martedì 14 giugno 2016

Classe 4 Modulo 2 S

CLASSE QUARTA - MODULO 2 - STORIA
Il Settecento e l’Illuminismo

INTRODUZIONE

Il secolo XVIII si potrebbe dividere storicamente in due fasi, una di equilibrio e una rivoluzionaria. Lo storico francese Godechot non esita infatti a inserire le rivoluzioni borghesi che interesseranno la seconda parte del Settecento e la prima parte dell’Ottocento in un movimento ben più vasto che egli definisce rivoluzione atlantica, una rivoluzione che ha le radici storiche, politiche e culturali nella prima metà del secolo. Il Settecento viene frazionato come i secoli precedenti da una pace, la pace di Aquisgrana del 1748, a un secolo esatto dalla pace di Westfalia. Il secolo si apre con uno stato di belligeranza che coinvolge le principali monarchie europee impegnate nelle cosiddette guerre di successione, la prima delle quali è quella che si apre dopo la morte del re di Spagna Carlo II e che segnò la fine del disegno espansionistico del Re Sole. Molto importante da sottolineare è la politica diplomatica intrecciata dai vari paesi europei allo scopo di evitare la presenza di una nazione egemone: la prima parte del secolo si chiude con uno stato politico di equilibrio. La vera grande guerra della prima metà del secolo è la guerra dei Sette Anni, che coinvolge le grandi cinque potenze europee del Settecento: la Francia, l’Inghilterra, la Prussia, l’Austria e, per la prima volta, la Russia. La pace di Aquisgrana ridisegnava la carta geopolitica dell’Europa e, nella seconda metà del secolo, dopo la restaurazione si procedeva alle riforme politiche e sociali. La cultura dell’Illuminismo aveva infatti prodotto una radicale svolta non solo nella storia del pensiero ma anche in quella economica e sociale, e andavano affermandosi delle nuove identità politiche che si sarebbero poi espresse con l’avvento delle grandi rivoluzioni borghesi. Non ultima ovviamente la rivoluzione industriale, il cui terreno strutturale si poteva già intravedere nell’Inghilterra del Seicento, favorita dalle innovazioni tecnologiche e dall’affermarsi della libera impresa.
Il Settecento si apre all’insegna dell’equilibrio. Le guerre che sconvolgono la prima metà del secolo XVIII furono di carattere dinastico, e costituirono il rischio di un rafforzamento della Francia. Le diplomazie europee cercarono di non compromettere il delicato equilibrio ottenuto dopo la pace di Rijswijk e per questo non esitarono a intervenire nella guerra di successione austriaca, garantendo la legittimità della corona imperiale di Maria Teresa d’Asburgo. Dalla pace di Aquisgrana del 1748 usciranno cinque potenze: la Francia assolutista, l’Inghilterra costituzionale, la Russia zarista, l’Austria di Maria Teresa e la vera outsider, cioè la Prussia degli Hohenzollern.
Due sono i fenomeni degni di nota sul piano politico e sociale: l’Illuminismo e la rivoluzione industriale.
Il primo rappresenta un ideale movimento di riforma sociale, politica, economica e culturale, movimento che nasce in Francia ma che si estende ai vicini stati europei dove è la stessa autorità regia a sposare le direttive della nuova intellighenzia illuminata. L’Illuminismo ebbe anche il merito di riproporre quella libertà dell’uomo e del cittadino che troverà larga eco in ambito rivoluzionario.
Il fenomeno dell’industrializzazione nasce ovviamente in Inghilterra dove fin dal secolo precedente l’industria e l’azienda avevano operato una radicale trasformazione del territorio. Le trasformazioni in campo economico si accompagnarono a quelle sociali, con la nascita delle nuove classi della borghesia industriale e del proletariato urbano.

