venerdì 17 giugno 2016

Classe 3 Modulo 5 S

CLASSE TERZA - MODULO 5 - STORIA
Il Seicento (prima parte)

IL SEICENTO
Economia, politica e società

Con la scomparsa di Filippo II nel 1598 e di Elisabetta I nel 1603 si chiude anche, col trattato di Londra del 1604, il conflitto anglo-spagnolo, riportando così gli equilibri politici europei a una situazione di pace. La Spagna era ormai avviata verso una lenta e inesorabile decadenza, segnata dalla sconfitta del 1588, mentre emergeva la potenza navale inglese e si faceva strada anche uno sviluppo della neonata Olanda; in Francia il regno di Enrico IV gettava le basi per il futuro assolutismo monarchico caratteristico del regno francese, mentre non si erano ancora sanati i conflitti politico-religiosi in Germania, che di lì a poco avrebbero generato il nascere della Guerra dei Trent’anni. Molto interessante era, come già abbiamo visto, il panorama politico del nord est europeo, con l’ascesa del regno di Svezia e soprattutto con la fortissima monarchia zarista russa.
Il pensiero politico del Cinquecento si focalizzava sul tema dell’assolutismo regio, teorizzato e difeso dal filosofo Jean Bodin, convinto assertore della necessità di un potere monarchico centralizzato e soprattutto incondizionato e incondivisibile con altri organismi quali clero e nobiltà, un potere che dunque già si dichiarava assoluto. Contro la tesi bodiniana si scagliavano i monarcomachi fautori del regicidio come il già citato Du Plessis-Mornay in Francia e Knox e Buchanan in Scozia. Il pensiero di Bodin poggiava sulla convinzione che l’assolutismo regio servisse a tenere unito il paese garantendo uno stato di benessere a tutti i cittadini, e il suo unico limite erano le leggi divine e naturali. Si trattava di un pensiero che esprimeva le profonde tensioni religiose che facevano pericolare l’istituzione monarchica. Anche la tesi del regicidio poggiava sulle stesse basi e voleva giustificare la lotta confessionale delle minoranze religiose che si erano viste imporre la fede cattolica: non a caso si tratta di una rivoluzione culturale maturata in un ambiente preferibilmente calvinista. Il Seicento è il secolo del grande disagio sociale. Il ristagno demografico e il già annunciato calo della produttività avevano generato una profonda crisi economica, che ben presto divenne una crisi sociale e politica. Il secolo XVII è dunque il secolo delle grandi rivoluzioni, rivoluzioni che non ebbero solo un risvolto religioso, come quella dei Puritani inglesi, ma anche un forte accento politico e sociale, come le insurrezioni dei contadini e del ceto medio. Questa crisi ebbe due diverse prospettive:

nell’area mediterranea assunse il carattere della rifeudalizzazione, che fu avviata dal patriziato cittadino, scaricando sulla manodopera agricola il costo della crisi;
nell’area settentrionale dell’Europa assume invece il carattere della modernizzazione, specialmente in Olanda e in Inghilterra, spostando così il centro dell’economia europea dal Mediterraneo all’Atlantico, col rilancio delle attività agricole e manifatturiere e soprattutto con un’attenta politica di esportazione.
La politica di restaurazione del cattolicesimo in Germania operata dagli Asburgo e ancora la ripresa della potenza spagnola portarono il fragile equilibrio europeo a una nuova frattura, che degenerò nella Guerra dei Trent’anni. Il primo cinquantennio del Seicento si chiude con la Pace di Westfalia del 1648 che alterava il panorama politico europeo del XVI secolo: la Spagna decadeva e con essa i territori italiani soggetti al dominio spagnolo, il progetto filocattolico asburgico falliva miseramente, mentre si accresceva il potere inglese e quello olandese e iniziava a imporsi il ruolo politico della Svezia nel Nord Europa.
Due sono i modelli politico-amministrativi che si impongono all’attenzione nella seconda metà del XVII secolo: la monarchia costituzionale con un regime parlamentare, che si diffonde in Inghilterra dopo la Gloriosa Rivoluzione, e l’assolutismo monarchico che si instaura in Francia grazie a Luigi XIV e alla politica di centralizzazione perseguita dai cardinali Richelieu e Mazarino, che affonda le pretese nobiliari e parlamentari.

ECONOMIA E SOCIETA’

Abbiamo già osservato come il Seicento comincia con un gravissimo stato ci crisi economica, crisi peraltro già annunciata da precario equilibrio delle finanze spagnole; il crollo demografico, l’arresto delle attività agricole e manifatturiere e la carestia che a più riprese flagellò la Mitteleuropa, determinarono dunque un profondo stato di prostrazione. L’elemento che però differenziava le diverse nazioni europee era la risposta alla crisi, che nei paesi mediterranei si tradusse in una eccessiva preoccupazione da parte della nobiltà feudale, che temeva di perdere i privilegi accumulati, dando vita così a un processo di rifeudalizzazione che finì di vessare le classi contadine, col risultato di peggiorare lo stato dell’economia agricola, mentre nel Nord dell’Europa si tradusse in una spinta verso la modernizzazione che permise a paesi quali Inghilterra e Olanda di puntare proprio sul settore agricolo e manifatturiero attraverso un’adeguata politica di ristrutturazione delle realtà preesistenti e il rilancio delle attività commerciali mediante la colonizzazione e l’esportazione dei prodotti.

Stagnazione demografica – Tra il 1450 e il 1600 la popolazione europea era praticamente raddoppiata; nel corso del secolo invece si ha un debole aumento da 95 a 102 milioni di abitanti, escludendo la Russia. Questa situazione assume però diverse prospettive a seconda della zona geografica: infatti la stagnazione vera e propria si ha più che altro in Spagna e nei paesi dell’area mediterranea, mentre il record negativo spetta alla Germania; in Francia, in Olanda, in Inghilterra e nei paesi scandinavi si ha addirittura un trend positivo. Ma quali erano le cause di questo fenomeno?

in primo luogo le epidemie di tifo, peste (questa addirittura endemica per buona parte del secolo), sifilide e malaria, determinate dalle carestie e dalle cattive condizioni igieniche;
in secondo luogo dalle guerre, come la stessa Guerra dei Trent’anni che aveva decimato la popolazione tedesca.

