sabato 11 giugno 2016

Classe 4 Modulo 5 S

CLASSE QUARTA - MODULO 5 - STORIA
La Prima Restaurazione e il 1848

L’ETÀ DELLA RESTAURAZIONE

Dopo la caduta di Napoleone e il disfacimento del blocco continentale gli equilibri geopolitici avevano subito tali cambiamenti da rendere perfino risibile il concetto di restaurazione. Conclusa la parentesi napoleonica tornavano ad affermarsi i principi ispiratori della Rivoluzione Francese, e molti sovrani introducevano presso i loro sudditi il diritto alla rappresentanza. In campo filosofico erano soprattutto i temi spirituali a tenere banco: falliti i tentativi rivoluzionari e tramontati i principi egualitari era solo la fede in Dio a rappresentare l’unica indissolubile certezza. La religione cattolica scopriva nuove frange con il liberalismo e il neoguelfismo; Burke e Chateaubriand ispiravano invece in campo storico il progetto di revisione delle ideologie illuministe. L’uomo del Romanticismo riscopriva la storia, e con essa il valore di ogni popolo.
In campo politico si assiste a una riconciliazione tra le Corone europee e il Papato, dopo le ingerenze della cultura laica napoleonica; ma il rapporto non fu tranquillo, a causa delle solite pretese assolutiste della Chiesa di Roma. In campo economico si segnala la crisi che colpisce i ceti produttivi borghesi, e la conseguente ripresa delle aristocrazie feudali e della nobiltà terriera, soprattutto in Prussia.
Chi furono i nemici della Restaurazione? Sicuramente funzionari e ufficiali degli stati vassalli della Francia napoleonica, la borghesia del commercio e dell’industria, certi intellettuali progressisti, che vedevano nell’opera restauratrice il pericoloso riaffermarsi delle tendenze aristocratiche; ma anche i liberalisti moderati, nobili e borghesi, e i democratici giacobini, ufficiali e piccolo borghesi, oltre ai cattolici liberali, ispirati da Lamennais, e il proletariato urbano.
La strada del dialogo, della convergenza e della cospirazione trovava nel frattempo sfogo nel costituirsi delle società segrete, generalmente a carattere patriottico e nazionalista, essenzialmente eterogenee come composizione e vincolate dal rispetto del segreto e della fratellanza: soprattutto in Italia prese piede la Carboneria, ma in ogni parte d’Europa si formarono varie sette, accomunate dalla riservatezza, dal gradualismo dottrinale, dall’uso di un particolare cerimoniale e di un formulario catechistico apposito per ciascun grado di affiliazione.

IL CONGRESSO DI VIENNA

Il Congresso della pace si riunì a Vienna dal settembre 1814 fino al giugno dell’anno seguente. Ne furono principali animatori l’inglese lord Castlereagh, l’austriaco principe di Metternich, il conte russo Nesselrod, il principe prussiano von Hordenberg, e il ministro francese Talleyrand. Fu proprio Talleyrand a pronunciare il principio di legittimità, chiedendo la restaurazione dei legittimi sovrani sui rispettivi troni, da cui erano stai deposti durante l’impero di Napoleone. Così cambiò dunque la fisionomia dell’Europa:
l’Olanda diventò Regno dei Paesi Bassi e sul suo trono fu posto Guglielmo I di Orange-Nassau, che inglobò nel territorio i Paesi Bassi austriaci, ossia il Belgio;
il disciolto Sacro Romano Impero fu sostituito dalla Confederazione Germanica, costituita da 39 stati, guidata dall’imperatore austriaco Francesco I, che ottenne anche gli ex territori della Repubblica di Venezia, uniti alla Lombardia in una nuova entità territoriale (il Regno Lombardo-Veneto);
in seno alla Confederazione Germanica il re prussiano Federico Guglielmo III otteneva importanti allargamenti del territorio che facevano della Prussia lo stato più grande tra i 39 costituenti la Confederazione, e lo stesso re fu nominato garante della difesa dei confini germanici da eventuali nuovi attacchi francesi;
lo zar Alessandro I di Russia otteneva la Finlandia, la Polonia e la Bessarabia turca;
l’Inghilterra ottenne l’isola danese di Helgoland, ottimo avamposto strategico, e l’isola di Malta, oltre a diverse colonie in Asia e in Africa;
il re sabaudo Vittorio Emanuele I riottenne la Savoia e ingrandì il suo territorio fino alla Liguria, di modo da difendere il nord Italia con un capace muro difensivo contro nuovi eventuali attacchi francesi;
Ferdinando IV di Borbone riottenne Napoli e anche la Sicilia: i due regni furono fusi e venne creata una nuova entità territoriale (Regno delle Due Sicilie);
il papa Pio VII riprese lo Stato Pontificio a esclusione di Avignone;
Ferdinando III di Lorena ottenne il Granducato di Toscana, più l’ex Stato dei Presidi e l’isola di Piombino;
il Ducato di Modena e Reggio tornò a Ferdinando di Asburgo-Este; il Ducato di Parma e Piacenza restò a titolo vitalizio alla vedova di Napoleone, Maria Luisa, per poi essere reintegrato nel Granducato di Toscana.
A coronamento dell’opera restauratrice, su iniziativa dello zar Alessandro I Russia, Austria e Prussia si costituivano in patto con la Santa Alleanza, che inaugurava una nuova era per le relazioni diplomatiche tra stati e per la cooperazione internazionale. Ad animare il patto era il timore di una ripresa del vento rivoluzionario, ma va sottolineato che l’accordo costituisce un assoluto primato nei rapporti diplomatici internazionali.

