mercoledì 22 giugno 2016

Classe 3 Storia

Classe 3 Storia
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CLASSE TERZA - MODULO 1 - STORIA
Il Basso Medioevo  (prima parte)

1 - LA NASCITA DELL'EUROPA

L'ANNO MILLE

L'anno Mille è considerato storicamente lo spartiacque tra Alto e Basso Medioevo. I due periodi sono assolutamente diversi, sia da un punto di vista politico (la decadenza dell'Impero Romano e quindi la nascita del Sacro Romano Impero) sia economico e sociale (l'affermarsi prima del feudalesimo e poi l'espansione delle città). Da un punto di vista storico è evidente che le caratteristiche principali del Basso Medioevo sono la DECADENZA DEI DUE POTERI UNIVERSALI (Chiesa e Impero) e la formazione di una IDENTITÀ EUROPEA, favorita soprattutto dal consolidamento progressivo di una borghesia cittadina.

LA CAMPAGNA

Il FEUDALESIMO è una caratteristica struttura socio-economica dei Franchi. Non è un caso: il rigoroso rapporto di "commendatio" vincolava di fatto i contraenti a una serie di diritti e di doveri, quasi un'appartenenza, che, secondo molti storici, è alla base del sentimento di individualismo e di libertà  di molte popolazioni europee. La catena feudale consisteva in un rigoroso legame gerarchico che iniziava dal FEUDATARIO, e proseguiva con i livelli inferiori, VASSALLI, VALVASSORI e VALVASSINI, fino ai SERVI DELLA GLEBA, che erano i lavoratori agricoli di proprietà del feudo. Nel corso degli anni si nota come i feudatari aumentino il loro potere e si affranchino dal potere centrale dell'Imperatore. È questo il periodo in cui assistiamo alla  progressiva crescita demografica, e al rinnovamento dell'agricoltura, fonte principale di approvvigionamento della società feudale. La produzione cresce grazie anche all'introduzione della rotazione triennale dei campi (coltivati per un terzo a frumento e segale, per un terzo a orzo e avena, e per un terzo a maggese) e all'utilizzo di nuovi strumenti per il lavoro.
Nel XIII secolo va affermandosi l'istituzione della CAVALLERIA, dapprima come corpo militare, poi come una vera e propria classe sociale. Fonte dell'arricchimento dei cavalieri erano tornei e missioni al servizio dapprima degli Imperatori e dei locali feudatari, e poi della Chiesa secolarizzata, che li trasformò in "milites Christi".

LA CITTÀ

Dopo il Mille si assiste a una rapida espansione delle città, non tanto in Italia e nell'Europa Mediterranea, dove la città era presente da tempo, ma sopratutto nel Nord Europa. Si va formando una nuova classe sociale, la BORGHESIA, costituita da commercianti, proprietari terrieri non appartenenti alla nobiltà e giuristi. Anche i feudatari iniziano ad apprezzare la comodità della vita cittadina. Questa nuova società ha esigenze diverse rispetto alle comunità rurali, a causa dei frequenti spostamenti necessari al commercio. Ben presto le città si affrancarono dal potere signorile, guadagnando la propria autonomia e sviluppando delle leggi a tutela dei commerci e delle proprietà. Un cardine dello sviluppo urbano fu sicuramente la CULTURA laica e religiosa. Dopo il Mille si assiste infatti alla fioritura della cosiddetta Scolastica, ossia la diffusione dell'insegnamento della filosofia, del diritto, e della grammatica, presso le "scholae" ubicate nelle cattedrali, dalle cui "societates" di maestri e studenti nascono le università.  La nascita delle prime università dette non solo nuovo impulso alla cultura, ma ebbe il merito anche di favorire l'esigenza di un sistema del sapere, che condusse al recupero e alla trascrizione dei testi antichi, sopratutto quelli di Aristotele. Un altro cardine dello sviluppo delle città furono i COMMERCI, favoriti in modo particolare dove fossero presenti fiumi navigabili. La differenza di moneta tra una città e l'altra fa nascere la professione del cambiabalute, che assume progressivamente una certa importanza nel corso del XIII secolo.

LE CITTÀ MARINARE

Le prime città a emanciparsi dai poteri signorili furono le città marinare, inizialmente quelle del Nord Europa, legate spesso da vincoli associativi come le città della Lega Anseatica, e poi le repubbliche marinare italiane. La prima città marinara italiana a emanciparsi - dall'Impero Bizantino - fu AMALFI, che riuscì ad affrancarsi già nel IX secolo grazie ai commerci. Il predominio di Amalfi fu interrotto dall'ascesa di PISA, che sostituiva ai commerci un forte apparato militare. Dopo aver attaccato e saccheggiato Amalfi nel 1135, i Pisani iniziano il loro predominio sul Mediterraneo, conquistando diversi avamposti strategici come la Corsica e la Sardegna giudicale. La diretta avversaria di Pisa era GENOVA che, già indipendente dal X secolo, aveva trasformato il proprio apparato amministrativo con un nuovo governo retto da una associazione di armatori e commercianti. Il nuovo governo si era dato regole ben precise e molto rigide, come la scelta di proteggere i propri traffici chiudendo le associazioni mercantili ai non genovesi e impedendo alle navi il trasporto di mercanti stranieri. Il rapido sviluppo dei commerci genovesi provocò l'inevitabile conflitto con Pisa, culminato nello scontro del 1288 nella battaglia della Meloria, che segnò la sconfitta di Pisa e l'inizio della decadenza pisana. La nascita di VENEZIA fu causata dalla discesa dei Longobardi, che obbligarono i locali a rifugiarsi sulle isole della laguna, dando vita a un nucleo urbano retto dapprima da Bisanzio e poi da una classe di magistrati locali chiamati DOGI. Nel corso del X secolo si andò rafforzando l'autonomia cittadina fino al distacco da Bisanzio. In breve tempo Venezia divenne il principale centro commerciale dell'Adriatico, oltre a garantire, grazie alla sua flotta, una barriera protettiva dalle incursioni dei pirati che infestavano il Mediterraneo. Nel 1172 l'elezione dei dogi passò dal popolo a un MAGGIOR CONSIGLIO costituito di 40 membri, che dal 1297 fu chiuso ai membri delle nuove famiglie - SERRATA DEL MAGGIOR CONSIGLIO - trasformando il governo veneziano in una OLIGARCHIA a tutti gli effetti. Nel 1381 Venezia sconfisse Genova nella guerra di Chioggia.

I COMUNI

Il comune nasce intorno all'XI secolo, quando va affermandosi un patto di solidarietà tra gli abitanti delle città, la CONIURATIO, in difesa delle autonomie locali dalle ingerenze dei feudatari. Col tempo, venuta meno questa esigenza, le coniurationes si trasformarono appunto in comuni, regolati da documenti manoscritti chiamati STATUTI, redatti da notai e archiviati. La borghesia dei commerci e dell'artiginato dette vita a CORPORAZIONI (dette anche ARTI in Italia) allo scopo di tutelare gli affari e controllare meglio la concorrenza. Lo sviluppo del comune assunse connotati differenti in tutta Europa. In Italia il comune fu caratterizzato da una maggiore libertà amministrativa e politica rispetto a quelli europei. Esso si affermò soprattutto a Nord, mentre nel Mezzogiorno il comune rivestì solo una funzione amministrativa, essendo il potere feudale molto più forte. A limitare il ruolo politico dei comuni italiani fu l'isolamento, che spesso degenerava in tensioni tra comuni vicini, esponendo i comuni alle mire di realtà politiche più organizzate come l'Impero. A governare il comune era un CONSOLATO, composto da un numero variabile di membri, a mandato annuale, coadiuvati da una assemblea dapprima limitata agli aristocratici e poi aperta alla borghesia, chiamata ARENGO. Va sottolineato che la partecipazione all'arengo era garantita ai soli cittadini iscritti alle ARTI (le corporazioni) e non a tutti indistintamente. La partecipazione alla vita politica era molto vivace. Il ruolo dei consoli era quello di mediare i conflitti ma spesso si lasciavano coinvolgere dalle cause di gruppi di cittadini. Allo scopo di tutelare l'imparzialità molti comuni ricorsero all'arbitrato di un PODESTÀ, spesso proveniente da un altro comune e quindi estraneo alle cause dei conflitti.

2 - LA CHIESA E L'IMPERO

LA CRISI DELLA CHIESA E LA LOTTA PER LE INVESTITURE

Tra i secoli IX e X la Chiesa sente l'esigenza di una separazione tra i poteri temporale e spirituale. Ad avvertire maggiormente questa esigenza furono i monaci benedettini di Cluny a cui si aggiunse un altro ordine, sempre ispirato alla regola di San Benedetto, i Cistercensi (il nome derivava dal toponimo latino Cistercum, poi Citeaux, dove sorgeva l'abbazia dell'ordine). A differenza del monachesimo tradizionale, il nuovo ordine dava maggiore spazio al lavoro. Accanto a questi impulsi di revisionisti del movimento ecclesiale si registra una progressiva crisi interna alla Chiesa. L'elezione pontificia era affidata a un collegio cardinalizio, espressione della volontà popolare e sottoposta all'influenza della nobiltà romana. Per contrastare questa ingerenza un gruppo di cardinali dissidenti elesse a Siena l'anti-papa Niccolò II, che, con l'appoggio delle milizie imperiali riuscì a cacciare il papa Benedetto X, voluto proprio dalla nobiltà romana. Raggiunto il soglio pontificio Niccolò II convocò il sinodo dei vescovi in Laterano per deliberare l'autonomia dell'elezione pontificia dal volere popolare. Tuttavia l'appoggio dato dall'imperatore costituiva un vincolo ulteriore.  Nel 1073 il nuovo pontefice, l'ecclesiastico riformatore ILDEBRANDO DI SOANA fu eletto per acclamazione popolare col nome di Gregorio VII. Il nuovo papa emanò un documento fondamentale che svincolava l'elezione del pontefice da qualsiasi diritto di veto, nobiliare e imperiale: il DICTATUS PAPAE ammetteva non solo la superiorità della Chiesa, ma anche la sua infallibilità, attribuendo pertanto alla sola Chiesa di Roma il diritto all'investitura dei vescovi, sottraendola all'Imperatore. Il Dictatus Papae, sottraendo il controllo dell'elezione dei vescovi all'Imperatore, riaccendeva il conflitto tra i due poteri universali.
La LOTTA PER LE INVESTITURE era già scoppiata nei secoli precedenti, ma tornò a inasprirsi quando l'Imperatore ENRICO IV DI SASSONIA cercò di far valere la sua autorità sui nobili tedeschi fedeli al papa Gregorio VII. Privo del sostegno di una buona parte dei vescovi tedeschi e scomunicato dal papa, Enrico cercò una soluzione di comodo fingendo un pentimento e raggiungendo il pontefice al castello di Canossa, dove Gregorio VII era ospite della contessa Matilde di Toscana, supplicando il pontefice di revocargli la scomunica che lo rendeva evidentemente non credibile per i suoi sudditi. Ottenuta la revoca Enrico riprese la lotta contro il papa, e, dopo averlo sconfitto, lo esiliò a Salerno. La sconfitta del papa non segnò però una conclusione definitiva della lotta per le investiture, che proseguì anche dopo la morte dei due contendenti con i legittimi successori. Una temporanea conclusione del conflitto è però rappresentata dal CONCORDATO DI WORMS del 1122, che concedeva agli Imperatori tedeschi il privilegio di concedere feudi e cariche ai vescovi PRIMA della loro consacrazione, unica eccezione in Europa.

FEDERICO I BARBAROSSA E LO SCONTRO CON I COMUNI

Federico di Hohenstaufen è il secondo imperatore dopo Enrico IV di Sassonia a tentare di ristabilire il primato del potere universale dell'Impero, scontrandosi sia con la Chiesa, sia con i comuni italiani. Erede dei duchi di Svevia da parte di padre, e dei duchi di Baviera da parte di madre, proveniva da due famiglie nemiche, che avevano dato origine a due partiti: i GHIBELLINI (il nome deriva dal feudo di Waiblingen dove nacque lo stesso Federico) che erano fedeli all'autorità imperiale, e i GUELFI (dal nome del capostipite dei duchi di Baviera, Welf) che erano ovviamente ostili all'Imperatore. Per estensione si intesero poi come guelfi i sostenitori del papa. Lo scontro con i comuni ha origine quando, nel 1154 in occasione della dieta di Roncaglia, Federico pretende dai comuni la restituzione delle cosiddette REGALIE, come il versamento di tributi, la facoltà di battere moneta, e la nomina dei magistrati. A peggiorare la situazione fu l'elezione nel 1059 del pontefice Alessandro III, avverso a Federico. A differenza della Francia che si schierò con nuovo papa, i comuni italiani si divisero. A sostenere il papa ci fu sopratutto Milano, che Federico cinse subito d'assedio. Conquistata Milano, il Barbarossa scese fino a Roma dove nominò un anti-papa, Pasquale III. A ribellarsi per prime alle ingerenze dei funzionari imperiali furono i comuni di Verona, Padova e Vicenza, unite nella LEGA VERONESE, che nel 1164 oppose una coraggiosa resistenza alle milizie imperiali, costringendo Federico a tornare in Germania sconfitto. Tornato dopo due anni, Federico, alla testa del suo esercito, si mise in marcia verso Roma. A questo punto insorsero diversi comuni lombardi, che confluirono nella LEGA CREMONESE. L'anno successivo i comuni aderenti alle due leghe si unirono con altri, formando un nucleo più forte, la LEGA LOMBARDA sfidando apertamente Federico. L'Imperatore, tornato a Pavia, vide precipitare rapidamente la situazione. La dichiarazione di guerra dei comuni ribelli era simbolicamente rappresentata dalla fondazione di Alessandria, in onore del papa nemico dell'Imperatore, ma sopratutto questo atto era una sfida alla stessa autorità imperiale, poiché solo l'Imperatore poteva autorizzare la fondazione di nuove città. Nel 1176 avviene lo scontro decisivo a Legnano. Federico I, sconfitto, rinunciò a quasi tutti i privilegi, eccetto il versamento di alcuni tributi e il diritto di ricevere da parte dei consoli il giuramento di fedeltà.

I REGNI DELL'ITALIA MERIDIONALE
NORMANNI, ANGIOINI E ARAGONESI 

I Normanni giunsero al Meridione d'Italia nella seconda metà dell'XI secolo, guidati da ROBERTO I detto IL GUISCARDO, appartenente alla nobile casata degli ALTAVILLA. Mentre il loro insediamento sulla parte continentale fu abbastanza graduale, in Sicilia dovettero affrontare una trentennale lotta contro gli Arabi. I Normanni non furono da subito stanziali: essi erano infatti dei guerrieri mercenari, spesso alla ricerca della protezione dei principi locali, a cui concedevano i propri servigi in cambio di terre. Furono proprio queste terre a costituire il primo nucleo della dominazione normanna nel Mezzogiorno d'Italia. Nel 1069 il papa Leone IX riconobbe i regni normanni con l'accordo di Melfi, considerando tali feudi una buona protezione del Sud Italia, considerato dalla Chiesa come un proprio territorio. 
Questi regni normanni furono unificati nel 1139 da RUGGERO II DI ALTAVILLA, nipote di Roberto il Guiscardo, che formò il REGNO DI SICILIA, il più grande regno della Penisola. Il regno di Ruggero II è ricordato per l'ammodernamento delle istituzioni. Le vecchie norme consuetudinarie furono sostituite infatti da un vero e proprio corpus legislativo, le ASSISE, assai avanzato per l'epoca; inoltre Ruggero fece di Palermo la capitale del Regno, promuovendo un'intensa opera di abbellimento. Occorre però precisare che a differenza del Nord, il Sud normanno non conobbe una vera e propria età comunale, essendo i comuni normanni sottoposti all'autorità del sovrano e quindi non autonomi politicamente.  
La figlia di Ruggero II, COSTANZA D'ALTAVILLA, andò in sposa al figlio dell'imperatore Federico I di Svevia, ENRICO, che, salito al trono come Enrico VI, rivendicò il titolo di re di Sicilia, aprendo un nuovo conflitto col papa, INNOCENZO III. L'aspirazione di Enrico era infatti quella di dare vita a un unico grande Stato, avamposto dell'Impero, centro focale dell'espansione tedesca sul Mediterraneo. Il progetto si scontrava col progetto politico del pontefice, che riassumeva la sua concezione del potere nella cosiddetta TEORIA DELLE DUE SPADE: quella del potere spirituale era in mano al papa, quella del potere temporale era affidata dal pontefice stesso ai sovrani. 
La crisi tra Impero e Papato subì una battuta d'arresto quando Enrico VI morì nel 1197, lasciando il piccolo Federico, il futuro  imperatore FEDERICO II. Ancora minore, Federico aveva ereditato un impero immenso da parte dei genitori. Diventato re dei Normanni dopo la morte della madre Costanza fu quindi incoronato imperatore nel 1220. Federico II fu un uomo di grande cultura. Cresciuto in un ambiente di grande erudizione, aveva respirato l'atmosfera di un Sud ancora impregnata della cultura araba. Fondò a Napoli l'Università, progettò una grande riorganizzazione del regno, e promosse - assistito dal cancelliere Pier delle Vigne - una serie di riforme giuridiche note come Costituzioni Melfitane.
Egli non solo riconobbe l'autonomia della Chiesa ma si pose anche a difesa della cristianità, indicendo la prima Crociata a difesa dei luoghi santi. In difficoltà a causa di una improvvisa epidemia, Federico dovette rimandare la spedizione in Palestina, ricevendo la prima scomunica dal papa GREGORIO IX. Deciso a riparare tentò un secondo viaggio in Oriente l'anno successivo. Qui tuttavia non intraprese una battaglia ma usò la sua abilità diplomatica per raggiungere un accordo col sultano d'Egitto. Ma le tensioni col papato si riaprirono nel 1239 a causa di una seconda scomunica di Federico II, stavolta a causa dei pesanti tributi imposti dall'Imperatore al clero siciliano. A Federico II succedette il figlio MANFREDI, che tuttavia non regnò a lungo, poiché il papa CLEMENTE IV - che come tutti i papi considerava l'Italia meridionale come un proprio feudo - concesse nel 1265 il Regno di Sicilia a CARLO D'ANGIÒ, fratello del re Luigi IX di Francia. Nonostante la resistenza di Manfredi, Carlo, aiutato dalle milizie guelfe, sconfisse l'esercito normanno a Benevento, impossessandosi del regno. Il nuovo re spostò la capitale da Palermo a Napoli, iniziando una serie di opere di abbellimento e di ammodernamento della città, che nei suoi sogni doveva diventare la capitale di un grande regno mediterraneo. Il progetto si interrompe nel 1282, quando, dopo una lunga serie di tensioni, scoppiò una rivolta popolare a Palermo, la sera del 30 marzo all'ora del vespro (e per questo passata alla storia come i VESPRI SICILIANI). I siciliani chiesero la protezione del genero di Manfredi, PIETRO III D'ARAGONA, a cui offrirono la corona del regno di Sicilia. Sconfitto l'esercito angioino, Pietro d'Aragona prese possesso dell'isola, separandola di fatto dall'Italia continentale. Il papa riconobbe la sovranità aragonese nel 1302 col trattato di Caltabellotta.

3 - LE CROCIATE E I PRIMI CONFLITTI TRA CRISTIANI

LE CROCIATE

La prima crociata nasce dalla richiesta di aiuto dell'imperatore bizantino ALESSIO I COMNENO rivolta al papa URBANO II nel 1070. L'espansione turca in Siria, in Palestina e in Asia Minore preoccupava molto Costantinopoli, ma il vero problema fu l'occupazione turca di Gerusalemme e il conseguente divieto ai Cristiani di recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa. In risposta all'invocazione dell'Imperatore d'Oriente, il papa indisse il CONCILIO DI CLERMONT con la partecipazione di molti nobili francesi. L'imperatore aveva chiesto al papa l'invio di milizie cristiane, e il papa fece leva proprio sul sentimento religioso al fine di coinvolgere l'occidente cristiano in una guerra santa contro gli infedeli. Tuttavia, prima della crociata vera e propria (la cosiddetta CROCIATA DEI SIGNORI) ci furono due spedizioni passate alla storia col nome di  CROCIATE DEI PEZZENTI. Molti poveri, pensando di trarre profitto da questo evento, formarono delle bande, disarmate e disorganizzate, che autonomamente cercarono di raggiungere il Bosforo per combattere contro i Turchi. L'inesperienza e l'assenza di un supporto costarono care a queste milizie improvvisate, che furono decimate dall'esercito turco. La vera prima crociata partì solo nel 1096, guidata da GOFFREDO DI BUGLIONE, duca della Bassa Lorena, alla testa di un esercito formato perlopiù da nobili francesi e normanni. Questi ultimi erano in gran parte feudatari, ispirati dalle parole del papa sulla necessità di una guerra santa; accanto a loro c'erano anche i membri CADETTI delle grandi famiglie aristocratiche, in cerca di fortuna e di denaro, e i MERCANTI, che avevano visto i loro commerci decadere a causa delle incursioni dei Turchi. La divisione all'interno dei Turchi (i SELGIUCHIDI da una parte e i FATIMIDI dall'altra) comportò un indebolimento del fronte anti-cristiano: nel 1099 Gerusalemme fu cinta d'assedio e conquistata. La conquista della città coincise anche con un vergognoso saccheggio e con l'umiliazione dei suoi abitanti. Prima che la difesa dei Luoghi Santi fosse affidata ai Cavalieri Templari e ad altri ordini religiosi,  Goffredo di Buglione ne fece un proprio feudo, assumendo il titolo di difensore - ADVOCATUS - del Santo Sepolcro. Alla morte di Goffredo di Buglione i Turchi ripresero ad assediare Gerusalemme,  costringendo il nuovo pontefice EUGENIO III a bandire nel 1145 la seconda crociata.
A differenza della prima crociata, che aveva coinvolto le MONARCHIE FEUDALI, la seconda e la terza crociata coinvolsero direttamente i sovrani (le MONARCHIE NAZIONALI). La seconda fu bandita direttamente dal papa, mentre la terza fu portata avanti dagli stessi sovrani - tra cui l'Imperatore Federico I di Svevia - alla ricerca di nuove conquiste territoriali, oltre alla motivazione religiosa.   Nel 1187 il Sultano d'Egitto SALADINO (Salah ad Din) riconquistò Gerusalemme, e, dopo la sua morte, il potere passò nelle mani dei MAMELUCCHI, una casta militare che riuscì ad arginare in maniera più incisiva l'azione dei crociati. Per questo il papa INNOCENZO III bandì la quarta crociata.
La quarta crociata come quelle seguenti non aveva una reale motivazione religiosa. Non vi parteciparono sovrani europei, ma la protagonista fu Venezia che mise a disposizione la sua flotta. Venezia - che aveva patito più di altre repubbliche le incursioni turche a discapito dei suoi commerci nel Mediterraneo - chiese in cambio la liberazione di Zara e l'occupazione di Costantinopoli, allo scopo di ristabilire il suo primato. La conquista di Costantinopoli e la fondazione dell'Impero Latino d'Oriente (durato fino al 1261) cambiò completamente la fisionomia delle crociate, che da guerra santa si trasformarono in una guerra economica tra potenze mercantili. Le tre crociate successive si caratterizzarono proprio per questa nuova motivazione.

