domenica 19 giugno 2016

Classe 3 Modulo 3 S

CLASSE TERZA - MODULO 3 - STORIA
Il Cinquecento (prima parte)

IL CINQUECENTO
Economia, politica e società

A differenza del secolo successivo, il secolo sedicesimo rappresenta nella storia europea un momento di notevole crescita ed espansione sociale, politica ed economica. Il Cinquecento è infatti un secolo di transizione, culturale con la presenza del Rinascimento, politica con la maturazione di nuove tendenze amministrative, e sociale, poiché assistiamo a un vero e proprio boom demografico. Dal punto di vista economico il Cinquecento è dominato dallo slancio affaristico della borghesia, con tutte le conseguenze del caso: nuove rotte commerciali, favorite dalle recenti scoperte geografiche, nuovi nuclei urbani, e una rivoluzione dei prezzi; si assiste inoltre all’inizio della decadenza del ruolo centrale del Mediterraneo a vantaggio della regione atlantica, svolta che troverà il suo compimento nel secolo successivo.

Crescita demografica – La popolazione europea cresce del cinquanta per cento. Il miglioramento più sensibile si registra soprattutto in Francia e in Italia. Il vero fenomeno demografico di questo secolo è però la crescita delle città: la popolazione urbana cresce notevolmente in tutta Europa e principalmente in quei centri dei traffici commerciali che iniziavano a fare la loro prima apparizione. Le stesse città italiane, che nel corso del secolo manterranno una buona vitalità economica, risentiranno positivamente di queste influenze.

Agricoltura – L’agricoltura costituiva il 90 % delle risorse economiche europee e la maggior parte della popolazione viveva di agricoltura. Nel Cinquecento la produzione agricola aumenta, a causa dell’incremento demografico e della conseguente crescita del numero di lavoranti, oltre a un più consistente numero di terreni coltivabili, derivato dalla bonifica delle zone paludose. Le colture erano a base vegetale, solo più tardi verranno introdotte le colture tipiche delle nuove terre scoperte nel corso delle esplorazioni, come il mais e la patata. Tratto negativo dell’agricoltura del periodo è indubbiamente la persistenza delle strutture medioevali, accentrate maggiormente nel bacino mediterraneo, che, come vedremo, provocherà nel secolo successivo un gravissimo stato di arretratezza tecnologica e produttiva: tra le principali colpe ricordiamo la mancanza di una rotazione delle colture e il bassissimo rendimento.
Per contro nelle regioni più ricche dell’ovest europeo si assiste alla graduale penetrazione della borghesia nelle campagne, che darà vita a moderne strutture produttive di tipo aziendale, introducendo innovazioni tecnologiche e soluzioni avanzate, come la rotazione delle colture, l’alternanza di colture alimentari e foraggere e integrando l’economia agricola con la pratica dell’allevamento. In Inghilterra le tradizioni socioeconomiche di stampo medioevale lasciano il posto alla modernizzazione, che si attesta nella chiusura dei campi comunitari (open field), sottratti ai proprietari e recintati (enclosures).
La terra era infatti un bene sicuro. Imprenditori attenti avevano capito che introducendo colture mirate e alternate e assumendo manodopera salariata si poteva non solo incrementare la produzione ma anche esportare il residuo che non veniva consumato internamente. L’est europeo invece continuava a essere dominato dal latifondo, nobiliare ed ecclesiastico, e dopo la rivoluzione dei prezzi il processo di feudalizzazione conobbe una nuova vita, a causa delle ingerenze dei proprietari terrieri che non volevano rinunciare ai propri privilegi e sottoponevano i contadini a pesanti vessazioni e corvées, rendendo endemiche in questa zona le tensioni sociali e il malcontento popolare.

Manifatture e commerci – Accanto alle tradizionali attività artigianali già in uso nelle grandi città, si aggiungono nuove attività produttive, legate all’industria estrattiva e alla fabbrica di strumenti di precisione, alla cantieristica navale e ovviamente all’edilizia, visto il processo di crescita delle città. Tra i settori in crescita c’era l’industria tessile, molto attiva in Italia; la produzione laniera italiana viene poi soppiantata dalla produzione serica, mentre sale quella inglese; decadono invece le tradizionali fabbriche delle Fiandre, soppiantate dalla nascita di aziende familiari nei piccoli centri, che garantivano un costo di manodopera notevolmente competitivo.