LA RESTAURAZIONE IN FRANCIA E SPAGNA

Francia – Sul trono francese era stato dunque restaurato Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato Luigi XVI. La presenza sul trono del sovrano aveva alimentato l’intolleranza degli ultras sostenitori della monarchia assoluta contro i giacobini e i bonapartisti. Luigi XVIII era stato incoronato secondo l’antica formula Re di Francia e di Navarra, e aveva ripristinato l’antico stemma gigliato in luogo del tricolore rivoluzionario.
La nuova carta costituzionale prevedeva l’introduzione di un Parlamento bicamerale, costituito da una Camera dei Deputati, eletti a suffragio censitario, e una Camera dei Pari di stretta nomina regia. Il passo avanti in effetti ci fu, anche se la nuova Costituzione era evidentemente octroyée, cioè di strettissima volontà sovrana.

Spagna – La Spagna presentava una situazione piuttosto complessa. I borghesi e i patrioti liberali militavano tra le file degli afrancesados, il vecchio partito bonapartista di ispirazione liberale, mentre l’aristocrazia e il clero si opponevano a qualunque innovazione di sapore liberale. La vera svolta si ebbe col ritiro da parte di Ferdinando VII della Costituzione di Cadice, che costituiva un passo indietro nella maturazione politica e civile del paese. Il movimento dissidente si ricompattò soprattutto nelle file della massoneria e nel movimento filomassonico dei Comuneros. 

LA RESTAURAZIONE IN AUSTRIA E NEL REGNO LOMBARDO-VENETO

Fin dai tempi di Carlo VI l’impero degli Asburgo era estremamente composito e basato su una popolazione eterogenea. A tenere unito il paese erano soprattutto tre elementi: il rigorosissimo centralismo amministrativo, il forte apparato poliziesco e una rigida burocrazia. Con l’annessione di Venezia e la formazione del Regno Lombardo-Veneto erano aumentati i dissidenti nazionalisti, e Vienna guardava con sospetto ogni palesarsi di sintomi rivoluzionari. A rendere grave la situazione era il pesante meccanismo di esazione fiscale, esercitato da due Congregazioni, una in Lombardia e una in Veneto, che soprattutto favoriva l’esportazione dei prodotti austro-boemi e penalizzava quelli locali. In pratica il Nord veniva sfruttato, la Valle del Po era nota come mucca da latte, e la situazione finì col deprivare la florida industria manifatturiera del Settentrione. Fu a questo punto che il patriziato lombardo decise di correre ai ripari, animando una propaganda liberale e antiasburgica.
A reggere le fila del movimento erano il conte Porro Lambertenghi e il conte Confalonieri, fondatori del Conciliatore, una rivista di idee liberali che fu pubblicata fino al 1819, dapprima legalmente, poi clandestinamente. Al periodico collaborarono Pellico, Berchet e Borsieri e i più bei nomi del pensiero risorgimentale italiano. Lo stretto controllo austriaco si estendeva anche agli altri stati italiani, come testimonia la presenza di Maria Luisa d’Asburgo a Parma e Ferdinando III di Lorena nel Granducato di Toscana: parenti degli Asburgo e quindi argini efficaci contro le cospirazioni antiaustriache.

LA RESTAURAZIONE IN GERMANIA

La Germania aveva riscoperto col nazionalismo il sogno dell’unificazione, sogno che si realizzerà compiutamente durante il governo di Bismarck e che restò bloccato nella prima metà dell’Ottocento per la tenace opposizione della borghesia terriera prussiana degli Junker. In alternativa va segnalato l’inizio del progetto di unificazione doganale (zollverein) mentre venivano represse le ventate patriottiche e antiaustriache.

LA RESTAURAZIONE IN RUSSIA

La sconfitta di Napoleone aveva oltremodo motivato lo zar Alessandro I che, sentendosi quasi investito di una missione divina, si era impegnato in un disegno imperialistico ed espansionistico, volto a promuovere l’egemonia russa in Europa. Il progetto incontrò subito lo sfavore dell’Inghilterra, che non vedeva di buon occhio il ruolo egemonico della Santa Russia nell’est europeo, e delle élite intellettuali, che animeranno il moto decabrista russo del 1825.

LA RESTAURAZIONE IN INGHILTERRA

La Restaurazione portava in Inghilterra la soppressione, nel 1816, di un documento di fondamentale importanza, l’Habeas Corpus Act, che garantiva fin dal 1679 il diritto di inviolabilità e di rappresentanza di ogni cittadino. Motivo principale della sua soppressione fu il giro di vite che il governo inglese fu costretto a dare alla vita pubblica dopo le tensioni sociali scoppiate  nel paese e fomentate dal proletariato urbano, principalmente dai seguaci del luddismo che si opponevano alla sempre più massiccia introduzione di macchine nelle industrie, causa di una progressiva diminuzione di possibilità lavorative per la manodopera specializzata. Inutile dire che la sua soppressione finì col provocare nuove tensioni. Il paese si trovava sull’orlo di una crisi economica, che porta a misure esattive eccezionali come la Corn Law, legge che imponeva forti dazi sul grano di importazione. Nel 18222 muore Lord Castlereagh e il progresso liberale porta al potere Peel e Canning.

