sabato 25 giugno 2016

Classe 2 Partte 5b S

L’EUROPA CAROLINGIA
568 – 918

Alla morte di Clotario I (561), che aveva unificato il regno dei Franchi nel 558, il territorio viene suddiviso in tre parti, Austrasia, Neustria e Borgogna. Il regno si riunifica con Clotario II (613-629) con l’aiuto dell’aristocrazia della Borgogna e della Neustria, schieratasi al suo fianco insieme al vescovo Arnolfo di Metz e al nobile Pipino il Vecchio. Alla morte di Clotario sale al trono Dagoberto (629-639) che tenta una ukteriore unificazione amministrativa: in realtà, sia sotto Clotario che sotto Dagoberto l’unità del regno è solo apparente e i due territori mantengono evidenti indipendenze politiche e amministrative. La morte di Dagoberto scatena una serie di guerre dinastiche per il controllo dei due regni. Gli eredi sono tutti ancora piccoli, e questo rendeva necessaria la reggenza di un maestro di palazzo (maggiordomo). Nel 679, mentre il trono di Austrasia era retto dal maestro di palazzo Pipino di Heristal (640-714), in luogo dell’erede legittimo ancora bambino, Neustria e Borgogna si alleano e attaccano l’Austrasia, ma sono sconfitte a Tertry nel 687 da Pipino di Heristal che riunisce così i tre regni. Nel 689 Pipino occupa la Frisia occidentale, e inizia a sotttomettere il territorio dell’Alamannia nel 709. Prima di morire Pipino riesce a farsi riconoscere l’ereditarietà del titolo di maestro di palazzo, che così alla sua morte passa al figlio maggiore, Carlo Martello (685-741). Carlo continua l’espansione territoriale verso est, ma il suo nome è perlopiù legato alla vittoria di Poitiers nel 732, che arrestò l’avanzata araba in Europa. Carlo Martello era altresì convinto della necessità di convertire il popolo germanico, per poter avere maggiore presa sul proprio regno, e a tal proposito favorisce il sorgere della prima abbazia germanica a Reichenau.
Nel 737 inizia quel periodo detto “dei re fannulloni” così chiamato per la quasi totale assenza di regno effettivo dei Merovingi, in cui il maggiordomo Carlo Martello governa praticamente da solo, e, approfittando del disinteresse dell’aristocrazia locale, divide il regno tra i due figli, Carlomanno e Pipino il Breve:
le regioni orientali di Austrasia, Svevia e Turingia a Carlomanno;
le regioni occidentali di Neustria, Borgogna e Provenza a Pipino;
le regioni di Baviera e Aquitania restano a sovranità congiunta.
Alla morte di Carlo Martello tra i due eredi prevale Pipino il Breve, che nel 743 con l’appoggio della nobiltà locale depone l’ultimo dei re Merovingi Childerico III e ottiene la legittimazione pontificia con l’unzione con l’olio santo amministrata dal legato del papa Zaccaria, Bonifacio, nel 751; rimasto solo a regnare, dopo il ritiro del fratello Carlomanno in un monastero nel 747, Pipino si fa incoronare re dei Franchi iniziando la dinastia che, dal nome del suo più illustre rappresentante, si dirà Carolingia.
La pratica dell’unzione pontificia consacrava di fatto il nuovo imperatore anche agli occhi della Chiesa romana confermandogli il privilegio della discendenza divina: presso i Franchi infatti l’imperatore era di stirpe divina, anche se gli dei della tribù erano all’origine evidentemente pagani. Questa sacralità si rinnova nell’atto dell’incoronazione di Carlo Magno a imperatore del Sacro Romano Impero, incoronazione eseguita direttamente dal papa Leone III la notte di Natale dell’800.
La Chiesa di Roma aveva bisogno dell’aiuto di Pipino contro i Longobardi, e Pipino interviene, su richiesta del pontefice Stefano II, obbligando Astolfo a consegnargli i territori strappati a Costantinopoli (Esarcato e Pentapoli) che poi donerà allo stesso papa (donazione di Pipino); il papa pone Roma sotto la protezione dei Franchi e concede a Pipino e ai suoi eredi il titolo di Patricius Romanorum. Pipino muore nel 768: il regno è diviso tra i suoi due figli, Carlo e Carlomanno.