Alcuni storici ritengono che questo problema fosse in realtà speculare di una crisi più ampia dovuta proprio alla sottoalimentazione determinata dalla scarsa produttività agricola tedesca: infatti è evidente che la crisi non si presentò allo stesso modo in tutta l’Europa, e la stessa Inghilterra e l’Olanda, che pure non furono immuni alle pestilenze, conobbero pure un incremento della popolazione, segno che evidentemente esistevano carenze sotto altri punti di vista, come la produzione insoddisfacente.

Agricoltura – Nel Seicento assistiamo a una vera e propria inversione di tendenza rispetto al secolo precedente, con una progressiva diminuzione della produzione, causata principalmente dall’arretratezza delle strutture e dal riconsolidarsi di forme di dipendenza feudale; a questo va aggiunto un calo dei prezzi e una deficienza di terre da coltivare, anche perché la scarsa redditività di certi fondi determinò l’abbandono degli stessi al pascolo brado, con grave detrimento delle derrate alimentari, all’origine delle carestie e delle epidemie. Il conseguente calo dei prezzi peggiorò ulteriormente la situazione e soprattutto nei paesi mediterranei, molto più arretrati rispetto al resto d’Europa.
Come già si è visto il problema fu affrontato in modo diverso nelle diverse aree geografiche: nell’area mediterranea si riafferma una sorta di feudalizzazione, generata ovviamente dalla preoccupazione dell’aristocrazia terriera di perdere i propri privilegi, con conseguenti vessazioni per i contadini e col riaffermarsi di antichi diritti di pedaggio e di caccia, retaggio del Feudalesimo; questa situazione comportava la ruralizzazione della società e il manifestarsi di pericolosi sintomi di arretratezza sociale e culturale; nell’area settentrionale dell’Europa si va affermando invece un processo di modernizzazione delle strutture produttive che, soprattutto in Olanda, permette di integrare meglio l’attività dell’allevamento con la messa a coltura di piante da foraggio e un conseguente aumento della quantità di carne e di prodotti lattiero-caseari. In Inghilterra nasce invece la moderna azienda agraria, portata avanti dalla cosiddetta gentry (i gentiluomini di origine borghese nobilizzati col titolo di sir) e dagli yeomen, i contadini liberi: viene infatti adottata la politica delle enclosures che distruggeva la vecchia concezione comunitaria dei campi aperti (open fields) per sposare una nuova concezione gestionale più avanzata, che aveva tra i suoi vantaggi la nascita di una manodopera salariata e l’indirizzamento della produzione verso il mercato dell’esportazione. Ecco perché soprattutto in questa zona si crearono i migliori presupposti per un incremento demografico e ovviamente per lo sviluppo delle industrie manifatturiera e agricola. Certo, questo avanzamento non nascondeva i problemi, poiché la politica delle chiusure accentuava lo stato di miseria dei contadini senza terra, che spesso si davano al vagabondaggio.

L’industria – Tra il 1609 e il 1613 inizia la decadenza delle principali attività manifatturiere, che risentono del contraccolpo della crisi demografica e produttiva: anche qui però dobbiamo sempre distinguere il diverso effetto nelle due aree geografiche, poiché nell’Europa settentrionale assistiamo a un vero e proprio rilancio di queste attività. La crisi più forte si ebbe nel settore tessile e si fece sentire soprattutto in Italia e nei paesi limitrofi. Le ormai desuete tecniche di lavorazione laniera e spesso i massacranti turni di lavoro, finirono per segnare una violenta battuta d’arresto nel settore, e proprio nei centri dove la produzione era sempre stata di grossa portata, come l’Italia e le Fiandre. Per contro resisteva il settore serico.
In Inghilterra si afferma un nuovo prodotto laniero, le new draperies, ossia tessuti di lana non ottimi ma comunque validi, e soprattutto iniziano a formarsi piccole aziende a conduzione familiare in cui lavorano sia le donne sia gli uomini. La massificazione della lana rese il prodotto più vendibile e questo aumentò la portata dei traffici verso l’esterno.

Geografia – Questa crisi influiva ovviamente anche sui traffici internazionali dei paesi dell’area mediterranea e si traduceva in tre sotto-crisi:

crisi del ruolo distributore del Mediterraneo, e conseguente spostamento del polo del mercato import-export verso l’Atlantico settentrionale e il mare del Nord;
crisi del ruolo produttivo del Mediterraneo e in primo luogo dell’Italia, che doveva subire la spietata concorrenza dei mercanti anglo-olandesi, diventando da esportatore importatore dei manufatti;
crisi del ruolo politico del Mediterraneo, poiché ormai la decadenza della Spagna e dell’Impero Ottomano cedeva inevitabilmente il passo al superiore mercato inglese e olandese e di conseguenza maggiorava il ruolo politico e sociale dei due paesi.

Dal bacino del Mediterraneo l’attenzione va spostandosi verso le rotte atlantiche, assolute protagoniste dei traffici mercantili inglesi e principalmente olandesi. Tra i generi di importazione ricordiamo le spezie, le stoffe di cotone indiano, lo zucchero, il caffè, il tè, il tabacco e il cacao; si diffonde la patata. Tra i lati negativi la tratta degli schiavi e il loro utilizzo nelle attività coloniali inglesi, olandesi e spagnole.

