lunedì 20 giugno 2016

Classe 3 Modulo 2 S

CLASSE TERZA - MODULO 2 - STORIA
Il Basso Medioevo (seconda parte)

IL TRECENTO

I secoli XIV e XV rappresentano un momento critico nella storia europea, e ricco di transizioni a carattere economico, sociale e politico. Assistiamo al cambiamento della fisionomia politica degli stati europei, e ci avviamo all’età moderna in modo tutt’altro che indolore. La transizione coinvolge infatti nel suo decorso le due principali istituzioni temporali e spirituali, la Chiesa e l’Impero, e in ambito economico il succedersi di crisi produttive e di pestilenze fa precipitare il livello demografico, con un grave impoverimento dei paesi più colpiti. A uscire male dalla crisi del Trecento furono il Papato e l’Impero. Il Papato perse progressivamente la credibilità religiosa, minato dalla cattività avignonese e dal Grande Scisma, e fu spesso bersaglio dei movimenti ereticali, assimilandosi politicamente a un qualsiasi stato regionale italiano, mentre l’Impero fu ridimensionato al solo territorio tedesco, ed emersero nuove realtà politiche come le monarchie francese, spagnola e inglese e, in Italia, gli Stati Regionali. Nel corso del Quattrocento si assiste addirittura a una vera e propria rivoluzione intellettuale, che culminerà nell’epopea umanistico-rinascimentale. Alla metà del Trecento l’Europa è travagliata da una gravissima epidemia di peste nera, che peggiora lo stato già depresso dell’economia, gravato dalle ripetute carestie dovute allo squilibrio tra la domanda e le risorse effettive. Per effetto della crisi tutti i principali settori produttivi subirono un rallentamento, mentre la popolazione diminuiva progressivamente.

Crisi demografica – Agli inizi del secolo XIV si era verificato uno scompenso tra la popolazione in eccesso e la scarsità delle risorse agricole. A far calare la produzione agricola era l’inadeguatezza dei mezzi e delle terre coltivabili, che segnò l’inevitabile squilibrio tra la domanda e l’offerta. Va anche detto che uno dei fattori che incisero su questo problema fu il clima, che diventò più freddo e piovoso e rallentò la produzione cerealicola europea.
Tra il 1303 e il 1347 si succedono numerose carestie, che minano la natalità: la prima fu quella del 1315, che decimò l’Europa centro-settentrionale. Nel 1347 una nave genovese proveniente da Caffa, in Crimea, porta in Europa il morbo della peste, che si diffonde prima in Italia, Francia e Spagna, e si diffonde poi nella regione mitteleuropea. Il dilagare della peste nera risparmia pochissime zone, e il morbo, diventato endemico, provoca congiuntamente alle guerre un brusco crollo della popolazione, che scende sotto i 45 milioni di abitanti.

Il mondo rurale – Le campagne furono ovviamente molto colpite da questi problemi. I prezzi calarono di colpo, e i contadini poterono chiedere salari più alti, mentre i signori videro nettamente diminuite le proprie rendite. Molte terre, rivelatesi inadatte alla cerealicoltura, furono abbandonate, molti villaggi diventarono deserti, e alcuni terreni furono riconvertiti alla coltivazione di foraggio, incrementando lo sviluppo dell’allevamento. Il paesaggio agricolo europeo, come si era delineato nel periodo feudale, subì una trasformazione radicale e riapparvero zone paludose, boschive e popolate da pascolo brado. La mutata geografia dell’agricoltura europea finì col determinare nuove modalità di sfruttamento del suolo e un nuovo tipo di rapporti sociali. Si assiste alla nascita della specializzazione regionale (per esempio, Castiglia e Inghilterra diventarono esportatrici di lana, mentre la Polonia di cereali) e nelle zone meridionali dell’Europa vengono coltivate piante tessili e foraggere. Per contro nel sud europeo il feudalesimo trovò occasioni di rafforzamento e il servaggio della manodopera si rese ancora più pesante, mentre nel centro Europa l’economia feudale fu definitivamente accantonata su iniziativa della borghesia e delle monarchie nazionali. La nobiltà rinsalda ovviamente il suo potere, ma si tratta di una condizione diversa da quella feudale.

I tumulti contadini – La manodopera agricola fu aiutata molto dalla crisi nel suo riscatto sociale e le tensioni tra contadini e signori degenerano in sanguinosi conflitti civili. Nel 1358 scoppia in Francia la jacquerie (il nome derivava da Jacques Bonhomme, soprannome dispregiativo che veniva dato ai contadini) si estende a diverse zone del paese, mentre in Inghilterra la tensione sociale è alimentata dalla predicazione egualitaria dei Lollardi e obliga la corona ad un ridimensionamento delle corvées e dello sfruttamento della manovalanza agraria. Se in francia le jacqueries non rispondevano a un preciso disegno politico, e si conclusero perciò nel nulla, nel resto dell’Europa i contadini riuscirono a scrollarsi il giogo feudale e finirono col frammentarsi in due sottoclassi, un ceto di contadini ricchi e proprietari e un proletariato rurale formato da braccianti senza terra.

