venerdì 10 giugno 2016

Classe 4 Modulo 6 S

CLASSE QUARTA - MODULO 6 - STORIA
Il Risorgimento e l’unità d’Italia

INTRODUZIONE

Il progetto dell’unificazione italiana è introdotto da un lungo periodo di gestazione in cui si incrociano diverse tendenze politiche: il NEOGUELFISMO di Vincenzo GIOBERTI, che aspirava all’unificazione del paese sotto la guida del Papa, a cui si opponeva il radicalismo repubblicano di Giuseppe MAZZINI; la visione “piemontese” di Cesare BALBO, fautrice di un disegno unificatore guidato dai Savoia e quella “lombarda” di Carlo CATTANEO che era a favore di un progetto FEDERALE, fino al modello liberale del conte di CAVOUR, attenta alla separazione dei due poteri, quello spirituale della Chiesa e quello dello Stato.

LE GUERRE PER L’INDIPENDENZA

Prima guerra d'indipendenza

Dopo le campagne napoleoniche, spinte nazionali e nazionalistiche appoggiate dai Savoia, che videro in queste l'opportunità di allargare il proprio Regno di Sardegna, portarono ad una serie di guerre di indipendenza contro l'Impero austro-ungarico.

Nel 1848 cominciarono a manifestarsi varie insurrezioni nei domini sottoposti agli austro-ungarici, in particolare a Venezia e Milano, famose appunto le cinque giornate di Milano, che si conclusero il 22 marzo con la vittoria della popolazione locale e l'abbandono da parte del maresciallo austriaco Radetzky della città.

Visti i successi ottenuti dalle due città Carlo Alberto di Savoia decise di entrare in azione il 23 marzo dando inizio alla prima guerra di indipendenza italiana. Oltre al Re di Sardegna parteciparono alla guerra altri vari stati italiani, come lo Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie, che fornirono uomini per la guerra. L'inizio del conflitto fu favorevole agli stati italici, con varie vittorie, a Pastrengo, la Battaglia di Santa Lucia a Verona, poi Peschiera e Goito. Ma il papa ritirò le sue truppe dal conflitto temendo una reazione religiosa austriaca che avrebbe potuto provocare uno scisma. In questa azione fu seguito dal Re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone. Rimasero quindi a combattere i volontari e gli austriaci poterono rafforzarsi e con una potente controffensiva ripresero gran parte delle città perse e il 4 agosto Carlo Alberto firmò l'armistizio. Dopo una breve tregua nel marzo 1849 venendo presto sconfitto. Fu quindi costretto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Tra le città che si erano ribellate al dominio austriaco l'anno precedente l'unica a resistere fu Venezia, caduta però nell'agosto 1849 per un'epidemia di colera.

La prima guerra di indipendenza si concluse con la vittoria austriaca e i Savoia non riuscirono ad ampliare i propri possedimenti nel tentativo di riunificare la penisola.

Seconda guerra d'indipendenza

Nel 1852 divenne primo ministro del Regno Sabaudo Camillo Benso Conte di Cavour, il quale attuò numerose riforme economiche al fine di rendere lo stato di Sardegna più moderno, aumentando le ferrovie, ampliando il porto di Genova e favorendo la nascita dell'industria, fino ad allora inesistente nel Paese.

Nel 1855 il Regno di Sardegna, sotto indicazione di Cavour, partecipò alla guerra di Crimea, inviando 15 000 uomini. Questa partecipazione permetté al regno sabaudo di essere presente al congresso di Parigi l'anno seguente dove il primo ministro attaccò il comportamento austriaco e si creò simpatie tra inglesi, francesi e prussiani.

Ricevuti pareri favorevoli all'azione da Napoleone III nel 1858 i due strinsero un accordo segreto a Plombières, con il quale i francesi avrebbero sostenuto i Savoia in caso di attacco austriaco a patto che fossero gli austriaci ad attaccare. I due però avevano scopi opposti: Cavour riteneva che controllando la parte più sviluppata d'Italia avrebbe di fatto controllato l'intera penisola, mentre Napoleone III era convinto che avendo sotto il suo dominio i due terzi della penisola, avrebbe di fatto controllato anche il Piemonte.