Colonialismo – Si afferma così un nuovo colonialismo, dal carattere spiccatamente economico e commerciale, e ad opera delle grandi compagnie commerciali inglesi e olandesi.
Le nuove colonie inglesi assumono quindi un ruolo essenzialmente produttivo, anche se va riscontrata un’ampia tipologia di utilizzo, come ad esempio il caso delle Piccole Antille, le cosiddette isole inutili, usate dapprima da Francesi, Inglesi e Olandesi come base dove far partire gli attacchi corsari ai galeoni spagnoli e poi trasformate in piantagioni, oppure il caso del Nord America, usato come colonia di popolamento dove trarre ex galeotti e disoccupati, incaricati presso le locali piantagioni, e più tardi abitato dai Puritani inglesi, i cosiddetti 102 Padri Pellegrini fuggiti dall’ingerenza degli Stuart, che a bordo della Mayflower giunsero nel 1620 sulle coste di quello che poi sarà detto Massachussetts, fondando la città di New Plymouth.
Il colonialismo olandese si rivolgeva invece preferibilmente verso l’Asia, usata però quasi esclusivamente per questioni mercantilistiche. Porti olandesi si aprirono comunque anche sull’Atlantico, come le colonie della Guyana olandese, strappata ai portoghesi e delle Antille, e soprattutto come la colonia di popolamento di Nuova Amsterdam, poi ceduta agli inglesi, che diventerà New York. L’impero coloniale olandese si fonda sull’iniziativa delle due Compagnie delle Indie, operanti sui mercati asiatici e americani. Proprio la Compagnia Riunita delle Indie Orientali è la protagonista assoluta del rilancio della presenza europea in Asia, principalmente nell’arcipelago indonesiano e nell’Oceano Indiano.
Anche la Francia dava il via alla propria espansione coloniale, operando nelle coste atlantiche americane – si ricorda principalmente la penetrazione in territorio canadese con la colonia del Québec – e nel sud degli odierni Stati Uniti, in cui la stanzializzazione si attiva maggiormente durante il periodo di Colbert. Molto attive furono però anche le colonie fondate dalle Compagnie Francesi delle Indie in Asia e Africa.

Mercantilismo – La politica mercantilistica, già vista durante il periodo di Filippo II, fu semplicemente una necessità, adoperata dalle grandi potenze per aumentare la ricchezza interna e incentivare quindi il proprio ruolo politico internazionale: il metodo era quello di frenare le importazioni, incentivando invece il mercato export tramite l’attività delle Compagnie nazionali delle Indie.. Tra le potenze quella che adottò una politica di mercato migliore fu la Francia assolutista di Colbert, durante il regno di Luigi XIV, non solo con l’attività delle Compagnie ma anche con la promozione delle attività manifatturiere francesi nel settore delle merci di lusso.      

L’EUROPA NELLA PRIMA META’  DEL SEICENTO

Il Seicento, come abbiamo visto, si apre all’insegna della pacificazione, dopo le morti di Filippo II e di Elisabetta I, ma con un equilibrio politico europeo ancora precario e soprattutto compromesso dalle tensioni di natura politico-religiosa che sopravvivevano soprattutto nella parte centrale dell’Europa. Teatro delle maggiori vicende di questa prima metà del secolo diciassettesimo fu la Germania, dove i cattolici Asburgo avevano imposto la loro confessione religiosa, provocando la vivace reazione della Boemia e aprendo quindi la cosiddetta Guerra dei Trent’Anni. La reazione boema era supportata dai principi protestanti tedeschi, ma coinvolse anche la Danimarca, la Svezia, la Francia e l’Olanda, mentre le due famiglie asburgiche, quella tedesca e quella spagnola, fecero fronte comune con la nobiltà cattolica tedesca. Carattere positivo del conflitto fu indubbiamente il nuovo e stabile assetto politico che emerse con la Pace di Westfalia del 1648, pace che chiudeva non solo la Guerra dei Trent’Anni e la prima metà del secolo, ma anche il progetto asburgico di egemonizzazione della Germania: la Francia usciva come nuovo leader politico europeo, e si rafforzavano i ruoli di Svezia e Olanda.
Abbiamo dunque osservato come la Francia si fosse ripresa dalla guerra di religione tra i cattolici e gli ugonotti, con il regno del convertito Enrico IV. Ma la situazione di fatto era ancora instabile e precipitò quando Enrico promosse una Lega antiasburgica con l’appoggio delle monarchie protestanti e di alcuni principi cattolici. Nel 1610 il re francese viene assassinato da un cattolico fanatico e il progetto di espansione a danno degli Asburgo viene accantonato a causa di forti contrasti interni. Nel frattempo però ricomincia l’attività militare della Spagna, toccata da vicino con l’occupazione sabauda del Monferrato, territorio strategicamente essenziale, che viene dunque strappato a Carlo Emanuele I e restituito ai Gonzaga, e al nord della Svezia, decisa a imporre la sua autorità sul Baltico.
In realtà il vero e proprio avvenimento politico e militare di questo periodo fu la Guerra che per trenta anni e durante quattro fasi oppose le principali case regnanti europee. Il conflitto non era inatteso: nel 1608 veniva sciolta la Dieta Imperiale, nata dalla Pace di Augusta, e al suo posto si formavano due leghe, l’Unione Evangelica, capeggiata dai principi protestanti del Palatinato, e la Lega Cattolica, capeggiata dai principi cattolici della Baviera; l’aristocrazia tedesca era divisa e in conflitto, e la decisione degli Asburgo di imporre la religione cattolica aveva provocato la reazione delle autonomie locali tedesche. A peggiorare la situazione era però il supporto logistico garantito alle due fazioni dalle aristocrazie europee della stessa confessione religiosa, che finì con l’inasprire ulteriormente la spaccatura già esistente tra cattolici e protestanti.