Economia e finanza -  L’attività bancaria è uno dei settori dove si fa sentire lo sviluppo nel corso del secolo, rappresentata dalle grandi famiglie della finanza europea come Welser e Fugger – travolte dalla bancarotta della Spagna di Filippo II – e in Italia Spinola e Medici. La speculazione finanziaria e le attività di credito erano infatti i principali obietivi degli operatori finanziari del periodo. Notevole impulso ebbero ovviamente i commerci internazionali, principalmente nelle attività di esportazione, che cambiarono l’assetto politico e sociale dei paesi del bacino Mediterraneo, i quali nel secolo successivo passarono da una economia di esportazione a una economia di consumo, con la ben nota inversione delle polarità tra le aree geografiche mediterranea e settentrionale (baltica e atlantica).
A guadagnare furono soprattutto i paesi che per primi seppero approfittare delle immense e inesplorate ricchezze del nuovo continente: il tesoro americano, così fu chiamato, finì per finanziare le case reali spagnola e portoghese, prive di una solida economia produttiva. L’impulso finanziario trova il suo nuovo centro nei Paesi Bassi, dove Anversa è il centro dei traffici commerciali, vero e proprio crocevia dove nel 1531 si costituisce la prima Borsa per le contrattazioni, mentre Amsterdam diventa la capitale del mercato finanziario. Il fenomeno più significativo del periodo è la rivoluzione dei prezzi, che crebbero fino a 4-5 volte tanto. La presenza del tesoro americano finì infatti col deprezzare la moneta locale, producendo una fortissima inflazione. Ma tra le cause bisogna ricercare anche la crescita della domanda in merito all’alimentazione, alla spesa pubblica e agli armamenti e la nascita di una nuova economia di mercato, che comportava l’incremento del debito pubblico (il caso della Spagna per tutti). Inevitabilmente questa crisi si ripercuoteva nella società del periodo, ancora molto stratificata ma pur sempre divisa, non solo all’interno ma anche a livello regionale. La borghesia inizia infatti la sua ascesa, mentre le masse contadine si trovano sempre più lontane e sempre più vessate dalla nobiltà. Tra le conseguenze dell’aumento dei contadini poveri si segnalano l’accattonaggio e il brigantaggio, in Spagna e nei paesi meridionali.

Conclusioni -  Questo trend positivo non modificava radicalmente le strutture sociali, che restarono così arretrate e medioevali, soprattutto al sud. Il boom demografico si arrestò nel 1580 e ben presto si sentirono i segnali della crisi che si sarebbe palesata nel Seicento. Le carestie e il calo della produttività finirono con lo stancare le borghesie locali, che furono riassorbite nel vetusto sistema di valori della gerarchia sociale, e le due categorie estreme si posero sempre più ai margini dell’economia di mercato, assottigliando lo spessore socioeconomico della borghesia.

L’EUROPA NELLA PRIMA META’ DEL CINQUECENTO

La ripresa economica iniziata nel Quattrocento si trasforma nel corso del secolo successivo in una notevole espansione accompagnata da una crescita demografica. Abbiamo visto che tutti i principali settori produttivi, economici e finanziari risentono della progressiva crescita della popolazione, crescita che si accompagna all’urbanizzazione dei principali centri europei e all’incremento dei vari settori lavorativi.