LA RESTAURAZIONE IN ITALIA

La Restaurazione provocò differenti effetti nelle diverse regioni italiane. Vittorio Emanuele I di Savoia, re di Sardegna, aveva da tempo abbandonato il Codice Napoleonico, procedendo alla debonapartizzazione dello stato, tornato alle vecchie e oppressive leggi e misure fiscali; in particolar modo venne rafforzata la line a di confine con la Liguria e vennero istituite pesanti leggi doganali per minare il commercio genovese. Nel Piemonte sabaudo si costituirono le prime sette di Carbonari, Adelfi e Federati, espressione della borghesia liberale piemontese e dei sentimenti antiasburgici di un paese che sentiva la necessità di espandersi. Nel Granducato di Toscana anche Ferdinando III abolì il Codice Napoleonico restaurando il vecchio Codice Leopoldino. Il regno di Ferdinando è molto importante, poiché durante il suo regno Firenze diventerà la capitale del liberalismo moderato italiano. A Roma il papa Pio VII desiderava riportare in alto le quotazioni della Chiesa, operando una svolta liberale e riformatrice, ma il suo tentativo era bloccato dai cosiddetti cardinali zelanti, un forte partito a carattere conservatore appoggiato dai Gesuiti. Nelle campagne il potere era ancora in mano alle grandi famiglie dell’aristocrazia fondiaria e alle potenti congregazioni religiose, ma anche nel Lazio inizia a formarsi un ceto medio imprenditoriale. Intanto nelle Legazioni facenti parte dello Stato Pontificio si incrociavano correnti di autonomia e pensiero liberale con correnti anticlericali, che favorivano il sorgere di nuove società segrete. Nel Regno delle Due Sicilie il sovrano restaurato Ferdinando di Borbone era costretto a riprendere la strada delle riforme, dopo l’immobilismo napoleonico, portando avanti il suo Codice Ferdinandeo: si trattò praticamente di una revisione del Codice del Bonaparte, che favoriva ancora una volta i privilegi di clero e aristocrazia. Anche nel Regno delle Due Sicilie l’ingerenza dei baroni e soprattutto le pressioni fiscal determinarono il costituirsi di un movimento di protesta, attuato nelle modalità cospirative della costituenda Carboneria, e portato avanti dai separatisti siciliani e da varie sette segrete. Infine nel ducato di Parma Maria Luisa d’Asburgo aveva improntato il proprio regno a un pacato moderatismo politico e liberale.

I MOTI LIBERALI EUROPEI DEL 1820-21

I moti del 1820-1821 furono tentativi di insurrezione nati in Spagna che si diffusero poi in diversi altri paesi.

In Spagna si accese, nel gennaio 1820, una ribellione guidata da alcuni ufficiali dell'esercito: presso il porto di Cadice, essi si rifiutarono di partire alla volta delle Americhe per stroncare i governi indipendentisti che si stavano creando. Il tentativo parve riuscire: fu concessa una Costituzione, fu convocato il Parlamento; ma, dopo quei primi successi, la rivolta fu soffocata nel sangue. Con la battaglia del Trocadero, alla quale partecipò anche il principe Carlo Alberto di Savoia, erede al trono di Sardegna, i soldati francesi misero fine definitivamente ai disordini. Sulla spinta degli avvenimenti spagnoli, anche in Italia si moltiplicarono i primi tentativi insurrezionali: nel luglio 1820 a Napoli e in Sicilia andarono organizzandosi gruppi di ribelli; nel marzo 1821 scoppiò la rivoluzione in Piemonte. Quei moti, che miravano ad ottenere una Costituzione e l'indipendenza dallo straniero, erano però destinate a spegnersi: nel napoletano intervennero truppe austriache fatte chiamare dal re Ferdinando, che si era precipitato al Congresso di Verona, e i rivoltosi vennero sbaragliati; in Piemonte i ribelli, che non avevano come obiettivo il ribaltare la monarchia sabauda, anzi chiedevano al re di unificare l'Italia, furono sconfitti; furono eseguite alcune condanne a morte, e in molti furono costretti a fuggire. Nel Lombardo-Veneto la scoperta di alcune società segrete portò a processi e condanne contro molti degli oppositori del dominio austriaco.

Nel dicembre 1825, in Russia, scoppiò un nuovo moto insurrezionale, il cosiddetto moto decabrista dal nome del mese, ma venne immediatamente represso. Il giorno della rivolta, il 14 dicembre le truppe guidate da alcuni ufficiali del Reggimento Preobraženskij si riunirono nella Piazza del Senato a San Pietroburgo, ma la Guardia reale, fedele allo zar Nicola I, apri' il fuoco sui soldati ribelli e l'insurrezione venne immediatamente sedata. Dopo una reclusione nella fortezza di Pietro e Paolo ed un breve processo, il 25 giugno 1826 i cinque esponenti principali furono impiccati, mentre gli altri, per totale di circa 600 persone, vennero mandati in esilio in Siberia.

I MOTI DI SPAGNA
IL PRONUNCIAMIENTO DI CADICE

La data di inizio dei moti può considerarsi il 1 gennaio 1820: presso il porto della città marittima di Cadice, in Spagna, alcuni reparti militari avevano ricevuto l'incarico di imbarcarsi alla volta delle colonie spagnole, dove alcune di esse si erano date governi indipendenti. Ciò era stato possibile in seguito all'invasione napoleonica della Spagna, alla cacciata dei Borbone e alla mancanza di un governo centrale saldo. Con l'invio dei battaglioni si pensava di sedare così la rivolta guidata da Simón Bolívar.

Gli ufficiali rifiutarono di imbarcarsi e diedero inizio ad una rivolta, detta pronunciamiento. Seguiti dai loro reparti, essi esigevano che il re Ferdinando VII concedesse nuovamente la Costituzione di Cadice, abrogata dopo il suo ritorno sul trono. Uno dei capi principali dei moti fu Rafael del Riego. Questi trascinò il suo battaglione sino ad Arcos de la Frontera, ove prese prigioniero il comandante in capo del corpo di spedizione nelle Americhe, il generale conte de Calderón.

Dopodiché, cominciò una marcia per molte città andaluse, con l'intento di sollevarle. Intento fallito, che si scontrò con una generale indifferenza delle popolazioni. E ciò nonostante fu minima la reazione da parte dei legittimisti, o del governo centrale, incapace di reagire per reprimere i reparti ribelli. Riego, ad ogni buon conto, dovette disperdere la colonna, cercando egli stesso rifugio nelle deserte colline dell'Estremadura. Al fallimento del pronunciamento in Andalusia, tuttavia, seguì un secondo tentativo militare, questa volta nella lontana Galizia, a La Coruña, seguita da Ferrol e da Vigo: in tutte queste città venne ri-proclamata la Costituzione del 1812. Poi il movimento insurrezionale si estese per il resto della Spagna.

L'evento culminante venne il 7 marzo 1820, allorché una folla circondò il Palazzo Reale di Madrid, ove sedeva Ferdinando VII. Questi considerava di disporre, nella guarnigione della capitale, di truppe sufficienti per spazzare il tumulto ed emanò i relativi ordini al comandante generale Ballesteros. Il generale, però, rispose di non poter rispondere della propria truppa. Seguirono ore di marcata tensione, sino alla tarda serata, quando il sovrano venne indotto a firmare un decreto col quale dichiarava di aver stabilito di giurare sulla Costituzione in accordo con la volontà generale del popolo.