LA GUERRA DEI TRENT’ANNI

La causa – Scintilla del conflitto fu la cosiddetta questione boema. La Boemia era un paese a fortissima identità nazionalista, il cui sovrano era per consuetudine nominato da una Dieta nobiliare, ma la vera sovranità era in realtà appannaggio degli Asburgo. Rodolfo II d’Asburgo aveva stabilito la libertà religiosa in Boemia con la Lettera di Maestà del 1609. Il cattolico Ferdinando d’Asburgo, designato re dal malato cugino Mattia e poi eletto dalla Dieta, non rispetta però il principio di libertà religiosa e adotta pesanti contromisure contro i protestanti, provocando quindi l’insurrezione della popolazione. Il 23 maggio 1618 a Praga la folla assalta il palazzo reale, defenestra i rappresentanti di Ferdinando e costituisce un governo provvisorio e un esercito autonomo. La corona del deposto re viene offerta al calvinista Federico V, Elettore del Palatinato, provocando lo scoppio della guerra.

Periodo boemo-palatino (1618/1623) – Mentre la rivolta si estendeva alla vicina Ungheria un esercito imperiale fu inviato in territorio boemo per controllare la situazione. L’anno successivo Federico V veniva eletto re, ma mentre le forze cattoliche erano supportate dalle altre potenze e dalla Chiesa, i principi protestanti furono abbastanza tiepidi verso il nuovo re. Nel 1620 l’esercito cattolico guidato dal Generale Tilly sconfigge i ribelli nella battaglia della Montagna Bianca. La Boemia fu duramente punita e quindi ricattolicizzata e rigermanizzata con un severo disegno di repressione: i nobili protestanti furono privati delle terre, che furono affidate ai nobili cattolici, mentre i capi della rivolta furono messi a morte; il re d’inverno, Federico V, riuscì a riparare in Olanda; i protestanti furono costretti a convertirsi pena l’esilio, e fu imposta la lingua tedesca. Il Palatinato fu occupato dai due eserciti asburgici e fu privato della prerogativa elettorale, assegnata alla cattolica Baviera.
Ma le tensioni non erano affatto sopite. Effetto principale del conflitto fu senza dubbio l’internazionalizzazione, che coinvolse subito la Spagna cattolica contro l’Olanda protestante e la Francia di Richelieu contro l’Impero asburgico.

Periodo danese (1625/1629) – Nel frattempo la Francia di Richelieu, preoccupata per la ripresa della Spagna e dell’Impero asburgico, decide di aizzare contro i principi cattolici le regioni settentrionali dominate dai protestanti e finanzia l’intervento antiasburgico del re danese Cristiano IV. Cristiano viene però sconfitto dai due eserciti, quello cattolico guidato dal Tilly e quello imperiale guidato dal Wallenstein, e costretto a firmare la pace di Lubecca nel 1629. Ferdinando II impone ulteriormente ai principi protestanti l’Editto di Restituzione, con cui obbliga i principi neoconvertiti al protestantesimo dopo il 1552 alla restituzione delle terre concesse in beneficio dalla Chiesa Cattolica, secondo i dettami del reservatum ecclesiasticum.

Periodo svedese (1620/1635) – Conclusosi bruscamente il ruolo di leadership antiasburgica e anticattolica della Danimarca, la missione viene affidata alla Svezia, dove regnava il giovane e abile re Gustavo Adolfo, protagonista di un ambizioso disegno di espansione territoriale sul Baltico. Sponsorizzato dalla Francia e dall’Olanda Gustavo Adolfo invade l’Impero Asburgico, e nel 1631 sconfigge a Breintesfeld l’esercito guidato dal Tilly, invadendo la Baviera. Sull’altro fronte l’esercito del Wallenstein riesce a sconfiggere gli Svedesi a Norimberga lo stesso anno, ma viene fermato a Lutzen, dove però il re svedese muore. Il riscatto delle sorti cattoliche viene ristabilito a Nordlingen nel 1634.

Periodo francese (1635/1648) – A questo punto la stessa Francia decide di intervenire direttamente nel conflitto. Appoggiata dagli eserciti svedese e olandese l’esercito francese guidato dal principe di Condè affronta con successo le fanterie spagnole a Rocroi, nelle Fiandre, dove la Spagna segna nel 1643 una pesantissima débacle. Logorati dalla guerra e vessati dalla grave crisi economica di cui già si è detto, i due contendenti decidono di attivare le trattative di pace a Munster e Osnabruck; dopo quattro anni la pace di Westfalia chiudeva nel 1648 le sorti della guerra.

Conseguenze:

fine del predominio asburgico in Europa;
fine del disegno di pangermanizzazione dell’Europa;
l’impero asburgico si frammenta in una confederazione di stati;
impotenza politica e militare della Germania;
completa autonomia dell’Olanda dalla Spagna;
ruolo incontrastato della Svezia sul Baltico;
egemonia francese in Europa.
ITALIA

L’Italia fu coinvolta solo marginalmente nelle questioni belliche francesi e spagnole, e gli unici territori interessati dalla guerra  furono il Monferrato e la Valtellina. Nel Seicento inizia a farsi sentire meno pesante l’assoggettamento degli stati italiani alla Spagna degli Asburgo, sostituita dal ruolo egemonico della Francia di Enrico IV.

Venezia e Papato – La contesa tra la Repubblica di Venezia e il Papato nasce in seguito alla politica perseguita dalla Serenissima che tendeva a sottoporre il clero alla stessa giustizia laica, provocando la reazione del papa Paolo V; la tensione si inasprisce quando due preti accusato di violenze vengono arrestati: il papa fulmina Venezia con l’interdetto, un provvedimento pontificio affine alla scomunica, con cui si vietava sul suolo veneziano ogni celebrazione religiosa. Ma la repubblica ritiene nullo il provvedimento e reagisce all’interdetto con l’espulsione dei Gesuiti, che erano alleati del papa. Le ragioni della resistenza all’interdetto vennero portate avanti da un religioso dell’ordine dei Servi di Maria, lo storico Paolo Sarpi, che inizia una dura lotta ideologica col Papato e viene appoggiato dai protestanti olandesi e inglesi che lo acclamavano come un nuovo Lutero. La vertenza, che rischiava di scatenare una nuova guerra di religione, viene mediata dall’intervento della Francia di Enrico IV: Venezia continuava a dichiarare nullo il provvedimento papale e si impegnava per salvaguardare la vita del Sarpi, il papa fu costretto suo malgrado a ritirare l’interdetto.