ERESIE E SCISMI NEL BASSO MEDIOEVO
L'INQUISIZIONE E GLI ORDINI RELIGIOSI

Sicuramente il conflitto religioso di maggiore interesse del Basso medioevo è quello che portò allo Scisma del 1054 che determinò la separazione della Chiesa Ortodossa, che faceva capo al Patriarca di Costantinopoli, MICHELE CERULARIO, da quella Cattolica, con sede a Roma. Il conflitto nasce per motivi legati al primato dell'autorità pontificia, contestata da Cerulario, ma soprattutto per motivi politici. La primalità temporale del pontefice fu messa in discussione nel corso del XII secolo anche dall'ERESIA CATARA. I Catari (dal greco katharos, cioè puro) erano una setta che si era diffusa nell'Italia Settentrionale e nella Francia Meridionale, dove i Catari si erano stabiliti nella cittadina di Albi, in Linguadoca, da cui il nome di Albigesi. I Catari si ponevano in aperto conflitto con l'autorità del papa, rifiutando la procreazione e la ricchezza, la validità dei sacramenti e la stessa autorità di Roma. La loro diffusione e soprattutto il rischio del loro peso politico, costrinse nel 1209  il papa INNOCENZO III a bandire contro di loro una crociata, nella quale furono coinvolti molti nobili francesi guidati da SIMON DE MONTFORT e che si risolse con un vero e proprio sterminio, allo scopo di impossessarsi dei beni dei Catari. La nascita di queste prime eresie moderne indusse la Chiesa a istituire un vero e proprio Tribunale per individuare e debellare sul nascere gli eventuali movimenti ereticali. L'INQUISIZIONE in realtà era già presente, ma i suoi tribunali si erano diffusi proprio a partire dal XII secolo, in Francia prima e poi in Spagna, a causa della presenza degli Arabi e degli Ebrei e dello sviluppo di svariati movimenti ereticali. In origine i Tribunali avevano lo scopo di indagare au eventuali crimini di eresia, ma in seguito il potere di questa istituzione si trasformò in un vero e proprio alleato delle monarchie europee al fine di tenere sotto controllo la popolazione. Conto le eresie si impegnarono anche i nuovi ORDINI RELIGIOSI. Il primo fu quello dei DOMENICANI, fondato dallo spagnolo Domenico di Guzman. Il religioso, dopo la crociata contro gli Albigesi, si era convinto che lo strumento più efficace contro le eresie fosse la predicazione. Accanto all'Ordine Domenicano si sviluppa però un vasto movimento di rinnovamento interno della Chiesa che culmina nella fondazione di un altro Ordine, detto FRANCESCANO dal nome del suo fondatore, il mistico assisiate Giovanni di Pietro Bernardone detto Francesco, che costituì una comunità religiosa ad Assisi. La sua REGULA NON BULLATA (priva cioè dell'approvazione pontificia) per quanto rispondesse alle esigenze di rinnovamento della Chiesa Cattolica fu sospettata di eresia per l'eccessivo rigore (legato agli obblighi di povertà, castità e obbedienza) tanto che Francesco non riuscì a ottenere la necessaria validazione fino al 1210, quando il papa Innocenzo III ne approvò una versione definitiva meno rigida. Bisogna dire che tuttavia la predicazione francescana si discostava dall'eresia catara per il rispetto delle gerarchie della Chiesa e per l'assoluta obbedienza al papa. Il contributo francescano non fu circoscritto alla sola religione, ma anche alla cultura italiana, dato che le sue opere furono tra le prime composizioni in lingua VOLGARE.

4 - LA NASCITA DELLE MONARCHIE NAZIONALI

DALLE MONARCHIE FEUDALI ALLE MONARCHIE NAZIONALI

Nel corso del Basso Medioevo si assiste alla progressiva evoluzione delle monarchie nazionali. 
Per monarchia FEUDALE intendiamo il governo di un territorio concesso a un signore dal sovrano per beneficio, col privilegio di avere un proprio esercito, pronto, in caso di necessità, ad affiancare il sovrano insieme ad altri eventuali eserciti di altri feudi.
Per monarchia NAZIONALE intendiamo invece il governo proprio di un sovrano sul territorio, solitamente coadiuvato da funzionari, limitante l'autonomia del potere signorile.

LA MONARCHIA INGLESE

Fino all'XI secolo le Isole Britanniche erano popolate dagli Angli e dai Sassoni, che, dopo la conversione al Cristianesimo, si erano uniti e  avevano fondato un regno, in cui il potere baronale, come si conveniva all'uso germanico, non era soggetto all'autorità del sovrano. Le cose cambiano quando, dopo il Mille, sale al trono l'ultimo re anglosassone, EDOARDO IL CONFESSORE, che, essendo di origini normanne, introduce alcuni usi normanni destando le ire dei baroni, i quali cercano di destituirlo opponendogli il loro rappresentante HAROLD GOODWINS. Della crisi approfitta però il duca di Normandia GUGLIELMO, che, alla testa di un possente esercito formato da arcieri e cavalieri, affronta l'esercito baronale sconfiggendolo a HASTINGS nel 1066. Dopo questa vittoria, Guglielmo I, detto poi il Conquistatore per celebrare l'evento, costituì un proprio feudo su circa un quinto delle terre, dividendo il territorio rimanente in CONTEE affidate a dei funzionari chiamati SCERIFFI. In tal modo Guglielmo consolidò il potere sovrano sul territorio limitando le pretese baronali. Nel 1086 Guglielmo I indisse il primo grande censimento dell'Europa medievale (DOMESDAY BOOK) allo scopo di conoscere il numero di proprietari terrieri che avrebbero dovuto versare i tributi al sovrano. Tuttavia la monarchia inglese dovette fare i conti con due poteri ostili, quello dei baroni e quello della Chiesa.
Lo scontro con la Chiesa avvenne durante il regno di ENRICO II, quando il re rivendicava il diritto di sottoporre anche gli ecclesiastici al giudizio dei tribunali civili e di nominare i vescovi. La decisione originò uno scontro che alla fine obbligò Enrico a revocare le COSTITUZIONI DI CLARENDON, che vincolavano i membri del clero alla giurisdizione regia, riservandosi comunque il diritto di giudicare gli ecclesiastici nelle cause civili.
Nel 1215 il re GIOVANNI SENZA TERRA concesse ai baroni inglesi la MAGNA CHARTA LIBERTATUM che confermava ai feudatari i privilegi già concessi con documenti simili. L'importanza del documento non é statutaria, poiché non si trattava di una vera e propria costituzione, ma si tratta comunque della codifica di una serie di consuetudini concesse prima solo ad beneficium dal sovrano, e adesso validate con un documento scritto. Durante il regno del successore di re Giovanni, ENRICO III, i baroni ottengono l'istituzione di un consiglio con funzioni di controllo sull'amministrazione del regno. Tale consiglio fu poi esteso anche a cavalieri e borghesi, chiamati "a parlamento". Questa prima assemblea non aveva una funzione legislativa, ma solo di vigilanza sull'esecutivo del sovrano.

LA MONARCHIA FRANCESE

Il regno di Filippo II Augusto, anche se caratterizzato da notevoli riforme amministrative come l’istituzione del BALIVATO, non bastò a proteggere la centralità del potere regio dall’influenza esercitata dai grandi feudatari.
Il consolidamento del potere regio nella Francia del XIII secolo fu compiuto da LUIGI IX con l'istituzione di organismi in grado di arginare il potere feudale. I più importanti furono il CONSIGLIO DEL RE con funzioni consultive e il PARLAMENTO con funzioni giudiziarie (e non legislative), a cui si aggiunsero un solido apparato burocratico e degli ISPETTORI inviati direttamente da Parigi.

LA MONARCHIA SPAGNOLA

La monarchia spagnola si costituisce durante quella che fu detta RECONQUISTA, ossia la sottrazione dei territori della Penisola Iberica occupati dagli Arabi.  Il dominio arabo era stato arginato dalla resistenza di alcuni regni cristiani, come quello di Castiglia, quello di Leon e quello di Navarra, oltre alla contea di Oporto da cui nascerà il regno portoghese. La reconquista fu portata avanti dai regni di Castiglia e di Leon, che riuscirono a togliere diversi territori agli Arabi, come la città di Toledo, rioccupata dal re di Castiglia Alfonso VI: alla reconquista seguivano i ripopolamenti, con la nascita di villaggi cristiani e con la ridistribuzione delle terre tra i contadini.  La vittoria più importante fu quella riportata nella battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212, dopo la quale l'espansione fu inarrestabile, proseguendo fino al 1270 quando agli Arabi restava il solo regno di Granada. La Spagna non fu da subito una nazione, ma la fede cristiana e il sentimento comune che ispirava i vari regni a lottare uniti contro gli Arabi, facevano sì che il paese apparisse come un vero Stato nazionale. Bisogna anche dire che già dal XII secolo era presente in Spagna una civiltà comunale, come testimoniato dalla presenza di statuti (CARTAS DE POBLACIÒN) concessi a molte città. Questi statuti contemplavano franchigie e privilegi, che favorirono lo sviluppo di una borghesia artigianale e mercantile e la nascita di assemblee cittadine (CORTES) rappresentative anche di nobiltà e clero.

IL PRIMO CONFLITTO TRA LE MONARCHIE NAZIONALI
LA BATTAGLIA DI BOUVINES

Il primo grande scontro tra monarchie nazionali nel Basso Medioevo ebbe luogo a BOUVINES nel 1214, scontro che, oltre al papa Innocenzo III, coinvolse il re Filippo II Augusto di Francia, l'imperatore del Sacro Romano Impero  Ottone IV di Germania e il conte Ferdinando di Fiandra. Ottone IV fu sconfitto e costretto ad abdicare in favore di  Federico VII Hohenstaufen, poi Federico II di Svevia. Ferdinando venne catturato e imprigionato. Quanto a Filippo, grazie al trattato di Chinon, riuscì ad avere il controllo completo e indiscusso sui territori di Angiò, Bretagna, Maine, Normandia e Turenna che aveva da poco strappato al re inglese Giovanni Senza Terra, parente e alleato di Ottone. La battaglia di Bouvines è fondamentale per le sue conseguenze:
l'affermazione dell'autorità del re di Francia sulla feudalità e il controllo sul territorio;
la rinuncia di Giovanni Senza Terra a ogni pretesa sulla Normandia (Trattato di Chinon);
la rinuncia al trono di Ottone e l'ascesa al potere di Federico II.
Dopo Bouvines non vi furono ulteriori scontri. Il secondo - e ultimo - grande conflitto tra monarchie nazionali nel Basso Medioevo sarà la  Guerra dei Cento Anni.
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CLASSE TERZA - MODULO 2 - STORIA
Il Basso Medioevo (seconda parte)

IL TRECENTO

I secoli XIV e XV rappresentano un momento critico nella storia europea, e ricco di transizioni a carattere economico, sociale e politico. Assistiamo al cambiamento della fisionomia politica degli stati europei, e ci avviamo all’età moderna in modo tutt’altro che indolore. La transizione coinvolge infatti nel suo decorso le due principali istituzioni temporali e spirituali, la Chiesa e l’Impero, e in ambito economico il succedersi di crisi produttive e di pestilenze fa precipitare il livello demografico, con un grave impoverimento dei paesi più colpiti. A uscire male dalla crisi del Trecento furono il Papato e l’Impero. Il Papato perse progressivamente la credibilità religiosa, minato dalla cattività avignonese e dal Grande Scisma, e fu spesso bersaglio dei movimenti ereticali, assimilandosi politicamente a un qualsiasi stato regionale italiano, mentre l’Impero fu ridimensionato al solo territorio tedesco, ed emersero nuove realtà politiche come le monarchie francese, spagnola e inglese e, in Italia, gli Stati Regionali. Nel corso del Quattrocento si assiste addirittura a una vera e propria rivoluzione intellettuale, che culminerà nell’epopea umanistico-rinascimentale. Alla metà del Trecento l’Europa è travagliata da una gravissima epidemia di peste nera, che peggiora lo stato già depresso dell’economia, gravato dalle ripetute carestie dovute allo squilibrio tra la domanda e le risorse effettive. Per effetto della crisi tutti i principali settori produttivi subirono un rallentamento, mentre la popolazione diminuiva progressivamente.

Crisi demografica – Agli inizi del secolo XIV si era verificato uno scompenso tra la popolazione in eccesso e la scarsità delle risorse agricole. A far calare la produzione agricola era l’inadeguatezza dei mezzi e delle terre coltivabili, che segnò l’inevitabile squilibrio tra la domanda e l’offerta. Va anche detto che uno dei fattori che incisero su questo problema fu il clima, che diventò più freddo e piovoso e rallentò la produzione cerealicola europea.
Tra il 1303 e il 1347 si succedono numerose carestie, che minano la natalità: la prima fu quella del 1315, che decimò l’Europa centro-settentrionale. Nel 1347 una nave genovese proveniente da Caffa, in Crimea, porta in Europa il morbo della peste, che si diffonde prima in Italia, Francia e Spagna, e si diffonde poi nella regione mitteleuropea. Il dilagare della peste nera risparmia pochissime zone, e il morbo, diventato endemico, provoca congiuntamente alle guerre un brusco crollo della popolazione, che scende sotto i 45 milioni di abitanti.

Il mondo rurale – Le campagne furono ovviamente molto colpite da questi problemi. I prezzi calarono di colpo, e i contadini poterono chiedere salari più alti, mentre i signori videro nettamente diminuite le proprie rendite. Molte terre, rivelatesi inadatte alla cerealicoltura, furono abbandonate, molti villaggi diventarono deserti, e alcuni terreni furono riconvertiti alla coltivazione di foraggio, incrementando lo sviluppo dell’allevamento. Il paesaggio agricolo europeo, come si era delineato nel periodo feudale, subì una trasformazione radicale e riapparvero zone paludose, boschive e popolate da pascolo brado. La mutata geografia dell’agricoltura europea finì col determinare nuove modalità di sfruttamento del suolo e un nuovo tipo di rapporti sociali. Si assiste alla nascita della specializzazione regionale (per esempio, Castiglia e Inghilterra diventarono esportatrici di lana, mentre la Polonia di cereali) e nelle zone meridionali dell’Europa vengono coltivate piante tessili e foraggere. Per contro nel sud europeo il feudalesimo trovò occasioni di rafforzamento e il servaggio della manodopera si rese ancora più pesante, mentre nel centro Europa l’economia feudale fu definitivamente accantonata su iniziativa della borghesia e delle monarchie nazionali. La nobiltà rinsalda ovviamente il suo potere, ma si tratta di una condizione diversa da quella feudale.

I tumulti contadini – La manodopera agricola fu aiutata molto dalla crisi nel suo riscatto sociale e le tensioni tra contadini e signori degenerano in sanguinosi conflitti civili. Nel 1358 scoppia in Francia la jacquerie (il nome derivava da Jacques Bonhomme, soprannome dispregiativo che veniva dato ai contadini) si estende a diverse zone del paese, mentre in Inghilterra la tensione sociale è alimentata dalla predicazione egualitaria dei Lollardi e obliga la corona ad un ridimensionamento delle corvées e dello sfruttamento della manovalanza agraria. Se in francia le jacqueries non rispondevano a un preciso disegno politico, e si conclusero perciò nel nulla, nel resto dell’Europa i contadini riuscirono a scrollarsi il giogo feudale e finirono col frammentarsi in due sottoclassi, un ceto di contadini ricchi e proprietari e un proletariato rurale formato da braccianti senza terra.

Le città – La crisi di metà Trecento non risparmiò le città, dove anzi gli effetti furono peggiori di quelli del settore agrario; tra il 1343 e il 1346 falliscono i banchieri fiorentini Peruzzi e Bardi, che avevano prestato soldi al re inglese per finanziare la Guerra dei Cento Anni, senza però riceverli in restituzione. Il fallimento coinvolse gli altri finanzieri del paese e finì con l’estendersi ad altre categorie di risparmiatori.

Manifatture e commerci – In campo manifatturiero crolla la produzione dei panni lana e i centri specializzati nel settore tessile, come le Fiandre, perdono la loro leadership perché la produzione si sposta nelle zone rurali dove il costo della manodopera è più basso; in compenso molti centri riescono a riqualificarsi produttivamente dirottando la manifattura tessile verso gli articoli di lusso destinati alle famiglie signorili. Questa tendenza si diversifica a seconda della zona: abbiamo infatti l’incremento della produzione laniera di qualità medio-bassa accentata in Olanda e Inghilterra, dove poi si svilupperanno le aziende a conduzione familiare, mentre in Italia si afferma l’industria serica. Inizia inoltre il fenomeno della massificazione dei prodotti, grazie ai costi contenuti.
Si afferma anche il settore metallurgico e quello minerario.  L’economia di mercato assume ora una fisionomia più attiva, con una maggiore circolazione di moneta dovuta all’aumento dei consumi di massa e soprattutto con un netto avanzamento tecnologico che rende il trasporto della merce sicuro e veloce.
Anche la geografia commerciale inizia a cambiare. Ferme restando le condizioni dei paesi tradizionalmente importatori ed esportatori, le rotte commerciali verso il Nord Europa non sono più una novità e l’avanzata turca nel Mediterraneo comincia a segnare la decadenza del ruolo produttivo del relativo bacino.

I tumulti urbani – Le rivolte e le tensioni che animarono il mondo contadino non furono esclusiva prerogativa della manodopera agraria, ma coinvolsero anche la controparte urbana. Due erano infatti le cause del malessere: la disoccupazione e la formazione di un nucleo di proletari urbani, che venivano esclusi dal governo cittadino e che quindi rivendicavano il proprio ruolo politico. Nel 1357 scoppia a Parigi una rivolta borghese guidata da Etienne Marcel, esasperata dal severo regime fiscale causato dalle necessità della Guerra dei Cento Anni. Dopo un buon inizio la borghesia parigina, spaventata dalla violenta jacquerie contadina, abbandona il proprio leader per fare lega con la nobiltà impegnata a reprimere la rivolta agraria.
Nel 1378 scoppia a Firenze il tumulto dei Ciompi, i salariati del settore laniero. Si trattò di una vera lotta di classe: i Ciompi erano il proletariato fiorentino, impossibilitato a costituirsi in Arte e protestavano contro i potenti signori dell’oligarchia borghese e mercantile, che controllavano il Comune fiorentino, dal cui governo i Ciompi erano esclusi. La protesta fece sì che uno dei Ciompi, Michele Lando, venisse nominato Gonfaloniere di Giustizia del Comune fiorentino, e che venissero istituite tre nuove Arti minori (ciompi, tintori e farsettai) con la riserva di un terzo degli uffici alle Arti minori.

 Il patriziato cittadino – La ricca borghesia urbana esce a testa alta dalla crisi del Trecento consolidando il suo potere in una ristretta oligarchia mercantilistica e finanziaria e integrandosi con il vecchio ceto dell’aristocrazia feudale, rendendo così palesi e insanabili le distanze dalle plebi: l’asservimento borghese ai nuovi stati nazionali e a quelli regionali, soprattutto in Italia, permise la formazione di un patriziato cittadino. Questo patriziato sposò ben presto le usanze dei ceti nobiliari a cui fu accomunato dall’acquisto di terre e di titoli e dall’amore per i generi di lusso.

Conclusioni – Il Trecento si presenta quindi diversificato nelle due zone geografiche europee: al centro nord abbiamo una condizione di estrema miseria dovuta alla crisi economica, che si ripercuote sui contadini e sui lavoratori delle città, mentre la nobiltà e le oligarchie cittadine escono rafforzate dalla crisi; al sud si ha il rafforzamento delle istituzioni feudali che aggravano il servaggio dei contadini e del proletariato urbano.

L’EUROPA DEL TRECENTO

Il XIV secolo fu un secolo di profonda crisi storica, politica, economica e istituzionale. Si tratta di un periodo molto vivace dal punto di vista degli avvenimenti politici, tanto che in questo secolo si delinea la fisionomia geopolitica della nuova Europa, ormai lontana dal Feudalesimo e vicina all’età moderna.