Adottando un comportamento provocatorio nei confronti degli austriaci Cavour riuscì nell'intento di farsi dichiarare guerra, dando inizio alla seconda guerra di indipendenza italiana, che iniziò il 29 aprile 1859. Gli austriaci, sotto la guida del maresciallo Ferencz Gyulai, inizialmente invasero il Piemonte, senza incontrare resistenze. Un contrordine proveniente da Vienna impose poi il ritiro in Lombardia. L'arrivo di Napoleone III, il 14 maggio, diede il via alle operazioni militari. Il 20 maggio si ebbe il primo e vero scontro a Montebello, che vide la vittoria franco-italica. Dieci giorni dopo i piemontesi riportarono un'altra vittoria a Palestro, sotto la guida stessa di Vittorio Emanuele II. I francesi, invece, batterono gli austro-ungarici a Turbigo e Magenta. Il 5 giugno venne poi presa Milano. Nei giorni successivi gli austriaci vennero respinti in Veneto e, a questo punto, Napoleone III cominciò le trattative, a insaputa dei piemontesi, che terminarono con la cessione della Lombardia. Gli accordi di Plombières, prevedevano però la conquista del Veneto e Cavour deluso tentò, senza successo, di convincere il re a continuare da solo. Terminata la seconda guerra di indipendenza alcuni ducati vollero unirsi allo stato sabaudo ed erano Modena, Parma, Emilia, Romagna e Toscana. Gli accordi di Plombières prevedevano però la cessione di Nizza e della Savoia, cosa che provocò varie proteste, in quanto non era stata mantenuta la promessa di conquistare anche il Veneto.

Il Regno di Sardegna comprendeva a questo punto i territori delle attuali regioni Piemonte, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana, mentre rimanevano esclusi quelli di Umbria, Marche e Lazio, sottoposti al dominio pontificio, oltre al sud.

Nel 1860 venne organizzata la spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi. Partiti da Quarto il 5 maggio, sbarcarono l'11 a Marsala. Mentre Garibaldi, insieme ai picciotti siciliani conquistava l'isola, nella parte continentale del Regno delle due Sicilie il Comitato per l'Unità Nazionale di Napoli preparava la strada alla conquista della capitale: il 18 agosto dello stesso anno, con l'insurrezione di Potenza, la Basilicata, guidata dal governo proditattoriale di Giacinto Albini, dichiarò la sua annessione al Regno d'Italia. Il giorno seguente Garibaldi passò lo stretto di Messina, e il 21 agosto seguente la Puglia dichiarò decaduti i Borbone con l'insurrezione di Altamura. Il 7 settembre Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli, abbandonata dal re Francesco II di Borbone in favore di Gaeta. La sconfitta finale dei borbonici avvenne sul Volturno il 1º ottobre 1860. Il 21 ottobre si tennero i plebisciti che decretarono l'annessione dei territori delle Due Sicilie al Regno Sabaudo.

Mancavano ancora Veneto e Friuli, Roma, Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia. Il parlamento sardo decise allora di proclamare nel 1861 il Regno d'Italia consegnando la corona a Vittorio Emanuele II e ai suoi eredi. Lo statuto albertino venne esteso a tutto il Regno.

Terza guerra d'indipendenza

Per conquistare Veneto e Friuli nel 1866 il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Austria alleandosi con la Prussia e dando così iniziò alla terza guerra di indipendenza. Le sconfitte però furono molte, le più famose a Custoza e Lissa. Gli unici successi vennero ottenuti da Garibaldi. La vittoria prussiana, però, fu d'aiuto all'Italia, che poté quindi richiedere l'annessione di Veneto e Friuli.

Mancava Roma e per due volte Giuseppe Garibaldi ne tentò la conquista con i suoi volontari: nel 1862 e nel 1867, venendo fermato nel primo caso dalla truppe italiane, nel secondo dall'esercito francese, che anche nel 1862 aveva costretto l'esercito regio a intervenire.
La guerra con la Prussia contro la Francia e la sconfitta di Napoleone III portarono ad una mossa militare da parte dell'Italia contro Roma, che il 20 settembre 1870 venne conquistata grazie alla Breccia di Porta Pia. Si venne però a determinare una profonda frattura tra Stato italiano e Chiesa, formalmente sanatasi con i Patti Lateranensi del 1929.