L’ILLUMINISMO

Il Settecento fu il secolo dell’Illuminismo. Si trattava di un imponente movimento di riforma culturale, filosofica, politica e sociale, che si proponeva di illuminare con i lumi della ragione le tenebre dell’ignoranza, ma soprattutto si proponeva una radicale riforma della società. La filosofia illuminista nasce in Francia, sul terreno giusnaturalista e contrattualista, e raccoglieva l’eredità dei movimenti che predicavano la tolleranza e la libertà dell’individuo. Tra i maggiori nemici dell’Illuminismo c’era la cultura dogmatica e autoritaria della religione cattolica, a cui gli illuministi opponevano la cultura laica della ragione. Il movimento nasceva in Francia, ma si estese subito ai paesi vicini e soprattutto nell’Europa centro meridionale, dove i sovrani dettero vita a un vasto programma di riforme sotto l’egida di quella tendenza politica di rinnovamento della società che fu detta dispotismo illuminato.
Le basi culturali della rivoluzione culturale illuminista vanno ricercate:
nel progresso scientifico e nella fisica newtoniana;
nel pensiero contrattualista di Hobbes e di Locke;
nel pensiero econonomico fisiocratico di Quesnay in Francia e nel liberismo di Smith in Inghilterra;
nella grande trasformazione industriale dell’Europa;
nel razionalismo scientifico.

GEOGRAFIA DELL’ILLUMINISMO EUROPEO

In Inghilterra -  I principali modelli teorici dell’Illuminismo nascono proprio in Inghilterra: la fisica newtoniana, la politica e la morale di Locke, la teoria economica di Adam Smith, trovano la loro culla ideale nella monarchia costituzionale inglese, che rappresenta nell’Europa assolutista del Settecento l’unico stato in cui il Parlamento esprime un ruolo portante. Mentre l’Illuminismo inglese si trova subito a svolgere un ruolo mediatore tra valori aristocratici e borghesi, dettato dal clima di equilibrio politico e culturale, molto più vivace risultava invece l’Illuminismo scozzese del Select Club di Edimburgo, a cui appartengono il filosofo David Hume e l’economista Adam Smith. Tra i canali preferenziali dell’Illuminismo inglese vi era la Libera Muratoria, vero sistema di diffusione delle idee illuminate, a partire dalla fondazione della Gran Loggia di Londra nel 1717, da cui il fenomeno muratorio si estende in tutta Europa. Gli aderenti alla Loggia erano detti free mason, dal francese maçon, ossia muratore, e per questo motivo l’istituzione è anche nota come Massoneria. Scopo dei liberi muratori era il fine solidaristico e assistenziale, ma anche scopi culturali volti allo sviluppo della  scienza e spirituali, rivolti all’ideale della fratellanza universale; non ultimo uno scopo di matrice iniziatica e rivolto principalmente alla costruzione razionale del Sé individuale. 

In Francia – Qui nasce la cultura illuminista, come centro irradiante della cultura settecentesca.  È qui che si conia il termine philosophe per designare il cultore della luce della ragione, che disperde con questo strumento le tenebre dell’ignoranza. Tra i bersagli dell’Illuminismo francese vi era la Chiesa Cattolica, colpevole di dogmatismo e di chiusura, e ovviamente la rigida politica assolutista della monarchia francese. Nonostante i maggiori esponenti della nuova tendenza culturale fossero nobili e borghesi, era il vecchio sistema a essere messo sotto accusa, il soffocante abuso di potere contro cui veniva rivendicata la libertà del cittadino borghese. Nella comunicazione gli illuministi francesi operarono delle vere innovazioni con l’uso di pamphlet satirici e enciclopedie, caratterizzandosi per una prosa agevole e discorsiva. Tra i più famosi vi furono senza dubbio Voltaire (François Marie Adrouet) e Montesquieu, ma anche Diderot, D’Alembert, Condillac, e, in campo educativo, Jean Jacques Rousseau. Da una prospettiva strettamente divulgativa l’opera di Voltaire risulta essere quella fondamentale, principalmente per aver introdotto i classici del pensiero contemporaneo inglese come Locke e Newton, e per la critica all’intolleranza politica e religiosa.
In campo religioso le tendenze illuministe si diversificano, tra deismo (Dio creatore dell’universo e conoscibile con la sola ragione), teismo (carattere provvidenziale di Dio verso l’universo da lui creato) e ateismo radicale e materialismo.
Tra il 1751 e il 1772 viene pubblicata l’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert, in un numero complessivo di 28 volumi (17 di testo e 11 di tavole), con ben 60 mila voci, in un lavoro iconografico e storiografico enorme e prestigioso. L’opera viene messa subito al bando ma questo non frena l’immediato successo dei primi volumi, che verranno successivamente ristampati e aggiornati in edizioni anche non francesi.