Savoia – Carlo Emanuele I, succeduto a Emanuele Filiberto, abbandona la politica pacifica di impronta paterna e si impegna in una contesa de finibus con la vicina Francia: col trattato di Lione del 1601 i Savoia ottengono il marchesato di Saluzzo e cedono alla Francia tre piccoli centri presso Lione e Ginevra. La politica sabauda si intreccia a quella francese in occasione delle due guerre del Monferrato, territorio strategicamente appetitoso, lasciato vacante dopo la morte dell’ultimo Gonzaga, e protetto dalla Spagna per questioni di confine. L’accordo di Bruzolo sancisce l’alleanza tra Savoia e Francia. Questa alleanza si rivelerà però inefficace e in un secondo momento la stessa Francia obbligherà il nuovo duca Vittorio Amedeo I di Savoia a cedere Pinerolo con la pace di Cherasco, mantenendo per tutto il secolo una forte influenza sul ducato.

Napoli – La Spagna continua a controllare il regno di Napoli, dove vengono concessi privilegi sempre più forti alla nobiltà e al clero, mentre le classi più umili vengono oppresse da un severissimo regime fiscale. A farsi carico del malcontento è primariamente un religioso, Giulio Genoino, che cerca di convincere il vicerè a favorire la borghesia in luogo della nobiltà locale; ma il suo progetto viene vanificato dalle invidie e dalle dicerie che mettono in cattiva luce lo stesso vicerè, richiamato subito a Madrid. Nel frattempo la Francia inizia a penetrare nel Mediterraneo e il nuovo vicerè, per arginare un eventuale pericolo, appronta delle misure ancora più serie, tra cui una gabella sulla frutta. Proprio questa tassa, che toccava un alimento usuale per le masse, innesca la rivolta popolare guidata dal pescivendolo Masaniello, affiancato dal Genoino. Il vicerè ritira subito il provvedimento ma il malcontento non si placa e finisce per travolgere lo stesso leader Masaniello, che viene ucciso. L’aristocrazia organizza subito una feroce repressione con le cosiddette masnade, mentre le masse popolari, guidate da Gennaro Annese, si scontrano con la borghesia che sposa le tesi politiche del Genoino. La Francia resta neutrale e si limita a inviare quale mediatore il duca di Lorena Enrico di Guisa, che si allea con la nobiltà provocando negli stessi ceti popolari un nuovo malumore che li porta a favorire il nemico spagnolo sotto le vesti dell’inviato don Giovanni d’Austria. Il 5 aprile del 1648 Napoli è nuovamente in mani spagnole.

Lombardia -  La Lombardia viene coinvolta nella Guerra dei Trent’Anni e nella seconda guerra del Monferrato, in cui partecipa all’assedio della città di Mantova, roccaforte dei Gonzaga: celebre è l’episodio della discesa dell’esercito imperiale tedesco, che provocò la diffusione della peste anche in Italia, descritto da Manzoni nei Promessi Sposi.

Altri stati italiani – Gli stati italiani indipendenti dalla Spagna consolidarono il proprio ruolo politico. La Toscana dei Medici diventa filofrancese per via del matrimonio tra Cosimo III e Margherita di Orléans. La Chiesa oscilla tra tendenze filospagnole e filofrancesi, con un forte dissidio tra Innocenzo XI e Luigi XIV. Genova infine è costretta a mantenere un rapporto saldo con la Spagna a causa degli interessi finanziari.

SPAGNA

La Guerra dei Trent’Anni aveva palesato non solo la decadenza ormai in atto della Spagna, ma anche lo squilibrio tra le aspirazioni della corona spagnola e la debolezza delle sue strutture economiche e sociali. L’erede di Filippo II, Filippo III, era stato costretto ad aprire il secolo con una pacificazione, dovuta però alla cronica crisi economica che impediva alla Spagna una discesa in campo nel nuovo assetto territoriale europeo. Il territorio spagnolo era frazionato in agglomerati in perenne tensione tra loro, gelosi delle proprie autonomie locali e giuridiche; l’economia era arretratissima e ancora dominata dal latifondo, così come gli altri paesi mediterranei, dove il processo di rifeudalizzazione aveva riportato nuovi aggravi fiscali a danno delle masse contadine; la società era disomogenea e stratificata, divisa tra cortigiani, funzionari statali, clero e nobiltà terriera, nobiltà minore (hidalgos e caballeros) e contadini poveri.
Nella prima metà del secolo si segnala, oltre all’intervento nella Guerra dei Trent’Anni a fianco degli Asburgo (elemento che peggiorò le condizioni finanziarie dello stato) anche la ripresa della guerra con l’Olanda, durante il regno di Filippo IV. Durante questo periodo la Spagna è governata dal carismatico primo ministro Gaspar de Olivares, abile organizzatore e statista, autore di una poderosa riforma politico-economica, volta a obbligare tutti i territori della corona al pagamento proporzionato dei tributi, e all’unificazione militare in un esercito comune, la cosiddetta Union de las Armas. Il disegno di riforma dell’Olivares si diresse altresì alla costituzione di una nuova economia di mercato, che traesse spunto dalle strategie mercantilistiche dei più progrediti paesi europei e di un sistema bancario nazionale che liberasse la Spagna dai debiti contratti con i finanziatori esteri. Le severe misure fiscali del primo ministro risanarono in parte le casse dello stato ma provocarono l’insorgere delle province che non volevano piegarsi alle vessazioni: oltre alla rivolta popolare di Napoli, guidata da Masaniello, insorsero nel 1640 anche la Catalogna e il Portogallo, che proclamarono la propria indipendenza. La Catalogna verrà riconquistata nel 1652, mentre il Portogallo diventerà indipendente nel 1668. Nel 1648 la Spagna mette la parola fine alla guerra con l’Olanda e ne riconosce l’indipendenza, ma non firmò la pace di Westfalia, continuando la guerra con la Francia sui due fronti, quello pireneo e quello olandese. Con l’appoggio dell’Inghilterra la Francia sconfigge definitivamente l’esercito spagnolo nel 1658 alle Dune, presso i Pirenei; costretti alla resa, gli Spagnoli firmano l’onerosa pace dei Pirenei nel 1659, suggellata dal matrimonio di Luigi XIV con Maria Teresa, figlia di Filippo IV, matrimonio che legava le due corone. Nella seconda metà del secolo, il regno di Carlo II, malato e senza eredi, scatenerà le velleità delle principali potenze europee.  