Le città – La crisi di metà Trecento non risparmiò le città, dove anzi gli effetti furono peggiori di quelli del settore agrario; tra il 1343 e il 1346 falliscono i banchieri fiorentini Peruzzi e Bardi, che avevano prestato soldi al re inglese per finanziare la Guerra dei Cento Anni, senza però riceverli in restituzione. Il fallimento coinvolse gli altri finanzieri del paese e finì con l’estendersi ad altre categorie di risparmiatori.

Manifatture e commerci – In campo manifatturiero crolla la produzione dei panni lana e i centri specializzati nel settore tessile, come le Fiandre, perdono la loro leadership perché la produzione si sposta nelle zone rurali dove il costo della manodopera è più basso; in compenso molti centri riescono a riqualificarsi produttivamente dirottando la manifattura tessile verso gli articoli di lusso destinati alle famiglie signorili. Questa tendenza si diversifica a seconda della zona: abbiamo infatti l’incremento della produzione laniera di qualità medio-bassa accentata in Olanda e Inghilterra, dove poi si svilupperanno le aziende a conduzione familiare, mentre in Italia si afferma l’industria serica. Inizia inoltre il fenomeno della massificazione dei prodotti, grazie ai costi contenuti.
Si afferma anche il settore metallurgico e quello minerario.  L’economia di mercato assume ora una fisionomia più attiva, con una maggiore circolazione di moneta dovuta all’aumento dei consumi di massa e soprattutto con un netto avanzamento tecnologico che rende il trasporto della merce sicuro e veloce.
Anche la geografia commerciale inizia a cambiare. Ferme restando le condizioni dei paesi tradizionalmente importatori ed esportatori, le rotte commerciali verso il Nord Europa non sono più una novità e l’avanzata turca nel Mediterraneo comincia a segnare la decadenza del ruolo produttivo del relativo bacino.

I tumulti urbani – Le rivolte e le tensioni che animarono il mondo contadino non furono esclusiva prerogativa della manodopera agraria, ma coinvolsero anche la controparte urbana. Due erano infatti le cause del malessere: la disoccupazione e la formazione di un nucleo di proletari urbani, che venivano esclusi dal governo cittadino e che quindi rivendicavano il proprio ruolo politico. Nel 1357 scoppia a Parigi una rivolta borghese guidata da Etienne Marcel, esasperata dal severo regime fiscale causato dalle necessità della Guerra dei Cento Anni. Dopo un buon inizio la borghesia parigina, spaventata dalla violenta jacquerie contadina, abbandona il proprio leader per fare lega con la nobiltà impegnata a reprimere la rivolta agraria.
Nel 1378 scoppia a Firenze il tumulto dei Ciompi, i salariati del settore laniero. Si trattò di una vera lotta di classe: i Ciompi erano il proletariato fiorentino, impossibilitato a costituirsi in Arte e protestavano contro i potenti signori dell’oligarchia borghese e mercantile, che controllavano il Comune fiorentino, dal cui governo i Ciompi erano esclusi. La protesta fece sì che uno dei Ciompi, Michele Lando, venisse nominato Gonfaloniere di Giustizia del Comune fiorentino, e che venissero istituite tre nuove Arti minori (ciompi, tintori e farsettai) con la riserva di un terzo degli uffici alle Arti minori.

 Il patriziato cittadino – La ricca borghesia urbana esce a testa alta dalla crisi del Trecento consolidando il suo potere in una ristretta oligarchia mercantilistica e finanziaria e integrandosi con il vecchio ceto dell’aristocrazia feudale, rendendo così palesi e insanabili le distanze dalle plebi: l’asservimento borghese ai nuovi stati nazionali e a quelli regionali, soprattutto in Italia, permise la formazione di un patriziato cittadino. Questo patriziato sposò ben presto le usanze dei ceti nobiliari a cui fu accomunato dall’acquisto di terre e di titoli e dall’amore per i generi di lusso.

Conclusioni – Il Trecento si presenta quindi diversificato nelle due zone geografiche europee: al centro nord abbiamo una condizione di estrema miseria dovuta alla crisi economica, che si ripercuote sui contadini e sui lavoratori delle città, mentre la nobiltà e le oligarchie cittadine escono rafforzate dalla crisi; al sud si ha il rafforzamento delle istituzioni feudali che aggravano il servaggio dei contadini e del proletariato urbano.

L’EUROPA DEL TRECENTO

Il XIV secolo fu un secolo di profonda crisi storica, politica, economica e istituzionale. Si tratta di un periodo molto vivace dal punto di vista degli avvenimenti politici, tanto che in questo secolo si delinea la fisionomia geopolitica della nuova Europa, ormai lontana dal Feudalesimo e vicina all’età moderna.