Seguì, il 10, un proclama reale, "Manifiesto del rey a la Nación española", nel quale Ferdinando annunciava di aver prestato giuramento alla Costituzione, il precedente 8, ed aggiungeva: "Marciamo risolutamente, ed io sarò il primo, per il sentiero costituzionale". Cominciava così il Triennio Liberale.

Il 9-14 ottobre 1822, al Congresso di Verona, le potenze della Santa Alleanza autorizzarono la Francia di Luigi XVIII a condurre un corpo di spedizione in Spagna, volto a reintrodurre la monarchia assoluta.

Il 7 aprile 1823 un numerosissimo esercito, formato da ben 95.000 uomini detti i "Centomila Figli di San Luigi" e guidato dal duca d’Angoulême (figlio di Carlo X e, quindi, nipote di Luigi XVIII), attraversò la frontiera sui Pirenei. Salvo alcuni scontri minori in Catalogna, il duca poté condurre una facile marcia sino a Madrid, raggiunta il 24 maggio, ove venne trionfalmente accolto.

Nel frattempo il governo liberale che si era formato aveva preso formalmente prigioniero Ferdinando e lo aveva condotto con se nella città-fortezza di Cadice centro della rivolta liberale. Qui i deputati liberali delle Cortes Generales, con il pieno appoggio del Riego, si riunirono per votare la destituzione del prigioniero Ferdinando.

Lì giunsero anche i francesi, che cominciarono un assedio, condotto con l’appoggio di una grandissima flotta, forte di 67 navi da battaglia. L'assedio si concluse il 31 agosto quando, dopo la vittoriosa conquista di due forti all’imbocco della penisola a 12 chilometri da Cadice, nota come battaglia del Trocadero, cui partecipò anche Carlo Alberto di Savoia, la città venne costretta alla capitolazione.

I MOTI CARBONARI A NAPOLI

La diffusione, nel marzo 1820, anche nel Regno di Napoli, della conquista in Spagna del regime costituzionale contribuì notevolmente ad esaltare gli ambienti carbonari e massonici. A Napoli, la cospirazione (la quale non si pose mai l’intento di rovesciare il re, ma solo di chiedere la costituzione) prese subito vigore e coinvolse anche alcuni ufficiali superiori, come i fratelli Florestano e Guglielmo Pepe.

Michele Morelli, capo della sezione della carboneria di Nola, decise di coinvolgere il proprio reggimento nella cospirazione. A questo si affiancarono Giuseppe Silvati, sottotenente, e Luigi Minichini, prete nolano dalle idee anarcoidi.

La notte tra il l’1 e il 2 luglio 1820, la notte di San Teobaldo, patrono dei carbonari, Morelli e Silvati diedero il via alla cospirazione disertando con circa 130 uomini e 20 ufficiali. Ben presto li raggiunse Minichini che entrò in contrasto con Morelli: il primo voleva procedere con un largo giro per le campagne allo scopo di aggiungere alle proprie fila quei contadini e quei popolani che credeva attendessero di unirsi alla cospirazione; il secondo voleva puntare direttamente su Avellino dove lo attendeva il generale Pepe. Minichini lasciò lo squadrone allo scopo di seguire il proprio intento, ma dovette far ritorno poco dopo senza risultati. Il giovane ufficiale Michele Morelli, sostenuto dalle proprie truppe, procedeva verso Avellino senza incontrare per le strade l’entusiasmo delle folle che si aspettava.

Il 2 luglio, a Monteforte, fu accolto trionfalmente. Il giorno seguente, Morelli, Silvati e Minichini fecero il loro ingresso ad Avellino. Accolti dalle autorità cittadine, rassicurate del fatto che la loro azione non aveva intenzione di rovesciare la monarchia, proclamarono la costituzione sul modello spagnolo. Dopo di che, passò i poteri nelle mani del colonnello De Concilij, capo di stato maggiore del generale Pepe. Questo gesto di sottomissione alla gerarchia militare, provocò il disappunto di Minichini che tornò a Nola per incitare una rivolta popolare. Il 5 luglio, Morelli entrava a Salerno, mentre la rivolta si espandeva a Napoli dove il generale Guglielmo Pepe aveva raccolto molte unità militari. Il giorno seguente, il re Ferdinando I si vide costretto a concedere la costituzione.

Dopo pochi mesi, le potenze della Santa Alleanza, riunite in congresso a Lubiana, decisero l'intervento armato contro i rivoluzionari che nel Regno delle Due Sicilie avevano proclamato la costituzione. Si cercò di resistere, ma il 7 marzo 1821 i costituzionalisti di Napoli comandati da Guglielmo Pepe, sebbene forti di 40.000 uomini, furono sconfitti ad Antrodoco dalle truppe austriache. Il 24 marzo gli austriaci entrarono a Napoli senza incontrare resistenza e chiusero il neonato parlamento.

Dopo un paio di mesi, re Ferdinando revocò la costituzione e affidò al ministro di polizia, il principe di Canosa, il compito di catturare tutti coloro che erano sospettati di cospirazione.

I MOTI PIEMONTESI

Già da tempo in Piemonte, e in particolare a Torino, alcuni gruppi, di idee borghesi e liberali, avevano coltivato l'idea di una campagna militare, che avrebbe dovuto essere guidata dal re di Sardegna Vittorio Emanuele I di Savoia, allo scopo di liberare i territori italiani dalla dominazione straniera. Inoltre, riteneva che il Re si dovesse impegnare a concedere ufficialmente una costituzione ai sudditi del regno, fatto che avrebbe testimoniato l'impegno dei Savoia ad allearsi con i patrioti e ad assumere la guida del movimento liberale italiano. Tuttavia, fin dall'inizio del suo mandato, Vittorio Emanuele I si impegnò a restaurare in Piemonte e negli altri territori sotto il suo controllo un soffocante regime assolutistico, che contribuì ad andare in direzione opposta alle idee liberali della Carboneria e della borghesia in generale.