Impero – Il sogno di rendere ereditaria la corona imperiale asburgica svanisce. Nel 1310 scende in Italia Enrico VII di Lussemburgo per restaurare l’autorità imperiale, ma viene ostacolato dalle forze guelfe, avverse all’istituzione imperiale. Si deve sottolineare che l’investitura imperiale, per essere valida, doveva essere convalidata da quella pontificia. Per questo, alla morte di Enrico, l’ascesa al trono di Ludovico il Bavaro viene accompagnata dalla scomunica del papa Giovanni XXII. Ludovico scende allora a Roma e si fa incoronare dal popolo romano, e, convocata una riunione dei principi elettori, stabilisce che l’elezione imperiale comporti automaticamente l’assunzione del potere, senza il placet pontificio. Carlo IV di Lussemburgo, che succede a Ludovico nel 1347 sposta la capitale imperiale a Praga, in Boemia, e allontana così l’impero dalla penisola italiana. Con la Bolla d’Oro nel 1356 il nuovo re di Boemia stabilisce che l’elezione imperiale era di competenza esclusiva dei principi elettori, quattro laici (Boemia, Brandeburgo, Sassonia e Palatinato) e tre religiosi, cioè vescovi (di Colonia, Magonza e Treviri). Questo documento assestava di fatto il potere imperiale su una base politica piuttosto precaria e soggetta ai particolarismi autonomistici dei principi. L’impero rinunciava a ogni forma di espansione territoriale.

Italia – Si affermano in Italia gli Stati Regionali. Le Signorie assumono una dimensione allargata, rispetto a quella locale del secolo precedente. I ghibellini Visconti instaurano a Milano un forte potere signorile con l’appoggio di Enrico VII, e danno vita a un grande progetto di espansione territoriale che coinvolge buona parte della Lombardia, Alessandria e Vercelli. Il potere è nelle mani di Matteo Visconti, creato vicario imperiale da Enrico VII; il suo successore, Giovanni, allarga ulteriormente il territorio visconteo, inglobando Bologna e Genova, ma alla sua morte la signoria viene spartita tra i nipoti che perdono il controllo dei centri periferici. A Venezia si consolida il potere del patriziato cittadino, che prosegue l’espansione sulla terraferma e soprattutto la rivalità navale e commerciale con Genova. A Firenze è al potere un governo guelfo, espressione del popolo grasso, la cui egemonia subisce una battuta d’arresto con l’arrivo della peste. 
Lo Stato Pontificio vive un periodo travagliatissimo e noto come cattività avignonese. Morto Benedetto XI sale sul soglio pontificio il francese Bertrand de Got, che assume il nome di Clemente V e che sposta la sede papale ad Avignone. A Clemente V succederanno sei papi, tutti francesi, ma l’elemento di spicco del periodo avignonese è la caduta del prestigio spirituale del papato, istituzione che oramai dai tempi di Bonifacio VIII sentiva aria di crisi, soprattutto per il perseguimento ostinato di disegni politici temporalistici e accentratori, asservita alla corona francese e ormai dimentica della propria missione unificatrice.
La cattività avignonese si espresse duramente verso quei movimenti pauperistici ed estremisti come la setta di fra’ Dolcino e verso i filosofi della tarda Scolastica che furono costretti a riparare presso le corti imperiali. L’allontanamento dei papi da Roma favorisce la rivalsa delle grandi famiglie della nobiltà romana che approfittano del momento di vacanza pontificia per ribadire il proprio potere. Il notaio Cola di Rienzo, con l’appoggio dei popolani, costituisce nel 1347 una Repubblica Romana, sul modello di Roma repubblicana. La usa dittatura si rivela ben presto oppressiva e viene dunque cacciato dopo una sollevazione popolare; Cola ripara presso Carlo IV di Boemia, presso il quale sperava di trovare appoggio militare, ma Carlo lo fa prigioniero e lo manda ad Avignone dal papa Innocenzo VI che lo libera e lo nomina senatore, inviandolo a Roma come suo rappresentante. Qui Cola riprende il potere, ma una nuova insurrezione nel 1354 lo depone e lo fa giustiziare.
Tre anni dopo il cardinale Albornoz viene inviato a Roma per ricostituire il potere papale, impresa difficile e resa ancora più complicata dalle famiglie nobili romane, disabituate a un governo superiore. Nel 1377, durante il pontificato di Gregorio XI, la sede pontificia torna a Roma.
Il pericolo di una seconda cattività avignonese viene sentito dal popolo romano, che, alla morte di Gregorio XI, pretende che il conclave elegga un papa italiano. Nel 1378 sale perciò al potere  Urbano VI, ma i francesi eleggono un secondo papa, Clemente VII, che, dopo aver cercato di conquistare Roma, torna in Francia dove restaura la corte papale avignonese, dando inizio a quello che si conosce come il Grande Scisma d’Occidente.
Il Mezzogiorno d’Italia è sempre diviso tra Angioini e Aragonesi, i primi a Napoli, dove la corte vive un momento di splendore, i secondi in Sicilia. La mancanza di un ceto borghese che funzionasse da contrappeso politico rende palesi le distanze tra il popolo e l’alta aristocrazia del meridione, impedendo agli Angiò e agli Aragona la costruzione di uno stato accentrato.

La Guerra dei Cento Anni (prima fase) – Francia e Inghilterra si trovano coinvolte nella guerra dei Cento Anni, che dura dal 1337 al 1453. Il motivo era di origine dinastica e dovuto alla pretesa di successione di Edoardo III d’Inghilterra, che, alla morte del re francese Carlo IV Capeto, era stato scavalcato da Filippo VI di Valois, nipote di Filippo il Bello (a sua volta nonno materno di Edoardo, che essendo quindi discendente il linea diretta avrebbe dovuto legittimamente essere designato successore al trono di Francia). Ad aprire le ostilità fu il re francese che aveva inviato una flotta in aiuto della dinastia dei Bruce di Scozia, in guerra contro l’Inghilterra; Edoardo III reagisce invadendo le Fiandre e assumendo a Gand il titolo di re di Francia. Riesce dunque a sconfiggere Filippo, ma non arriva a Parigi. Nel 1346 a Crécy l’esercito francese viene rovinosamente sconfitto ed Edoardo conquista il prezioso avamposto navale di Calais, che resterà inglese fino al 1558. A Filippo VI succede intanto Giovanni II, che viene imprigionato da Edoardo nella battaglia di Poitiers del 1356 e costretto a firmare nel 1360 la pace di Bretigny, con cui Edoardo rinunciava alle pretese dinastiche e si impegnava a liberare il re francese, dietro pagamento di un pesante riscatto pecuniario e territoriale.

In ambito giuridico-amministrativo segnaliamo soprattutto l’opera di Bartolo da Sassoferrato, che cerca di integrare il diritto giustinianeo con le norme di diritto feudale e di governo comunale, contrastando ferocemente lo strapotere signorile, e quella del cardinale spagnola Egidio di Albornoz, autore delle Costituzioni Egidiane, in vigore fino al secolo XIX, atte a limitare i poteri signorili nello stato pontificio.
Nelle campagne e nelle città il problema delle disuguaglianze sociali causa pericolose tensioni, aggravate anche dal fatto che nelle città il popolo grasso si assimila ormai agli usi della nobiltà, sposandone i privilegi e creando di fatto uno squilibrio. Esempio palese di queste tensioni sono le rivolte popolari che scoppiano un po’ ovunque: a Firenze si registrano due insurrezioni del proletariato del settore laniero, dapprima nel 1345 contro il popolo grasso e poi nel 1378 (il tumulto dei Ciompi) contro il Governo delle Arti; a Perugia e a Siena si ribellano i piccoli artigiani e i salariati; in Francia scoppia il fenomeno contadino della jacquerie, poi seguito dalla rivolta borghese di Etienne Marcel; in Inghilterra la pressione fiscale e gli abusi baronali portano nel 1381 alla rivolta guidata da Tyler e Ball, soffocata nel sangue. 

IL QUATTROCENTO

Se il secolo XIV fu un secolo di crisi, il secolo XV è il secolo della ripresa e della fioritura intellettuale. La cultura umanistica e rinascimentale apre una nuova finestra sull’uomo, che riprende il suo ruolo centrale nella storia e nella cultura; le scoperte geografiche aprono nuovi orizzonti produttivi, economici, politici e sociali. Il Quattrocento è un secolo di transizione, che sancisce il passaggio all’età moderna. Possiamo definirlo un secolo rivoluzionario, poiché la transizione all’era moderna comportava il necessario abbandono di una prospettiva, quella teocentrica e caratteristica dell’intellettualismo scolastico, in favore di una nuova prospettiva antropocentrica e laica, basata sulla conoscenza della natura e sul ridimensionamento del ruolo della religione. Il passaggio fu favorito dalla crisi che la struttura ecclesiastica aveva attraversato nel corso del Trecento, prima con la cattività avignonese e poi col grande scisma d’occidente, avvenimenti che avevano allontanato da Roma i cattolici nazionalisti, ormai avviati verso un modello spirituale diverso da quello pontificio e legato al potere delle corone.
Ma anche l’istituzione imperiale è in decadenza e in Italia si sviluppa il fenomeno sociale e politico delle Signorie, che poi lasceranno il posto ai Principati, modelli di governo autocratici e autonomistici che contrastano con le grandi monarchie europee che si consolidano proprio in questo secolo. Le Signorie diventano così delle piccole monarchie assolute, in cui il sovrano governa indipendentemente dalla volontà dei ceti. Per trasmettere il potere ai propri discendenti il signore deve poter contare sul supporto dell’imperatore o del papa, che gli conferiscono un titolo nobiliare e lo status dinastico atto alla tradizione del titolo. Il signore diventa così principe, il cui governo è spesso accompagnato dal supporto di una classe di funzionari di stretta fiducia del principe stesso. I principi seguono le stesse prerogative degli altri sovrani: i Medici per esempio, pur mantenendo a Firenze la stessa struttura del comune duecentesco, governano di fatto un’ampia area regionale, costruiscono una politica espansionistica e fissano dei precisi confini territoriali.
In campo militare si consolida il fenomeno degli eserciti mercenari delle compagnie di ventura, i cui condottieri, spessissimo di famiglia aristocratica, hanno ambizioni politiche e arrivano alla costituzione di vere e proprie signorie, come quella milanese degli Sforza.
In campo economico si registra un rallentamento dei commerci di importazione sul mercato orientale, dovuto alla presenza di Turchi e cinesi della dinastia Ming; questa battuta d’arresto implica la nascita di una economia isolazionista e volta al protezionismo, subito soprattutto dall’Italia. Il commercio italiano inizia così la decadenza che si farà poi palese nel Seicento, mentre resiste il settore finanziario e bancario, che deve però fare i conti con le più importanti famiglie della finanza europea, rafforzate proprio dalla chiusura dei mercati orientali. L’agricoltura cerealicola si riduce notevolmente, mentre si estende la coltura di piante da foraggio e quindi prende piede l’allevamento: al sud la produzione granaria viene utilizzata per i bisogni delle famiglie contadine e per pagare i signori.
In ambito religioso assistiamo alla nascita di un movimento di pensiero che anticipa di un secolo la nascita del protestantesimo. Le tensioni sociali e spirituali che si estendono al Quattrocento trovano ampia eco in Inghilterra dove matura il pensiero di Wycliffe, teorico dell’inutilità della struttura ecclesiale e dell’apparato religioso. Il pensiero di Wycliffe viene portato avanti dai Lollardi, le cui rivendicazioni arrivano in Boemia, dove vengono raccolte da Jan Huss. Dopo la morte sul rogo di Huss la frangia protoprotestante si fraziona in estremisti e moderati, detti rispettivamente Taboriti e Utraquisti: sono questi ultimi alla fine ad avere la meglio e ad avviare il processo di dialogo con l’imperatore boemo Sigismondo e col papa. All’inizio del secolo il teologo parigino Jean Gerson porta avanti la tesi scismatica del conciliarismo, che riteneva superiore all’autorità pontificia quella della universitas fidelium; una dottrina non nuovissima, poiché ricalcava la dottrina laicista del marsiliano Defensor Pacis, ai tempi della querelle tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello. Dall’Olanda emerge invece l’indirizzo della devotio moderna, un indirizzo caratterizzato dal forte ascetismo ed espresso da Tommaso di Kempis nella sua Imitazione di Cristo.

Nella seconda metà del Quattrocento tramonta definitivamente la dialettica tra le classi, propria dei Comuni, e si afferma una profonda stratificazione sociale, minata dalle diseguaglianze e dalla distanza tra i due poli sociali. I ceti sono esacerbati dallo strapotere del principe, i nobili perché si vedono drasticamente limitati i propri privilegi, i meno abbienti perché vessati dall’aristocrazia: è il periodo in cui maturano le congiure (come quella dei Pazzi nella Firenze medicea) e decadono le assemblee rappresentative che connotavano il comune medioevale.
In Europa si lotta tenacemente per evitare la restaurazione del potere feudale delle famiglie baronali. In Inghilterra la Guerra delle due Rose tra Lancaster e York favorisce la nascita della monarchia Tudor, che si caratterizza per un rigoroso centralismo politico, espresso da organi consultivi di strettissima nomina del sovrano. Ma anche in Francia si avvia una politica di centralismo, con la differenza che, mentre in Inghilterra il potere regio aveva escluso la nobiltà dall’amministrazione diretta, in Francia si sviluppa una classe sociale di pubblici funzionari detta nobiltà di toga (noblesse de robe), in tensione con la vera aristocrazia della nobiltà di spada.
In campo economico inizia a delinearsi il famoso cambiamento che porterà il bacino del Mediterraneo a un ruolo di importatore, in favore delle regioni nordeuropee. Questo cambiamento è causato dalla chiusura dei mercati orientali e della conseguente perdita per l’Italia dell’egemonia dei traffici commerciali con l’Oriente, ormai sostituito dalle nuove terre scoperte da Colombo e dagli altri esploratori.
In campo religioso si consuma la progressiva decadenza dello stato pontificio, gravata dalla crisi temporale e spirituale. La reazione ai movimenti ereticali e di protesta si esprime nella formazione del tribunale della Santa Inquisizione, che nella Spagna unificata dei re cattolici assume una connotazione autonomistica.
Storicamente la Santa Inquisizione è un Tribunale creato dalla Chiesa di Roma nel Basso Medioevo per arginare il pericolo di eresie e per conservare l’ortodossia cristiana al riparo dalle pressanti minacce arabe e giudaiche. Solitamente si distinguono due periodi, uno medioevale, che arriva fino alla Riforma luterana, e uno moderno, che arriva all’Età napoleonica.
L’Inquisizione medioevale era caratterizzata da una peculiarità più spiccatamente politica e combatteva tendenzialmente non solo i reali delitti contro la fede ma anche i reati a carattere insurretizio che avevano di mira l’autorità regia, come si ricorderà spesso compromessa dal potere delle grandi famiglie della nobiltà feudale.
L’Inquisizione moderna ebbe invece un carattere meno politico e più spirituale, dovuto indubbiamente allo spirito controriformista della Chiesa Cattolica, pur conservando il ruolo di controllo delle masse esercitato nei casi di rivolta popolare, secondo l’assunto “non est potestas nisi a Deo” ossia nessun potere era dato se non da Dio, quindi inviolabile. Proprio nel secolo XIII assistiamo a un cambiamento formale nel modus agendi inquisitorio che si traduce nell’invio di veri e propri legati pontifici, come Domenico di Guzman o il monaco Pierre de Castelnau, con il compito di ascoltare, interrogare, indagare (inquisire, appunto) ed eventualmente denunciare i sospettati di eresia alle autorità competenti, laiche o ecclesiastiche.
In questo periodo si svolge la famosa crociata contro gli Albigesi promossa e guidata da Simon de Montfort, occasione che permise al re francese Filippo Augusto di impadronirsi del meridione del Paese; e, sempre nello stesso periodo, l’imperatore svevo Federico II dichiarando la facoltà imperiale di condannare i sospettati di eresia, produce uno dei primi conflitti tra le competenze imperiali e quelle pontificie, tanto che Gregorio IX ribadisce l’assoluta primalità della Chiesa nella condanna dei presunti eretici. Tra le varie tensioni verificatesi si segnalano anche quelle scoppiate tra inquisitori e vescovi locali. Ma dove fu attiva l’Inquisizione? Nel secolo XIII soprattutto in Francia, in Italia Settentrionale (contesa tra Guelfi e Ghibellini), in Germania, Boemia e Ungheria; non si segnalano in questo periodo attività inquisitorie in Spagna e Inghilterra.
Tra i perseguitati non solo eretici come Catari e Albigesi, ma anche coloro che professavano altre religioni politicamente vietate come quella islamica e quella ebraica – di solito si trattava di cristiani neoconvertiti, come sarà il caso dei conversos spagnoli, che continuavano a coltivare i culti della loro etnìa in segreto – oltre ai Francescani dissidenti (gli Spirituali), i Templari e coloro che erano dediti ad attività occulte, sataniche e stregonesche. Inutile precisare il risvolto politico che ebbero in questo periodo molte condanne effettuate dall’Inquisizione, come quella del Savonarola e di Giovanna d’Arco, o le persecuzioni subite dall’Ordine Templare. Tra i manuali ad uso degli inquisitori figurava l’opera di Bernard Gui “Practica inquisitionis hereticae pravitatis” in cui venivano richiamate le modalità attraverso cui procedere per interrogare e eventualmente condannare il sospettato eretico. Questi aveva la possibilità, entro quindici giorni dalla sua scoperta, di autodichiararsi colpevole, ottenendo una specie di sconto della pena che di solito veniva tradotta in opere pie o pellegrinaggi; seguiva un processo in cui il sospetto era assistito da un avvocato difensore, ovviamente non sospettato di collusione con l’imputato, e venivano sentiti due o più testimoni, che restavano occulti. Quindi veniva emessa la sentenza, letta pubblicamente nel corso di maestose manifestazioni – che in Spagna furono poi dette autodafè, ossia atto di fede – nel corso delle quali all’eretico, se riconosciuto tale, veniva comminata una pena che variava dalla più lieve espiazione fino alla reclusione a vita (e alla conseguente confisca dei beni), e, nei casi più gravi, si procedeva al rogo pubblico dell’eretico. Il condannato poteva anche appellarsi al Papa, di solito inutilmente.
In Spagna l’inquisizione arriva nel 1478, durante il regno di Isabella la Cattolica, che chiese al papa Sisto IV l’istituzione di un Tribunale allo scopo di esercitare un maggiore controllo sui reati connessi alla fede, ovviamente con un preciso intento politico: durante il regno di Carlo V e di suo figlio Filippo II il ruolo politico dei conversos andò aumentando e costituiva un grosso pericolo per la stabilità del potere e per la centralità della Corona. A destare le maggiori preoccupazioni erano infatti i cristiani nuovi o conversos, generalmente discendenti dei musulmani o degli ebrei spagnoli, ora convertiti al cristianesimo ma praticanti in segreto i loro culti. I cristiani spagnoli di antica data li appellavano col soprannome dispregiativo di porci (marranos); si trattava di gente molto in vista, che poteva causare disordini e spezzare l’unità territoriale e religiosa del paese. Queste persecuzioni però ottennero un grave risultato collaterale: i cristiani vecchi impegnati nelle stesse attività produttive, per paura di essere scambiati per conversos, iniziarono ad abbandonare i propri settori lavorativi, causando una pericolosa crisi economica.
I Re Cattolici ottennero tra l’altro una speciale deroga da parte della Chiesa che permise loro di gestire direttamente il Tribunale con inquisitori spagnoli indipendenti da Roma, come fu il caso del famoso Torquemada. Nel 1813 le Cortes di Càdice aboliranno l’Inquisizione, che, secondo lo storico spagnolo Llorente conta 31.912 arsi vivi e 291.450 detenuti.

L’EUROPA NELLA PRIMA META’ DEL QUATTROCENTO

Il secolo XIV si conclude con un periodo di tensioni sociali, politiche e religiose. Nel 1378 scoppia a Firenze il tumulto dei Ciompi, i salariati del settore laniero che rivendicavano una loro rappresentanza nel governo delle Arti, e riescono a far nominare Michele di Lando Gonfaloniere di Giustizia; nel 1381 scoppia in Inghilterra la rivolta popolare guidata da Tyler e Ball contro l’opprimente fiscalismo regio e  il non meno opprimente  strapotere baronale; tra il 1378 e il 1414 la Chiesa vive un periodo di intenso cambiamento che culmina col Grande Scisma, in cui due pontefici, uno italiano a Roma e uno francese ad Avignone, si contendono il soglio pontificio.
Nel 1409 il concilio di Pisa pone sulla scena un terzo papa, Alessandro V, ma i due pontefici rivali non rinunciano alla tiara, spaccando di fatto in tre parti il mondo cristiano. A mediare la questione è l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo che convoca nel 1414 il concilio di Costanza, che depone i tre papi ed elegge in loro vece il cardinale Ottone Colonna, che assume il nome di Martino V. Ma la tempesta non è finita, perché il successore di Martino, Eugenio IV, si trova a fare i conti con la dottrina conciliarista portata avanti dal francese Gerson: egli ribadisce la superiorità pontificia sui cardinali e sulla universitas fidelium, ma i vescovi riuniti a Basilea lo depongono e nominano il duca sabaudo Amedeo VIII che sale al soglio pontificio come Felice V. Il deposto pontefice non rinuncia alla tiara e avvia una nuova tensione religiosa, nota come Piccolo Scisma, che si conclude con la resa del pontefice usurpatore, ormai privo dell’appoggio francese, e dell’elezione di Niccolò V.