Impero – Il sogno di rendere ereditaria la corona imperiale asburgica svanisce. Nel 1310 scende in Italia Enrico VII di Lussemburgo per restaurare l’autorità imperiale, ma viene ostacolato dalle forze guelfe, avverse all’istituzione imperiale. Si deve sottolineare che l’investitura imperiale, per essere valida, doveva essere convalidata da quella pontificia. Per questo, alla morte di Enrico, l’ascesa al trono di Ludovico il Bavaro viene accompagnata dalla scomunica del papa Giovanni XXII. Ludovico scende allora a Roma e si fa incoronare dal popolo romano, e, convocata una riunione dei principi elettori, stabilisce che l’elezione imperiale comporti automaticamente l’assunzione del potere, senza il placet pontificio. Carlo IV di Lussemburgo, che succede a Ludovico nel 1347 sposta la capitale imperiale a Praga, in Boemia, e allontana così l’impero dalla penisola italiana. Con la Bolla d’Oro nel 1356 il nuovo re di Boemia stabilisce che l’elezione imperiale era di competenza esclusiva dei principi elettori, quattro laici (Boemia, Brandeburgo, Sassonia e Palatinato) e tre religiosi, cioè vescovi (di Colonia, Magonza e Treviri). Questo documento assestava di fatto il potere imperiale su una base politica piuttosto precaria e soggetta ai particolarismi autonomistici dei principi. L’impero rinunciava a ogni forma di espansione territoriale.

Italia – Si affermano in Italia gli Stati Regionali. Le Signorie assumono una dimensione allargata, rispetto a quella locale del secolo precedente. I ghibellini Visconti instaurano a Milano un forte potere signorile con l’appoggio di Enrico VII, e danno vita a un grande progetto di espansione territoriale che coinvolge buona parte della Lombardia, Alessandria e Vercelli. Il potere è nelle mani di Matteo Visconti, creato vicario imperiale da Enrico VII; il suo successore, Giovanni, allarga ulteriormente il territorio visconteo, inglobando Bologna e Genova, ma alla sua morte la signoria viene spartita tra i nipoti che perdono il controllo dei centri periferici. A Venezia si consolida il potere del patriziato cittadino, che prosegue l’espansione sulla terraferma e soprattutto la rivalità navale e commerciale con Genova. A Firenze è al potere un governo guelfo, espressione del popolo grasso, la cui egemonia subisce una battuta d’arresto con l’arrivo della peste. 
Lo Stato Pontificio vive un periodo travagliatissimo e noto come cattività avignonese. Morto Benedetto XI sale sul soglio pontificio il francese Bertrand de Got, che assume il nome di Clemente V e che sposta la sede papale ad Avignone. A Clemente V succederanno sei papi, tutti francesi, ma l’elemento di spicco del periodo avignonese è la caduta del prestigio spirituale del papato, istituzione che oramai dai tempi di Bonifacio VIII sentiva aria di crisi, soprattutto per il perseguimento ostinato di disegni politici temporalistici e accentratori, asservita alla corona francese e ormai dimentica della propria missione unificatrice.
La cattività avignonese si espresse duramente verso quei movimenti pauperistici ed estremisti come la setta di fra’ Dolcino e verso i filosofi della tarda Scolastica che furono costretti a riparare presso le corti imperiali. L’allontanamento dei papi da Roma favorisce la rivalsa delle grandi famiglie della nobiltà romana che approfittano del momento di vacanza pontificia per ribadire il proprio potere. Il notaio Cola di Rienzo, con l’appoggio dei popolani, costituisce nel 1347 una Repubblica Romana, sul modello di Roma repubblicana. La usa dittatura si rivela ben presto oppressiva e viene dunque cacciato dopo una sollevazione popolare; Cola ripara presso Carlo IV di Boemia, presso il quale sperava di trovare appoggio militare, ma Carlo lo fa prigioniero e lo manda ad Avignone dal papa Innocenzo VI che lo libera e lo nomina senatore, inviandolo a Roma come suo rappresentante. Qui Cola riprende il potere, ma una nuova insurrezione nel 1354 lo depone e lo fa giustiziare.
Tre anni dopo il cardinale Albornoz viene inviato a Roma per ricostituire il potere papale, impresa difficile e resa ancora più complicata dalle famiglie nobili romane, disabituate a un governo superiore. Nel 1377, durante il pontificato di Gregorio XI, la sede pontificia torna a Roma.
Il pericolo di una seconda cattività avignonese viene sentito dal popolo romano, che, alla morte di Gregorio XI, pretende che il conclave elegga un papa italiano. Nel 1378 sale perciò al potere  Urbano VI, ma i francesi eleggono un secondo papa, Clemente VII, che, dopo aver cercato di conquistare Roma, torna in Francia dove restaura la corte papale avignonese, dando inizio a quello che si conosce come il Grande Scisma d’Occidente.
Il Mezzogiorno d’Italia è sempre diviso tra Angioini e Aragonesi, i primi a Napoli, dove la corte vive un momento di splendore, i secondi in Sicilia. La mancanza di un ceto borghese che funzionasse da contrappeso politico rende palesi le distanze tra il popolo e l’alta aristocrazia del meridione, impedendo agli Angiò e agli Aragona la costruzione di uno stato accentrato.