Carlomanno muore nel 771, lasciando a regnare il fratello Carlo che, riunito il potere nelle proprie mani, inizia nel 772 la campagna contro i Sassoni. Ai nobili che si disciplinarono docilmente all’annessione carolingia, Carlo fece amministrare il battesimo, ma dovette aver ragione della rivolta capeggiata dal nobile vestfalo Vitichindo, che riuscì a domare nel 785 e che convertì al Cristianesimo. Battuto Vitichindo, Carlo riprende la campagna antilongobarda, ripudiando la moglie Ermengarda, figlia di Desiderio, e attaccando il regno longobardo nel 773, dietro richiesta di papa Adriano. Dopo la resa di Pavia, Desiderio fu rinchiuso in un monastero francese, mentre suo figlio Adelchi, che era stato associato al trono, viene battuto a Verona e costretto a riparare a Bisanzio. Carlo assume il titolo di re dei Longobardi, assoggettando tutto il regno tranne il territorio di Benevento; in qualità di Patricius Romanorum, il titolo ereditato dal padre Pipino, Carlo esercita la potestà territoriale anche su Roma. Subito dopo inizia la campagna espansionistica più importante della storia carolingia, che si accompagna a una vasta opera di riforma politica, amministrativa e culturale, grazie a cui Carlo si merita il titolo onorifico di Magno. Sotto il profilo culturale assistiamo a una vera e propria ripresa culturale che va sotto il nome di rinascenza carolingia, rinascenza di cui Carlo, seppure analfabeta, fu il promotore.
Tra il 789 e l’812 assoggetta gli Slavi; tra il 791 e il 796, durante tre campagne militari, sottomette gli Avari; nel 795, dopo una prima spedizione fallita (il famoso episodio di Roncisvalle, che aveva come protagonista il conte Rolando, e che aveva ispirato tante chanson de geste) Carlo Magno ha ragione degli Arabi in Spagna e istituisce la Marca Spagnola. Dopo la morte del pontefice Adriano, il suo successore Leone III chiede ancora una volta l’aiuto di Carlo per ripararsi dalle contese scoppiate tra le fazioni nobiliari romane, il clero e la Chiesa. Carlo prende il papa sotto la sua protezione, lo accompagna a Roma dove fa da arbitro alla contesa che risolve in favore del pontefice, e, la notte di Natale dell’800, Leone III lo incorona imperatore del Sacro Romano Impero.
Nonostante l’opposizione della imperatrice bizantina Irene Carlo diventa Imperatore, e il suo ruolo sarà riconosciuto dal successore di Irene, Michele I, col Trattato di Aquisgrana (812), in cambio della restituzione di Venezia, dell’Istria e della Dalmazia. Carlo Magno muore il 28 gennaio 814 ad Aquisgrana. Alla sua morte l’impero carolingio si sfalda e si avvia verso una progressiva frammentazione. Dopo la morte di Carlo sale al trono l’unico figlio rimasto in vita, Ludovico il Pio (814-840) che è incoronato dal papa Stefano IV nell’816 a Reims. Per mantenere un effettivo controllo sull’impero Ludovico associa al trono il figlio primogenito Lotario, e assegna ai due figli cadetti due piccoli regni, l’Aquitania a Pipino e la Baviera a Ludovico; ma gli nasce un quarto figlio, Carlo, detto il Calvo, a cui verrà assegnata l’Alamannia, regno creato apposta per lui. Pipino muore però nell’838 e questo accresce il potere del fratello Carlo il Calvo, che acquisisce anche l’Aquitania. Nell’840 muore Ludovico il Pio e sale al trono l’erede Lotario.
Subito dopo l’insediamento i due fratelli di Lotario, Carlo e Ludovico, si alleano e affrontano il nuovo imperatore, sconfiggendolo a Fontenoy (841). Dopo aver ratificato il loro accordo col Giuramento di Strasburgo (843) Carlo e Ludovico obbligano Lotario a una spartizione dell’impero, ma col Trattato di Verdun (843) gli lasciano il titolo di imperatore. L’impero carolingio viene così smembrato:

a Lotario il regno centrale, con Lotaringia, Italia, e corona imperiale;
a Ludovico, detto il Germanico, il regno dei Franchi Orientali;
a Carlo il Calvo il regno dei Franchi Occidentali.

La corona imperiale assume dunque il valore di un titolo ma è privata di qualsiasi prerogativa ma assume sempre il ruolo di protettrice della cristianità. Morto Lotario nell’855, morti i suoi eredi, la corona imperiale passa a Carlo il Calvo; la Lotaringia viene dapprima spartita tra i due regni col Trattato di Mersen dell’870, quindi viene definitivamente annessa al regno orientale col Trattato di Ribemont dell’880. Si delinea così il primo abbozzo politico dell’attuale Europa, con le nazioni di Francia a est e Germania a ovest, mentre l’Italia resta un territorio conteso e tagliato in due dallo Stato Pontificio.