In Italia – L’Italia aveva conosciuto all’inizio del secolo una ripresa culturale attestata dall’impegno storiografico di Muratori, quello filosofico di Vico e quello giurisdizionalista di Giannone. Tra i centri nevralgici della cultura illuministica italiana c’erano Milano, con il Caffè, periodico fondato dai fratelli Verri, oltre a giuristi come Beccaria, Napoli, con le scuole economica di Genovesi e giuridica di Filangieri, e Firenze, con l’Accademia dei Georgofili. 

In Germania – L’Illuminismo tedesco esprime nomi come Lessing e Kant, ma è soprattutto l’opera riformatrice del re prussiano Federico II ad essere degna di nota.

Politica ed economia - L’introduzione delle tematiche costituzionaliste inglesi aveva prodotto negli illuministi francesi la maturazione di una nuova coscienza politica, espressa soprattutto da Montesquieu. Nel suo Spirito delle Leggi Montesquieu conduce una critica razionale delle forme di governo, e dello spirito che ne informa le leggi, distinguendo tre fondamentali tipologie, una dispotica e fondata sul timore, una repubblicana e fondata sulla virtù e una monarchica e fondata sull’onore. Montesquieu non era avverso al mantenimento del potere monarchico, ma avvertiva l’esigenza di una riforma, poiché lo stato di diritto sarebbe stato garantito solo dall’effettiva separazione del tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario (in questo caso però viene introdotta una terza formulazione, quella federativa, rivolta ai rapporti tra comunità). Pur ammiratore del modello costituzionale inglese Voltaire, a differenza di Montesquieu, riteneva invece che la mancanza di una politica accentratrice avrebbe indebolito il potere regio e reso instabile e anarchico il potere dell’aristocrazia. Proponeva dunque una forma di dispotismo illuminato, con un sovrano abile e riformatore che governasse secondo ragione, difendendo i cittadini dallo strapotere della vecchia aristocrazia feudale.
Il pensiero di Rousseau fu invece ancora più radicale e basato sul tema della ineguaglianza. Egli auspica infatti il ritorno all’originale stato di natura, in cui tutti i cittadini siano dotati dell’originaria dose di uguaglianza e di diritti, in uno stato fondato sulla sovranità popolare e sulla democrazia diretta. Il filosofo di Ginevra teorizzava il ritorno a una piccola comunità repubblicana fondata sul contratto sociale, attraverso cui il singolo individuo alienava alla comunità stessa, governata da una volontà comune, la propria libertà e i propri diritti.
In ambito economico assistiamo alla nascita di due scuole, quella della fisiocrazia in Francia, e quella del liberismo in Inghilterra. Le due scuole concordavano sul fatto che anche in economia vigevano delle leggi naturali, come quella di mercato, e sulla critica alla politica mercantilistica che imprigionava il libero scambio imponendo vincoli e dazi. Entrambe proponevano quindi un rinnovamento dell’economia all’insegna del motto “laissez passer, laissez faire” e chiedevano la fine dell’intervento diretto dello stato in campo economico.
La fisiocrazia si sviluppa con il pensiero di Quesnay, che, a differenza di Colbert, il cui pensiero economico si era basato sul concetto di merce e sulla necessità delle esportazioni come fonte di ricchezza del paese, proponeva un ritorno all’agricoltura quale mezzo necessario di produzione rispetto all’industria, vista come mezzo di trasformazione del prodotto. La fisiocrazia generava un rigido classismo che privilegiava la classe dei proprietari terrieri rispetto ai produttori e alla classe sterile dei consumatori. Per contro il liberismo inglese, pur condividendo con la fisiocrazia la naturalità delle leggi economiche, si basava sul modello industriale, con la creazione di un capitalismo il cui ruolo politico era destinato ad assumere una dimensione maggiore nei secoli successivi.  