ITALIA - In Italia si consuma intanto il passaggio dalle Signorie ai Principati. Il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, titolato dall’imperatore Venceslao, attua una brillante campagna espansionistica, che allarga ulteriormente i confini della signoria, ma alla sua morte il ducato viene frazionato tra gli eredi e perde la sua stabilità. Nel 1412 un altro Visconti, Filippo Maria, riesce a riguadagnare i territori conquistati da Gian Galeazzo. L’esercito ducale è pero sconfitto dalla lega antiviscontea che vede unite Firenze e Venezia e che ha ragione dei rivali a Maclodio nel 1427. Nel 1434 a Firenze inizia con Cosimo il Vecchio la signoria dei Medici: Cosimo decide però di allearsi col nuovo duca di Milano, Francesco Sforza, che era genero di Filippo Maria Visconti, alleanza dovuta alla necessità di limitare l’espansionismo veneziano sulla terraferma padana. Nel 1454 la pace di Lodi metteva la parola fine alla contesa tra Milano e Venezia.
Intanto il Mezzogiorno d’Italia passa interamente sotto il dominio aragonese con Alfonso I il Magnanimo, che nel 1442 caccia gli Angioini da Napoli unificando i territori sotto la corona di Aragona.

FRANCIA E INGHILTERRA - La Guerra dei Cento Anni (seconda fase) – Edoardo III d’Inghilterra muore nel 1377, Carlo V di Francia muore nel 1380, e il conflitto si interrompe. Nei rispettivi paesi la successione è però motivo di tensioni tra le fazioni nobiliari. In Inghilterra nel 1377 sale al trono Riccardo II, che, essendo minorenne, deve subire la reggenza degli zii; ventidue anni dopo i Lancaster riescono a portare sul trono Enrico  IV, a cui succede il figlio Enrico V. In Francia abbiamo un altro re minorenne, Carlo VI, e un’altra reggenza degli zii, ma anche due fazioni che dividono la popolazione: i principi Armagnacchi, filofrancesi, e i  borghesi Borgognoni, filoinglesi. La situazione degenera quando il re impazzisce e si riapre la tensione tra i due paesi per la successione al trono.
Ad aprire le ostilità è Enrico V, che sconfigge i francesi nel 1415 ad Azincourt, conquistando la Normandia, mentre il suo alleato Giovanni Senza Paura, duca di Borgogna, conquista Parigi. Nel 1420 Enrico firma il trattato di Troyes e il matrimonio con Caterina, figlia di Carlo VI, porta in dote al re inglese la successione al trono di Francia. Il vero erede, Carlo VII, fugge a Bourges, dove cerca di ricostituire il potere regio con l’appoggio della fazione armagnacca. Morti Enrico V e Carlo VI salgono al potere i rispettivi eredi, Enrico VI e Carlo VII, che rivendicano il diritto alla successione francese.
Anche qui è l’Inghilterra ad aprire le ostilità, per mano del duca di Bedford, reggente di Parigi in luogo di Enrico VI, che nel 1422 assedia Orléans. Protagonista della revanche francese è una ragazzina di Orléans, Giovanna d’Arco, che, chiamata da Dio, si pone alla testa delle truppe francesi guidandole verso la riscossa, mentre il legittimo erede Carlo VII si faceva incoronare re di Francia a Reims. Giovanna continua la guerra anche senza il re francese, rifiutandosi di piegarsi a ogni trattativa di pace con l'Inghilterra, ma la fazione borgognona riesce a sconfiggerla nel 1430 a Compiégne e a consegnarla all'Inghilterra. Condannata per stregoneria, Giovanna viene arsa viva a Rouen nel 1431. La guerra continua e si conclude con la definitiva sconfitta degli inglesi nel 1453.


EUROPA CENTRO ORIENTALE,SETTENTRIONALE E BALCANICA - L’impero si trova nel mezzo della protesta sociale e religiosa, ereditata dai Lollardi che viene animata dal boemo Jan Huss. La protesta ha come suo obiettivo l’imperatore Sigismondo del Lussemburgo, che riscirà a pacificare l’Impero solo nel 1436. La Polonia viene unificata sotto la dinastia degli Jagelloni, e il territorio viene allargato sotto il regno di Ladislao V.
Al nord i regni scandinavo e danese si uniscono col regno di Margherita, regina di Norvegia e di Danimarca: nel 1389 l’esercito scandinavo sconfigge la Svezia e nel 1397 i tre regni si fondono nell’unione di Kalmar, unione peraltro fittizia, da cui la stessa Svezia si distaccherà quasi subito.
Alla fine del Trecento i Turchi Ottomani invadono i Balcani, invano frenati dai crociati. Nel 1453 cade Costantinopoli, determinando così la fine dell’Impero Bizantino.

L’EUROPA NELLA SECONDA META’DEL QUATTROCENTO

Conclusa la Guerra dei Cento Anni l’Europa e l’Italia vivono uno stato di equilibrio politico. In Italia nel 1454 viene firmata la pace di Lodi, a cui seguiva la costituzione di una Lega Italica: le signorie rinunciavano ai disegni espansionistici ma non certo per velleità pacifiche, quanto per reciproco timore, e soprattutto per il timore, poi rivelatosi giustificato, di una possibile discesa francese nella penisola. L’equilibrio politico non impedisce però lo scoppi di sollevazioni e rivolte a livello locale.

Italia – Nel regno di Napoli la morte di Alfonso il Magnanimo riaccende i torbidi dinastici, in cui prevale Ferdinando d’Aragona, che prende il potere. Il suo governo oppressivo innesca la rivolta dei baroni napoletani, spalleggiati dal papa Innocenzo VIII, che però viene duramente repressa nel sanguinoso conflitto di Montorio, nel 1486.
Nella signoria medicea, alla morte di Cosimo sale al trono prima Piero il Gottoso e poi Lorenzo, che poi verrà chiamato il Magnifico. La signoria fiorentina è ormai una potenza nell’Italia centrale e dà fastidio al papa Sisto IV Della Rovere, il quale, per rovesciare il potere mediceo e passarlo al nipote Girolamo Riario, si allea con la nobile famiglia fiorentina dei Pazzi, avversa ai Medici, che nel 1478 assalta i Medici in Santa Maria del Fiore, uccidendo Giuliano  ferendo Lorenzo. La congiura dei Pazzi però non ottiene lo scopo desiderato dal papa, poiché i fiorentini non esitano a schierarsi dalla parte medicea e a punire i congiurati, e Sisto IV si allea allora con Siena e Napoli, muovendo guerra a Firenze. Il voltafaccia di Ferdinando d’Aragona, persuaso da Lorenzo il Magnifico, chiude nel 1480 la contesa.
Tensioni politiche esplodono anche nel ducato milanese, dove Galeazzo Maria Sforza viene ucciso in una congiura nel 1476. Erede designato è il giovane Giangaleazzo, ma il governo, per la minorità dell’erede, è retto dalla vedova Bona di Savoia e dal consigliere Cicco Simonetta. Nel 1480 lo zio di Giangaleazzo, Ludovico il Moro, si sbarazza dei reggenti e, isolato il giovane nipote nella Certosa di Pavia, si impadronisce del potere.
Nel 1492 muore Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia, secondo la definizione del Guicciardini, della politica regionalista e si spezza l’equilibrio politico italiano. La regionalizzazione della penisola rende le signorie italiane deboli e predisposte alla conquista francese: nel 1494 Carlo VIII scende in Italia, tra il disinteresse e il timore delle signorie locali.

Inghilterra e Francia – L’Italia non fu l’unico paese a vedere disordini dinastici. Uscita dalla guerra l’Inghilterra si trova ad affrontare tra il 1455 e il 1485 una nuova contesa interna, scoppiata tra le due fazioni nobiliari dei Lancaster e degli York, e passata alla storia col nome di Guerra delle Due Rose per il colore delle rose che campeggiavano nei rispettivi stemmi gentilizi delle famiglie. Motivo della guerra era la successione al trono d’Inghilterra. Nel 1485 lo yorker Riccardo III viene sconfitto a Bosworth Field dal lancasteriano Enrico Tudor. Dopo la vittoria Enrico sposa Elisabetta, la figlia di Edoardo VI e diventa re d’Inghilterra col nome di Enrico VII.
In Francia, dopo la morte di Carlo VII, sale al trono Luigi XI, che limita drasticamente le prerogative politiche della nobiltà con un programma di rigido centralismo politico. La fazione borgognona è però ancora attiva e si oppone alle vessazioni regie costituendo la Lega del Pubblico Bene guidata da Carlo il Temerario. Carlo viene però sconfitto dal re che lo obbliga a firmare il trattato di Arras, con cui incamera definitivamente il territorio borgognone, ponendo fine alle rivendicazioni politiche. La politica matrimonialista del re francese porta il paese a estendere notevolmente i suoi confini territoriali.

Spagna – Nel 1469 il matrimonio tra i re cattolici, Ferdinando e Isabella, unifica le corone di Aragona e di Castiglia, che però vivranno per tutto il secolo seguente una situazione amministrativa separata, con una prevalenza delle istituzioni castigliane. Ciò non impedisce al re spagnolo di impostare una politica di netto centralismo. Nel 1492 viene portata a termine la Reconquista con l’occupazione del regno di Granada, strappato ai musulmani, e nel lo stesso anno l’impresa colombiana apporta un nuovo profilo all’economia spagnola, le cui casse risentiranno beneficamente del tesoro americano.
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CLASSE TERZA - MODULO 3 - STORIA
Il Cinquecento (prima parte)

IL CINQUECENTO
Economia, politica e società

A differenza del secolo successivo, il secolo sedicesimo rappresenta nella storia europea un momento di notevole crescita ed espansione sociale, politica ed economica. Il Cinquecento è infatti un secolo di transizione, culturale con la presenza del Rinascimento, politica con la maturazione di nuove tendenze amministrative, e sociale, poiché assistiamo a un vero e proprio boom demografico. Dal punto di vista economico il Cinquecento è dominato dallo slancio affaristico della borghesia, con tutte le conseguenze del caso: nuove rotte commerciali, favorite dalle recenti scoperte geografiche, nuovi nuclei urbani, e una rivoluzione dei prezzi; si assiste inoltre all’inizio della decadenza del ruolo centrale del Mediterraneo a vantaggio della regione atlantica, svolta che troverà il suo compimento nel secolo successivo.

Crescita demografica – La popolazione europea cresce del cinquanta per cento. Il miglioramento più sensibile si registra soprattutto in Francia e in Italia. Il vero fenomeno demografico di questo secolo è però la crescita delle città: la popolazione urbana cresce notevolmente in tutta Europa e principalmente in quei centri dei traffici commerciali che iniziavano a fare la loro prima apparizione. Le stesse città italiane, che nel corso del secolo manterranno una buona vitalità economica, risentiranno positivamente di queste influenze.

Agricoltura – L’agricoltura costituiva il 90 % delle risorse economiche europee e la maggior parte della popolazione viveva di agricoltura. Nel Cinquecento la produzione agricola aumenta, a causa dell’incremento demografico e della conseguente crescita del numero di lavoranti, oltre a un più consistente numero di terreni coltivabili, derivato dalla bonifica delle zone paludose. Le colture erano a base vegetale, solo più tardi verranno introdotte le colture tipiche delle nuove terre scoperte nel corso delle esplorazioni, come il mais e la patata. Tratto negativo dell’agricoltura del periodo è indubbiamente la persistenza delle strutture medioevali, accentrate maggiormente nel bacino mediterraneo, che, come vedremo, provocherà nel secolo successivo un gravissimo stato di arretratezza tecnologica e produttiva: tra le principali colpe ricordiamo la mancanza di una rotazione delle colture e il bassissimo rendimento.
Per contro nelle regioni più ricche dell’ovest europeo si assiste alla graduale penetrazione della borghesia nelle campagne, che darà vita a moderne strutture produttive di tipo aziendale, introducendo innovazioni tecnologiche e soluzioni avanzate, come la rotazione delle colture, l’alternanza di colture alimentari e foraggere e integrando l’economia agricola con la pratica dell’allevamento. In Inghilterra le tradizioni socioeconomiche di stampo medioevale lasciano il posto alla modernizzazione, che si attesta nella chiusura dei campi comunitari (open field), sottratti ai proprietari e recintati (enclosures).
La terra era infatti un bene sicuro. Imprenditori attenti avevano capito che introducendo colture mirate e alternate e assumendo manodopera salariata si poteva non solo incrementare la produzione ma anche esportare il residuo che non veniva consumato internamente. L’est europeo invece continuava a essere dominato dal latifondo, nobiliare ed ecclesiastico, e dopo la rivoluzione dei prezzi il processo di feudalizzazione conobbe una nuova vita, a causa delle ingerenze dei proprietari terrieri che non volevano rinunciare ai propri privilegi e sottoponevano i contadini a pesanti vessazioni e corvées, rendendo endemiche in questa zona le tensioni sociali e il malcontento popolare.

Manifatture e commerci – Accanto alle tradizionali attività artigianali già in uso nelle grandi città, si aggiungono nuove attività produttive, legate all’industria estrattiva e alla fabbrica di strumenti di precisione, alla cantieristica navale e ovviamente all’edilizia, visto il processo di crescita delle città. Tra i settori in crescita c’era l’industria tessile, molto attiva in Italia; la produzione laniera italiana viene poi soppiantata dalla produzione serica, mentre sale quella inglese; decadono invece le tradizionali fabbriche delle Fiandre, soppiantate dalla nascita di aziende familiari nei piccoli centri, che garantivano un costo di manodopera notevolmente competitivo.

Economia e finanza -  L’attività bancaria è uno dei settori dove si fa sentire lo sviluppo nel corso del secolo, rappresentata dalle grandi famiglie della finanza europea come Welser e Fugger – travolte dalla bancarotta della Spagna di Filippo II – e in Italia Spinola e Medici. La speculazione finanziaria e le attività di credito erano infatti i principali obietivi degli operatori finanziari del periodo. Notevole impulso ebbero ovviamente i commerci internazionali, principalmente nelle attività di esportazione, che cambiarono l’assetto politico e sociale dei paesi del bacino Mediterraneo, i quali nel secolo successivo passarono da una economia di esportazione a una economia di consumo, con la ben nota inversione delle polarità tra le aree geografiche mediterranea e settentrionale (baltica e atlantica).
A guadagnare furono soprattutto i paesi che per primi seppero approfittare delle immense e inesplorate ricchezze del nuovo continente: il tesoro americano, così fu chiamato, finì per finanziare le case reali spagnola e portoghese, prive di una solida economia produttiva. L’impulso finanziario trova il suo nuovo centro nei Paesi Bassi, dove Anversa è il centro dei traffici commerciali, vero e proprio crocevia dove nel 1531 si costituisce la prima Borsa per le contrattazioni, mentre Amsterdam diventa la capitale del mercato finanziario. Il fenomeno più significativo del periodo è la rivoluzione dei prezzi, che crebbero fino a 4-5 volte tanto. La presenza del tesoro americano finì infatti col deprezzare la moneta locale, producendo una fortissima inflazione. Ma tra le cause bisogna ricercare anche la crescita della domanda in merito all’alimentazione, alla spesa pubblica e agli armamenti e la nascita di una nuova economia di mercato, che comportava l’incremento del debito pubblico (il caso della Spagna per tutti). Inevitabilmente questa crisi si ripercuoteva nella società del periodo, ancora molto stratificata ma pur sempre divisa, non solo all’interno ma anche a livello regionale. La borghesia inizia infatti la sua ascesa, mentre le masse contadine si trovano sempre più lontane e sempre più vessate dalla nobiltà. Tra le conseguenze dell’aumento dei contadini poveri si segnalano l’accattonaggio e il brigantaggio, in Spagna e nei paesi meridionali.

Conclusioni -  Questo trend positivo non modificava radicalmente le strutture sociali, che restarono così arretrate e medioevali, soprattutto al sud. Il boom demografico si arrestò nel 1580 e ben presto si sentirono i segnali della crisi che si sarebbe palesata nel Seicento. Le carestie e il calo della produttività finirono con lo stancare le borghesie locali, che furono riassorbite nel vetusto sistema di valori della gerarchia sociale, e le due categorie estreme si posero sempre più ai margini dell’economia di mercato, assottigliando lo spessore socioeconomico della borghesia.

L’EUROPA NELLA PRIMA META’ DEL CINQUECENTO

La ripresa economica iniziata nel Quattrocento si trasforma nel corso del secolo successivo in una notevole espansione accompagnata da una crescita demografica. Abbiamo visto che tutti i principali settori produttivi, economici e finanziari risentono della progressiva crescita della popolazione, crescita che si accompagna all’urbanizzazione dei principali centri europei e all’incremento dei vari settori lavorativi.

L’ETA’ DEL RINASCIMENTO

Il quindicesimo secolo si chiudeva con la discesa dei francesi di Carlo VIII in Italia, nel giugno del 1494, sotto l’apparente beneplacito degli stati regionali italiani che non sembravano molto propensi a ostacolarla: Ludovico il Moro, duca di Milano, si allea col re angioino, Venezia e il Papato dichiarano la neutralità, mentre Firenze non mostra alcun interesse. In realtà queste ultime tre signorie finiscono col dare vita alla Lega di Venezia, che nel 1495 ferma la discesa di Carlo a Fornovo sul Taro. Firenze era governata allora dal debole Piero de’ Medici, a cui i Fiorentini non perdonarono l’impassibilità mostrata durante la discesa francese. Espressione del malcontento popolare si fece il predicatore domenicano Girolamo Savonarola, che riprendeva il pensiero francescano di Gioacchino da Fiore. Savonarola teorizzava la fine della signoria medicea e procrastinava un disegno rivoluzionario, che da Firenze doveva coinvolgere tutta l’Italia e che doveva riportare in auge la repubblica come ai tempi del Comune fiorentino e una ristrutturazione della Chiesa. La protesta del Savonarola degenera nella guerra civile tra i Palleschi (i Medici, così detti per via delle palle che campeggiavano nello stemma gentilizio) e i Piagnoni, i seguaci del frate, che nel 1496 instaurano una repubblica teocratica con l’appoggio dell’aristocrazia cittadina. La predicazione rivoluzionaria del domenicano irrita il papa, Alessandro VI Borgia, che lo scomunica. Il provvedimento si rivela negativo per il credito del Savonarola (i Fiorentini sapevano infatti che gli scomunicati non potevano avere la possibilità di far valere le proprie ragioni) che si vede osteggiato dai suoi seguaci e processato e giustiziato per eresia: nel 1498 viene arso vivo in piazza della Signoria.
Lo stesso anno muore Carlo VIII e il nuovo re, Luigi XII, nipote di Valentina Visconti, rivendica le sue pretese dinastiche sul ducato di Milano. Nel 1500 scende quindi in Italia e depone, dopo averlo sconfitto, Ludovico il Moro, che viene tratto in Francia dove morirà in prigionia. Nello stesso anno Francia e Spagna stipulano l’accordo di Granata, per spartirsi il regno di Napoli, ma l’ultimo re aragonese, Federico III, cede i suoi diritti alla Francia scatenando una lotta tra le due potenze. La pace di Lione del 1504 pone la parola fine alla contesa e assegna Napoli a Ferdinando il Cattolico. Si delineano in Italia due zone di influenza, una francese al nord e una spagnola al sud.
Lo Stato Pontificio era nelle mani del potente Cesare Borgia, detto il Valentino per il suo feudo di Valentinois, figlio del papa Alessandro VI. Con l’appoggio della nobiltà locale egli riesce a eliminare le signorie dell’Italia centrale, che costituivano un pericolo per il prestigio paterno, e instaura un principato che comprende Marche e Romagna: la sua abilità strategica ispira il “Principe” di Niccolò Macchiavelli. Alla morte del Valentino Venezia cerca di occuparne i territori ma viene fermata dal nuovo papa Giulio II della Rovere. Dopo aver riunito nel 1508 tutte le forze avverse alla Serenissima nella Lega di Cambrai, Giulio II sconfigge i veneziani ad Agnadello nel 1509. Due anni dopo lo stesso papa fonda la Lega Santa per cacciare Luigi XII dall’Italia. Dopo aver tentato di deporre il pontefice, il re francese viene sconfitto grazie all’apporto dell’esercito svizzero a Ravenna, nel 1512; Luigi XII viene cacciato e al suo posto viene ripristinato il legittimo erede del ducato milanese, Massimiliano Sforza. Il re francese, ulteriormente sconfitto dagli svizzeri a Novara e dagli inglesi a Guinegatte, cerca una intercessione diplomatica del pontefice, Leone X de’ Medici. Con l’aiuto del nuovo papa Luigi XII riesce a riavvicinarsi alla penisola italiana e nel 1515 il suo successore Francesco di Valois-Angouleme sconfigge l’esercito svizzero nell’odierna Melegnano rientrando in possesso del ducato sforzesco. La pace di Noyon del 1516 stabilisce definitivamente la sovranità nelle due aree di influenza, spagnola al sud e nelle isole e francese al nord. Nel frattempo si affaccia sul panorama europeo la casata asburgica, con Massimiliano I che, attraverso un’abile politica matrimonialista, getta le basi per il futuro impero del nipote Carlo V.
In Inghilterra, dopo la Guerra delle due Rose tra Lancaster e York il regno si consolida sotto Enrico VII Tudor, che persegue una politica di avvicinamento diplomatico alla Scozia degli Stuart allo scopo di unificare i due regni. Ma il suo successore Enrico VIII  abbandona la linea pacifica e attacca il re scozzese Giacomo IV Stuart, sconfitto e ucciso a Flodden nel 1513.
In Spagna regnano i cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, che proseguono la politica dei matrimoni sposando la figlia, l’infanta Giovanna, a Filippo degli Asburgo d’Austria, erede dei duchi di Borgogna e padre di Carlo V. Morto il nonno Massimiliano Carlo V, che già aveva ereditato nel 1516 la corona spagnola, si presenta come legittimo erede della corona imperiale asburgica. Il Portogallo consolida invece il suo patrimonio coloniale aggiungendo il Brasile.
In Russia il regno di Ivan III riunisce le terre russe sottraendole ai barbari; Ivan assume il titolo di origine bizantina di zar, derivato dal latino Caesar. Alla sua morte sale al trono Basilio III che completa il disegno espansionistico di Ivan.

