Profeta e la I’gma, cioè il consenso della comunità, considerato infallibile. Non esiste una vera e propria Chiesa né un clero. Luogo di raduno è la moschea, alle cui funzioni i fedeli sono chiamati dal muezzìn, che amministra il proprio ufficio dall’alto del minareto. Oltre il muezzìn ci sono l’imam, che è il capo spirituale della comunità religiosa islamica e gli ulema, o dottori della legge, che ne sono consiglieri. Ogni credente ha cinque obblighi fondamentali:

la professione di fede;
l’obbligo della preghiera cinque volte al giorno;
l’elemosina rituale ai bisognosi;
il digiuno dall’alba al tramonto durante il Ramadan;
il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.

Maometto abolì ogni culto idolatra, eccetto quello della Pietra Nera che rappresentava il simbolo dell’unità del popolo arabo e della Kaaba, la cui edificazione viene fatta risalire addirittura ad Abramo. Quella islamica è una religione guerriera che trova il suo naturale sbocco nella guerra santa della jihad; ma la conversione viene imposta solo agli idolatri, mentre vengono rispettati i fedeli delle religioni superiori come il Cristianesimo.
Alla morte di Maometto l’identità religiosa si frattura dando origine a tre diversi tipi di islamismo. Abbiamo innanzitutto i Sunniti, cioè gli ortodossi devoti alla tradizione della Sunna, fautori della dinastia omayyade e del califfato ereditario; poi gli Sciiti, fautori della dinastia abbaside, che riconoscevano solo l’autorità del Corano e degli eredi diretti del Profeta; infine l’ala radicale dei Kharigiti, che ritenevano verosimile che ogni fedele potesse assumere la guida religiosa e ovviamente temporale della comunità islamica.