OLANDA E SVEZIA

Olanda - Durante la prima parte del secolo diciassettesimo si consolida la nuova identità politica dell’Europa settentrionale e orientale. La protestante Olanda, a maggioranza calvinista, resasi indipendente dalla Spagna, si costituisce come repubblica unificando le sette province che dettero vita al movimento di lotta antispagnola. Ognuna di queste sette province è indipendente politicamente e ideologicamente dalle altre, è retta da uno stadhouder, ed è rappresentata dai deputati presso gli organismi centrali, chiamati Stati Generali; accanto agli Stati Generali è in carica un Gran Pensionario, una specie di governatore civile, eletto per cinque anni e uno stadhouder generale. La repubblica olandese era molto ricca e viveva una florida economia di mercato, basata sui commerci con l’estero e sull’attività delle Compagnie delle Indie, e naturalmente sulla libera proprietà contadina che nelle campagne si era sostituita alla servitù della gleba. Tra i punti di forza dell’economia olandese vi era la Borsa di Amsterdam, che con la Banca costituiva il serbatoio dell’intensa attività finanziaria delle compagnie commerciali. La diversità tra le due cariche politiche di stadhouder e di Gran Pensionario provocano una pericolosa frattura tra i ceti popolari calvinisti, fautori di un modello politico a forte connotazione centralista, e il patriziato locale che ambiva a una politica di pace e tolleranza e alla totale indipendenza delle sette province: questa frattura degenera in una tensione politica tra lo stadhouder Maurizio di Orange-Nassau e il Gran Pensionario in carica Oldenbarneveldt. Era evidente che le due cariche politiche rappresentavano anche due concezioni politico-sociali in conflitto. Dopo una serie di vicende che vedono prevalere l’indirizzo politico dello stadhouder Maurizio, dopo la pace di Westfalia viene ripristinata la figura del Gran Pensionario e inizia uno dei periodi più importanti della storia europea in cui l’Olanda diventa modello di tolleranza religiosa e di convivenza civile, oltre a segnare il periodo di massima attività economica e finanziaria.

Svezia - La Svezia consolida nel primo Seicento il suo predominio sul Baltico a danno della Danimarca, della Polonia e della Russia. L’intervento nella Guerra dei Trent’Anni consente alla Svezia di aumentare la sua leadership, a coronamento della già forte espansione territoriale portata avanti dal re Gustavo Adolfo, che strappa la Carelia e l’Ingria alla Russia e la Livonia alla Polonia, per poi morire, come si ricorderà, sul campo di battaglia di Lutzen.