LA NASCITA DEL REGNO D’ITALIA

Il Regno d'Italia nasce nel 1861 dopo l'esito della seconda guerra di indipendenza e dopo i plebisciti degli altri territori conquistati. Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II fu il primo re d'Italia (1861-1878).

La popolazione, rispetto l'originario Regno di Sardegna, quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna, esso fu infatti una monarchia costituzionale. Il neonato Stato quindi si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica per tutta la penisola e più in generale problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. A questi problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l'analfabetismo e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture.

La questione che tenne banco nei primi anni della riunificazione d'Italia fu la questione meridionale ed il brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra il 1861 e il 1869). Il problema era noto come la "questione meridionale". Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).

La destra storica

La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.

In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del Veneto e la presa di Roma.

Nel 1876 il governo venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, Vittorio Emanuele II morì, e sul trono gli successe Umberto I.

La sinistra storica

La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello stato nell'economia.

Per ciò che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello stato d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e l'Impero austro-ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

L'epoca giolittiana

Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti.

Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed è con questo primo confronto con le parti sociali che si evidenziò la ventata di novità che Giolitti portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare i socialisti nell'arco parlamentare.

Gli interventi più importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro, il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria.

In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla Triplice intesa di Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la politica coloniale nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca, furono occupate Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo tentativo di arginare il nazionalismo come aveva costituzionalizzato i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del fascismo.

LA DESTRA STORICA

La Destra è stato uno schieramento politico italiano sorto, formalmente, nel 1849 con i governi di Camillo Benso conte di Cavour e proseguito dopo la sua morte sino al 1876 e detta, in seguito, storica per distinguerla dai partiti e movimenti di massa qualificati come di destra che si sarebbero affermati nel corso del XX secolo. I ministeri della Destra storica dal primo governo Cavour al governo di Marco Minghetti del 1876 conseguirono importanti risultati, primo fra tutti l'unità d'Italia, compiuta nel 1861 e portata a termine nel 1870 con la breccia di Porta Pia e la presa di Roma.

Politica interna

Nel gennaio 1861 si tennero le elezioni per il primo parlamento unitario. Su quasi 22 milioni di abitanti (non erano stati ancora annessi Lazio e Veneto), il diritto a votare fu concesso a solo a 419.938 persone (circa l'1,8% della popolazione italiana). L’affluenza alle urne fu del 57%.
La Destra storica, erede di Cavour ed espressione della borghesia liberal-moderata, vinse queste elezioni. I suoi esponenti erano soprattutto grandi proprietari terrieri e industriali, e personalità legate all’ambito militare (Ricasoli, Sella, Minghetti, Spaventa, Lanza, La Marmora, Visconti Venosta).

La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri ed eletta con un suffragio di appena il 2%, diede alla neonata Italia un'economia basata sul libero scambio, che però soffocò la nascente industria italiana, esponendola agli attacchi del più forte capitalismo d'Oltralpe. Un altro grave problema che affliggeva il paese, la difformità legislativa lungo la penisola, fu risolto mediante l'accentramento dei poteri (accantonando i progetti di autonomie locali proposti da Marco Minghetti), estendendo la legislazione piemontese a tutta la penisola e dislocandovi in modo capillare le prefetture come strumento di governo. Anche il sistema scolastico fu riformato e uniformato in tutta Italia a quello piemontese (legge Casati) nel 1859. Fu anche istituita la coscrizione obbligatoria.

Risanamento del bilancio

La Destra impose anche un pesante fiscalismo, al fine di finanziare le opere pubbliche di cui il Paese aveva bisogno per competere con le altre potenze europee. Nel 1876, con Quintino Sella, venne raggiunto il pareggio di bilancio. La ricchezza nazionale aumentò in due scaglioni tra il 1860 e il 1880. Nella prima fase aumentò tramite le imposte dirette, che riguardavano i redditi di origine agraria, nella seconda fase invece con le imposte indirette, colpendo maggiormente i ceti meno abbienti. Nel 1868 venne introdotta la tassa sul macinato (per la precisione, sulla macinazione dei cereali) scatenando così proteste popolari con assalti ai mulini, distruzione dei contatori, invasioni di municipi. Al termine di questa rivolta contadina si contarono molti arrestati, feriti e morti.