Si pensò quindi di cercare un altro alleato, che si palesò nella figura del giovane erede al trono sabaudo, Carlo Alberto di Savoia, principe di Carignano, per indurlo ad assumere la guida dei rivoluzionari. Carlo Alberto era stato infatti l'unico esponente della famiglia sabauda ad esprimere la propria solidarietà agli universitari torinesi che, nel gennaio 1821, avevano organizzato contro l'Austria una manifestazione pacifica e liberale, manifestazione repressa subito nel sangue; per questo motivo, si pensò che Carlo Alberto avesse davvero a cuore la questione italiana. I primi contatti si rivelarono più che positivi e sembrava che il giovane esponente di Casa Savoia avesse davvero intenzione di aderire all'impresa.

Nel 1820 le insurrezioni scoppiate in Spagna, Portogallo ed Italia meridionale contribuirono a rafforzare il patriottismo italiano, in particolare quello piemontese, i cui sostenitori pensarono che la loro rivolta sarebbe stata appoggiata e seguita, con ogni probabilità, da parte dei patrioti siciliani e napoletani. Inoltre, i patrioti piemontesi cercarono in ogni modo di sostenere militarmente gli omologhi napoletani, ma non vi riuscirono per motivi legati alla scarsa organizzazione ed alla tardiva notizia della partenza dell'esercito asburgico per il Regno di Napoli. Nella seconda metà del 1820, Santorre di Santa Rosa, uno dei principali esponeneti dell'organizzazione dei moti, si incontrò spesso segretamente con alcuni generali, politici (tra cui Amedeo Ravina) e con il giovane principe di Casa Savoia per definire la data e le modalità della ribellione; dopo molte riunioni, si stabilì che la rivolta dovesse scatenarsi non prima dell'inizio del nuovo anno, in modo che l'esercito austriaco, ancora impegnato nella repressione dei moti di Nola e di Napoli dello stesso anno, non fosse subito pronto ad intervenire in quanto bisognoso di qualche tempo per riorganizzarsi.

Il 6 marzo 1821, durante la notte, Santorre e altri generali si riunirono nella biblioteca del principe, insieme allo stesso Carlo Alberto, per organizzare nei dettagli l'impresa che, secondo un accordo precedente, sarebbe dovuta iniziare nel mese di febbraio: nel corso dell'incontro, Carlo Alberto mostrò alcuni tentennamenti, soprattutto sulla loro intenzione di dichiarare guerra all'Austria, che portarono Santorre ad avere qualche dubbio sul principe e sulle sue vere intenzioni. Tuttavia Carlo Alberto lasciò intendere il suo appoggio, e per questo motivo Santorre e i suoi associati fecero pervenire il messaggio di prossimo inizio della rivolta ai reparti militari di Alessandria, che, il 10 marzo, diedero inizio all'insurrezione, seguiti subito dopo dai presidi di Vercelli e Torino. In quell'occasione fu emesso da parte dei generali insorti il famoso Pronunciamento, un proclama con il quale si decise l'adozione di una costituzione, improntata su quella spagnola di Cadice del 1812, che prevedeva maggiori diritti per il popolo piemontese e una riduzione del potere del sovrano. Ma il re, piuttosto che concedere il documento, preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice di Savoia, allora assente dal Piemonte. La reggenza venne così affidata al principe Carlo Alberto che, assunto l'incarico, concesse la Costituzione e nominò Santorre di Santarosa ministro della guerra del governo provvisorio.

Di ritorno nella capitale, il nuovo sovrano revocò la costituzione e impose a Carlo Alberto di rimettersi al suo volere, abbandonando Torino e recandosi a Novara, rinunciando definitivamente alla sua carica e alla guida del movimento di rivolta. Nella notte del 22 marzo, mentre alcuni, tra cui lo stesso Santa Rosa, annunciavano una prossima guerra contro l'Austria, Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara abbandonando gli insorti al loro destino. Poche ore dopo Santorre, alla guida di un piccolo reparto, si recò nella città piemontese per tentare di convincere il principe e le sue truppe a tornare dalla sua parte, ma la missione si rivelò del tutto infruttuosa.

Privi di un appoggio, i costituzionali decisero di sciogliersi. Fu proposto un nuovo tentativo di insurrezione a Genova, ma subito si decise di non intervenire. Inoltre giunsero a Torino, come supporto all'esercito regio, plotoni austriaci che inflissero una pesante sconfitta ai costituzionali: il neonato governo cadde dopo neppure due mesi e il sogno dei rivoluzionari si infranse.

I MOTI DEL1830-1831

I moti del 1830-1831 furono tentativi di insurrezione, eredi dei moti del 1820-21 nati in Francia e diffusi poi in numerosi paesi europei.

Come durante i moti di dieci anni prima, i veri protagonisti di queste insurrezioni non furono membri del popolo, bensì della borghesia cittadina. Su esempio del popolo francese, che aveva cacciato il suo re Carlo X e l'opprimente politica reazionaria del governo dando vita ad un regime monarchico costituzionale retto da Luigi Filippo d'Orléans, numerose altre nazioni diedero vita ad insurrezioni; positive, come nel caso del Belgio, che ottenne l'indipendenza dall'Olanda, negative, come nel caso della Polonia e di Modena.

I MOTI FRANCESI DEL LUGLIO 1930
LE TRE GLORIOSE

Alla morte di Luigi XVIII, spentosi senza discendenza nel 1824, salì al trono di Francia suo fratello Carlo, conte di Artois, che divenne re con il nome di Carlo X.