La Guerra dei Cento Anni (prima fase) – Francia e Inghilterra si trovano coinvolte nella guerra dei Cento Anni, che dura dal 1337 al 1453. Il motivo era di origine dinastica e dovuto alla pretesa di successione di Edoardo III d’Inghilterra, che, alla morte del re francese Carlo IV Capeto, era stato scavalcato da Filippo VI di Valois, nipote di Filippo il Bello (a sua volta nonno materno di Edoardo, che essendo quindi discendente il linea diretta avrebbe dovuto legittimamente essere designato successore al trono di Francia). Ad aprire le ostilità fu il re francese che aveva inviato una flotta in aiuto della dinastia dei Bruce di Scozia, in guerra contro l’Inghilterra; Edoardo III reagisce invadendo le Fiandre e assumendo a Gand il titolo di re di Francia. Riesce dunque a sconfiggere Filippo, ma non arriva a Parigi. Nel 1346 a Crécy l’esercito francese viene rovinosamente sconfitto ed Edoardo conquista il prezioso avamposto navale di Calais, che resterà inglese fino al 1558. A Filippo VI succede intanto Giovanni II, che viene imprigionato da Edoardo nella battaglia di Poitiers del 1356 e costretto a firmare nel 1360 la pace di Bretigny, con cui Edoardo rinunciava alle pretese dinastiche e si impegnava a liberare il re francese, dietro pagamento di un pesante riscatto pecuniario e territoriale.

In ambito giuridico-amministrativo segnaliamo soprattutto l’opera di Bartolo da Sassoferrato, che cerca di integrare il diritto giustinianeo con le norme di diritto feudale e di governo comunale, contrastando ferocemente lo strapotere signorile, e quella del cardinale spagnola Egidio di Albornoz, autore delle Costituzioni Egidiane, in vigore fino al secolo XIX, atte a limitare i poteri signorili nello stato pontificio.
Nelle campagne e nelle città il problema delle disuguaglianze sociali causa pericolose tensioni, aggravate anche dal fatto che nelle città il popolo grasso si assimila ormai agli usi della nobiltà, sposandone i privilegi e creando di fatto uno squilibrio. Esempio palese di queste tensioni sono le rivolte popolari che scoppiano un po’ ovunque: a Firenze si registrano due insurrezioni del proletariato del settore laniero, dapprima nel 1345 contro il popolo grasso e poi nel 1378 (il tumulto dei Ciompi) contro il Governo delle Arti; a Perugia e a Siena si ribellano i piccoli artigiani e i salariati; in Francia scoppia il fenomeno contadino della jacquerie, poi seguito dalla rivolta borghese di Etienne Marcel; in Inghilterra la pressione fiscale e gli abusi baronali portano nel 1381 alla rivolta guidata da Tyler e Ball, soffocata nel sangue. 

IL QUATTROCENTO

Se il secolo XIV fu un secolo di crisi, il secolo XV è il secolo della ripresa e della fioritura intellettuale. La cultura umanistica e rinascimentale apre una nuova finestra sull’uomo, che riprende il suo ruolo centrale nella storia e nella cultura; le scoperte geografiche aprono nuovi orizzonti produttivi, economici, politici e sociali. Il Quattrocento è un secolo di transizione, che sancisce il passaggio all’età moderna. Possiamo definirlo un secolo rivoluzionario, poiché la transizione all’era moderna comportava il necessario abbandono di una prospettiva, quella teocentrica e caratteristica dell’intellettualismo scolastico, in favore di una nuova prospettiva antropocentrica e laica, basata sulla conoscenza della natura e sul ridimensionamento del ruolo della religione. Il passaggio fu favorito dalla crisi che la struttura ecclesiastica aveva attraversato nel corso del Trecento, prima con la cattività avignonese e poi col grande scisma d’occidente, avvenimenti che avevano allontanato da Roma i cattolici nazionalisti, ormai avviati verso un modello spirituale diverso da quello pontificio e legato al potere delle corone.
Ma anche l’istituzione imperiale è in decadenza e in Italia si sviluppa il fenomeno sociale e politico delle Signorie, che poi lasceranno il posto ai Principati, modelli di governo autocratici e autonomistici che contrastano con le grandi monarchie europee che si consolidano proprio in questo secolo. Le Signorie diventano così delle piccole monarchie assolute, in cui il sovrano governa indipendentemente dalla volontà dei ceti. Per trasmettere il potere ai propri discendenti il signore deve poter contare sul supporto dell’imperatore o del papa, che gli conferiscono un titolo nobiliare e lo status dinastico atto alla tradizione del titolo. Il signore diventa così principe, il cui governo è spesso accompagnato dal supporto di una classe di funzionari di stretta fiducia del principe stesso. I principi seguono le stesse prerogative degli altri sovrani: i Medici per esempio, pur mantenendo a Firenze la stessa struttura del comune duecentesco, governano di fatto un’ampia area regionale, costruiscono una politica espansionistica e fissano dei precisi confini territoriali.
In campo militare si consolida il fenomeno degli eserciti mercenari delle compagnie di ventura, i cui condottieri, spessissimo di famiglia aristocratica, hanno ambizioni politiche e arrivano alla costituzione di vere e proprie signorie, come quella milanese degli Sforza.
In campo economico si registra un rallentamento dei commerci di importazione sul mercato orientale, dovuto alla presenza di Turchi e cinesi della dinastia Ming; questa battuta d’arresto implica la nascita di una economia isolazionista e volta al protezionismo, subito soprattutto dall’Italia. Il commercio italiano inizia così la decadenza che si farà poi palese nel Seicento, mentre resiste il settore finanziario e bancario, che deve però fare i conti con le più importanti famiglie della finanza europea, rafforzate proprio dalla chiusura dei mercati orientali. L’agricoltura cerealicola si riduce notevolmente, mentre si estende la coltura di piante da foraggio e quindi prende piede l’allevamento: al sud la produzione granaria viene utilizzata per i bisogni delle famiglie contadine e per pagare i signori.
In ambito religioso assistiamo alla nascita di un movimento di pensiero che anticipa di un secolo la nascita del protestantesimo. Le tensioni sociali e spirituali che si estendono al Quattrocento trovano ampia eco in Inghilterra dove matura il pensiero di Wycliffe, teorico dell’inutilità della struttura ecclesiale e dell’apparato religioso. Il pensiero di Wycliffe viene portato avanti dai Lollardi, le cui rivendicazioni arrivano in Boemia, dove vengono raccolte da Jan Huss. Dopo la morte sul rogo di Huss la frangia protoprotestante si fraziona in estremisti e moderati, detti rispettivamente Taboriti e Utraquisti: sono questi ultimi alla fine ad avere la meglio e ad avviare il processo di dialogo con l’imperatore boemo Sigismondo e col papa. All’inizio del secolo il teologo parigino Jean Gerson porta avanti la tesi scismatica del conciliarismo, che riteneva superiore all’autorità pontificia quella della universitas fidelium; una dottrina non nuovissima, poiché ricalcava la dottrina laicista del marsiliano Defensor Pacis, ai tempi della querelle tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello. Dall’Olanda emerge invece l’indirizzo della devotio moderna, un indirizzo caratterizzato dal forte ascetismo ed espresso da Tommaso di Kempis nella sua Imitazione di Cristo.