I rapporti con la popolazione

Tutti questi provvedimenti resero più complicato l'inserimento dei nuovi territori nel Regno. A causa principalmente di provvedimenti visti come insensati ed odiosi da parte della popolazione, vale a dire l'imposta sul macinato e il servizio militare obbligatorio, la Destra favorì, in un certo senso, lo sviluppo del Brigantaggio,che era storicamente endemico di vaste regioni del Regno delle Due Sicilie e dello Stato della Chiesa, cui rispose con particolare durezza attraverso la legge Pica e il dispiegamento nell'Italia centro-meridionale di oltre 120.000 soldati, imponendo, in pratica, uno stato di guerra al Sud. oi dementi degli stranieri che si affidavano alle informazioni ufficiali del nuovo Regno d'Italia, dal settembre del 1860 all'agosto del 1861 ci furono nell'ex Regno delle Due Sicilie 8.964 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 13.529 arrestati, e più di 3.000 famiglie perquisite. Questo fu uno dei motivi che incoraggiarono l’emigrazione dalle regioni meridionali d’Italia.

Politica estera

In politica estera, la Destra storica fu assorbita dai problemi del completamento dell'Unità d’Italia; il Veneto venne annesso al Regno d'Italia in seguito alla terza guerra d'indipendenza (1866). Per quanto riguarda Roma, la Destra cercò di risolvere la questione con la diplomazia, ma si scontrò con l'opposizione di Papa Pio IX, di Napoleone III e della Sinistra. Alla caduta di Napoleone III dopo la guerra franco-prussiana, l’Italia attaccò lo Stato Pontificio e conquistò Roma, che diventò Capitale nel 1871. Il Papa si proclamò prigioniero e lanciò violenti attacchi allo Stato italiano, istigando una forte campagna anticlericale da parte della Sinistra. Il governo regolò i rapporti con la Santa Sede con la legge delle guarentigie, non riconosciute dal Papa. Il Pontefice non riconobbe la legge e vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana, secondo la formula "né eletti, né elettori" (non expedit).

Fine della Destra Storica

L'era della Destra finì nel 1876: il governo Minghetti fu messo in minoranza dallo stesso Parlamento, che rifiutava la nazionalizzazione delle neonate ferrovie, cosicché il primo ministro dovette dare le dimissioni. Era stata attuata la rivoluzione parlamentare: per la prima volta un capo del governo veniva esautorato non per autorità regia, bensì dal Parlamento. Il re Vittorio Emanuele II, preso atto delle dimissioni, diede l'incarico di formare un nuovo governo al principale esponente dell'opposizione, Agostino Depretis. Iniziava l'era della Sinistra storica. Gli esponenti della Destra storica che continuarono in un ruolo di opposizione parlamentare, e che in prevalenza provenivano dalla Toscana, furono chiamati dai loro avversari "consorteria". Montanelli, nella sua "Storia d'Italia" mette in risalto come la Destra sia caduta dopo aver raggiunto i suoi due obbiettivi principali, l'Unità d'Italia ed il pareggio del bilancio, come se fossero venuti a mancare le ragioni che la mantenevano in vita.

Divisioni e dissidi interni

Subito dopo le prime elezioni nel neonato Regno d'Italia, la Destra storica si divise in due "correnti" differenziate in base alla zona d'elezione: i piemontesi, eredi della Destra storica che aveva caratterizzato il Regno di Sardegna, formarono una "Associazione Liberale Permanente" ("tutta piemontese, anche se non tutti i piemontesi vi parteciparono", come scrisse Montanelli) mentre i tosco-emiliani, sostenuti da lombardi e dai politici meridionali, formarono un gruppo, chiamato dispregiativamente "Consorteria" dai piemontesi. Con il tempo questa divisione (che pure aveva lacerato la Destra storica, come nelle elezioni del 1864, quando gli uomini della Permanente non esitarono a cercare alleanze con i garibaldini della Sinistra storica, anch'essa divisa) lasciò il posto ad una divisione di tipo personale: i due principali leader delle varie anime della Destra, Sella e Minghetti, infatti, erano impegnati in una battaglia personale. Le Destre concordavano solo sulla necessità di raggiungere il pareggio di bilancio e sulla sconvenienza delle riforme democratiche volute dalla Sinistra. Non va inoltre dimenticato che al gruppo "originale" della Destra storica, formato da settentrionali liberali, si erano aggiunti dei "nuovi arrivati" cioè i borghesi meridionali, conservatori. Le divergenze fra queste due anime saranno di non poco conto.