FRANCIA

Il regno di Enrico IV, piegatosi alla conversione per un tornaconto dinastico, procurò effettivamente alla Francia un periodo di estrema tranquillità, ma solo di facciata, poiché i contrasti di natura politico-religiosa non si erano affatto spenti. Lo stesso re cade infatti vittima di un attentato, per mano del frate integralista François Ravaillac. Durante il regno di Enrico IV l’economia francese si era ritagliata un ampio spazio tra le economie europee, soprattutto per merito del duca di Sully, ugonotto, a cui Enrico aveva affidato la direzione delle finanze e che si era impegnato in un imponente disegno di modernizzazione incoraggiando lo sviluppo dell’agricoltura e delle manifatture statali, e promuovendo un’importantissima politica mercantilistica, che consentì alle finanze francesi di essere risanate e quindi riordinate in modo razionale. Tra le misure fiscali più importanti ricordiamo la paulette, cioè la legalizzazione della vendita degli uffici pubblici, che potevano essere ereditati col pagamento di una tassa. Proprio mentre progettava una politica espansionistica, Enrico viene assassinato, nel 1610, dal Ravaillac, che intendeva così vendicare l’Editto di Nantes, che concesse ampia libertà ai protestanti.
Morto Enrico sale al trono per dieci anni la reggente italiana Maria de’ Medici, che si trova però a non saper gestire in modo efficace le tensioni tra le fazioni religiose e tra i membri delle due classi sociali della nobiltà di toga e della nobiltà di spada: questi ultimi non vedevano di buon occhio l’istituzione della paulette e dell’alienazione dei pubblici uffici. Nel 1614  la nobiltà di spada chiede la convocazione degli Stati Generali e fa sì che la paulette venga eliminata e che la nobiltà di toga sieda col terzo stato in Parlamento. La paulette viene ripristinata nel 1620.
Lo stesso anno esce dalla minore età il delfino francese, Luigi XIII, che assume il potere e, quattro anni più tardi, affida il governo dello stato al cardinale Armand du Plessis de Richelieu. Il governo di Richelieu incarna quanto Bodin aveva espresso in merito alla centralità e all’assolutismo del potere regio, che veniva a costituire la più alta sovranità dello stato contro le spinte centrifughe delle autonomie locali. L’operato del primo ministro in politica estera si concentra soprattutto sulla Guerra dei Trent’Anni e sull’alleanza antiasburgica con Olanda e Danimarca. In politica interna si afferma una nuova repressione ai danni della comunità ugonotta, le cui piazze di libera sicurezza costituivano ormai uno stato dentro lo stato ed erano guardate con sospetto. Per questo tra il 1627 e il 1628 la fortezza più famosa, La Rochelle, viene messa a ferro e fuoco e, nonostante l’appoggio della flotta inglese, è costretta a capitolare. La successiva pace di Alès del 1629 restituisce agli ugonotti la libertà di culto e l’accesso ai pubblici uffici, ma li obbliga a smantellare le piazze di sicurezza concesse con l’Editto di Nantes.
Conclusa la controversia religiosa, il Richelieu si impegna a ripulire la corte francese dei vari personaggi loschi e corrotti di cui si era circondata la regina, obbligando la stessa regina all’esilio; con l’intervento nella guerra di successione del Monferrato impone una sudditanza della Savoia alla corona francese con la pace di Cherasco (cfr.), supporta l’intervento svedese nella Guerra dei Trent’Anni per poi intervenire direttamente nel conflitto, da cui la Francia esce quale potenza vincitrice. Ma l’ultima parte del governo di Richelieu fu minata dalle rivolte scoppiate nel paese. Come nel caso della Spagna dell’Olivares i contadini non sopportavano le forti pressioni fiscali a cui erano sottoposti, e ancor più il regime di feudalizzazione esercitato nei loro confronti dalla nobiltà che si vedeva sempre più ristretta nella concessione dei privilegi; sul fronte opposto la stessa nobiltà di spada era ormai ostile alla corona per via della restaurazione della paulette e del peso che continuavano ad avere negli uffici statali gli appartenenti alla nobiltà di toga; infine questi ultimi erano in lotta contro le limitazioni fiscali imposte loro dagli attendenti.
Nel giro di pochi mesi, nel 1642, muoiono sia Richelieu sia il re Luigi XIII. Il delfino era il piccolo Luigi XIV, affidato poiché minorenne alla reggenza della madre Anna d’Austria. Primo ministro era un altro cardinale, l’italiano Giulio Mazarino, indicato dallo stesso Richelieu come suo successore. Le vittorie di Rocroi e di Lens dell’esercito francese guidato dal principe di Condè regalano alla Francia la vittoria nella Guerra dei Trent’Anni e la posizione egemone che conserverà per tutto il secolo, ma il severo regime di pressione fiscale intensificato da Mazarino per arginare le difficoltà finanziarie derivanti dall’intervento armato provocarono una nuova serie di malumori e di tensioni sociali.
Nel 1648 viene firmata la Pace di Westfalia ma la Spagna non intende cedere e continua la guerra con la Francia. Lo stesso anno, mentre Mazarino restaurava la paulette, scoppiava la Fronda parlamentare, rivolta aperta e dichiarata, che supportava un programma di riforme tese a ripristinare un potere meno oppressivo. Mazarino fece arrestare subito alcuni esponenti della Fronda: per reazione Parigi insorge e la rivolta si estende anche alle province, costringendo Mazarino a fuggire. Pochi mesi dopo la pace di Rueil chiude la controversia, ma scoppia subito un’altra Fronda, guidata dai nobili di spada con alla testa lo stesso principe di Condè. La Fronda principesca fu molto più estesa e pericolosa di quella parlamentare e mirava a cacciare Mazarino per riportare il potere regio sotto la propria influenza. La pericolosità era acuita soprattutto dalla partecipazione del popolo che si era sentito tradito dalla Fronda parlamentare dopo la firma della pace di Rueil ed era confluito tra i frondisti della nobiltà di spada.