POLITICA E SOCIETA’

L’età del Rinascimento vede l’affermazione dell’identità del Principe e del ruolo centralista della monarchia. Questo processo di trasformazione si svolge lentamente e in maniera non uniforme, ma si realizza in maniera compiuta in tutto il continente europeo, dove la figura del sovrano assume l’identità del liberatore e del condottiero forte e coraggioso, capace mitologicamente e carismaticamente di riunire i popoli sotto il suo dominio. La società è stratificata e divisa gerarchicamente in clero, nobiltà e terzo stato; ha un carattere non egualitario e le classi sociali più in vista godono dell’esenzione fiscale: per questo motivo i membri del terzo stato sono costretti alla compravendita delle cariche pubbliche, di modo da avvicinarsi ai privilegi dell’aristocrazia. La conseguenza è il formarsi di una classe  di funzionari spesso indisciplinati e a stento tenuti a bada da intendenti di nomina regia. La stratificazione sociale generava infatti delle pericolose fratture tra i ceti e il sovrano, ceti che erano proprio degli stati nello stato e obbligavano il sovrano a esercitare una funzione di arbitro nelle frequenti tensioni che scoppiavano tra le diverse fazioni.
Le repubbliche italiane sono perlopiù estranee alla modernizzazione degli stati nazionali europei. Solo Venezia può vantare una certa stabilità politica, garantita dalla potente oligarchia del patriziato veneziano, che trova espressione nel Maggior Consiglio; il Doge è in effetti una figura simbolica, poiché il potere era nelle mani della nobiltà. Le altre repubbliche non potevano vantare la stessa stabilità di Venezia. La neonata repubblica di Firenze è in mano ai Grandi, ma le pessime qualità amministrative del  Gonfaloniere Soderini fanno vacillare l’istituzione repubblicana, soprattutto per la pressione esercitata dalla Francia.
I Principati locali non possono dirsi più fortunati e inizia una nuova grande crisi istituzionale per lo Stato Pontificio. A minarne la funzione sono i potentati locali, disordinati e incontrollabili, governati dai feudatari dell’hinterland romano e laziale, e la sempre minore attenzione dedicata dai papi all’espletamento dei loro uffici, sostituita da una politica centralista e arrivista e spesso accompagnata da favoritismi e nepotismi. I cattolici stranieri si allontanano sempre più da Roma e iniziano a costituirsi le Chiese nazionali, legate al potere della corona.
Nell’Impero asburgico vanno affermandosi dei principati locali che danno vita agli Stati Regionali. In Italia questo status viene affermato nella transizione delle Signorie ai Principati, ma la corona imperiale asburgica regnava su un effettivo marasma autonomistico, dove si intrecciavano potentati laici e religiosi. Mentre Massimiliano d’Asburgo non riesce a contrastare la tendenza regionale del suo impero, in Inghilterra Enrico VII Tudor non ha problemi nell’affidare le cariche più alte del Consiglio del re a funzionari di strettissima nomina regia; il potere è inoltre affermato dal Parlamento, fedele al sovrano. In Francia la tendenza all’autonomismo è limitata dai successori di Carlo VIII che danno sempre minor spazio agli Stati Generali e avviano una intensa funzione di centralizzazione del potere; l’esecutivo è affidato ai nobili e all’alto clero che siedono nel Consiglio del re, non così fedele al sovrano come quello omonimo inglese e per questo affiancato da un Consiglio Segreto, di stretta nomina regia. Nella Spagna unita dal matrimonio dei re cattolici le istituzioni sono conservate inalterate ma si delinea subito una prevalenza delle politiche castigliane. Anche qui perdono importanza le Cortes mentre il potere legislativo e giudiziario viene affidato al Consiglio Reale e quello amministrativo alla Camera di Castiglia e al Consiglio delle Finanze.

L’ETA’ DELLA RIFORMA

Carlo V, nipote di Massimiliano d’Asburgo, eredita nel 1519 la corona imperiale dopo aver indossato tre anni prima quella di re di Spagna, e unifica le due corone, con tutti gli immensi domini. L’impero di Carlo V voleva rappresentare una potenza non solo politica ma anche religiosa, quasi un ritorno all’impero cristiano di stampo medioevale; eppure sotto il regno di Carlo si consuma la separazione tra le due Chiese, quella tedesca e riformata e quella di Roma. Leggenda vuole che il movimento protestante abbia preso il via dalle 95 tesi che il frate agostiniano Martin Lutero espose nel castello di Wittenberg in Sassonia per contrastare la predicazione del domenicano Giovanni Tetzel; in realtà la riforma protestante approda solo in ultimo a Lutero ed è espressione di un radicale movimento di rinnovamento della cultura spirituale che parte dal Quattrocento con i Lollardi, Jan Huss, Wycliff, e si esprime nel secolo sedicesimo con la predicazione di Girolamo Savonarola. Lutero condanna la vendita delle indulgenze promossa dal papa per la riedificazione di San Pietro e dibatte a Lipsia le sue teorie col teologo Giovanni Eck, insistendo sulla necessità di una moralizzazione dei costumi del papato, oramai corrotto, simoniaco, e inutile. Il papa Leone X lo scomunica come eretico con la bolla Exurge Domine del 1520 e viene bandito dall’impero nel 1521 con l’Editto di Worms, ma ottiene la protezione dei principi tedeschi, in particolare di quello di Sassonia che lo ospita nel suo castello facendo credere un finto rapimento. La protesta luterana trova subito molti aderenti, in particolare tra i principi tedeschi stanchi delle ingerenze del clero romano, a cui vengono confiscate le proprietà. Ma l’intrecciarsi della protesta sociale con quella religiosa finisce con l’irritare Lutero. Le due guerre, quella dei Cavalieri e quella, di matrice anarchica, dei Contadini, vengono deplorate da Lutero, che condanna ogni ricorso alla violenza gratuita, e lo stesso Lutero plaude all’intervento armato dell’esercito dei principi tedeschi che massacra i contadini.
Nel 1521 scoppiava la Guerra Franco-Asburgica per il controllo dell’Italia. La guerra si apre quando Carlo V si impossessa del ducato milanese restaurando il legittimo erede Francesco II Sforza, provocando la reazione della Francia che, occupate Savoia e Piemonte, riesce a rientrare in possesso di Milano.

Prima fase (1521/1530) - Le truppe imperiali, di stanza a Pavia e in attesa di rinforzi, vengono  sorprese dall’esercito francese nel 1525: arrivati i rinforzi, l’esercito di Francesco I è stretto in una morsa e, sconfitto, lo stesso re viene catturato e condotto a Madrid dove nel 1526 è costretto a firmare, su ricatto, pesanti condizioni di resa, tra cui i ducati di Milano e di Borgogna. Tornato libero il re francese rifiuta di cedere alla pace e costituisce la Lega di Cognac, sobillando vari stati italiani e lo stesso papa Clemente VII contro lo strapotere di Carlo V. Questa lega era debole. Nel 1527 le truppe spagnole e tedesche assoldate da Carlo V scendono indisturbate in Italia e saccheggiano Roma, facendo prigioniero il papa (Sacco di Roma). Lo stesso anno Firenze caccia i Medici e restaura la repubblica. I francesi riprendono Milano e dilagano al sud e solo il passaggio della repubblica genovese alle sorti imperiali cambia l’assetto della contesa. Carlo V cerca allora di recuperare l’alleanza col papa e tenta di mediare il conflitto con la Francia. Accetta così di liberare i figli di Francesco I, che teneva in ostaggio, dietro versamento di una modesta somma di riscatto e rinuncia alle pretese sulla Borgogna, concludendo nel 1529 la pace di Cambrai e riottenendo il ducato di Milano. Al congresso di Bologna si riconcilia col papa e poco dopo espugna Firenze dove restaura la signoria medicea.

Seconda fase (1535/1544) – La contesa non era affatto sopita e riprende quando, dopo la morte del duca Francesco II Sforza, la Francia riannette Milano e invade la Savoia che era alleata di Carlo V. Il conflitto come al solito si internazionalizza e tocca tre diverse aree europee, la Provenza dove combatte la Spagna, il Piemonte dove campeggia la Francia e le Fiandre dove opera l’esercito di Carlo V. Nonostante la mediazione del papa paolo III le ostilità proseguono fino alla pace di Crepy del 1544 che riassegna a Carlo V il ducato di Milano e a Francesco I il Piemonte.

Terza fase (1552/1559) – Sospesa la guerra con la Francia, sul cui trono siede ora Enrico II di Valois, Carlo V deve fronteggiare la rivolta dei principi tedeschi, sobillati dal nuovo monarca francese. Sconfitto nel Tirolo, Carlo V è costretto con la pace di Augusta del 1555 a liberare il culto luterano nell’Impero. Il principio del cuius regio eius religio deroga al principe locale la facoltà di scegliere la confessione religiosa da adottare nel proprio principato, e il reservatum ecclesiasticum impone ai neoconvertiti al protestantesimo la restituzione delle terre e dei benefici avuti in concessione dalla Chiesa di Roma.

Carlo V abdica in favore del fratello Ferdinando a cui riserva la corona imperiale e del figlio Filippo II che eredita la corona spagnola, le Fiandre e i domini italiani e le isole, e si ritira nel monastero spagnolo di Yuste dove morirà di lì a poco; la guerra franco-asburgica diventa guerra franco-spagnola e si conclude con la battaglia di San Quintino del 1557 in cui l’esercito di Filippo II costringe i francesi alla resa e alla firma, nel 1559, della pace di Cateau-Cambresis che assegna definitivamente l’Italia alla Spagna. Chiusa l’epopea di Carlo V si consuma il distacco della Chiesa di Inghilterra da quella romana. Enrico VIII Tudor, inizialmente avverso a Lutero, entra in conflitto col papa Clemente VII che gli nega il divorzio da Caterina d’Aragona, incapace di dare un erede maschio al re, e di sposare Anna Bolena. Per tutta risposta Enrico VIII separa nel 1531 le due chiese e si pone a capo della chiesa d’Inghilterra. Anche qui va detto che l’episodio è solo l’ultimo atto di un processo di nazionalizzazione delle chiese locali, iniziato già dal secolo scorso, e che aveva progressivamente allontanato i vescovi stranieri dalla corte corrotta del pontefice romano. Nel 1534 il Parlamento ratifica il provvedimento con l’Atto di Supremazia che nazionalizza ufficialmente la chiesa anglicana. Alla morte di Enrico VIII sale al trono il giovanissimo Edoardo VI, che favorisce con l’aiuto dei reggenti il diffondersi del protestantesimo in Inghilterra; alla sua morte prematura sale però al trono la cattolica Maria, moglie morganatica di Filippo II, che restaura il cattolicesimo sottoponendo i protestanti a una feroce repressione che le valse l’appellativo di Bloody Mary, Maria la Sanguinaria. La chiesa anglicana riprende la sua vita regolare con la regina Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena.

POLITICA E SOCIETA’

Si è dunque visto come il carattere dominante della società asburgica fosse il particolarismo politico e amministrativo che di fatto obbligava Carlo V a fare i conti con una situazione di fondo assolutamente instabile: gli stessi principi tedeschi, passati alla religione luterana, rifiutano l’imposizione del cattolicesimo da parte imperiale e obbligano Carlo V a firmare la pace di Augusta, che imponeva il principio del cuius regio eius religio. Nonostante tutto le monarchie europee, e anche quella asburgica, riescono ad affermare una sorta di centralismo politico e amministrativo, che si rende necessario data la vastità dei territori. Questa politica trova espressione nella formazione di un Consiglio, costituito da funzionari di strettissima nomina regia, che in breve tempo assurge a guida dell’apparato burocratico nazionale. Per operare meglio il suo disegno accentratore, Carlo V si trasferisce con la sua corte fiamminga in Spagna, dove dà vita a un contestatissimo progetto di riforma fiscale, che incontra subito lo sfavore delle borghesie urbane. Il malumore si esprime nella rivolta dei Comuneros di Castiglia, poi domata, che chiedevano al sovrano un regno meno assolutista e più liberale.
Tra le innovazioni del secolo c’è la presenza della diplomazia, i cui appartenenti vivono a corte con garanzie di assoluta inviolabilità. Se però le monarchie europee viaggiano verso la costituzione dei grandi stati nazionali, gli stati italiani vivono una fase di declino, e si avviano a entrare nell’orbita della monarchia di Filippo II.
In Inghilterra la scissione tra le due chiese acuisce l’ingerenza assolutista dei sovrani Tudor. L’Atto di Supremazia consente infatti a Enrico VIII di incamerare i beni ecclesiastici e soprattutto di nominare personalmente i vescovi. Nel secolo successivo si formerà una corrente di pensiero religioso puritana, legata al protestantesimo delle origini, che contrasterà duramente il regime illiberale della monarchia anglicana.
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CLASSE TERZA - MODULO 4 - STORIA
Il Cinquecento (seconda parte)

L’EUROPA NELLA SECONDA META’ DEL CINQUECENTO

La seconda metà del Cinquecento è caratterizzata per la presenza egemone della Spagna e per i conflitti religiosi scoppiati in Francia dopo la Controriforma. Paladino della Controriforma era Filippo II, che riesce a sconfiggere i Turchi nella battaglia di Lepanto nel 1571, arrestandone l’avanzata, e soprattutto si impegna contro il dilagare del Protestantesimo in Europa. La principale antagonista di Filippo II era l’Inghilterra elisabettiana dei Tudor, sia per questioni religiose, sia per ragioni economiche legate al controllo dei traffici mercantili nell’Atlantico, una iniziativa che di fatto rompeva il monopolio spagnolo. Spagna e Inghilterra si affrontano per un trentennio fino allo scontro finale, l’assalto che l’Invincibile Armata di Filippo II fallisce miseramente nel 1588 nelle acque della Manica: questa sconfitta rilancia la vocazione marinara dell’Inghilterra e mina il prestigio della Spagna. In Francia Enrico IV con l’Editto di Nantes ripristina la pace tra le due fazioni religiose cattolica e protestante.


LA SPAGNA DI FILIPPO II

Filippo II d’Asburgo regna in Spagna dal 1556 al 1598. Sotto Filippo II la Spagna raggiunge il benessere economico e una effettiva egemonia sugli altri stati europei a causa
degli immensi domini nei Paesi Bassi e in Italia, che rendevano una continua fonte di reddito, aumentata dai possedimenti americani che producevano oro e metalli preziosi;
dell’unità religiosa del paese fondata sulla fede cattolica di cui gli Asburgo si fecero protettori; il Tribunale dell’Inquisizione vigilava affinchè l’ortodossia cattolica venisse osservata, anche con metodi repressivi e sanguinari;
del fortissimo esercito costruito sulla nobiltà cavalleresca castigliana e sulla disciplinatissima fanteria dei cosiddetti tercios.
Filippo II eredita la corona dal padre Carlo V nel 1556. La corona spagnola comprendeva la Spagna, i Paesi Bassi, la Franca Contea e i domini italiani (meridione, Milanese, isole maggiori, parte della Toscana) in Europa, più i territori coloniali americani e più tardi le Filippine in Asia.
Il primo triennio del regno lo passa nei Paesi Bassi di cui era governatore; nel 1559 si stabilisce definitivamente in Spagna e porta la capitale da Valladolid a Madrid, scelta perché si trova al centro della Penisola Iberica; nel 1563 iniziano i lavori per la costruzione dell’Escorial, il gigantesco palazzo sede della monarchia spagnola, a quaranta chilometri dalla capitale.

Politica interna

La centralizzazione dello stato è la caratteristica principale del regno filippino; il re gestisce personalmente gli affari dello stato, nomina i vicerè e i governatori dei vari domini, istituisce i Consigli che si affiancano a quelli già esistenti, e istituisce un efficace apparato burocratico per controllare personalmente l’operato delle amministrazioni locali, assumendo i letrados, laureati in materie umanistiche. Per garantire la continuità territoriale e l’unità religiosa della nazione, difende la “limpieza de sangre” (purezza di sangue) degli Spagnoli cristiani autentici, perseguitando marranos (ebrei neoconvertiti) e  moriscos (musulmani). Tra il 1568 e il 1570 Filippo II con l’aiuto del fratellastro don Giovanni d’Austria riesce a sedare una pericolosa rivolta dei moriscos a Granada, rivolta che rischiava di estendersi col rischio di suscitare una ripresa dell’offensiva turca: dispersi i moriscos delle altre province, l’esercito spagnolo chiude le ostilità e tra il 1609 e il 1614 tutti i Mori sono espulsi dalla Spagna.

Politica estera

Due erano i problemi che Filippo si trovò ad affrontare durante il suo regno, la pirateria nelle coste del Mediterraneo e l’avanzata dei Turchi. Nel 1560 i Turchi difendono strenuamente le coste nordafricane a Djerba, ma sono respinti a Malta nel 1565 dai Cavalieri di San Giovanni. Nel 1570, guidati dal sultano Selim II, conquistano il possedimento veneziano di Cipro e iniziano a minacciare seriamente il Mediterraneo. Papa Pio V promuove allora la Lega Santa, a cui aderiscono Venezia, la Spagna e gli Stati italiani. Il 7 ottobre del 1571 le 208 navi della flotta della Lega Santa, al comando di don Giovanni d’Austria, sconfiggono le armate turche (230 navi) nelle acque di Lepanto. Venezia conclude nel 1573 una pace separata coi Turchi, a cui cede Cipro in cambio dei diritti commerciali sui porti ottomani; la Spagna, dopo aver tentato la riconquista di Tunisi, conclude una pace con i Turchi nel 1580.
Conclusa l’offensiva antiturca si fa però strada un altro pericolo, incentrato nei paesi dell’area atlantica, come i Paesi Bassi, il Portogallo e l’Inghilterra. Questi paesi minacciavano i traffici commerciali spagnoli con la guerra da corsa nel caso dell’Inghilterra, che disturbava le navi mercantili spagnole nel bacino del Mediterraneo; oppure si trattava di paesi, come la stessa Inghilterra o i Paesi Bassi, in cui le tensioni religiose avevano prodotto una pericolosissima frattura nella popolazione. Nel 1580, estinta la dinastia di Braganza, si rende vacante il trono portoghese: Filippo, vedovo di Maria Emanuela di Portogallo, avanza le sue pretese dinastiche, col sostegno dei cattolici portoghesi e fa invadere il Portogallo, che resterà annesso alla Spagna fino al 1640.
Le energie profuse da Filippo II per garantire l’unità territoriale e religiosa del suo Impero finirono con l’indebolire la corona. Le grosse ricchezze coloniali finirono infatti per deprezzare le risorse produttive iberiche e generarono una totale disaffezione nella classe dirigente, che prese a mirare verso più prestigiosi ruoli statali. Dopo ben quattro bancarotte, la Spagna è costretta a chiedere finanziamenti ai banchieri genovesi.
Una vera spia del malessere politico era la situazione dei Paesi Bassi. Carlo V aveva annesso i Paesi Bassi, un numeroso agglomerato di province tra cui Olanda, Belgio, Lussemburgo e varie regioni di lingua francese, concedendo loro una amministrazione che tollerava l’autogoverno locale. Nel 1559 Filippo II estende il suo disegno accentratore e antiprotestante ai Paesi Bassi, che affida alla sorellastra Margherita e al cardinale Granvelle; l’odio contro il cardinale accende le ire della popolazione, anche della parte cattolica, che nel 1564 riesce a ottenere l’allontanamento di Granvelle.
Due anni dopo scoppia l’insurrezione vera e propria, guidata dalla minoranza calvinista; nel 1567 Filippo II invia il duca d’Alba, detto “il duca di ferro” a sedare l’insurrezione: il duca reprime nel sangue la rivolta e tra i pochi scampati c’è solo Guglielmo d’Orange. Nel 1568 inizia la guerra antispagnola sotto la guida di Guglielmo d’Orange, passato al calvinismo e nominato “stadhouder” cioè governatore. Dopo il saccheggio di Aversa, nel 1576, da parte delle truppe spagnole, nasce l’Unione di Gand, a cui aderiscono tutte le province cattoliche e calviniste, per rispondere alla brutalità spagnola.
Filippo invia nei Paesi Bassi Alessandro Farnese, ottimo mediatore, che riesce a dividere i cattolici dai calvinisti: il 6 gennaio 1579 le province cattoliche lasciano l’Unione di Gand e costituiscono la Lega di Arras, riconciliandosi con la Spagna in cambio del riconoscimento delle proprie autonomie. Pochi giorni dopo le province settentrionali calviniste fondano l'Unione di Utrecht rifiutando ogni tentativo di riconciliazione con Madrid e proclamando la loro indipendenza. Nasceva così l’Unione delle Province Unite, che si disse Olanda, dal nome di una delle province.



LE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA
TRA UGONOTTI E CATTOLICI

Nel 1559 il re di Francia Enrico II di Valois muore a causa di una caduta accidentale durante un torneo: poiché i figli di Enrico, Francesco e Carlo, erano minorenni, la reggenza del trono è affidata alla vedova Caterina de’ Medici, che reggerà il trono fino al 1574. La mancanza di una solida guida riaccende però le tensioni tra le due fazioni religiose, che degenera in una vera e propria guerra di fede tra i cattolici, capeggiati dai duchi di Guisa, e gli ugonotti calvinisti (il nome deriva dal tedesco “eidgenossen” cioè confederati), capeggiati dai Borbone. Caterina cercò di mediare la tensione tra le due fazioni nobiliari concedendo benefici politici a entrambe le famiglie, ma quando con l’Editto di Saint Germain concede agli ugonotti una limitata libertà di culto, il partito cattolico insorge e, agli ordini del duca di Guisa, massacra una trentina di ugonotti il 1 marzo 1562 a Vassy. Il massacro di Vassy costituisce l’inizio di una sanguinosa guerra di religione che si snoda per un trentennio; guerra che coinvolge anche il popolo, chiamato inevitabilmente a parteggiare per i propri correligionari.