LA SINISTRA STORICA

La Sinistra è stata uno schieramento politico dell'Italia post-risorgimentale, detta in seguito storica per distinguerla dai partiti e movimenti di massa di sinistra che si sarebbero affermati nel corso del XX secolo. L'epoca della sinistra storica va dal 1876, anno della "rivoluzione parlamentare" che portò alla caduta della Destra storica, sino alla "crisi di fine secolo" (1896), che sfociò nell'età giolittiana.

Il Primo Ministro della Sinistra storica fu Agostino Depretis, incaricato dal re, pochi giorni dopo le dimissioni del governo Minghetti. La matrice ideologica del raggruppamento era liberale progressista, e, pur non avendo un precedente storico, si rifaceva alle idee mazziniane, garibaldine e dunque democratiche. Depretis formò un governo che, oltre all'appoggio della Sinistra, schieramento di cui faceva parte, si reggeva anche sull'appoggio di una parte della Destra, quella che aveva contribuito alla caduta del governo Minghetti. Nella sua azione di governo, Depretis cercò sempre ampie convergenze su singoli temi con settori dell'opposizione, dando vita al fenomeno del trasformismo. Proprio nello stesso anno si giunse alle elezioni politiche, che videro la vittoria della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis, che fu confermato alla guida del governo.

Allargamento del suffragio e politiche sociali

Gli esponenti della Sinistra storica erano perlopiù esponenti della media borghesia, in maggior parte avvocati. Tentarono di riconciliare la politica col «paese reale» democratizzando e modernizzando lo stato e il paese.[1]

Un'importante riforma riguardava l'istruzione: la legge Coppino (1877) rese obbligatoria e gratuita l'istruzione elementare (dai 6 ai 9 anni d'età). La Sinistra si batté per l'allargamento del suffragio, tramite una legge del 1882 (legge Zanardelli) che concedeva diritto di voto a tutti i maschi, che avessero compiuto i 21 anni e rispettassero requisiti per il voto: il pagamento di un'imposta di almeno 19,8 lire (invece delle precedenti 40) o, in alternativa, il conseguimento dell'istruzione elementare appena allargata (era comunque sufficiente dimostrare di saper leggere e scrivere). Con la suddetta riforma il corpo elettorale salì al 6,9% della popolazione italiana, rispetto al 2,2% del 1880.[2]

La volontà della Sinistra storica era quella di ampliare il suffragio fino a un'utopica universalità (che per quel periodo era comunque ben lungi dall'essere proponibile) basandosi non più tanto sul censo dei cittadini, quanto sulla loro istruzione.

La Sinistra storica prese provvedimenti anche in campo amministrativo, dove provvide ad un decentramento dei poteri e in campo sociale, con l'introduzione di prime misure a difesa dei lavoratori. Furono inoltre avviate una serie di inchieste per esaminare le condizioni di vita della popolazione rurale: la più nota è senz'altro l'inchiesta Jacini, che ha rivelato una diffusa malnutrizione (pellagra), alta mortalità infantile (per difterite), grande povertà e scarse condizioni igieniche. Diffuso era il fenomeno dell'emigrazione.

Il protezionismo

La Sinistra storica, in politica interna, ebbe come obiettivo l'abolizione dell'impopolare tassa sul macinato[3] e in generale una politica di sgravi fiscali e di investimenti nello sviluppo industriale del paese.