INGHILTERRA

Tre erano le istituzioni che si fronteggiavano in Inghilterra durante la prima parte del Seicento: da un lato vi era la monarchia degli Stuart, decisa a promuovere un deciso assolutismo, dall’altro la Chiesa Anglicana, che voleva esercitare il controllo sulla corona, e il Parlamento, che era rappresentato dalla borghesia e dalla gentry. Nell’ultima parte della prima metà del   secolo, durante il regno di Carlo I Stuart, la tensione tra monarchia e Parlamento degenera nella Guerra Civile, che sotto la guida del Cromwell sconfigge il re e indice il regime repubblicano.
Come si ricorderà, dopo la segregazione e la condanna a morte della sfortunata regina di Scozia Maria Stuart, il di lei figlio Giacomo era stato preso in consegna dai protestanti per essere cresciuto nella religione riformata e, con il placet di Elisabetta, priva di discendenti diretti, era stato designato erede della corona unificata di Inghilterra e Scozia. Giacomo I era come sovrano espressione dell’assolutismo politico e della monarchia come diritto divino (non est potestas nisi a Deo, nessun potere se non dato da Dio)  e il suo primo atto da sovrano fu la pace con la Spagna nel 1604, sancita dal Trattato di Londra. Ma l’atmosfera era tutt’altro che pacifica: nello stesso anno infatti  i vescovi anglicani riuniti ad Hampton Court condannano il cattolicesimo e il puritanesimo - espressione della confessione anglicana più liberale e fautrice della separazione tra Chiesa e Stato – e l’anno successivo viene scoperta la Congiura delle Polveri, ordita dai cattolici reazionari per far saltare il Parlamento.   
La società inglese del periodo contava una ristretta oligarchia composta dalle famiglie dell’aristocrazia terriera, dai Lord o Pari e dai Vescovi della Chiesa Riformata. Era un periodo di intensa trasformazione economica, politica e sociale: nelle campagne erano molto attivi i membri della piccola nobiltà terriera della gentry, gli yeomen o contadini liberi e i liberi affittuari agricoli detti free-holders, mentre nelle città la borghesia e i mercanti iniziavano gradualmente la loro ascesa. La modernizzazione delle strutture sociali era stata infatti segnata dalle enclosures nelle campagne, ossia dalla recintazione dei vecchi open fields che assumevano un carattere ora non più feudale,  e dalla crescita delle aziende manifatturiere nelle città, che richiamavano spesso manodopera, favorendo l’inurbazione delle masse rurali.
Sul fronte religioso il terreno di scontro coinvolge la Chiesa Nazionale Anglicana e il suo impianto politico e spirituale e le comunità dei puritani che vorrebbero una chiesa più liberale e lontana da quelle forme esteriori che erano state condannate nel cattolicesimo. In realtà la contesa aveva un preciso carattere politico, in quanto la Chiesa Anglicana esercitava, con l’Atto di Supremazia, un effettivo controllo sugli affari di stato, mentre i puritani si battevano per una politica antiautoritaria e antiassolutista.
Nel 1625, alla morte di Giacomo I, sale al trono il figlio Carlo I, che entra subito in collisione col Parlamento quando, per far fronte alle spese di intervento militare, chiede l’emanazione di nuove e pesanti misure fiscali. La sua missione  protestante lo porta infatti sia nell’intervento a supporto dell’Olanda nella Guerra dei Trent’Anni, sia nell’aiuto dato agli ugonotti francesi assediati alla Rochelle. Le due camere convocate presentano tuttavia a Carlo la Petition of Right (dichiarazione dei diritti) con cui il sovrano si sarebbe impegnato a chiedere sempre al Parlamento l’autorizzazione a esercitare qualsiasi nuova misura di esazione fiscale e a concedere un regime più liberale. Carlo suo malgrado accetta, ma il contrasto col Parlamento aumenta al punto che nel 1629 le due Camere vengono sciolte e il leader parlamentare John Eliot è rinchiuso nella Torre di Londra, dove tre anni dopo morirà.
Nel 1629 comincia il governo assolutista di Carlo I, che guida direttamente il Parlamento coadiuvato dal primo ministro Thomas Wentworth, conte di Strafford, e dall’arcivescovo di Canterbury William Laud.  I puritani riparano sulle coste atlantiche dove fondano diverse colonie. Carlo I emana tassazioni abusive come la ship money, esazione imposta a Londra e alle città costiere per la costruzione della flotta; l’arcivescovo di Canterbury tenta di imporre la religione anglicana in Scozia, provocando la prima delle rivolte che metteranno fine alla monarchia degli Stuart.
Proprio la rivoluzione dei presbiteriani scozzesi impone a Carlo Stuart un nuovo disegno fiscale, per cui il sovrano si trova nella necessità di convocare il Parlamento, dapprima in una versione ristretta (lo short parliament, o Parlamento Corto) che durerà pochi mesi, sciolto dopo la richiesta degli stessi parlamentari di abolire la ship money, e quindi in una versione normale (long parliament, o Parlamento Lungo) guidata dai leader puritani Pym e Hampden, che durerà tredici anni. Il nuovo parlamento chiede l’immediata abrogazione degli organi più repressivi della corona e l’annullamento della ship money; chiede inoltre la destituzione e l’arresto di lord Strafford, colpevole di alto tradimento; e infine promuove col Root and Branch Bill una radicale riforma della chiesa Anglicana. La situazione della chiesa nazionale costituiva infatti una vera e propria spina nel fianco per i parlamentari inglesi, che nel 1642 approvano la Grande Rimostranza, un documento che denuncia le violazioni e le illegalità perpetrate dai membri della chiesa stessa chiedendo il controllo del parlamento sulle attività della chiesa Anglicana. Ma Carlo Stuart non molla e fugge da Londra, organizzando un proprio esercito, mentre lo stesso parlamento si organizza militarmente: nel giugno del 1642 iniziava così la guerra civile, che si combatte tra i Knights, i Cavalieri, ossia l’esercito stuartiano, e i Round Heads, le Teste Rotonde (il nome derivava dall’uso puritano di tenere i capelli cortissimi), fedeli  al parlamento. Dopo un primo bilancio a favore dei Knights, il parlamento affida le sorti della guerra a Oliver Cromwell, che assolda un nuovo esercito formato da cavalieri, detto Iron Sides ossia fianchi di ferro, che nel 1644 sconfigge a Marston Moor la cavalleria regia. Pochi mesi dopo Cromwell costituisce un nuovo esercito di ventiduemila uomini, la New Model Army, che nel giugno del 1645 sconfigge definitivamente Carlo I a Naseby: il re è catturato e consegnato al Parlamento. Padrone della scena politica, il parlamento inglese inizia lo smantellamento delle strutture più oppressive della chiesa Anglicana, che viene ridimensionata nel suo classico tratto episcopalista, ma le divisioni tra i parlamentari, politiche e religiose, influenzano lo sviluppo della situazione: a rendere le cose difficili è l’atteggiamento oltranzista dei cosiddetti Levellers che erano favorevoli a un regime repubblicano, mentre la controparte presbiteriana sosteneva la possibilità di un dialogo col re a patto che questi accettasse il controllo del parlamento sulla corona. Riunite a Putney le due fazioni si scontrano sul radicale Patto del Popolo (Agreement of People) il documento con cui i Levellers chiedevano la repubblica, contrastati dalle posizioni più blande del Cromwell che riesce a non far approvare il documento. Una svolta si ebbe improvvisa con la fuga di Carlo I in Scozia, deciso a riprendere la guerra civile. Cromwell procede all’epurazione delle fazioni più estreme del parlamento promuovendo il cosiddetto Rump Parliament, troncone di parlamento, così chiamato perché composto da soli sessanta indipendenti. Gli scozzesi vengono sconfitti a Preston e per salvarsi consegnano Carlo I all’esercito parlamentare. Processato per alto tradimento, il re viene giustiziato nel 1649.