Nella seconda metà del Quattrocento tramonta definitivamente la dialettica tra le classi, propria dei Comuni, e si afferma una profonda stratificazione sociale, minata dalle diseguaglianze e dalla distanza tra i due poli sociali. I ceti sono esacerbati dallo strapotere del principe, i nobili perché si vedono drasticamente limitati i propri privilegi, i meno abbienti perché vessati dall’aristocrazia: è il periodo in cui maturano le congiure (come quella dei Pazzi nella Firenze medicea) e decadono le assemblee rappresentative che connotavano il comune medioevale.
In Europa si lotta tenacemente per evitare la restaurazione del potere feudale delle famiglie baronali. In Inghilterra la Guerra delle due Rose tra Lancaster e York favorisce la nascita della monarchia Tudor, che si caratterizza per un rigoroso centralismo politico, espresso da organi consultivi di strettissima nomina del sovrano. Ma anche in Francia si avvia una politica di centralismo, con la differenza che, mentre in Inghilterra il potere regio aveva escluso la nobiltà dall’amministrazione diretta, in Francia si sviluppa una classe sociale di pubblici funzionari detta nobiltà di toga (noblesse de robe), in tensione con la vera aristocrazia della nobiltà di spada.
In campo economico inizia a delinearsi il famoso cambiamento che porterà il bacino del Mediterraneo a un ruolo di importatore, in favore delle regioni nordeuropee. Questo cambiamento è causato dalla chiusura dei mercati orientali e della conseguente perdita per l’Italia dell’egemonia dei traffici commerciali con l’Oriente, ormai sostituito dalle nuove terre scoperte da Colombo e dagli altri esploratori.
In campo religioso si consuma la progressiva decadenza dello stato pontificio, gravata dalla crisi temporale e spirituale. La reazione ai movimenti ereticali e di protesta si esprime nella formazione del tribunale della Santa Inquisizione, che nella Spagna unificata dei re cattolici assume una connotazione autonomistica.
Storicamente la Santa Inquisizione è un Tribunale creato dalla Chiesa di Roma nel Basso Medioevo per arginare il pericolo di eresie e per conservare l’ortodossia cristiana al riparo dalle pressanti minacce arabe e giudaiche. Solitamente si distinguono due periodi, uno medioevale, che arriva fino alla Riforma luterana, e uno moderno, che arriva all’Età napoleonica.
L’Inquisizione medioevale era caratterizzata da una peculiarità più spiccatamente politica e combatteva tendenzialmente non solo i reali delitti contro la fede ma anche i reati a carattere insurretizio che avevano di mira l’autorità regia, come si ricorderà spesso compromessa dal potere delle grandi famiglie della nobiltà feudale.
L’Inquisizione moderna ebbe invece un carattere meno politico e più spirituale, dovuto indubbiamente allo spirito controriformista della Chiesa Cattolica, pur conservando il ruolo di controllo delle masse esercitato nei casi di rivolta popolare, secondo l’assunto “non est potestas nisi a Deo” ossia nessun potere era dato se non da Dio, quindi inviolabile. Proprio nel secolo XIII assistiamo a un cambiamento formale nel modus agendi inquisitorio che si traduce nell’invio di veri e propri legati pontifici, come Domenico di Guzman o il monaco Pierre de Castelnau, con il compito di ascoltare, interrogare, indagare (inquisire, appunto) ed eventualmente denunciare i sospettati di eresia alle autorità competenti, laiche o ecclesiastiche.
In questo periodo si svolge la famosa crociata contro gli Albigesi promossa e guidata da Simon de Montfort, occasione che permise al re francese Filippo Augusto di impadronirsi del meridione del Paese; e, sempre nello stesso periodo, l’imperatore svevo Federico II dichiarando la facoltà imperiale di condannare i sospettati di eresia, produce uno dei primi conflitti tra le competenze imperiali e quelle pontificie, tanto che Gregorio IX ribadisce l’assoluta primalità della Chiesa nella condanna dei presunti eretici. Tra le varie tensioni verificatesi si segnalano anche quelle scoppiate tra inquisitori e vescovi locali. Ma dove fu attiva l’Inquisizione? Nel secolo XIII soprattutto in Francia, in Italia Settentrionale (contesa tra Guelfi e Ghibellini), in Germania, Boemia e Ungheria; non si segnalano in questo periodo attività inquisitorie in Spagna e Inghilterra.
Tra i perseguitati non solo eretici come Catari e Albigesi, ma anche coloro che professavano altre religioni politicamente vietate come quella islamica e quella ebraica – di solito si trattava di cristiani neoconvertiti, come sarà il caso dei conversos spagnoli, che continuavano a coltivare i culti della loro etnìa in segreto – oltre ai Francescani dissidenti (gli Spirituali), i Templari e coloro che erano dediti ad attività occulte, sataniche e stregonesche. Inutile precisare il risvolto politico che ebbero in questo periodo molte condanne effettuate dall’Inquisizione, come quella del Savonarola e di Giovanna d’Arco, o le persecuzioni subite dall’Ordine Templare. Tra i manuali ad uso degli inquisitori figurava l’opera di Bernard Gui “Practica inquisitionis hereticae pravitatis” in cui venivano richiamate le modalità attraverso cui procedere per interrogare e eventualmente condannare il sospettato eretico. Questi aveva la possibilità, entro quindici giorni dalla sua scoperta, di autodichiararsi colpevole, ottenendo una specie di sconto della pena che di solito veniva tradotta in opere pie o pellegrinaggi; seguiva un processo in cui il sospetto era assistito da un avvocato difensore, ovviamente non sospettato di collusione con l’imputato, e venivano sentiti due o più testimoni, che restavano occulti. Quindi veniva emessa la sentenza, letta pubblicamente nel corso di maestose manifestazioni – che in Spagna furono poi dette autodafè, ossia atto di fede – nel corso delle quali all’eretico, se riconosciuto tale, veniva comminata una pena che variava dalla più lieve espiazione fino alla reclusione a vita (e alla conseguente confisca dei beni), e, nei casi più gravi, si procedeva al rogo pubblico dell’eretico. Il condannato poteva anche appellarsi al Papa, di solito inutilmente.
In Spagna l’inquisizione arriva nel 1478, durante il regno di Isabella la Cattolica, che chiese al papa Sisto IV l’istituzione di un Tribunale allo scopo di esercitare un maggiore controllo sui reati connessi alla fede, ovviamente con un preciso intento politico: durante il regno di Carlo V e di suo figlio Filippo II il ruolo politico dei conversos andò aumentando e costituiva un grosso pericolo per la stabilità del potere e per la centralità della Corona. A destare le maggiori preoccupazioni erano infatti i cristiani nuovi o conversos, generalmente discendenti dei musulmani o degli ebrei spagnoli, ora convertiti al cristianesimo ma praticanti in segreto i loro culti. I cristiani spagnoli di antica data li appellavano col soprannome dispregiativo di porci (marranos); si trattava di gente molto in vista, che poteva causare disordini e spezzare l’unità territoriale e religiosa del paese. Queste persecuzioni però ottennero un grave risultato collaterale: i cristiani vecchi impegnati nelle stesse attività produttive, per paura di essere scambiati per conversos, iniziarono ad abbandonare i propri settori lavorativi, causando una pericolosa crisi economica.
I Re Cattolici ottennero tra l’altro una speciale deroga da parte della Chiesa che permise loro di gestire direttamente il Tribunale con inquisitori spagnoli indipendenti da Roma, come fu il caso del famoso Torquemada. Nel 1813 le Cortes di Càdice aboliranno l’Inquisizione, che, secondo lo storico spagnolo Llorente conta 31.912 arsi vivi e 291.450 detenuti.