Una riunificazione dell’antico impero carolingio viene tentata dal figlio di Ludovico il Germanico, Carlo III il Grosso, incoronato imperatore nell’881, che tra l’884 e l’887 riesce a ricomporre l’impero, ma è costretto a soccombere a causa dei privilegi feudali ostentati dall’aristocrazia, che ovviamente non vuole cederli, e a causa delle invasioni ungare, normanne e saracene, che mineranno i confini dell’impero. Nell’886 i Normanni assediano Parigi, e Carlo il Grosso paga per allontanarli, anziché combatterli. Ciò provoca un brusco calo di popolarità del sovrano, che viene deposto dall’aristocrazia feudale e rinchiuso in un monastero dove morirà due anni dopo.
A questo punto l’impero si sfalda definitivamente nei due regni orientale e occidentale. Nel regno orientale la nobiltà elegge al trono il nipote di Carlo, Arnolfo di Carinzia (887-899), a cui succede il figlio Ludovico, detto il Fanciullo (900-911): entrambi sono costretti a vedere il proprio regno soccombere sotto la minaccia delle divisioni dei gruppi etnici che pretendono una crescente autonomia. Morto Ludovico il Fanciullo sale al trono Corrado I di Franconia (911-918) che segna la definitiva estinzione del ramo carolingio, ma il nuovo impero si attuerà con la dinastia iniziata dal successore di Corrado, Enrico di Sassonia. Nel regno occidentale viene eletto il conte di Parigi Oddone della famiglia dei Robertingi (888-898) ma alla sua morte il regno torna al ramo carolingio con l’elezione di Carlo il Semplice (898-922) che nel 911 concede al capo normanno Rollone il ducato di Normandia. Nonostante i re carolingi regneranno in Francia fino al 987, va detto che il territorio non è unitario ma è un insieme di feudi, autoamministrati e indipendenti dal potere imperiale. Con la deposizione di Carlo il Grosso il regno d’Italia si trova subito al centro di una contesa tra sei casate nobiliari, su cui prevale il marchese Berengario del Friuli (888) che però l’anno successivo viene spodestato dal duca di Spoleto Guido, che nell’891 è incoronato imperatore dal pontefice Formoso, e successivamente associa al trono imperiale il primogenito Lamberto. Morto Guido il pontefice indirizza le sue simpatie politiche per il re di Germania Arnolfo di Carinzia, che incorona imperatore nell’896. Al ritorno in Germania di Arnolfo, la corona d’Italia torna nelle mani di Berengario, che la terrà fino al 922.

Sotto i re Merovingi nasce l’esigenza di distribuire equamente i favori e le proprietà agli aristocratici per evitare contese e mantenere saldo il controllo sul regno. Questa politica viene perseguita primariamente da Clotario con l’Edictum Clotarii del 614, che conferiva al re la possibilità di scegliere i propri funzionari tra la nobiltà terriera, che si assicurava così il controllo dell’amministrazione pubblica. L’avvento dei cosiddetti “re fannulloni” permette alla nobiltà di espandere ulteriormente il proprio potere, con la presenza di un inviato a Corte, il maestro di palazzo o major domus, che in alcuni casi esercitava come si è visto la reggenza in caso di minore età del legittimo pretendente al trono: il potere dei maggiordomo arriva a prerogative feudali, con la facoltà di assegnare terre in beneficio ai cavalieri, prassi seguita dai maggiordomo Carlo Martello e Pipino il Breve.
La struttura dell’impero carolingio è tipicamente germanica, romana e cristiana solo di nome e di intenti spirituali.  Sotto il regno di Carlo Magno si divide in 300 contee rette da conti, che rivestono un ruolo civile e militare, spesso affiancati dal clero, a cui l’imperatore concedeva le stesse prerogative dei civili, favorendo la nascita dei vescovi-conti. In genere ai confini o nelle zone ove si rende necessario le contee sono raggruppate in una marca (come la Marca Spagnola lungo i Pirenei) retta da un marchese o margravio, superiore per dignità nobiliare al conte. L’imperatore è capo assoluto e proprietario del regno e governa con l’aiuto dei conti. Contee e marchesati sono concessi in beneficio, ossia in un regime di godimento che impegna il beneficiario a servire fedelmente l’imperatore. Questo rapporto si chiama vassallaggio, e la cerimonia che lega benefattore a beneficiario si chiama investitura. Con l’investitura il cavaliere riceve un dono simbolico (solitamente un fascio di spighe e una zolla di terra a simboleggiare l’avvenuta proprietà) e l’imposizione della spada, sotto la quale presta giuramento di fedeltà. La proprietà si chiama feudo, forse dall’antico germanico feod, ossia proprietà, e il conte o il marchese esercitano liberamente le stesse prerogative regali, come l’esazione dei tributi o l’amministrazione della giustizia. La sede centrale del potere imperiale è il palatium, retto da un comes palatinum che governa la Corte e da un chierico colto o cancelliere che amministra la Cancelleria. Sede del palatium è qualsiasi posto dove si ferma l’imperatore con la sua Corte, ma Carlo Magno preferiva soprattutto Aquisgrana, Ingelheim e Paderborn. Tra i funzionari più importanti c’erano degli ispettori chiamati missi dominici, che lavoravano in coppia (un laico e un ecclesiastico) e che avevano il compito di vigilare sull’operato del signore locale e riferirne all’imperatore.