IL DISPOTISMO ILLUMINATO IN EUROPA

L’attività riformatrice dei sovrani illuminati si assestò principalmente al centro e al sud dell’Europa, per la necessità di riequilibrare i fondi dello stato gravati dalle consistenti uscite a causa delle guerre di successione e di modernizzare le arretrate strutture economiche.

Federico II di Prussia – Il re filosofo, così chiamato per il suo razionalismo e ateismo, è il capostipite dei sovrani illuminati. Fu amico di Voltaire, ed ereditò dal padre, il famoso re sergente, uno stato militarmente potente e fondato sul poderoso esercito che egli stesso provvede a rafforzare, fino a costituire il 6 % della popolazione prussiana. Nel 1763 viene istituita l’obbligatorietà dell’istruzione elementare, impartita dai maestri di stato; in seguito Federico II provvede a razionalizzare la magistratura, abolendo i tribunali feudali, affidandoli a funzionari in carriera, e riformando il codice penale con l’abolizione della tortura e della pena di morte. In campo economico si segnala l’introduzione di opere di bonifica e di nuove colture, oltre a un maggiore impulso dell’industria mineraria e manifatturiera.

Caterina II di Russia – Nei suoi 34 anni di regno la zarina riprende il progetto espansionistico di Pietro il Grande. Anche Caterina fu in rapporti diretti con gli illuministi francesi, e alle loro teorie ispira il proprio piano di riforme politiche e amministrative. Tra le riforme principali ricordiamo la nazionalizzazione dei beni della chiesa russo ortodossa, il progetto di un nuovo codice legislativo di impronta illuministica, e soprattutto l’aumento del numero dei governatorati per garantire un maggiore controllo delle province russe, e quindi favorire il centralismo dell’amministrazione. Purtuttavia non vi furono mai reali riforme, e la situazione sociale russa fu sempre divisa tra la condizione servile dei contadini e quella privilegiata del ceto nobiliare, situazione che sfocia nella rivolta contadina del cosacco Pugacev, che nel 1773 raduna ventimila servi chiedendo la fine della servitù della gleba e la spartizione delle terre. Dopo due anni Pugacev viene sconfitto, mentre i nobili ottengono dieci anni dopo una Carta dei Diritti, con cui viene loro concesso l’esonero dal servizio nei ranghi dello stato.

Maria Teresa d’Asburgo – Il quarantennio di Maria Teresa sul trono austriaco fu particolarmente ricco. Fervente cattolica, la figlia di Carlo VI introduce un ampio programma di riforme con la collaborazione del conte Haugwitz e poi del cancelliere Kaunitz. Il territorio fu diviso in sei dipartimenti, controllati dal Consiglio di Stato, e furono introdotte identiche misure di esazione fiscale, estesa anche al clero e all’aristocrazia. Viene varato un nuovo codice penale e, come in Prussia, l’istruzione viene statalizzata e resa obbligatoria nel grado elementare.
Nel dominio austriaco della Lombardia viene introdotto il catasto, che poi si estenderà anche in altri domini. La Lombardia austriaca traeva molto vantaggio dal dominio asburgico, non solo per l’introduzione del catasto, che censiva tutte le terre agricole per una migliore perequazione fiscale, ma anche per l’impulso modernizzatore che fu entusiasticamente appoggiato dalla nobiltà lombarda, che fornì un buon numero di tecnici e funzionari all’apparato burocratico e amministrativo austriaco. 

Giuseppe II d’Asburgo – Già associato al trono dalla madre Maria Teresa, Giuseppe II promosse una politica di libertà e di tolleranza religiosa, aprendo il suo regno con un atto che concedeva libertà di culto a ebrei e protestanti. Provvede poi a nazionalizzare la Chiesa Cattolica, confiscando molti beni ecclesiastici, istituendo seminari di stato, e considerando il clero alla stregua di funzionari statali; vieta inoltre la pubblicazione delle bolle pontificie prive di autorizzazione regia. Invano il papa Pio VI cerca di far recedere il sovrano dal suo progetto. Tra le riforme sociali vi è l’abolizione della servitù della gleba e il riscatto  dei diritti signorili dietro pagamento di una quota, oltre alla possibilità all’acquisto delle terre  da parte dei contadini. Queste riforme furono però cancellate dal suo successore, Leopoldo II, pressato dalle forze conservatrici.