L’EUROPA NELLA PRIMA META’ DEL QUATTROCENTO

Il secolo XIV si conclude con un periodo di tensioni sociali, politiche e religiose. Nel 1378 scoppia a Firenze il tumulto dei Ciompi, i salariati del settore laniero che rivendicavano una loro rappresentanza nel governo delle Arti, e riescono a far nominare Michele di Lando Gonfaloniere di Giustizia; nel 1381 scoppia in Inghilterra la rivolta popolare guidata da Tyler e Ball contro l’opprimente fiscalismo regio e  il non meno opprimente  strapotere baronale; tra il 1378 e il 1414 la Chiesa vive un periodo di intenso cambiamento che culmina col Grande Scisma, in cui due pontefici, uno italiano a Roma e uno francese ad Avignone, si contendono il soglio pontificio.
Nel 1409 il concilio di Pisa pone sulla scena un terzo papa, Alessandro V, ma i due pontefici rivali non rinunciano alla tiara, spaccando di fatto in tre parti il mondo cristiano. A mediare la questione è l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo che convoca nel 1414 il concilio di Costanza, che depone i tre papi ed elegge in loro vece il cardinale Ottone Colonna, che assume il nome di Martino V. Ma la tempesta non è finita, perché il successore di Martino, Eugenio IV, si trova a fare i conti con la dottrina conciliarista portata avanti dal francese Gerson: egli ribadisce la superiorità pontificia sui cardinali e sulla universitas fidelium, ma i vescovi riuniti a Basilea lo depongono e nominano il duca sabaudo Amedeo VIII che sale al soglio pontificio come Felice V. Il deposto pontefice non rinuncia alla tiara e avvia una nuova tensione religiosa, nota come Piccolo Scisma, che si conclude con la resa del pontefice usurpatore, ormai privo dell’appoggio francese, e dell’elezione di Niccolò V.