Il nuovo re dimostrò subito il suo desiderio di tornare ad un regime simile a quello della monarchia assoluta, restaurando integralmente le condizioni prerivoluzionarie. Concesse numerosi privilegi al clero ed all'aristocrazia, fino ad emanare una legge, la "legge del Miliardo", che avrebbe risarcito tutti i nobili fuoriusciti dal territorio francese durante gli anni della rivoluzione. Carlo, con l'aiuto del suo primo ministro Polignac, di idee fortemente reazionarie, decise di ovviare alle sempre più numerose proteste dei democratici e dei borghesi revocando la carta costituzionale ottriata, concessa da Luigi XVIII nel 1814 e pubblicizzando la campagna militare che avrebbe portato di lì a poco alla conquista dell'Algeria.

Le manifestazioni di protesta non si placarono, ma andarono sempre più ampliandosi, anche a causa della crisi recessiva, dovuta a due anni di carestia: il re perse la fiducia persino del suo Parlamento alle elezioni. Così Carlo, il 26 luglio 1830, emanò quattro decreti, le Ordinanze di Saint-Cloud, con i quali restringeva ulteriormente il diritto di voto, escludendo completamente la borghesia, annullava la libertà di stampa applicando pesanti censure, scioglieva il Parlamento ed indiceva nuove elezioni.

In seguito a queste disposizioni, il popolo di Parigi insorse, guidato principalmente da esponenti della media ed alta borghesia.[1] In tre giornate particolarmente violente, le "tre gloriose" (27, 28, 29 luglio) i parigini si scontrarono per le vie cittadine con i soldati del re, che non riuscirono a tenere testa alla folla. L'assalto delle truppe venne respinto e Carlo X dovette rinunciare al trono fuggendo in Inghilterra.

Di lì a poco venne offerta la corona di Francia a Luigi Filippo d'Orléans, membro di un ramo cadetto dei Borbone. Sembrava l'uomo adatto alle esigenze: di nobile stirpe, quindi atto ad essere il re, figlio di un aristocratico schieratosi con i rivoluzionari[2], eccellente amministratore delle sue terre, dotato di abitudini e mentalità tipicamente borghesi. Luigi Filippo, che regnò per diciotto anni, fu un monarca costituzionale: il re non era più tale per volere divino, ma per una legittimazione dei suoi sudditi. Inoltre, la nuova Costituzione non era più "ottriata" bensì frutto di un accordo tra il sovrano ed il Parlamento.

L'INDIPENDENZA DEL BELGIO

In seguito al Congresso di Vienna, Belgio e Olanda furono uniti in un unico stato, che avrebbe dovuto funzionare da stato cuscinetto per una eventuale volontà francese di espansione territoriale. Lo stato aveva come forma di governo la monarchia, retta dall'olandese Guglielmo I di Orange-Nassau. I belgi mal sopportavano l'unione tra il loro paese e l'Olanda: il nuovo re aveva adottato una forte politica di accentramento amministrativo e tutti gli incarichi di rilievo erano occupati da olandesi. I belgi erano esclusi così dalla vita politica. A questo si andavano ad aggiungere motivi religiosi: gli olandesi erano protestanti, mentre il Belgio era un paese con forti tradizioni cattoliche. Inoltre la politica di dipendenza economica dall'Inghilterra promossa dal governo olandese frenava la sempre maggiore crescita economica delle industrie belghe.

Nonostante fossero divisi in tre regioni con forti antagonismi tra loro[3], i belgi misero da parte le antiche rivalità e si unirono in un movimento, che prese il nome di movimento unionista, che univa le forze agricole delle campagne e quelle industriali delle città. Ben presto, nell'agosto 1830, scoppiò a Bruxelles un moto rivoluzionario. Guglielmo non seppe scendere a patti con gli insorti ed inviò truppe armate per sedare la rivolta. Tuttavia il moto belga riscosse numerose simpatie tra i francesi, che vedevano così infrangersi lo stato cuscinetto creato sul loro confine.

Alla conferenza indetta a Londra, i delegati francesi guidati dal principe Talleyrand convinsero gli inglesi sulla necessità di una nazione belga indipendente. Malgrado la loro vicinanza a re Guglielmo, gli inglesi si espressero a favore di un nuovo stato belga. Il Belgio fu così definitivamente riconosciuto come stato indipendente, staccato dall'Olanda, con un regime monarchico costituzionale a capo del quale fu scelto il principe tedesco Leopoldo di Sassonia-Coburgo, che prese il nome di Leopoldo I del Belgio.

LA FINE DELL'INDIPENDENZA POLACCA

Dalla caduta di Napoleone, la Polonia aveva perso l'indipendenza e si trovava ad essere uno stato satellite della potenza russa. Era dal 1795, anno dell'abdicazione del re Stanislao Poniatowski, che la Polonia non aveva un re. Sull'onda dei successi ottenuti dai rivoluzionari francesi, che erano riusciti a mettere in fuga l'assolutista Carlo X, alcuni polacchi, appartenenti principalmente a circoli intellettuali e militari, promossero un moto rivoluzionario che portasse alla tanto anelata indipendenza. A scatenare questa reazione furono diversi fattori: in particolar modo la grande ostilità nei confronti della Russia, che andava esercitando con sempre maggiore intensità una politica di repressione nei confronti della Polonia, in particolare dopo l'ascesa dello zar Nicola I, che aveva già sventato con la violenza il moto decabrista.

Quando diedero inizio alla rivoluzione, i giovani cadetti erano convinti che la Francia di Luigi Filippo sarebbe intervenuta militarmente a favore degli insorti contro la Russia. Pur mostrando simpatia per l'insurrezione, il re francese mantenne un atteggiamento di passività, senza schierarsi apertamente. Entrare in guerra contro la Russia a favore della Polonia avrebbe avuto come conseguenza la reazione della Prussia e dell'Austria, unite allo zar dai patti della Santa Alleanza.