Prima fase (1562/70)

La prima guerra si svolge nel biennio 1562/63 e vede la caduta dei due capifazione, Francesco di Guisa e Antonio di Borbone; si conclude con l’editto di Amboise, che concede libertà di culto alla minoranza ugonotta. Le altre due guerre si svolgono tra il 1567 e il 1570 (sono divise da una pausa di pochi mesi nel 1568) e dopo le sconfitte di Jarnac e Moncontour, gli ugonotti guidati dall’ammiraglio Gaspard de Coligny resistono tenacemente fino a ottenere, grazie all’opera mediatrice della regina, la pace di Saint Germain che garantisce agli ugonotti la libertà di culto, con la garanzia di quattro piazze di sicurezza . La Rochelle, Montauban, Cognac, e La Charité-sur-Loire.

Seconda fase (1570/80)

Dopo la pace di Saint Germain, sembra che le forze ugonotte aumentino il proprio prestigio, sia per il ruolo svolto a Corte dal Coligny, sia per il matrimonio tra la cattolica Margherita di Valois, sorella del re Carlo IX, con l’ugonotto Enrico di Borbone. Inaspettatamente però la regina madre Caterina de’Medici cambia idea e si allea con i Guisa, fomentando un nuovo attacco al partito ugonotto. La notte di San Bartolomeo, tra il 23 e il 24 agosto 1572, i cattolici organizzano una sanguinosa caccia all’uomo ai danni di migliaia di ugonotti convenuti a Parigi per le nozze di Margherita ed Enrico: quest’ultimo riesce a scappare, mentre in provincia centinaia di protestanti sono messi a morte, compreso il Coligny. Nel 1573 gli ugonotti fondano l’Unione Protestante, alternativa alla Lega Santa cattolica che Enrico di Guisa costituirà nel 1576: il conflitto si internazionalizza, coinvolgendo la Spagna di Filippo II per la parte cattolica, e l’Inghilterra protestante e la Germania calvinista per la parte ugonotta.
Nel 1574 sale al trono di Francia Enrico III, che due anni dopo è costretto a cedere agli ugonotti l’editto di Beaulieu.
Politicamente la situazione interna era molto debole, e lo stesso re non era in grado di controllare adeguatamente la situazione di conflitto tra le fazioni avverse dell’aristocrazia feudale, al punto che il teologo calvinista Du Plessis-Mornay pubblica nel 1579 il fortunato libello “Vindiciae contra tyrannos” in cui teorizza il regicidio in caso di assolutismo monarchico; per contro il teologo e politologo Jean Bodin aveva pubblicato tre anni prima “De la Republique”, un’opera dichiaratamente filoassolutista. Bodin, unitamente a Michel de l’Hopital, teorizzava il ritorno a una forma di assolutismo regio per concludere il periodo di guerre religiose e di contenziosi feudali.

Terza fase (1580/98)

Morto nel 1584 l’ultimo fratello del re Enrico III si apre la lotta alla successione, poiché non vi erano altri eredi diretti. Enrico di Borbone avanza la sua legittima pretesa dinastica, per via del suo matrimonio con Margherita di Valois: appoggiati dalla Spagna, i Guisa aprono le ostilità nel 1585, ma a sorpresa Enrico III, stanco delle ingerenze dei Leghisti, fa assassinare il duca di Guisa. Parigi, roccaforte dei Guisa, si ribella contro Enrico III: il re si allea allora con i Borbone e designa Enrico a succedergli, a patto che si converta al cattolicesimo; poco dopo muore, per mano del monaco Jacques Clement, nel 1589. Nel 1593, dopo aver pronunciato la leggendaria frase “Parigi val bene una messa” Enrico di Borbone abiura solennemente al calvinismo nella cattedrale di Saint Denis e, in qualità di nuovo sovrano, entra come Enrico IV a Parigi. Nel 1598 Enrico IV conclude con Filippo II la pace di Vervins, che conferma l’integrità del territorio francese. Il 13 aprile dello stesso anno le guerre di religione trovano la definitiva conclusione con l’editto di Nantes, con cui gli ugonotti ottengono libertà di coscienza e di culto, salvo che a Parigi ed entro cinque miglia dalla capitale, piena parità di diritti politici e ben 142 piazze di sicurezza.

L’INGHILTERRA DI ELISABETTA TUDOR

L’Inghilterra diventerà durante il regno elisabettiano (1558/1603) la maggiore antagonista della Spagna. A separare i due colossi politico-economici era soprattutto la rivalità in ambito navale e commerciale, ma uno dei principali motivi dell’antagonismo era senza dubbio la politica religiosa perseguita dai Tudor: sotto Enrico VIII si era infatti consumato lo Scisma della Chiesa Anglicana da quella Romana, al momento in cui il re inglese sposa nel 1533 Anna Bolena, dopo aver ripudiato la prima moglie Caterina d’Aragona, incorrendo nella scomunica pontificia; nel 1534 l’Atto di Supremazia designa il sovrano inglese come capo della stessa Chiesa e nel 1539 l’Act of Six Articles fissa i dogmi principali della nuova Chiesa. Nel 1549 il successore di Enrico VIII, Edoardo VI, introduce il Book of Common Prayer, che riconoscerà la validità dei soli sacramenti del battesimo e dell’eucarestia. Con l’ascesa al trono della cattolica Maria Tudor il protestantesimo inglese conosce una vera e propria battuta d’arresto, anche perché la regina sposa nel 1554, con nozze morganatiche, il re di Spagna Filippo II: l’appoggio della cattolica Spagna costituisce il punto di partenza per una restaurazione della religione cattolica in Inghilterra.
Forte dell’appoggio spagnolo, Maria ripristina la giurisdizione papale, guadagnandosi l’avversione dei numerosi protestanti ostili a Filippo II, e giustiziando oltre trecento dissidenti religiosi, capi del movimento anglicano,  meritando così l’appellativo di Bloody Mary, Maria la Sanguinaria. Il regno di Maria Tudor dura cinque anni, e alla sua morte, nel 1558, le succede la figlia nata dal matrimonio di Enrico VIII e Anna Bolena, Elisabetta.
Pretendente al trono era anche sua cugina, la futura regina di Scozia Maria Stuart, figlia di Giacomo V (che era nipote di Enrico VIII) e moglie di Francesco II di Valois, primogenito di Enrico II e di Caterina de’ Medici (il matrimonio dura due anni, fino alla morte di Francesco II nel 1560). Il matrimonio di Maria con un re cattolico la rendeva evidentemente inadatta al ruolo di regina d’Inghilterra e capo della Chiesa Anglicana.
L’ascesa al trono di Elisabetta, nata da un matrimonio non valido per la Chiesa di Roma, riportò necessariamente l’Inghilterra al protestantesimo. Elisabetta ripristinò infatti la religione anglicana di cui era a capo in base all’Atto di Supremazia (che fu modificato così da far comparire il titolo di “reggente supremo” in luogo di “capo”), e operò una tenace lotta religiosa contro la cattolica e filofrancese Scozia dove regnava sua cugina Maria Stuart. Inoltre emanò l’Atto di Uniformità, con cui ripristinava le riforme liturgiche edoardiane, e i cosiddetti 39 Articoli, che davano alla religione anglicana una impronta di tipo calvinista, pur conservando la tradizionale struttura episcopale.
In politica estera la neoregina appoggiò la rivolta calvinista del 1559 in Scozia, guidata da John Knox, e rifiutò inoltre le insistenti proposte matrimoniali di Filippo II, svincolandosi definitivamente dalla politica filospagnola instaurata dalla precedente regina Maria la Cattolica.
Come si è già detto la rivolta dei calvinisti scozzesi scoppia nel 1559 contro la reggente cattolica francese Maria di Guisa (la regina Maria era infatti in Francia col marito Francesco di Valois) sotto la guida di John Knox e supportata militarmente dall’Inghilterra elisabettiana. La regina di Scozia, vedova di Francesco II, tornava in patria ma era a capo di un paese ormai a maggioranza protestante, che non vedeva di buon occhio la regina cattolica e soprattutto la politica filofrancese dei Guisa, a cui Maria era legata. Dopo la morte di Francesco II Maria sposa prima Lord Darnley e poi Lord Bothwell, ma il suo tentativo di restaurare il cattolicesimo genera una seconda rivolta che costringe Maria a chiedere aiuto alla cugina Elisabetta Tudor. La regina d’Inghilterra ovviamente accetta, sapendo di poter controllare facilmente il movimento filocattolico inglese e scozzese che aveva designato la cattolica Maria come erede legittima al trono inglese, e fa segregare la cugina in un castello.
Il figlio di Maria, Giacomo, viene intanto preso in consegna dai calvinisti scozzesi, che lo educano al protestantesimo e creano una reggenza speciale per lui. Questa vicenda coinvolge inevitabilmente la Scozia e l’Inghilterra nelle guerre di religione, in cui la regina Elisabetta non fece mancare il supporto agli Ugonotti francesi, e soprattutto favorisce l’inasprirsi della tensione con la Spagna, che si manifesta nella guerra corsara a danno dei galeoni mercantili spagnoli in rotta nel Mediterraneo. La guerra, di cui fu protagonista tra gli altri Sir Francis Drake, giunge a una svolta con l’esecuzione capitale della regina scozzese, accusata di aver ordito dei complotti contro Elisabetta: la condanna rappresentava infatti una sfida aperta contro il cattolicesimo e costrinse Filippo II a un intervento diretto.
Era evidente che la guerra di religione costituiva un pretesto: le imprese marinare di Drake, l’affermarsi della potenza navale inglese e il sempre più fastidioso crescendo di imprese piratesche ai danni delle navi spagnole imponevano un efficace intervento che arrestasse il propagarsi della potenza dell’Inghilterra elisabettiana.
Filippo voleva invadere l’Inghilterra e aveva approntato la famosa Invincibile Armata, con 130 navi e 30 mila uomini, che si sarebbe dovuta fondere con l’esercito spagnolo di stanza nei Paesi Bassi, ma il tentativo (1588) andò miseramente fallito: le piccole e veloci navi inglesi ebbero la meglio sui pesanti galeoni spagnoli, che furono pesantemente decimati e sospinti verso il Mare del Nord.
La sconfitta accresceva il prestigio navale dell’Inghilterra e la rilanciava come potenza marinara. Ma non era solo questa la risorsa inglese più importante. Durante il regno elisabettiano crescono infatti due settori produttivi, quello manifatturiero e quello agricolo; inoltre si sviluppano le grandi compagnie mercantili, come la Compagnia delle Indie Orientali attiva fin dal 1600 nel far east, e realtà economiche come i merchants adventurers o mercanti avventurieri, attivi in Europa.
Elisabetta muore nel 1603.


L’ITALIA SPAGNOLA

Con la pace di Cateau Cambresis dell’aprile 1559 la Spagna aveva mantenuto il suo dominio nel Meridione d’Italia, nel Milanese e nello Stato dei Presidi in Toscana. Tra i possedimenti spagnoli nella nostra penisola ricordiamo i Regni di Sardegna, Sicilia e Napoli, che erano governati da tre vicerè, spagnoli e di nomina regia, mentre lo Stato di Milano era retto da un governatore, pure spagnolo e di nomina regia. La politica spagnola non aveva alterato assolutamente gli equilibri preesistenti, (se non introducendo un rigoroso centralismo amministrativo) ma anzi favorì i potentati locali e garantì un certo periodo di pace e di benessere economico; purtroppo l’asservimento alla Spagna segnò anche la decadenza italiana.

Genova – Dopo il governo personale di Andrea Doria Genova si era legata a Carlo V, e, pur restando di fatto indipendente, manteneva saldi rapporti con la Spagna filippina: la potentissima società finanziaria della Casa di San Giorgio era stata infatti il principale finanziatore delle casse spagnole durante le quattro famose bancarotte che si succedettero durante il regno di Filippo II.

Toscana – Grazie all’appoggio di Carlo V la famiglia dei Medici torna a governare Firenze con Cosimo, tra il 1537 e il 1574; l’esercito mediceo sventa una rivolta a Siena, che non vedeva di buon occhio la dipendenza “morale” dalla Spagna, e in seguito Cosimo annette Siena, estendendo il suo stato mediceo, mentre nelle zone costiere del territorio senese sorge lo Stato dei Presidi, che viene annesso al Regno di Napoli. Nel 1569 Cosimo de’ Medici riceve l’investitura papale diventando Granduca di Toscana.

Stato della Chiesa – Pio V con la bolla “In Coena Domini” ribadisce la superiorità pontificia su quella imperiale e si fa promotore della lega Santa che sconfiggerà i Turchi a Lepanto nel 1571, mentre Gregorio XIII riformerà il calendario giuliano (che da allora in poi si disse gregoriano); ma il periodo aureo lo si ha sotto il pontificato di Sisto V, che oltre a promuovere la lotta contro l’autonomismo delle signorie locali, istituisce 15 Sacre Congregazioni tra cui il Sant’Uffizio, supremo organo ufficiale dell’Inquisizione cattolica. Il pontificato di Clemente VIII segna infine l’abbandono della politica filospagnola della Chiesa di Roma.

Venezia – Grazie al suo governo oligarchico, espressione del patriziato cittadino e formato da tre Inquisitori e dal Consiglio dei Dieci, la Repubblica di Venezia riesce a conservare la sua autonomia. Il potere della Serenissima era però un potere fortemente limitato e sostanzialmente sulla difensiva, che era costretto a subire la minaccia dei grandi imperi limitrofi e delle scorrerie turche nel Mediterraneo, come testimonia il caso di Cipro. In virtù della pace separata, conclusa con i Turchi nel 1573, Venezia cede Cipro guadagnando una discreta libertà di traffico nei porti ottomani.

Savoia – La pace di Cateau Cambresis aveva riassegnato il Ducato di Piemonte a Emanuele Filiberto di Savoia, istituendo una sorta di stato cuscinetto tra la Francia e la Lombardia spagnola. Emanuele Filiberto riorganizza il piccolo ducato, centralizzando il potere amministrativo e giudiziario e togliendo così autonomia alle grandi famiglie dell’aristocrazia feudale; inoltre con l’acquisizione di Tenda e Oneglia fornì al Piemonte un importante sbocco sul mare, che dava impulso ai traffici navali e istituì la coscrizione obbligatoria, riformando totalmente l’esercito. Nel 1563 la capitale viene portata da Chambéry a Torino e nel 1588, durante il regno di Carlo Emanuele I, viene occupato il marchesato di Saluzzo.



L’IMPERO ASBURGICO

Nel 1555 la pace di Augusta sanciva la divisione religiosa dell’Impero Asburgico, chiudendo le contese legate alle questioni politico-religiose: il nord della Germania e le nazioni limitrofe sposavano il luteranesimo, mentre il sud restava cattolico; faceva eccezione il Palatinato, dove si era diffuso il calvinismo. Il principio del cosiddetto “cuius regio eius religio” garantiva dunque la sopravvivenza delle confessioni religiose, ma divideva di fatto l’impero che Carlo V, prima di abdicare e di ritirarsi nel monastero spagnolo di Yuste, aveva diviso tra il figlio Filippo e il fratello Ferdinando. L’impero asburgico, costituito dai domini austriaci, dalla Boemia e dall’Ungheria, era stato dunque ereditato da Ferdinando, il fratello di Carlo V, che nel 1558, all’indomani della pace di Augusta, veniva eletto imperatore. Il suo regno durerà fino al 1564, quando salirà al trono il figlio Massimiliano II, filoluterano, ma fedele alla politica di equidistanza religiosa rispettata dagli imperatori asburgici. La convivenza tra le diverse confessioni religiose non era però facile, sia perché spesso i principi protestanti violavano la causa del reservatum ecclesiasticum, confiscando le proprietà della Chiesa di Roma, sia perché, specialmente sotto Rodolfo II d’Asburgo, successore di Massimiliano, cattolico e allevato presso i Gesuiti, si fa sentire la pressione controriformista della Chiesa proprio nella persona dell’ordine dei Gesuiti, favorito da Rodolfo.

L’EUROPA NORD-ORIENTALE

Malgrado gli intensi rapporti economici con i paesi europei occidentali, la Svezia, la Polonia e la Russia, non intrattennero dei veri e propri rapporti di natura politica con i paesi dell’ovest europeo.

Svezia – Dopo l’indipendenza dalla Danimarca, la Svezia, il cui territorio comprendeva anche l’attuale Finlandia e l’Estonia, diventa un regno autonomo sotto la dinastia dei Vasa, il cui primo re Gustavo I (che regna dal 1523 al 1560) porta in Svezia la religione luterana nel 1527, i beni della Chiesa Cattolica sono secolarizzati e la stessa Chiesa luterana viene istituzionalizzata, con la nascita di una Chiesa Luterana Svedese. Il luteranesimo assume quindi una connotazione di forte identità nazionale, al punto che quando Sigismondo III Vasa cerca, anni dopo, di reintrodurre il cattolicesimo, viene duramente osteggiato e poi sconfitto da Carlo Vasa, che lo depone dalla Dieta.

Polonia – In Polonia regnava la dinastia degli Jagelloni. Anche in Polonia viene portata avanti la politica di equidistanza religiosa, che apre molti spazi alla diffusione del protestantesimo e del calvinismo. La dinastia si estingue nel 1572, alla morte del cattolico Sigismondo II, aprendo così la strada alla successione. Il re polacco era infatti eletto da una Dieta di nobili, riuniti nel Senato, che era l’istituto dei magnati, e nella “szlachta” della piccola nobiltà. Caratteristica del paese era quello di possedere oltre a un grosso margine territoriale, anche quello di possedere una fortissima aristocrazia, che costituiva il 20 per cento della popolazione e che, alla morte di Sigismondo, rivendicò il diritto di eleggere il sovrano. Nel 1573 quarantamila nobili riuniti a Cracovia elessero dunque loro re il francese Enrico di Valois, che avvalora ulteriormente il potere nobiliare sottoscrivendo i cosiddetti Pacta Conventa o “articoli enriciani” con cui si impegnava a rinunciare al diritto di trasmissione ereditaria della corona e a non prendere decisioni senza prima consultare la Dieta dei nobili polacchi. I Pacta Conventa segnano una tappa molto importante nella storia mitteleuropea, perché impedirono in effetti il diffondersi in Polonia dell’assolutismo regio, creando una sorta di repubblica nobiliare.
Quando nel 1586 è eletto re il cattolico Sigismondo Vasa, nato da un ramo della dinastia reale svedese, si diffonde subito la politica della Controriforma cattolica, ma Sigismondo è fortemente osteggiato dalla maggioranza luterana e, sconfitto a Stangebro da Carlo Vasa nel 1598, perde l’unificazione con la Svezia e viene poi deposto dalla Dieta.

Russia – In Russia, dopo il regno dei due padri della nazione russa, Ivan III e Basilio III, il paese torna a vivere un periodo di anarchia, a causa dell’ingerenza della nobiltà terriera dei boiari. Il periodo si interrompe quando Ivan IV, uscito dalla minorità, viene incoronato zar nel 1547. Ivan dà vita a un processo di centralizzazione del potere monarchico, affidando l’amministrazione statale a una classe sociale nuova e a lui fedele, una nobiltà di servizio, opportunamente contrapposta alla nobiltà dei boiari.
Dopo le vittoriose campagne militari e la stipula di accordi commerciali con l’inglese Moscovia Company, Ivan indice una feroce repressione contro lo strapotere dei boiari, che gli fece meritare il soprannome di “terribile”: con l’opricnina, la nuova classe  con funzioni di polizia a lui fedele, Ivan confiscava larghe fette di territorio ai boiari e massacrò migliaia di nobili dissidenti. Inoltre continuò la politica di espansione territoriale ponendo le basi per il futuro stato autocratico zarista.
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CLASSE TERZA - MODULO 5 - STORIA
Il Seicento (prima parte)

IL SEICENTO
Economia, politica e società

Con la scomparsa di Filippo II nel 1598 e di Elisabetta I nel 1603 si chiude anche, col trattato di Londra del 1604, il conflitto anglo-spagnolo, riportando così gli equilibri politici europei a una situazione di pace. La Spagna era ormai avviata verso una lenta e inesorabile decadenza, segnata dalla sconfitta del 1588, mentre emergeva la potenza navale inglese e si faceva strada anche uno sviluppo della neonata Olanda; in Francia il regno di Enrico IV gettava le basi per il futuro assolutismo monarchico caratteristico del regno francese, mentre non si erano ancora sanati i conflitti politico-religiosi in Germania, che di lì a poco avrebbero generato il nascere della Guerra dei Trent’anni. Molto interessante era, come già abbiamo visto, il panorama politico del nord est europeo, con l’ascesa del regno di Svezia e soprattutto con la fortissima monarchia zarista russa.
Il pensiero politico del Cinquecento si focalizzava sul tema dell’assolutismo regio, teorizzato e difeso dal filosofo Jean Bodin, convinto assertore della necessità di un potere monarchico centralizzato e soprattutto incondizionato e incondivisibile con altri organismi quali clero e nobiltà, un potere che dunque già si dichiarava assoluto. Contro la tesi bodiniana si scagliavano i monarcomachi fautori del regicidio come il già citato Du Plessis-Mornay in Francia e Knox e Buchanan in Scozia. Il pensiero di Bodin poggiava sulla convinzione che l’assolutismo regio servisse a tenere unito il paese garantendo uno stato di benessere a tutti i cittadini, e il suo unico limite erano le leggi divine e naturali. Si trattava di un pensiero che esprimeva le profonde tensioni religiose che facevano pericolare l’istituzione monarchica. Anche la tesi del regicidio poggiava sulle stesse basi e voleva giustificare la lotta confessionale delle minoranze religiose che si erano viste imporre la fede cattolica: non a caso si tratta di una rivoluzione culturale maturata in un ambiente preferibilmente calvinista. Il Seicento è il secolo del grande disagio sociale. Il ristagno demografico e il già annunciato calo della produttività avevano generato una profonda crisi economica, che ben presto divenne una crisi sociale e politica. Il secolo XVII è dunque il secolo delle grandi rivoluzioni, rivoluzioni che non ebbero solo un risvolto religioso, come quella dei Puritani inglesi, ma anche un forte accento politico e sociale, come le insurrezioni dei contadini e del ceto medio. Questa crisi ebbe due diverse prospettive:

nell’area mediterranea assunse il carattere della rifeudalizzazione, che fu avviata dal patriziato cittadino, scaricando sulla manodopera agricola il costo della crisi;
nell’area settentrionale dell’Europa assume invece il carattere della modernizzazione, specialmente in Olanda e in Inghilterra, spostando così il centro dell’economia europea dal Mediterraneo all’Atlantico, col rilancio delle attività agricole e manifatturiere e soprattutto con un’attenta politica di esportazione.
La politica di restaurazione del cattolicesimo in Germania operata dagli Asburgo e ancora la ripresa della potenza spagnola portarono il fragile equilibrio europeo a una nuova frattura, che degenerò nella Guerra dei Trent’anni. Il primo cinquantennio del Seicento si chiude con la Pace di Westfalia del 1648 che alterava il panorama politico europeo del XVI secolo: la Spagna decadeva e con essa i territori italiani soggetti al dominio spagnolo, il progetto filocattolico asburgico falliva miseramente, mentre si accresceva il potere inglese e quello olandese e iniziava a imporsi il ruolo politico della Svezia nel Nord Europa.
Due sono i modelli politico-amministrativi che si impongono all’attenzione nella seconda metà del XVII secolo: la monarchia costituzionale con un regime parlamentare, che si diffonde in Inghilterra dopo la Gloriosa Rivoluzione, e l’assolutismo monarchico che si instaura in Francia grazie a Luigi XIV e alla politica di centralizzazione perseguita dai cardinali Richelieu e Mazarino, che affonda le pretese nobiliari e parlamentari.