ITALIA - In Italia si consuma intanto il passaggio dalle Signorie ai Principati. Il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, titolato dall’imperatore Venceslao, attua una brillante campagna espansionistica, che allarga ulteriormente i confini della signoria, ma alla sua morte il ducato viene frazionato tra gli eredi e perde la sua stabilità. Nel 1412 un altro Visconti, Filippo Maria, riesce a riguadagnare i territori conquistati da Gian Galeazzo. L’esercito ducale è pero sconfitto dalla lega antiviscontea che vede unite Firenze e Venezia e che ha ragione dei rivali a Maclodio nel 1427. Nel 1434 a Firenze inizia con Cosimo il Vecchio la signoria dei Medici: Cosimo decide però di allearsi col nuovo duca di Milano, Francesco Sforza, che era genero di Filippo Maria Visconti, alleanza dovuta alla necessità di limitare l’espansionismo veneziano sulla terraferma padana. Nel 1454 la pace di Lodi metteva la parola fine alla contesa tra Milano e Venezia.
Intanto il Mezzogiorno d’Italia passa interamente sotto il dominio aragonese con Alfonso I il Magnanimo, che nel 1442 caccia gli Angioini da Napoli unificando i territori sotto la corona di Aragona.

FRANCIA E INGHILTERRA - La Guerra dei Cento Anni (seconda fase) – Edoardo III d’Inghilterra muore nel 1377, Carlo V di Francia muore nel 1380, e il conflitto si interrompe. Nei rispettivi paesi la successione è però motivo di tensioni tra le fazioni nobiliari. In Inghilterra nel 1377 sale al trono Riccardo II, che, essendo minorenne, deve subire la reggenza degli zii; ventidue anni dopo i Lancaster riescono a portare sul trono Enrico  IV, a cui succede il figlio Enrico V. In Francia abbiamo un altro re minorenne, Carlo VI, e un’altra reggenza degli zii, ma anche due fazioni che dividono la popolazione: i principi Armagnacchi, filofrancesi, e i  borghesi Borgognoni, filoinglesi. La situazione degenera quando il re impazzisce e si riapre la tensione tra i due paesi per la successione al trono.
Ad aprire le ostilità è Enrico V, che sconfigge i francesi nel 1415 ad Azincourt, conquistando la Normandia, mentre il suo alleato Giovanni Senza Paura, duca di Borgogna, conquista Parigi. Nel 1420 Enrico firma il trattato di Troyes e il matrimonio con Caterina, figlia di Carlo VI, porta in dote al re inglese la successione al trono di Francia. Il vero erede, Carlo VII, fugge a Bourges, dove cerca di ricostituire il potere regio con l’appoggio della fazione armagnacca. Morti Enrico V e Carlo VI salgono al potere i rispettivi eredi, Enrico VI e Carlo VII, che rivendicano il diritto alla successione francese.
Anche qui è l’Inghilterra ad aprire le ostilità, per mano del duca di Bedford, reggente di Parigi in luogo di Enrico VI, che nel 1422 assedia Orléans. Protagonista della revanche francese è una ragazzina di Orléans, Giovanna d’Arco, che, chiamata da Dio, si pone alla testa delle truppe francesi guidandole verso la riscossa, mentre il legittimo erede Carlo VII si faceva incoronare re di Francia a Reims. Giovanna continua la guerra anche senza il re francese, rifiutandosi di piegarsi a ogni trattativa di pace con l'Inghilterra, ma la fazione borgognona riesce a sconfiggerla nel 1430 a Compiégne e a consegnarla all'Inghilterra. Condannata per stregoneria, Giovanna viene arsa viva a Rouen nel 1431. La guerra continua e si conclude con la definitiva sconfitta degli inglesi nel 1453.


EUROPA CENTRO ORIENTALE,SETTENTRIONALE E BALCANICA - L’impero si trova nel mezzo della protesta sociale e religiosa, ereditata dai Lollardi che viene animata dal boemo Jan Huss. La protesta ha come suo obiettivo l’imperatore Sigismondo del Lussemburgo, che riscirà a pacificare l’Impero solo nel 1436. La Polonia viene unificata sotto la dinastia degli Jagelloni, e il territorio viene allargato sotto il regno di Ladislao V.
Al nord i regni scandinavo e danese si uniscono col regno di Margherita, regina di Norvegia e di Danimarca: nel 1389 l’esercito scandinavo sconfigge la Svezia e nel 1397 i tre regni si fondono nell’unione di Kalmar, unione peraltro fittizia, da cui la stessa Svezia si distaccherà quasi subito.
Alla fine del Trecento i Turchi Ottomani invadono i Balcani, invano frenati dai crociati. Nel 1453 cade Costantinopoli, determinando così la fine dell’Impero Bizantino.