Perse le speranze in un aiuto francese, si pensava di poter contare almeno sulle masse popolari delle campagne. Tuttavia queste, da secoli legate alle servitù feudali, non ebbero la reazione prevista. Nonostante ciò, il moto portò alla liberazione della Polonia centrale ed alla formazione di un esercito regolare. Ben presto però sorsero dei conflitti fra i capi del moto: alcuni erano convinti che, giunti a questo punto, si dovesse scendere a patti con i russi, altri credevano invece nella necessità di una guerra ad oltranza. Approfittando delle divisioni interne degli insorti, le armate russe attaccarono i reparti polacchi che tentarono una strenua resistenza, ma nell'ottobre 1831 furono costretti a capitolare. Varsavia venne presa ed il moto soffocato nel sangue. La Polonia tornava ad essere una provincia russa.

I MOTI CARBONARI IN EMILIA ROMAGNA

In seguito ai moti francesi, si riaccesero in alcuni italiani le speranze per una nuova insurrezione [4]. In particolare, nel ducato di Modena la carboneria locale aveva intrecciato rapporti amichevoli con il duca Francesco IV, che si mostrava particolarmente interessato alla questione ed aveva in mente oscuri progetti di dominio. Si andò così organizzando un grande moto di insurrezione che comprendeva numerose città emiliane e romagnole, alcune, soprattutto le seconde, sotto il dominio dello Stato della Chiesa. Fiduciosi dell'appoggio del duca, i congiurati diedero inizio alla rivolta. Immediatamente Francesco IV tradì le aspettative e fece addirittura arrestare molti dei capi della rivolta, tra cui Ciro Menotti.
Nonostante questo voltafaccia, frutto del timore di un intervento austriaco, gli insorti presero importanti città come Modena, Parma e Bologna, dove furono creati governi provvisori. Questi tuttavia non resistettero a lungo, a causa del mancato intervento francese, in cui si confidava molto, e della disunione presente tra i capi della rivolta.
Nel marzo 1831 l'esercito austriaco fu fatto intervenire, ed in breve tempo fu ristabilito l'ordine, cui seguirono condanne a morte.

LA GIOVINE ITALIA(1831)

Nel 1831 Mazzini si trovava a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e nel febbraio del 1831 passò in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso in Francia.

Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e nelle Legazioni pontificie del 1831.

Si concordò sul fatto che le sette carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino del 1821 quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava desistere, come nel 1821, dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti del '30-31 l'aiuto dei francesi.

Con la fondazione della Giovane Italia nel 1831 il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere dell'insurrezione».[13]

Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno»[14] - anche attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832 - del messaggio politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica.

Negli anni 1833 e 1834, durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo solo nel 1838 in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da Mazzini che fondò, al suo posto, l'"Associazione Nazionale Italiana". 

IL QUARANTOTTO

La prima agitazione europea del 1848 è rappresentata da una rivolta del maziniano calabrese Domenico Romeo nell’autunno del 1847, seguita  dalla rivoluzione indipendentista siciliana del 1848 che però, soprattutto a causa della posizione periferica rispetto al Continente, non furono la vera miccia dell'esplosione europea (anche se qualche influenza riuscì ad averla comunque all'interno della penisola italiana). L'insurrezione siciliana portò infatti l'isola all'indipendenza, i Borboni a concedere una Costituzione e l'esempio borbonico fu a breve seguito da Carlo Alberto di Savoia e da Leopoldo II, i quali concessero infatti una Costituzione prima che scoppiasse l'insurrezione a Parigi. La miccia fu invece rappresentata dalla "campagna dei banchetti" che portò ad una rivoluzione a Parigi, il 22-24 febbraio che, successivamente, coinvolse tutta l'Europa. Solo l'Inghilterra vittoriana, in un periodo di stabilità politica ed economica (ma soprattutto grazie alle riforme del 1832 che pacificarono la classe borghese e scatenarono il cartismo), e all'opposto la Russia, in cui era praticamente assente una classe borghese (e di conseguenza una opposta classe proletaria) capace di ribellarsi, furono esentate dalla portata distruttrice (ma allo stesso tempo, soprattutto per quanto riguarda la Russia, dalla portata di innovazione) delle rivoluzioni del 1848.

FRANCIA

LA CAMPAGNA DEI BANCHETTI

L'opposizione a Luigi Filippo d'Orleans, minoritaria nelle istituzioni, optò per una campagna politica incentrata sui banchetti politici. La condanna della monarchia orleanista venne quindi portata in giro per tutta la Francia. La monarchia, che aveva a malincuore accettato questi banchetti, decise di vietare ad ogni costo l'ultimo banchetto della campagna politica anti orleanista. L'ultimo banchetto si doveva tenere a Parigi il 22 febbraio 1848 e gli organizzatori, insieme ad un cospicuo numero di manifestanti, decisero di scendere in piazza lo stesso (nonostante il divieto di Luigi Filippo) per affermare il proprio diritto alla riunione, indipendentemente dal fatto che essa sia o meno a sfondo politico. La monarchia rispose mandando in campo la Guardia Nazionale, la quale finì per fare causa comune coi manifestanti. Il 24 febbraio gli insorti avevano in mano Parigi, Luigi Filippo abbandonò la città e il 24 sera all'Hotel de Ville (il municipio parigino) fu costituito un governo provvisorio che si pronunciò a favore della repubblica e che annunciò la prossima convocazione di una Assemblea Costituente da eleggere a suffragio universale maschile. Il governo provvisorio era formato da democratici, repubblicani e due socialisti (Louis Blanc e l'operaio Alexandre Martin). La rivolta dei banchetti, detonatore delle istanze rivoluzionarie di tutta Europa, rientra a pieno titolo all'interno del classico schema che caratterizza tutte le rivoluzioni del 1848-49, cioè quello delle giornate rivoluzionarie (basti citare ad esempio le cinque giornate di Milano o le dieci giornate di Brescia).

LE CAUSE

I fattori sono molteplici: sotto il profilo politico, sia i riformisti borghesi che i radicali si trovarono a scontrarsi con una realtà anacronistica, frutto delle conclusioni tratte durante il Congresso di Vienna mentre sotto il profilo sociale, i cambiamenti nella vita quotidiana causati dalla prima rivoluzione industriale (rivoluzione industriale in Inghilterra) e la diffusione della testate giornalistiche favorirono l'ascesa degli ideali di nazionalismo e giustizia sociale anche nelle masse meno colte. La recessione economica del 1846-47 (da cui peraltro l'Europa si riprenderà piuttosto in fretta) e il fallimento di alcuni raccolti, che portarono inevitabilmente all'inedia, furono la goccia che fece traboccare il vaso.