La Sinistra perseguì una politica protezionista. In Italia il principale ispiratore della nuova politica tariffaria in materia di commercio estero fu Luigi Luzzatti. Con la crisi economica in Europa (1873-1895) crebbe la miseria dei braccianti, e questo provocò i primi scioperi agricoli. Il protezionismo si tradusse nell'intervento diretto dello Stato nell’economia. I governi italiani della Sinistra, condizionati da gruppi industriali del Nord, approvarono nel 1878 l'introduzione di tariffe doganali a protezione delle industrie tessili e siderurgiche; furono inoltre concessi sussidi ai settori in difficoltà e sviluppate le infrastrutture.

Nel 1887, per fronteggiare la grande depressione, si diede vita a quel "blocco agrario-industriale", come lo chiama Antonio Gramsci, tra la classe liberale e progressista del Nord con gli agrari e i latifondisti reazionari del Meridione, estendendo la tariffa protettiva sulla cerealicoltura che risentiva delle esportazioni dagli Stati Uniti d'America di grano, che, per la riduzione dei noli dei trasporti, arrivava sul mercato italiano a prezzi inferiori.

Un dazio che danneggiava evidentemente gli industriali settentrionali che dovevano commisurare il salario degli operai sul prezzo del pane che aumentava artificiosamente e che pure accettarono di buon grado il danno economico, compensato, secondo la storiografia marxista, da un'alleanza con gli agrari che avrebbe tenuto lontani tentativi di riscatto sociale delle masse subalterne.

Una tariffa protettiva, che reintroduceva la tassa sulla fame come ai tempi dell'imposta sul macinato e che danneggiava inoltre il settore della produzione meridionale del vino e dell'ortofrutta, già in crisi dalla rottura dei rapporti commerciali con la Francia dai tempi del Congresso di Berlino e della politica filotedesca di Crispi.

Politica estera

In politica estera, la Sinistra storica di Depretis abbandonò la tradizionale alleanza con la Francia, a causa degli attriti diplomatici generati dalla presa di posizione dei transalpini sulla questione tunisina, entrando nell'orbita della Triplice Alleanza a fianco degli imperi centrali di Austria-Ungheria e Germania, favorendo lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

Fine della Sinistra storica

La fase della Sinistra storica si concluse nel 1896 a seguito delle elezioni politiche. Il governo Depretis, infatti, si era spostato verso l'ala conservatrice del parlamento, incontrando i moderati più progressisti, che erano stati inglobati all'interno di una più grande coalizione.

Lentamente furono estromessi gli esponenti più progressisti della Sinistra, dando vita ad un Grande Centro, che monopolizzava la vita politica del Paese, lasciando a pochi partiti minori il ruolo di opposizione di estrema sinistra. Questa politica, in cui la dialettica e la differenza ideologica fra le ali del Parlamento vengono sfumando, è detta trasformismo, e fu resa possibile dalla riforma elettorale.[3]

Dopo Depretis, la figura cardine della politica italiana dal 1887 al 1896 fu Francesco Crispi. Il modello della sua politica era la Germania di Bismarck, dove le tensioni sociali fra la classe operaia e la borghesia sembravano equilibrate. Crispi represse nel sangue la rivolta dei fasci operai in Sicilia e scioglie il Partito Socialista, fondato da Turati a Genova nel 1892, ma emana nel contempo una serie di riforme sociali quali la riduzione della giornata lavorativa.

Sotto il suo governo la politica coloniale fu ripresa con più vigore, fino alla disfatta di Adua (1896), che segnò la fine della Sinistra Storica con le dimissioni del primo ministro.

Nella crisi di fine secolo si manifestarono le conseguenze sul piano sociale della politica protezionistica, come dimostrano i fatti di piazza del Duomo a Milano del maggio 1898 quando il generale Bava Beccaris non esitò a sparare con i cannoni ad alzo zero sulla folla che chiedeva "Pane e lavoro" durante la protesta dello stomaco.

Si era infatti verificato un ulteriore aumento del prezzo del grano a causa delle diminuite esportazioni da parte degli Stati Uniti, impegnati allora nella guerra per Cuba.

Sarebbe bastato togliere la tariffa protettiva, ma ormai la classe dirigente italiana era terrorizzata dal socialismo e preferiva ricorrere all'intervento repressivo del Regio Esercito.