ECONOMIA E SOCIETA’

Abbiamo già osservato come il Seicento comincia con un gravissimo stato ci crisi economica, crisi peraltro già annunciata da precario equilibrio delle finanze spagnole; il crollo demografico, l’arresto delle attività agricole e manifatturiere e la carestia che a più riprese flagellò la Mitteleuropa, determinarono dunque un profondo stato di prostrazione. L’elemento che però differenziava le diverse nazioni europee era la risposta alla crisi, che nei paesi mediterranei si tradusse in una eccessiva preoccupazione da parte della nobiltà feudale, che temeva di perdere i privilegi accumulati, dando vita così a un processo di rifeudalizzazione che finì di vessare le classi contadine, col risultato di peggiorare lo stato dell’economia agricola, mentre nel Nord dell’Europa si tradusse in una spinta verso la modernizzazione che permise a paesi quali Inghilterra e Olanda di puntare proprio sul settore agricolo e manifatturiero attraverso un’adeguata politica di ristrutturazione delle realtà preesistenti e il rilancio delle attività commerciali mediante la colonizzazione e l’esportazione dei prodotti.

Stagnazione demografica – Tra il 1450 e il 1600 la popolazione europea era praticamente raddoppiata; nel corso del secolo invece si ha un debole aumento da 95 a 102 milioni di abitanti, escludendo la Russia. Questa situazione assume però diverse prospettive a seconda della zona geografica: infatti la stagnazione vera e propria si ha più che altro in Spagna e nei paesi dell’area mediterranea, mentre il record negativo spetta alla Germania; in Francia, in Olanda, in Inghilterra e nei paesi scandinavi si ha addirittura un trend positivo. Ma quali erano le cause di questo fenomeno?

in primo luogo le epidemie di tifo, peste (questa addirittura endemica per buona parte del secolo), sifilide e malaria, determinate dalle carestie e dalle cattive condizioni igieniche;
in secondo luogo dalle guerre, come la stessa Guerra dei Trent’anni che aveva decimato la popolazione tedesca.

Alcuni storici ritengono che questo problema fosse in realtà speculare di una crisi più ampia dovuta proprio alla sottoalimentazione determinata dalla scarsa produttività agricola tedesca: infatti è evidente che la crisi non si presentò allo stesso modo in tutta l’Europa, e la stessa Inghilterra e l’Olanda, che pure non furono immuni alle pestilenze, conobbero pure un incremento della popolazione, segno che evidentemente esistevano carenze sotto altri punti di vista, come la produzione insoddisfacente.

Agricoltura – Nel Seicento assistiamo a una vera e propria inversione di tendenza rispetto al secolo precedente, con una progressiva diminuzione della produzione, causata principalmente dall’arretratezza delle strutture e dal riconsolidarsi di forme di dipendenza feudale; a questo va aggiunto un calo dei prezzi e una deficienza di terre da coltivare, anche perché la scarsa redditività di certi fondi determinò l’abbandono degli stessi al pascolo brado, con grave detrimento delle derrate alimentari, all’origine delle carestie e delle epidemie. Il conseguente calo dei prezzi peggiorò ulteriormente la situazione e soprattutto nei paesi mediterranei, molto più arretrati rispetto al resto d’Europa.
Come già si è visto il problema fu affrontato in modo diverso nelle diverse aree geografiche: nell’area mediterranea si riafferma una sorta di feudalizzazione, generata ovviamente dalla preoccupazione dell’aristocrazia terriera di perdere i propri privilegi, con conseguenti vessazioni per i contadini e col riaffermarsi di antichi diritti di pedaggio e di caccia, retaggio del Feudalesimo; questa situazione comportava la ruralizzazione della società e il manifestarsi di pericolosi sintomi di arretratezza sociale e culturale; nell’area settentrionale dell’Europa si va affermando invece un processo di modernizzazione delle strutture produttive che, soprattutto in Olanda, permette di integrare meglio l’attività dell’allevamento con la messa a coltura di piante da foraggio e un conseguente aumento della quantità di carne e di prodotti lattiero-caseari. In Inghilterra nasce invece la moderna azienda agraria, portata avanti dalla cosiddetta gentry (i gentiluomini di origine borghese nobilizzati col titolo di sir) e dagli yeomen, i contadini liberi: viene infatti adottata la politica delle enclosures che distruggeva la vecchia concezione comunitaria dei campi aperti (open fields) per sposare una nuova concezione gestionale più avanzata, che aveva tra i suoi vantaggi la nascita di una manodopera salariata e l’indirizzamento della produzione verso il mercato dell’esportazione. Ecco perché soprattutto in questa zona si crearono i migliori presupposti per un incremento demografico e ovviamente per lo sviluppo delle industrie manifatturiera e agricola. Certo, questo avanzamento non nascondeva i problemi, poiché la politica delle chiusure accentuava lo stato di miseria dei contadini senza terra, che spesso si davano al vagabondaggio.

L’industria – Tra il 1609 e il 1613 inizia la decadenza delle principali attività manifatturiere, che risentono del contraccolpo della crisi demografica e produttiva: anche qui però dobbiamo sempre distinguere il diverso effetto nelle due aree geografiche, poiché nell’Europa settentrionale assistiamo a un vero e proprio rilancio di queste attività. La crisi più forte si ebbe nel settore tessile e si fece sentire soprattutto in Italia e nei paesi limitrofi. Le ormai desuete tecniche di lavorazione laniera e spesso i massacranti turni di lavoro, finirono per segnare una violenta battuta d’arresto nel settore, e proprio nei centri dove la produzione era sempre stata di grossa portata, come l’Italia e le Fiandre. Per contro resisteva il settore serico.
In Inghilterra si afferma un nuovo prodotto laniero, le new draperies, ossia tessuti di lana non ottimi ma comunque validi, e soprattutto iniziano a formarsi piccole aziende a conduzione familiare in cui lavorano sia le donne sia gli uomini. La massificazione della lana rese il prodotto più vendibile e questo aumentò la portata dei traffici verso l’esterno.

Geografia – Questa crisi influiva ovviamente anche sui traffici internazionali dei paesi dell’area mediterranea e si traduceva in tre sotto-crisi:

crisi del ruolo distributore del Mediterraneo, e conseguente spostamento del polo del mercato import-export verso l’Atlantico settentrionale e il mare del Nord;
crisi del ruolo produttivo del Mediterraneo e in primo luogo dell’Italia, che doveva subire la spietata concorrenza dei mercanti anglo-olandesi, diventando da esportatore importatore dei manufatti;
crisi del ruolo politico del Mediterraneo, poiché ormai la decadenza della Spagna e dell’Impero Ottomano cedeva inevitabilmente il passo al superiore mercato inglese e olandese e di conseguenza maggiorava il ruolo politico e sociale dei due paesi.

Dal bacino del Mediterraneo l’attenzione va spostandosi verso le rotte atlantiche, assolute protagoniste dei traffici mercantili inglesi e principalmente olandesi. Tra i generi di importazione ricordiamo le spezie, le stoffe di cotone indiano, lo zucchero, il caffè, il tè, il tabacco e il cacao; si diffonde la patata. Tra i lati negativi la tratta degli schiavi e il loro utilizzo nelle attività coloniali inglesi, olandesi e spagnole.

Colonialismo – Si afferma così un nuovo colonialismo, dal carattere spiccatamente economico e commerciale, e ad opera delle grandi compagnie commerciali inglesi e olandesi.
Le nuove colonie inglesi assumono quindi un ruolo essenzialmente produttivo, anche se va riscontrata un’ampia tipologia di utilizzo, come ad esempio il caso delle Piccole Antille, le cosiddette isole inutili, usate dapprima da Francesi, Inglesi e Olandesi come base dove far partire gli attacchi corsari ai galeoni spagnoli e poi trasformate in piantagioni, oppure il caso del Nord America, usato come colonia di popolamento dove trarre ex galeotti e disoccupati, incaricati presso le locali piantagioni, e più tardi abitato dai Puritani inglesi, i cosiddetti 102 Padri Pellegrini fuggiti dall’ingerenza degli Stuart, che a bordo della Mayflower giunsero nel 1620 sulle coste di quello che poi sarà detto Massachussetts, fondando la città di New Plymouth.
Il colonialismo olandese si rivolgeva invece preferibilmente verso l’Asia, usata però quasi esclusivamente per questioni mercantilistiche. Porti olandesi si aprirono comunque anche sull’Atlantico, come le colonie della Guyana olandese, strappata ai portoghesi e delle Antille, e soprattutto come la colonia di popolamento di Nuova Amsterdam, poi ceduta agli inglesi, che diventerà New York. L’impero coloniale olandese si fonda sull’iniziativa delle due Compagnie delle Indie, operanti sui mercati asiatici e americani. Proprio la Compagnia Riunita delle Indie Orientali è la protagonista assoluta del rilancio della presenza europea in Asia, principalmente nell’arcipelago indonesiano e nell’Oceano Indiano.
Anche la Francia dava il via alla propria espansione coloniale, operando nelle coste atlantiche americane – si ricorda principalmente la penetrazione in territorio canadese con la colonia del Québec – e nel sud degli odierni Stati Uniti, in cui la stanzializzazione si attiva maggiormente durante il periodo di Colbert. Molto attive furono però anche le colonie fondate dalle Compagnie Francesi delle Indie in Asia e Africa.

Mercantilismo – La politica mercantilistica, già vista durante il periodo di Filippo II, fu semplicemente una necessità, adoperata dalle grandi potenze per aumentare la ricchezza interna e incentivare quindi il proprio ruolo politico internazionale: il metodo era quello di frenare le importazioni, incentivando invece il mercato export tramite l’attività delle Compagnie nazionali delle Indie.. Tra le potenze quella che adottò una politica di mercato migliore fu la Francia assolutista di Colbert, durante il regno di Luigi XIV, non solo con l’attività delle Compagnie ma anche con la promozione delle attività manifatturiere francesi nel settore delle merci di lusso.      

L’EUROPA NELLA PRIMA META’  DEL SEICENTO

Il Seicento, come abbiamo visto, si apre all’insegna della pacificazione, dopo le morti di Filippo II e di Elisabetta I, ma con un equilibrio politico europeo ancora precario e soprattutto compromesso dalle tensioni di natura politico-religiosa che sopravvivevano soprattutto nella parte centrale dell’Europa. Teatro delle maggiori vicende di questa prima metà del secolo diciassettesimo fu la Germania, dove i cattolici Asburgo avevano imposto la loro confessione religiosa, provocando la vivace reazione della Boemia e aprendo quindi la cosiddetta Guerra dei Trent’Anni. La reazione boema era supportata dai principi protestanti tedeschi, ma coinvolse anche la Danimarca, la Svezia, la Francia e l’Olanda, mentre le due famiglie asburgiche, quella tedesca e quella spagnola, fecero fronte comune con la nobiltà cattolica tedesca. Carattere positivo del conflitto fu indubbiamente il nuovo e stabile assetto politico che emerse con la Pace di Westfalia del 1648, pace che chiudeva non solo la Guerra dei Trent’Anni e la prima metà del secolo, ma anche il progetto asburgico di egemonizzazione della Germania: la Francia usciva come nuovo leader politico europeo, e si rafforzavano i ruoli di Svezia e Olanda.
Abbiamo dunque osservato come la Francia si fosse ripresa dalla guerra di religione tra i cattolici e gli ugonotti, con il regno del convertito Enrico IV. Ma la situazione di fatto era ancora instabile e precipitò quando Enrico promosse una Lega antiasburgica con l’appoggio delle monarchie protestanti e di alcuni principi cattolici. Nel 1610 il re francese viene assassinato da un cattolico fanatico e il progetto di espansione a danno degli Asburgo viene accantonato a causa di forti contrasti interni. Nel frattempo però ricomincia l’attività militare della Spagna, toccata da vicino con l’occupazione sabauda del Monferrato, territorio strategicamente essenziale, che viene dunque strappato a Carlo Emanuele I e restituito ai Gonzaga, e al nord della Svezia, decisa a imporre la sua autorità sul Baltico.
In realtà il vero e proprio avvenimento politico e militare di questo periodo fu la Guerra che per trenta anni e durante quattro fasi oppose le principali case regnanti europee. Il conflitto non era inatteso: nel 1608 veniva sciolta la Dieta Imperiale, nata dalla Pace di Augusta, e al suo posto si formavano due leghe, l’Unione Evangelica, capeggiata dai principi protestanti del Palatinato, e la Lega Cattolica, capeggiata dai principi cattolici della Baviera; l’aristocrazia tedesca era divisa e in conflitto, e la decisione degli Asburgo di imporre la religione cattolica aveva provocato la reazione delle autonomie locali tedesche. A peggiorare la situazione era però il supporto logistico garantito alle due fazioni dalle aristocrazie europee della stessa confessione religiosa, che finì con l’inasprire ulteriormente la spaccatura già esistente tra cattolici e protestanti.


LA GUERRA DEI TRENT’ANNI

La causa – Scintilla del conflitto fu la cosiddetta questione boema. La Boemia era un paese a fortissima identità nazionalista, il cui sovrano era per consuetudine nominato da una Dieta nobiliare, ma la vera sovranità era in realtà appannaggio degli Asburgo. Rodolfo II d’Asburgo aveva stabilito la libertà religiosa in Boemia con la Lettera di Maestà del 1609. Il cattolico Ferdinando d’Asburgo, designato re dal malato cugino Mattia e poi eletto dalla Dieta, non rispetta però il principio di libertà religiosa e adotta pesanti contromisure contro i protestanti, provocando quindi l’insurrezione della popolazione. Il 23 maggio 1618 a Praga la folla assalta il palazzo reale, defenestra i rappresentanti di Ferdinando e costituisce un governo provvisorio e un esercito autonomo. La corona del deposto re viene offerta al calvinista Federico V, Elettore del Palatinato, provocando lo scoppio della guerra.

Periodo boemo-palatino (1618/1623) – Mentre la rivolta si estendeva alla vicina Ungheria un esercito imperiale fu inviato in territorio boemo per controllare la situazione. L’anno successivo Federico V veniva eletto re, ma mentre le forze cattoliche erano supportate dalle altre potenze e dalla Chiesa, i principi protestanti furono abbastanza tiepidi verso il nuovo re. Nel 1620 l’esercito cattolico guidato dal Generale Tilly sconfigge i ribelli nella battaglia della Montagna Bianca. La Boemia fu duramente punita e quindi ricattolicizzata e rigermanizzata con un severo disegno di repressione: i nobili protestanti furono privati delle terre, che furono affidate ai nobili cattolici, mentre i capi della rivolta furono messi a morte; il re d’inverno, Federico V, riuscì a riparare in Olanda; i protestanti furono costretti a convertirsi pena l’esilio, e fu imposta la lingua tedesca. Il Palatinato fu occupato dai due eserciti asburgici e fu privato della prerogativa elettorale, assegnata alla cattolica Baviera.
Ma le tensioni non erano affatto sopite. Effetto principale del conflitto fu senza dubbio l’internazionalizzazione, che coinvolse subito la Spagna cattolica contro l’Olanda protestante e la Francia di Richelieu contro l’Impero asburgico.

Periodo danese (1625/1629) – Nel frattempo la Francia di Richelieu, preoccupata per la ripresa della Spagna e dell’Impero asburgico, decide di aizzare contro i principi cattolici le regioni settentrionali dominate dai protestanti e finanzia l’intervento antiasburgico del re danese Cristiano IV. Cristiano viene però sconfitto dai due eserciti, quello cattolico guidato dal Tilly e quello imperiale guidato dal Wallenstein, e costretto a firmare la pace di Lubecca nel 1629. Ferdinando II impone ulteriormente ai principi protestanti l’Editto di Restituzione, con cui obbliga i principi neoconvertiti al protestantesimo dopo il 1552 alla restituzione delle terre concesse in beneficio dalla Chiesa Cattolica, secondo i dettami del reservatum ecclesiasticum.

Periodo svedese (1620/1635) – Conclusosi bruscamente il ruolo di leadership antiasburgica e anticattolica della Danimarca, la missione viene affidata alla Svezia, dove regnava il giovane e abile re Gustavo Adolfo, protagonista di un ambizioso disegno di espansione territoriale sul Baltico. Sponsorizzato dalla Francia e dall’Olanda Gustavo Adolfo invade l’Impero Asburgico, e nel 1631 sconfigge a Breintesfeld l’esercito guidato dal Tilly, invadendo la Baviera. Sull’altro fronte l’esercito del Wallenstein riesce a sconfiggere gli Svedesi a Norimberga lo stesso anno, ma viene fermato a Lutzen, dove però il re svedese muore. Il riscatto delle sorti cattoliche viene ristabilito a Nordlingen nel 1634.

Periodo francese (1635/1648) – A questo punto la stessa Francia decide di intervenire direttamente nel conflitto. Appoggiata dagli eserciti svedese e olandese l’esercito francese guidato dal principe di Condè affronta con successo le fanterie spagnole a Rocroi, nelle Fiandre, dove la Spagna segna nel 1643 una pesantissima débacle. Logorati dalla guerra e vessati dalla grave crisi economica di cui già si è detto, i due contendenti decidono di attivare le trattative di pace a Munster e Osnabruck; dopo quattro anni la pace di Westfalia chiudeva nel 1648 le sorti della guerra.

Conseguenze:

fine del predominio asburgico in Europa;
fine del disegno di pangermanizzazione dell’Europa;
l’impero asburgico si frammenta in una confederazione di stati;
impotenza politica e militare della Germania;
completa autonomia dell’Olanda dalla Spagna;
ruolo incontrastato della Svezia sul Baltico;
egemonia francese in Europa.
ITALIA

L’Italia fu coinvolta solo marginalmente nelle questioni belliche francesi e spagnole, e gli unici territori interessati dalla guerra  furono il Monferrato e la Valtellina. Nel Seicento inizia a farsi sentire meno pesante l’assoggettamento degli stati italiani alla Spagna degli Asburgo, sostituita dal ruolo egemonico della Francia di Enrico IV.

Venezia e Papato – La contesa tra la Repubblica di Venezia e il Papato nasce in seguito alla politica perseguita dalla Serenissima che tendeva a sottoporre il clero alla stessa giustizia laica, provocando la reazione del papa Paolo V; la tensione si inasprisce quando due preti accusato di violenze vengono arrestati: il papa fulmina Venezia con l’interdetto, un provvedimento pontificio affine alla scomunica, con cui si vietava sul suolo veneziano ogni celebrazione religiosa. Ma la repubblica ritiene nullo il provvedimento e reagisce all’interdetto con l’espulsione dei Gesuiti, che erano alleati del papa. Le ragioni della resistenza all’interdetto vennero portate avanti da un religioso dell’ordine dei Servi di Maria, lo storico Paolo Sarpi, che inizia una dura lotta ideologica col Papato e viene appoggiato dai protestanti olandesi e inglesi che lo acclamavano come un nuovo Lutero. La vertenza, che rischiava di scatenare una nuova guerra di religione, viene mediata dall’intervento della Francia di Enrico IV: Venezia continuava a dichiarare nullo il provvedimento papale e si impegnava per salvaguardare la vita del Sarpi, il papa fu costretto suo malgrado a ritirare l’interdetto.

Savoia – Carlo Emanuele I, succeduto a Emanuele Filiberto, abbandona la politica pacifica di impronta paterna e si impegna in una contesa de finibus con la vicina Francia: col trattato di Lione del 1601 i Savoia ottengono il marchesato di Saluzzo e cedono alla Francia tre piccoli centri presso Lione e Ginevra. La politica sabauda si intreccia a quella francese in occasione delle due guerre del Monferrato, territorio strategicamente appetitoso, lasciato vacante dopo la morte dell’ultimo Gonzaga, e protetto dalla Spagna per questioni di confine. L’accordo di Bruzolo sancisce l’alleanza tra Savoia e Francia. Questa alleanza si rivelerà però inefficace e in un secondo momento la stessa Francia obbligherà il nuovo duca Vittorio Amedeo I di Savoia a cedere Pinerolo con la pace di Cherasco, mantenendo per tutto il secolo una forte influenza sul ducato.