GLI EFFETTI

Per quanto i moti furono sedati abbastanza velocemente, le vittime furono decine di migliaia: il destino della democrazia europea ci è sfuggito di mano dichiarerà Pierre-Joseph Proudhon. Gli storici concordano che la Primavera dei popoli fu, alla fin fine, soprattutto un sanguinoso fallimento. Vi furono tuttavia alcuni notevoli effetti a lungo termine: Germania e Italia sarebbero presto arrivate alla riunificazione facendo leva anche sulla necessità di autodeterminazione dei popoli. Analogamente l'Ungheria sarebbe giunta ad un parziale riconoscimento della propria autonomia (a discapito della popolazione slava) grazie all'Ausgleich del 1867. In Prussia e Austria fu abolito il feudalesimo, mentre in Russia fu eliminata la servitù della gleba (1861).

NAPOLEONE III

Il nipote di Napoleone Bonaparte, Carlo Luigi Napoleone, figlio - si dice illegittimo - del fratello Luigi e di Ortensia Beauharnais, si era presentato alle elezioni presidenziali del 1848 con un programma forte, e fu acclamato primo presidente della Seconda Repubblica francese. Il clima di forte tensione politica e sociale lo portarono a instaurare ben presto un regime dittatoriale che culminò con la soppressione della Repubblica e la fondazione del Secondo Impero nel 1852. La scelta del nome, Napoleone III, intendeva garantire la continuità col precedente Impero francese. Napoleone III adottò fin da subito una politica repressiva allo scopo di scoraggiare eventuali rivolte popolari. Con l’ausilio del Barone Haussmann diede vita a una riprogrttazione del sistema viario parigino con la demolizione di molte aree e la creazione di grandi viali, i boulevard, che avrebbero garantito una migliore efficacia negli interventi dell’esercito durante eventuali insurrezioni popolari. Oltre ai criminali comuni furono molti i dissidenti e gli anarchici condannati al confino nelle colonie, sopratutto nella Guyana Francese e nella Nuova Caledonia. A causa del regime furono diversi i tentativi di attentato, come quello celeberrimo attuato dal patriota Felice Orsini che voleva “punirlo” per aver tradito il giuramento carbonaro col quale si era impegnato a sostenere l’unificazione italiana. Si rende noto anche un progetto, sventato, dell’anarchico Giovanni Passannante, famoso poi per essere stato autore di un tentato regicidio ai danni del re Umberto I d’Italia. Nonostante i pareri negativi sulla sua figura - tanto da essere chiamato Napoleone il Piccolo in senso di disprezzo - occorre dire che la Francia del Secondo Impero conobbe una positiva congiuntura economica, col rilancio dell’industria, la creazione di prestigiosi istituti bancari e l’adozione di misure protezionistiche. Napoleone morì in esilio in Inghilterra tre anni dopo la sconfitta di Sedan (1870) che determinò la fine del Secondo Impero e l’avvento della Terza Repubblica.

GRAN BRETAGNA

IL LUDDISMO

Per luddismo si intende un movimento popolare sviluppatosi in Inghilterra all'inizio del XIX secolo caratterizzato dalla lotta all'introduzione delle macchine. Il movimento prende il nome da Ned Ludd, la cui esistenza è incerta, che nel 1779 spezzò un telaio in segno di protesta.
Le macchine erano considerate la causa della disoccupazione e dei bassi salari già da fine Settecento e la legge ne puniva duramente la distruzione o il danneggiamento.
Solo verso il 1811-1812 la protesta sfociò in un movimento che vide protagonisti operai e lavoratori a domicilio. Questi, impoveriti dallo sviluppo industriale, decisero di colpire impianti, macchine e prodotti.
Per sfuggire ai rigori della legge che vietava ogni associazione tra lavoratori, i luddisti dovettero agire in clandestinità, subendo condanne a morte e deportazioni.
Oltre a manifestare contro i nuovi metodi di produzione e a favore di precedenti forme di produzione legate al lavoro a domicilio, i luddisti posero i problemi che sarebbero stati fatti propri in seguito dalle organizzazioni sindacali (la cui nascita, come Trade Unions, risale appunto al 1824), come gli orari e le condizioni di lavoro, i minimi salari, il lavoro minorile e femminile.

IL CARTISMO

Il Cartismo fu un movimento politico-sociale, britannico, prevalentemente di uomini della "working-class", il cui nome derivava dalla People's Charter, ("Carta del Popolo"), presentata nel 1838 alla Camera dei Comuni con una petizione firmata da oltre un milione di persone. Il movimento era organizzato da Fergus O'Connor, avvocato di origini irlandesi.
Il documento, articolato in sei punti, rivendicava:
il voto garantito ad ogni maschio di ventuno anni, sano di mente e mai condannato;
il voto segreto per proteggere l'elettore nell'esercizio del suo diritto di voto;
nessun obbligo di proprietà nella qualificazione per concorrere ad essere membro del Parlamento.
l'indennità parlamentare, per consentire a tutti i lavoratori di servire lo Stato senza essere penalizzati economicamente;
la revisione delle circoscrizioni elettorali, assicurando la stessa quantità di rappresentanti ad un pari numero di elettori;
il Parlamento Annuale, che costituiva il metodo più efficace contro il ricatto e le intimidazioni.
La petizione fu nuovamente presentata nel 1842 con oltre tre milioni di firme. Il mancato accoglimento diede luogo a diverse dimostrazioni, che sfociarono anche in gravi casi di sangue.
Successivamente il movimento andò perdendo forza, sia per il raggiungimento di una maggiore prosperità, sia per le riforme attuate tra il 1867 e il 1887, soprattutto il Ballot Act del 1872, che ne accolsero di fatto gran parte delle richieste.