L’EUROPA NELLA SECONDA META’DEL QUATTROCENTO

Conclusa la Guerra dei Cento Anni l’Europa e l’Italia vivono uno stato di equilibrio politico. In Italia nel 1454 viene firmata la pace di Lodi, a cui seguiva la costituzione di una Lega Italica: le signorie rinunciavano ai disegni espansionistici ma non certo per velleità pacifiche, quanto per reciproco timore, e soprattutto per il timore, poi rivelatosi giustificato, di una possibile discesa francese nella penisola. L’equilibrio politico non impedisce però lo scoppi di sollevazioni e rivolte a livello locale.

Italia – Nel regno di Napoli la morte di Alfonso il Magnanimo riaccende i torbidi dinastici, in cui prevale Ferdinando d’Aragona, che prende il potere. Il suo governo oppressivo innesca la rivolta dei baroni napoletani, spalleggiati dal papa Innocenzo VIII, che però viene duramente repressa nel sanguinoso conflitto di Montorio, nel 1486.
Nella signoria medicea, alla morte di Cosimo sale al trono prima Piero il Gottoso e poi Lorenzo, che poi verrà chiamato il Magnifico. La signoria fiorentina è ormai una potenza nell’Italia centrale e dà fastidio al papa Sisto IV Della Rovere, il quale, per rovesciare il potere mediceo e passarlo al nipote Girolamo Riario, si allea con la nobile famiglia fiorentina dei Pazzi, avversa ai Medici, che nel 1478 assalta i Medici in Santa Maria del Fiore, uccidendo Giuliano  ferendo Lorenzo. La congiura dei Pazzi però non ottiene lo scopo desiderato dal papa, poiché i fiorentini non esitano a schierarsi dalla parte medicea e a punire i congiurati, e Sisto IV si allea allora con Siena e Napoli, muovendo guerra a Firenze. Il voltafaccia di Ferdinando d’Aragona, persuaso da Lorenzo il Magnifico, chiude nel 1480 la contesa.
Tensioni politiche esplodono anche nel ducato milanese, dove Galeazzo Maria Sforza viene ucciso in una congiura nel 1476. Erede designato è il giovane Giangaleazzo, ma il governo, per la minorità dell’erede, è retto dalla vedova Bona di Savoia e dal consigliere Cicco Simonetta. Nel 1480 lo zio di Giangaleazzo, Ludovico il Moro, si sbarazza dei reggenti e, isolato il giovane nipote nella Certosa di Pavia, si impadronisce del potere.
Nel 1492 muore Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia, secondo la definizione del Guicciardini, della politica regionalista e si spezza l’equilibrio politico italiano. La regionalizzazione della penisola rende le signorie italiane deboli e predisposte alla conquista francese: nel 1494 Carlo VIII scende in Italia, tra il disinteresse e il timore delle signorie locali.

Inghilterra e Francia – L’Italia non fu l’unico paese a vedere disordini dinastici. Uscita dalla guerra l’Inghilterra si trova ad affrontare tra il 1455 e il 1485 una nuova contesa interna, scoppiata tra le due fazioni nobiliari dei Lancaster e degli York, e passata alla storia col nome di Guerra delle Due Rose per il colore delle rose che campeggiavano nei rispettivi stemmi gentilizi delle famiglie. Motivo della guerra era la successione al trono d’Inghilterra. Nel 1485 lo yorker Riccardo III viene sconfitto a Bosworth Field dal lancasteriano Enrico Tudor. Dopo la vittoria Enrico sposa Elisabetta, la figlia di Edoardo VI e diventa re d’Inghilterra col nome di Enrico VII.
In Francia, dopo la morte di Carlo VII, sale al trono Luigi XI, che limita drasticamente le prerogative politiche della nobiltà con un programma di rigido centralismo politico. La fazione borgognona è però ancora attiva e si oppone alle vessazioni regie costituendo la Lega del Pubblico Bene guidata da Carlo il Temerario. Carlo viene però sconfitto dal re che lo obbliga a firmare il trattato di Arras, con cui incamera definitivamente il territorio borgognone, ponendo fine alle rivendicazioni politiche. La politica matrimonialista del re francese porta il paese a estendere notevolmente i suoi confini territoriali.

Spagna – Nel 1469 il matrimonio tra i re cattolici, Ferdinando e Isabella, unifica le corone di Aragona e di Castiglia, che però vivranno per tutto il secolo seguente una situazione amministrativa separata, con una prevalenza delle istituzioni castigliane. Ciò non impedisce al re spagnolo di impostare una politica di netto centralismo. Nel 1492 viene portata a termine la Reconquista con l’occupazione del regno di Granada, strappato ai musulmani, e nel lo stesso anno l’impresa colombiana apporta un nuovo profilo all’economia spagnola, le cui casse risentiranno beneficamente del tesoro americano.