Napoli – La Spagna continua a controllare il regno di Napoli, dove vengono concessi privilegi sempre più forti alla nobiltà e al clero, mentre le classi più umili vengono oppresse da un severissimo regime fiscale. A farsi carico del malcontento è primariamente un religioso, Giulio Genoino, che cerca di convincere il vicerè a favorire la borghesia in luogo della nobiltà locale; ma il suo progetto viene vanificato dalle invidie e dalle dicerie che mettono in cattiva luce lo stesso vicerè, richiamato subito a Madrid. Nel frattempo la Francia inizia a penetrare nel Mediterraneo e il nuovo vicerè, per arginare un eventuale pericolo, appronta delle misure ancora più serie, tra cui una gabella sulla frutta. Proprio questa tassa, che toccava un alimento usuale per le masse, innesca la rivolta popolare guidata dal pescivendolo Masaniello, affiancato dal Genoino. Il vicerè ritira subito il provvedimento ma il malcontento non si placa e finisce per travolgere lo stesso leader Masaniello, che viene ucciso. L’aristocrazia organizza subito una feroce repressione con le cosiddette masnade, mentre le masse popolari, guidate da Gennaro Annese, si scontrano con la borghesia che sposa le tesi politiche del Genoino. La Francia resta neutrale e si limita a inviare quale mediatore il duca di Lorena Enrico di Guisa, che si allea con la nobiltà provocando negli stessi ceti popolari un nuovo malumore che li porta a favorire il nemico spagnolo sotto le vesti dell’inviato don Giovanni d’Austria. Il 5 aprile del 1648 Napoli è nuovamente in mani spagnole.

Lombardia -  La Lombardia viene coinvolta nella Guerra dei Trent’Anni e nella seconda guerra del Monferrato, in cui partecipa all’assedio della città di Mantova, roccaforte dei Gonzaga: celebre è l’episodio della discesa dell’esercito imperiale tedesco, che provocò la diffusione della peste anche in Italia, descritto da Manzoni nei Promessi Sposi.

Altri stati italiani – Gli stati italiani indipendenti dalla Spagna consolidarono il proprio ruolo politico. La Toscana dei Medici diventa filofrancese per via del matrimonio tra Cosimo III e Margherita di Orléans. La Chiesa oscilla tra tendenze filospagnole e filofrancesi, con un forte dissidio tra Innocenzo XI e Luigi XIV. Genova infine è costretta a mantenere un rapporto saldo con la Spagna a causa degli interessi finanziari.

SPAGNA

La Guerra dei Trent’Anni aveva palesato non solo la decadenza ormai in atto della Spagna, ma anche lo squilibrio tra le aspirazioni della corona spagnola e la debolezza delle sue strutture economiche e sociali. L’erede di Filippo II, Filippo III, era stato costretto ad aprire il secolo con una pacificazione, dovuta però alla cronica crisi economica che impediva alla Spagna una discesa in campo nel nuovo assetto territoriale europeo. Il territorio spagnolo era frazionato in agglomerati in perenne tensione tra loro, gelosi delle proprie autonomie locali e giuridiche; l’economia era arretratissima e ancora dominata dal latifondo, così come gli altri paesi mediterranei, dove il processo di rifeudalizzazione aveva riportato nuovi aggravi fiscali a danno delle masse contadine; la società era disomogenea e stratificata, divisa tra cortigiani, funzionari statali, clero e nobiltà terriera, nobiltà minore (hidalgos e caballeros) e contadini poveri.
Nella prima metà del secolo si segnala, oltre all’intervento nella Guerra dei Trent’Anni a fianco degli Asburgo (elemento che peggiorò le condizioni finanziarie dello stato) anche la ripresa della guerra con l’Olanda, durante il regno di Filippo IV. Durante questo periodo la Spagna è governata dal carismatico primo ministro Gaspar de Olivares, abile organizzatore e statista, autore di una poderosa riforma politico-economica, volta a obbligare tutti i territori della corona al pagamento proporzionato dei tributi, e all’unificazione militare in un esercito comune, la cosiddetta Union de las Armas. Il disegno di riforma dell’Olivares si diresse altresì alla costituzione di una nuova economia di mercato, che traesse spunto dalle strategie mercantilistiche dei più progrediti paesi europei e di un sistema bancario nazionale che liberasse la Spagna dai debiti contratti con i finanziatori esteri. Le severe misure fiscali del primo ministro risanarono in parte le casse dello stato ma provocarono l’insorgere delle province che non volevano piegarsi alle vessazioni: oltre alla rivolta popolare di Napoli, guidata da Masaniello, insorsero nel 1640 anche la Catalogna e il Portogallo, che proclamarono la propria indipendenza. La Catalogna verrà riconquistata nel 1652, mentre il Portogallo diventerà indipendente nel 1668. Nel 1648 la Spagna mette la parola fine alla guerra con l’Olanda e ne riconosce l’indipendenza, ma non firmò la pace di Westfalia, continuando la guerra con la Francia sui due fronti, quello pireneo e quello olandese. Con l’appoggio dell’Inghilterra la Francia sconfigge definitivamente l’esercito spagnolo nel 1658 alle Dune, presso i Pirenei; costretti alla resa, gli Spagnoli firmano l’onerosa pace dei Pirenei nel 1659, suggellata dal matrimonio di Luigi XIV con Maria Teresa, figlia di Filippo IV, matrimonio che legava le due corone. Nella seconda metà del secolo, il regno di Carlo II, malato e senza eredi, scatenerà le velleità delle principali potenze europee.  

OLANDA E SVEZIA

Olanda - Durante la prima parte del secolo diciassettesimo si consolida la nuova identità politica dell’Europa settentrionale e orientale. La protestante Olanda, a maggioranza calvinista, resasi indipendente dalla Spagna, si costituisce come repubblica unificando le sette province che dettero vita al movimento di lotta antispagnola. Ognuna di queste sette province è indipendente politicamente e ideologicamente dalle altre, è retta da uno stadhouder, ed è rappresentata dai deputati presso gli organismi centrali, chiamati Stati Generali; accanto agli Stati Generali è in carica un Gran Pensionario, una specie di governatore civile, eletto per cinque anni e uno stadhouder generale. La repubblica olandese era molto ricca e viveva una florida economia di mercato, basata sui commerci con l’estero e sull’attività delle Compagnie delle Indie, e naturalmente sulla libera proprietà contadina che nelle campagne si era sostituita alla servitù della gleba. Tra i punti di forza dell’economia olandese vi era la Borsa di Amsterdam, che con la Banca costituiva il serbatoio dell’intensa attività finanziaria delle compagnie commerciali. La diversità tra le due cariche politiche di stadhouder e di Gran Pensionario provocano una pericolosa frattura tra i ceti popolari calvinisti, fautori di un modello politico a forte connotazione centralista, e il patriziato locale che ambiva a una politica di pace e tolleranza e alla totale indipendenza delle sette province: questa frattura degenera in una tensione politica tra lo stadhouder Maurizio di Orange-Nassau e il Gran Pensionario in carica Oldenbarneveldt. Era evidente che le due cariche politiche rappresentavano anche due concezioni politico-sociali in conflitto. Dopo una serie di vicende che vedono prevalere l’indirizzo politico dello stadhouder Maurizio, dopo la pace di Westfalia viene ripristinata la figura del Gran Pensionario e inizia uno dei periodi più importanti della storia europea in cui l’Olanda diventa modello di tolleranza religiosa e di convivenza civile, oltre a segnare il periodo di massima attività economica e finanziaria.

Svezia - La Svezia consolida nel primo Seicento il suo predominio sul Baltico a danno della Danimarca, della Polonia e della Russia. L’intervento nella Guerra dei Trent’Anni consente alla Svezia di aumentare la sua leadership, a coronamento della già forte espansione territoriale portata avanti dal re Gustavo Adolfo, che strappa la Carelia e l’Ingria alla Russia e la Livonia alla Polonia, per poi morire, come si ricorderà, sul campo di battaglia di Lutzen.

FRANCIA

Il regno di Enrico IV, piegatosi alla conversione per un tornaconto dinastico, procurò effettivamente alla Francia un periodo di estrema tranquillità, ma solo di facciata, poiché i contrasti di natura politico-religiosa non si erano affatto spenti. Lo stesso re cade infatti vittima di un attentato, per mano del frate integralista François Ravaillac. Durante il regno di Enrico IV l’economia francese si era ritagliata un ampio spazio tra le economie europee, soprattutto per merito del duca di Sully, ugonotto, a cui Enrico aveva affidato la direzione delle finanze e che si era impegnato in un imponente disegno di modernizzazione incoraggiando lo sviluppo dell’agricoltura e delle manifatture statali, e promuovendo un’importantissima politica mercantilistica, che consentì alle finanze francesi di essere risanate e quindi riordinate in modo razionale. Tra le misure fiscali più importanti ricordiamo la paulette, cioè la legalizzazione della vendita degli uffici pubblici, che potevano essere ereditati col pagamento di una tassa. Proprio mentre progettava una politica espansionistica, Enrico viene assassinato, nel 1610, dal Ravaillac, che intendeva così vendicare l’Editto di Nantes, che concesse ampia libertà ai protestanti.
Morto Enrico sale al trono per dieci anni la reggente italiana Maria de’ Medici, che si trova però a non saper gestire in modo efficace le tensioni tra le fazioni religiose e tra i membri delle due classi sociali della nobiltà di toga e della nobiltà di spada: questi ultimi non vedevano di buon occhio l’istituzione della paulette e dell’alienazione dei pubblici uffici. Nel 1614  la nobiltà di spada chiede la convocazione degli Stati Generali e fa sì che la paulette venga eliminata e che la nobiltà di toga sieda col terzo stato in Parlamento. La paulette viene ripristinata nel 1620.
Lo stesso anno esce dalla minore età il delfino francese, Luigi XIII, che assume il potere e, quattro anni più tardi, affida il governo dello stato al cardinale Armand du Plessis de Richelieu. Il governo di Richelieu incarna quanto Bodin aveva espresso in merito alla centralità e all’assolutismo del potere regio, che veniva a costituire la più alta sovranità dello stato contro le spinte centrifughe delle autonomie locali. L’operato del primo ministro in politica estera si concentra soprattutto sulla Guerra dei Trent’Anni e sull’alleanza antiasburgica con Olanda e Danimarca. In politica interna si afferma una nuova repressione ai danni della comunità ugonotta, le cui piazze di libera sicurezza costituivano ormai uno stato dentro lo stato ed erano guardate con sospetto. Per questo tra il 1627 e il 1628 la fortezza più famosa, La Rochelle, viene messa a ferro e fuoco e, nonostante l’appoggio della flotta inglese, è costretta a capitolare. La successiva pace di Alès del 1629 restituisce agli ugonotti la libertà di culto e l’accesso ai pubblici uffici, ma li obbliga a smantellare le piazze di sicurezza concesse con l’Editto di Nantes.
Conclusa la controversia religiosa, il Richelieu si impegna a ripulire la corte francese dei vari personaggi loschi e corrotti di cui si era circondata la regina, obbligando la stessa regina all’esilio; con l’intervento nella guerra di successione del Monferrato impone una sudditanza della Savoia alla corona francese con la pace di Cherasco (cfr.), supporta l’intervento svedese nella Guerra dei Trent’Anni per poi intervenire direttamente nel conflitto, da cui la Francia esce quale potenza vincitrice. Ma l’ultima parte del governo di Richelieu fu minata dalle rivolte scoppiate nel paese. Come nel caso della Spagna dell’Olivares i contadini non sopportavano le forti pressioni fiscali a cui erano sottoposti, e ancor più il regime di feudalizzazione esercitato nei loro confronti dalla nobiltà che si vedeva sempre più ristretta nella concessione dei privilegi; sul fronte opposto la stessa nobiltà di spada era ormai ostile alla corona per via della restaurazione della paulette e del peso che continuavano ad avere negli uffici statali gli appartenenti alla nobiltà di toga; infine questi ultimi erano in lotta contro le limitazioni fiscali imposte loro dagli attendenti.
Nel giro di pochi mesi, nel 1642, muoiono sia Richelieu sia il re Luigi XIII. Il delfino era il piccolo Luigi XIV, affidato poiché minorenne alla reggenza della madre Anna d’Austria. Primo ministro era un altro cardinale, l’italiano Giulio Mazarino, indicato dallo stesso Richelieu come suo successore. Le vittorie di Rocroi e di Lens dell’esercito francese guidato dal principe di Condè regalano alla Francia la vittoria nella Guerra dei Trent’Anni e la posizione egemone che conserverà per tutto il secolo, ma il severo regime di pressione fiscale intensificato da Mazarino per arginare le difficoltà finanziarie derivanti dall’intervento armato provocarono una nuova serie di malumori e di tensioni sociali.
Nel 1648 viene firmata la Pace di Westfalia ma la Spagna non intende cedere e continua la guerra con la Francia. Lo stesso anno, mentre Mazarino restaurava la paulette, scoppiava la Fronda parlamentare, rivolta aperta e dichiarata, che supportava un programma di riforme tese a ripristinare un potere meno oppressivo. Mazarino fece arrestare subito alcuni esponenti della Fronda: per reazione Parigi insorge e la rivolta si estende anche alle province, costringendo Mazarino a fuggire. Pochi mesi dopo la pace di Rueil chiude la controversia, ma scoppia subito un’altra Fronda, guidata dai nobili di spada con alla testa lo stesso principe di Condè. La Fronda principesca fu molto più estesa e pericolosa di quella parlamentare e mirava a cacciare Mazarino per riportare il potere regio sotto la propria influenza. La pericolosità era acuita soprattutto dalla partecipazione del popolo che si era sentito tradito dalla Fronda parlamentare dopo la firma della pace di Rueil ed era confluito tra i frondisti della nobiltà di spada.

INGHILTERRA

Tre erano le istituzioni che si fronteggiavano in Inghilterra durante la prima parte del Seicento: da un lato vi era la monarchia degli Stuart, decisa a promuovere un deciso assolutismo, dall’altro la Chiesa Anglicana, che voleva esercitare il controllo sulla corona, e il Parlamento, che era rappresentato dalla borghesia e dalla gentry. Nell’ultima parte della prima metà del   secolo, durante il regno di Carlo I Stuart, la tensione tra monarchia e Parlamento degenera nella Guerra Civile, che sotto la guida del Cromwell sconfigge il re e indice il regime repubblicano.
Come si ricorderà, dopo la segregazione e la condanna a morte della sfortunata regina di Scozia Maria Stuart, il di lei figlio Giacomo era stato preso in consegna dai protestanti per essere cresciuto nella religione riformata e, con il placet di Elisabetta, priva di discendenti diretti, era stato designato erede della corona unificata di Inghilterra e Scozia. Giacomo I era come sovrano espressione dell’assolutismo politico e della monarchia come diritto divino (non est potestas nisi a Deo, nessun potere se non dato da Dio)  e il suo primo atto da sovrano fu la pace con la Spagna nel 1604, sancita dal Trattato di Londra. Ma l’atmosfera era tutt’altro che pacifica: nello stesso anno infatti  i vescovi anglicani riuniti ad Hampton Court condannano il cattolicesimo e il puritanesimo - espressione della confessione anglicana più liberale e fautrice della separazione tra Chiesa e Stato – e l’anno successivo viene scoperta la Congiura delle Polveri, ordita dai cattolici reazionari per far saltare il Parlamento.   
La società inglese del periodo contava una ristretta oligarchia composta dalle famiglie dell’aristocrazia terriera, dai Lord o Pari e dai Vescovi della Chiesa Riformata. Era un periodo di intensa trasformazione economica, politica e sociale: nelle campagne erano molto attivi i membri della piccola nobiltà terriera della gentry, gli yeomen o contadini liberi e i liberi affittuari agricoli detti free-holders, mentre nelle città la borghesia e i mercanti iniziavano gradualmente la loro ascesa. La modernizzazione delle strutture sociali era stata infatti segnata dalle enclosures nelle campagne, ossia dalla recintazione dei vecchi open fields che assumevano un carattere ora non più feudale,  e dalla crescita delle aziende manifatturiere nelle città, che richiamavano spesso manodopera, favorendo l’inurbazione delle masse rurali.
Sul fronte religioso il terreno di scontro coinvolge la Chiesa Nazionale Anglicana e il suo impianto politico e spirituale e le comunità dei puritani che vorrebbero una chiesa più liberale e lontana da quelle forme esteriori che erano state condannate nel cattolicesimo. In realtà la contesa aveva un preciso carattere politico, in quanto la Chiesa Anglicana esercitava, con l’Atto di Supremazia, un effettivo controllo sugli affari di stato, mentre i puritani si battevano per una politica antiautoritaria e antiassolutista.
Nel 1625, alla morte di Giacomo I, sale al trono il figlio Carlo I, che entra subito in collisione col Parlamento quando, per far fronte alle spese di intervento militare, chiede l’emanazione di nuove e pesanti misure fiscali. La sua missione  protestante lo porta infatti sia nell’intervento a supporto dell’Olanda nella Guerra dei Trent’Anni, sia nell’aiuto dato agli ugonotti francesi assediati alla Rochelle. Le due camere convocate presentano tuttavia a Carlo la Petition of Right (dichiarazione dei diritti) con cui il sovrano si sarebbe impegnato a chiedere sempre al Parlamento l’autorizzazione a esercitare qualsiasi nuova misura di esazione fiscale e a concedere un regime più liberale. Carlo suo malgrado accetta, ma il contrasto col Parlamento aumenta al punto che nel 1629 le due Camere vengono sciolte e il leader parlamentare John Eliot è rinchiuso nella Torre di Londra, dove tre anni dopo morirà.
Nel 1629 comincia il governo assolutista di Carlo I, che guida direttamente il Parlamento coadiuvato dal primo ministro Thomas Wentworth, conte di Strafford, e dall’arcivescovo di Canterbury William Laud.  I puritani riparano sulle coste atlantiche dove fondano diverse colonie. Carlo I emana tassazioni abusive come la ship money, esazione imposta a Londra e alle città costiere per la costruzione della flotta; l’arcivescovo di Canterbury tenta di imporre la religione anglicana in Scozia, provocando la prima delle rivolte che metteranno fine alla monarchia degli Stuart.
Proprio la rivoluzione dei presbiteriani scozzesi impone a Carlo Stuart un nuovo disegno fiscale, per cui il sovrano si trova nella necessità di convocare il Parlamento, dapprima in una versione ristretta (lo short parliament, o Parlamento Corto) che durerà pochi mesi, sciolto dopo la richiesta degli stessi parlamentari di abolire la ship money, e quindi in una versione normale (long parliament, o Parlamento Lungo) guidata dai leader puritani Pym e Hampden, che durerà tredici anni. Il nuovo parlamento chiede l’immediata abrogazione degli organi più repressivi della corona e l’annullamento della ship money; chiede inoltre la destituzione e l’arresto di lord Strafford, colpevole di alto tradimento; e infine promuove col Root and Branch Bill una radicale riforma della chiesa Anglicana. La situazione della chiesa nazionale costituiva infatti una vera e propria spina nel fianco per i parlamentari inglesi, che nel 1642 approvano la Grande Rimostranza, un documento che denuncia le violazioni e le illegalità perpetrate dai membri della chiesa stessa chiedendo il controllo del parlamento sulle attività della chiesa Anglicana. Ma Carlo Stuart non molla e fugge da Londra, organizzando un proprio esercito, mentre lo stesso parlamento si organizza militarmente: nel giugno del 1642 iniziava così la guerra civile, che si combatte tra i Knights, i Cavalieri, ossia l’esercito stuartiano, e i Round Heads, le Teste Rotonde (il nome derivava dall’uso puritano di tenere i capelli cortissimi), fedeli  al parlamento. Dopo un primo bilancio a favore dei Knights, il parlamento affida le sorti della guerra a Oliver Cromwell, che assolda un nuovo esercito formato da cavalieri, detto Iron Sides ossia fianchi di ferro, che nel 1644 sconfigge a Marston Moor la cavalleria regia. Pochi mesi dopo Cromwell costituisce un nuovo esercito di ventiduemila uomini, la New Model Army, che nel giugno del 1645 sconfigge definitivamente Carlo I a Naseby: il re è catturato e consegnato al Parlamento. Padrone della scena politica, il parlamento inglese inizia lo smantellamento delle strutture più oppressive della chiesa Anglicana, che viene ridimensionata nel suo classico tratto episcopalista, ma le divisioni tra i parlamentari, politiche e religiose, influenzano lo sviluppo della situazione: a rendere le cose difficili è l’atteggiamento oltranzista dei cosiddetti Levellers che erano favorevoli a un regime repubblicano, mentre la controparte presbiteriana sosteneva la possibilità di un dialogo col re a patto che questi accettasse il controllo del parlamento sulla corona. Riunite a Putney le due fazioni si scontrano sul radicale Patto del Popolo (Agreement of People) il documento con cui i Levellers chiedevano la repubblica, contrastati dalle posizioni più blande del Cromwell che riesce a non far approvare il documento. Una svolta si ebbe improvvisa con la fuga di Carlo I in Scozia, deciso a riprendere la guerra civile. Cromwell procede all’epurazione delle fazioni più estreme del parlamento promuovendo il cosiddetto Rump Parliament, troncone di parlamento, così chiamato perché composto da soli sessanta indipendenti. Gli scozzesi vengono sconfitti a Preston e per salvarsi consegnano Carlo I all’esercito parlamentare. Processato per alto tradimento, il re viene giustiziato nel 1649.
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