Pietro Leopoldo di Toscana – Secondogenito di Maria Teresa e quindi fratello di Giuseppe II, Pietro Leopoldo (che succederà al fratello nel 1790 alla guida dell’impero) opera un notevole progetto di trasformazione delle strutture del granducato. In campo legislativo il Codice Leopoldino abolisce la tortura e la pena di morte; in campo culturale e religioso si impegna a concedere libertà di stampa e di culto, abrogando l’Inquisizione e introducendo importanti riforme scolastiche; in campo economico si segnalano opere di bonifica e la liberalizzazione del commercio dei grani.
Le riforme dell’agricoltura permisero di incentivare la piccola e media proprietà terriera, e la mezzadria; invece non decollò il progetto di autonomia della Chiesa Toscana, portato avanti dalle tesi gianseniste del vescovo pistoiese Scipione de’ Ricci.

Carlo III di Borbone – Il regno di Napoli viveva un momento di particolare impulso dovuto alla trasformazione illuminata. Soprattutto ci sembra qui il caso di richiamare la resistenza delle classi baronali che impedirono il decollo del meccanismo catastale di matrice asburgica e poi il concordato con la Santa Sede che contribuì a limitare le pretese del clero. Questo impulso riformatore si interrompe con l’ascesa al trono di Ferdinando IV.

LA FRANCIA E L’INGHILTERRA

Nel 1715 muore il Re Sole. Il suo successore, il piccolo Luigi XV, sottoposto alla reggenza del duca Filippo di Orléans, trova il paese in condizioni disastrose, poiché il regno assolutista del prozio non era riuscito a modernizzare le strutture socioeconomiche dello stato né quelle amministrative. Durante la minorità del delfino il duca di Orléans cerca di attenuare l’assolutismo politico della monarchia francese restituendo potere al parlamento, e avvia un progetto di risanamento economico seguendo le idee del finanziere scozzese John Law. Primo atto di Law è la creazione di una Banca Nazionale, che emette carta moneta, e trae profitto dalla Compagnia d’Occidente, poi Compagnia delle Indie, che aveva il monopolio dei traffici col nuovo continente e le cui azioni sono contese attraverso operazioni di speculazione. Nel 1720 Law viene nominato controllore generale delle finanze dello stato, ereditando l’ufficio di Colbert, ma dopo la fusione della Compagnia e della Banca, una pesante bancarotta lo fa cadere in disgrazia. Luigi XV affida il governo al suo vecchio tutore, il cardinale Fleury, che riporta il bilancio statale in pareggio. Nel 1743 Luigi XV restaura il potere assolutista del Re Sole guidando direttamente lo stato senza altri intermediari.

L’Inghilterra apre il secolo all’insegna della crisi dinastica, dovuta alla morte della regina Maria Stuart, priva di una discendenza diretta. Il Parlamento emana l’Act of Settlement, che assegnava la corona prima alla sorella minore della regina, Anna, e poi a Giorgio I di Hannover, entrambi protestanti, escludendo così i cattolici discendenti di Giacomo II dalla successione. Nel 1701 muore Guglielmo III di Orange e, dopo il regno di Anna Stuart nel 1714 sale al trono Giorgio I di Hannover. Il ruolo parlamentare è dominante, infatti durante il regno di Anna la maggioranza whig porta l’Inghilterra a partecipare alla guerra di successione spagnola, mentre dopo la vittoria elettorale dei tories nel 1711, la nuova maggioranza porta il paese a un maggiore impegno sul fronte commerciale. Nel 1707 si forma il Regno Unito di Gran Bretagna, che inglobava le corone di Scozia e Inghilterra. Durante il regno di Giorgio I il parlamento, di nuovo in mano ai whig, riceve dal sovrano la delega per governare. Nel 1716 il Septennial Act fissava la durata della legislatura parlamentare a sette anni.
Nel 1721 inizia il governo del primo ministro whig sir Robert Walpole, sotto il quale l’Inghilterra si avvia a consolidare la sua potenza commerciale, mentre in politica estera inizia un periodo di pace, se si esclude un intervento nel 1739 ai danni della Spagna, per costringerla a rispettare i dettami della pace di Utrecht. Nel 1727 sale al trono Giorgio II.