Localmente ogni comes tiene periodicamente una dieta o placitum, durante la quale, assistito dai funzionari, prende eventuali decisioni politiche e amministrative. Ogni primavera si riuniscono tutti i liberi durante il cosiddetto campo di maggio, un placitum generale presieduto dall’imperatore, a cui solo il clero e la nobiltà (i maiores) hanno diritto di partecipare, mentre i minores si limitano a prendere atto delle decisioni prese. Queste sono raccolte nei Capitularia, cioè una raccolta di norme giuridiche (circa 80 sotto Carlo Magno). Si tratta di disposizioni piuttosto inutili giuridicamente, poiché ogni tribù si regge su un proprio insieme di norme e di codici.
La popolazione si divide in liberi e semiliberi; sono presenti alcuni schiavi, solitamente pagani, mentre scompaiono progressivamente i contadini-guerrieri e nasce un sistema di concatenazione che lega sotto il signore locale, o feudatario, vari cavalieri che decidono di servire un padrone: sotto il feudatario, conte o marchese, si trovano dunque i vassalli, poi i valvassori e quindi i valvassini, l’ultimo anello della catena feudale. I legami che si instaurano tra queste figure sono simili ai legami di beneficium che intercorrono tra il feudatario e l’imperatore, che è a capo della catena feudale. L’esercito è convocato dallo stesso imperatore con un eribanno.
Dal punto di vista economico, l’avvento dell’impero carolingio reca un effettivo miglioramento delle strutture agricole, che, durante il regno merovingio, riguardavano solo terreni leggeri e facili da vangare, con il conseguente abbandono dei territori più pesanti, abbandonati alla foresta e alla palude. La piccola proprietà non scompare ma le investiture concedono ai conti e ai marchesi un numero sempre maggiore di terre organizzate col metodo della curtis. L’economia curtense è amministrata o dal padrone stesso, che amministra il gruppo di terre detto dominicum, o dai contadini liberi a cui sono affidati i mansi o campi, che compongono il massaricium, e che pagano al signore un affitto per il lavoro nel campo e per la raccolta dei prodotti, o compensano il feudatario con il proprio lavoro (corvèe). La produzione è diversificata col sistema della rotazione, che ogni tre anni cambia la coltivazione da frumento a segale a orzo. La struttura sociale dell’Europa carolingia non si concludeva col complesso rapporto di concatenazione feudale. Al di sotto della nobiltà terriera ed ecclesiastica si sviluppa il ceto della borghesia, una classe sciale di liberi, solitamente artigiani e piccoli proprietari, che viveva nei borghi (donde il nome). Il ceto più infimo è costituito dai contadini, divisi tra liberi e servi della gleba: questi ultimi erano di solito schiavi ereditati che svolgevano le mansioni più dure senza ricevere alcun compenso. Una classe sociale a se stante era quella dei cavalieri, i figli cadetti dei signori che non potevano ereditare e che si dedicavano alla vita militare; in seguito, per ottenere prestigio e denaro, i cavalieri diventano una realtà sociale piuttosto irruenta e incontrollabile, assetata di potere e di fama. La Chiesa li utilizzerà nelle Crociate.
La legge di successione era stata regolata sotto Ludovico il Pio con    l’ordinatio imperii (817), che associava al trono il solo primogenito, evitando così la spartizione del regno tra gli eredi. Con Carlo il Calvo viene invece sancita l’ereditarietà del feudo, trasmissibile agli eredi primogeniti (Capitolare di Quiercy, 877). In ambito religioso si comincia a delineare una pericolosa tensione tra le due istituzioni di Chiesa e Impero- Già Ludovico il Pio si era arrogato nell’824 il diritto di controllare lo Stato Pontificio e la stessa elezione del papa con la Constitutio Romana, da cui aveva receduto nell’830; il problema si apre dopo il trattato di Verdun, quando si accresce ulteriormente il potere dei vescovi-conti. In questo periodo, detto Età Ferrea del Papato, il degrado morale dell’istituzione ecclesiastica viene inasprito dalla simonìa e dal concubinato, che dilagavano tra il clero, con la diffusione dei benefici feudali anche tra gli ecclesiastici e l’acquisto delle cariche religiose da parte dei laici.