LA GUERRA DI SUCCESSIONE AUSTRIACA

Morto Carlo VI nel 1740, gli succede appunto Maria Teresa, ma la sua ascesa al trono non veniva accettata ancora da tutte le monarchie europee. Prussia, Francia, Spagna e Sardegna chiedevano compensi territoriali per riconoscere la successione, mentre la Baviera rivendicava il titolo imperiale per Carlo Alberto. Le ostilità sono aperte dalla Prussia, che invade la Slesia, spingendosi poi in territorio austriaco e costringendo l’Austria a firmare la pace di Breslavia (1742) con cui cede parte della Slesia alla Prussia. L’Ungheria si dichiara fedele all’imperatrice in cambio di una totale esenzione fiscale.
Dopo un momento felice, in cui l’Austria riesce a cacciare gli eserciti nemici con l’appoggio di Inghilterra, Olanda, Sassonia e Sardegna, la Prussia torna a occupare la Slesia, obbligando gli austriaci a cederla con la pace di Dresda. Intanto il conflitto si era generalizzato, e si era trasformato in una contesa personale tra Inghilterra e Francia. I costi insostenibili obbligarono però le nazioni coinvolte alle trattative di pace, e nel 1748 viene conclusa la pace di Aquisgrana con cui viene riconosciuta la legittimità della successione imperiale di Maria Teresa d’Asburgo, e la conservazione di tutti i domini asburgici, a parte la Slesia che viene appunto ceduta alla Prussia. Inoltre si rafforza il dominio di Carlo Emanuele III di Savoia, mentre i ducati di Parma e Piacenza passano a Filippo di Borbone, fratello di Carlo.

LA GUERRA DEI SETTE ANNI

Dopo la pace di Aquisgrana del 1748 si verificò uno straordinario caso di rovesciamento diplomatico, che portò la Prussia ad allearsi con l’Inghilterra, e l’Austria con la Francia. Nel primo caso fu essenzialmente la volontà di uscire dall’isolamento politico a spingere la Prussia a cercare l’accordo con gli inglesi (1756, Convenzione di Westminster), mentre nel secondo caso si nota la reazione antiprussiana dell’Austria e delle nazioni confinanti (1756, Trattato di Versailles), che avrebbero ricambiato la Francia con una collaborazione nella guerra coloniale. Proprio nel 1756 Federico II invade la Sassonia, e il meccanismo diplomatico scatta, determinando così l’inizio del conflitto.
Si trattò di un vero conflitto mondiale, perché la guerra si combattè sia sul fronte europeo, dove la Prussia riportò pesanti perdite e fu sul punto di soccombere, sia su quello coloniale, dove la Francia perse quasi tutti i suoi possedimenti. A salvare la situazione fu l’uscita dal conflitto della Russia il cui zar Pietro III, successore della zarina Elisabetta, firma un accordo filoprussiano, e di conseguenza l’abnorme costo della guerra anglo-francese nelle colonie, che obbligò i Francesi a ritirarsi e l’Austria a seguirne l’esempio sul suolo europeo.
Due furono le paci, quella di Hubertsburg per quanto riguarda la guerra europea, che non produce mutamenti sostanziali se non la definitiva concessione della Slesia alla Prussia, e la pace di Parigi che pone fine alla guerra nelle colonie, entrambe firmate nel 1763. Il conflitto aveva consolidato le potenze territoriali di Prussia e Russia, ora legate da un accordo, e aveva promosso da un lato il declino della Francia e dall’altro l’assoluta supremazia coloniale dell’Inghilterra. Il trentennio di pace che seguì al conflitto fu caratterizzato dall’affermarsi del dispotismo illuminato in Europa e del tentativo di trasformazione delle strutture politiche e amministrative europee.