L’ETA’ DEL RINASCIMENTO

Il quindicesimo secolo si chiudeva con la discesa dei francesi di Carlo VIII in Italia, nel giugno del 1494, sotto l’apparente beneplacito degli stati regionali italiani che non sembravano molto propensi a ostacolarla: Ludovico il Moro, duca di Milano, si allea col re angioino, Venezia e il Papato dichiarano la neutralità, mentre Firenze non mostra alcun interesse. In realtà queste ultime tre signorie finiscono col dare vita alla Lega di Venezia, che nel 1495 ferma la discesa di Carlo a Fornovo sul Taro. Firenze era governata allora dal debole Piero de’ Medici, a cui i Fiorentini non perdonarono l’impassibilità mostrata durante la discesa francese. Espressione del malcontento popolare si fece il predicatore domenicano Girolamo Savonarola, che riprendeva il pensiero francescano di Gioacchino da Fiore. Savonarola teorizzava la fine della signoria medicea e procrastinava un disegno rivoluzionario, che da Firenze doveva coinvolgere tutta l’Italia e che doveva riportare in auge la repubblica come ai tempi del Comune fiorentino e una ristrutturazione della Chiesa. La protesta del Savonarola degenera nella guerra civile tra i Palleschi (i Medici, così detti per via delle palle che campeggiavano nello stemma gentilizio) e i Piagnoni, i seguaci del frate, che nel 1496 instaurano una repubblica teocratica con l’appoggio dell’aristocrazia cittadina. La predicazione rivoluzionaria del domenicano irrita il papa, Alessandro VI Borgia, che lo scomunica. Il provvedimento si rivela negativo per il credito del Savonarola (i Fiorentini sapevano infatti che gli scomunicati non potevano avere la possibilità di far valere le proprie ragioni) che si vede osteggiato dai suoi seguaci e processato e giustiziato per eresia: nel 1498 viene arso vivo in piazza della Signoria.
Lo stesso anno muore Carlo VIII e il nuovo re, Luigi XII, nipote di Valentina Visconti, rivendica le sue pretese dinastiche sul ducato di Milano. Nel 1500 scende quindi in Italia e depone, dopo averlo sconfitto, Ludovico il Moro, che viene tratto in Francia dove morirà in prigionia. Nello stesso anno Francia e Spagna stipulano l’accordo di Granata, per spartirsi il regno di Napoli, ma l’ultimo re aragonese, Federico III, cede i suoi diritti alla Francia scatenando una lotta tra le due potenze. La pace di Lione del 1504 pone la parola fine alla contesa e assegna Napoli a Ferdinando il Cattolico. Si delineano in Italia due zone di influenza, una francese al nord e una spagnola al sud.
Lo Stato Pontificio era nelle mani del potente Cesare Borgia, detto il Valentino per il suo feudo di Valentinois, figlio del papa Alessandro VI. Con l’appoggio della nobiltà locale egli riesce a eliminare le signorie dell’Italia centrale, che costituivano un pericolo per il prestigio paterno, e instaura un principato che comprende Marche e Romagna: la sua abilità strategica ispira il “Principe” di Niccolò Macchiavelli. Alla morte del Valentino Venezia cerca di occuparne i territori ma viene fermata dal nuovo papa Giulio II della Rovere. Dopo aver riunito nel 1508 tutte le forze avverse alla Serenissima nella Lega di Cambrai, Giulio II sconfigge i veneziani ad Agnadello nel 1509. Due anni dopo lo stesso papa fonda la Lega Santa per cacciare Luigi XII dall’Italia. Dopo aver tentato di deporre il pontefice, il re francese viene sconfitto grazie all’apporto dell’esercito svizzero a Ravenna, nel 1512; Luigi XII viene cacciato e al suo posto viene ripristinato il legittimo erede del ducato milanese, Massimiliano Sforza. Il re francese, ulteriormente sconfitto dagli svizzeri a Novara e dagli inglesi a Guinegatte, cerca una intercessione diplomatica del pontefice, Leone X de’ Medici. Con l’aiuto del nuovo papa Luigi XII riesce a riavvicinarsi alla penisola italiana e nel 1515 il suo successore Francesco di Valois-Angouleme sconfigge l’esercito svizzero nell’odierna Melegnano rientrando in possesso del ducato sforzesco. La pace di Noyon del 1516 stabilisce definitivamente la sovranità nelle due aree di influenza, spagnola al sud e nelle isole e francese al nord. Nel frattempo si affaccia sul panorama europeo la casata asburgica, con Massimiliano I che, attraverso un’abile politica matrimonialista, getta le basi per il futuro impero del nipote Carlo V.
In Inghilterra, dopo la Guerra delle due Rose tra Lancaster e York il regno si consolida sotto Enrico VII Tudor, che persegue una politica di avvicinamento diplomatico alla Scozia degli Stuart allo scopo di unificare i due regni. Ma il suo successore Enrico VIII  abbandona la linea pacifica e attacca il re scozzese Giacomo IV Stuart, sconfitto e ucciso a Flodden nel 1513.
In Spagna regnano i cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, che proseguono la politica dei matrimoni sposando la figlia, l’infanta Giovanna, a Filippo degli Asburgo d’Austria, erede dei duchi di Borgogna e padre di Carlo V. Morto il nonno Massimiliano Carlo V, che già aveva ereditato nel 1516 la corona spagnola, si presenta come legittimo erede della corona imperiale asburgica. Il Portogallo consolida invece il suo patrimonio coloniale aggiungendo il Brasile.
In Russia il regno di Ivan III riunisce le terre russe sottraendole ai barbari; Ivan assume il titolo di origine bizantina di zar, derivato dal latino Caesar. Alla sua morte sale al trono Basilio III che completa il disegno espansionistico di Ivan.

POLITICA E SOCIETA’

L’età del Rinascimento vede l’affermazione dell’identità del Principe e del ruolo centralista della monarchia. Questo processo di trasformazione si svolge lentamente e in maniera non uniforme, ma si realizza in maniera compiuta in tutto il continente europeo, dove la figura del sovrano assume l’identità del liberatore e del condottiero forte e coraggioso, capace mitologicamente e carismaticamente di riunire i popoli sotto il suo dominio. La società è stratificata e divisa gerarchicamente in clero, nobiltà e terzo stato; ha un carattere non egualitario e le classi sociali più in vista godono dell’esenzione fiscale: per questo motivo i membri del terzo stato sono costretti alla compravendita delle cariche pubbliche, di modo da avvicinarsi ai privilegi dell’aristocrazia. La conseguenza è il formarsi di una classe  di funzionari spesso indisciplinati e a stento tenuti a bada da intendenti di nomina regia. La stratificazione sociale generava infatti delle pericolose fratture tra i ceti e il sovrano, ceti che erano proprio degli stati nello stato e obbligavano il sovrano a esercitare una funzione di arbitro nelle frequenti tensioni che scoppiavano tra le diverse fazioni.
Le repubbliche italiane sono perlopiù estranee alla modernizzazione degli stati nazionali europei. Solo Venezia può vantare una certa stabilità politica, garantita dalla potente oligarchia del patriziato veneziano, che trova espressione nel Maggior Consiglio; il Doge è in effetti una figura simbolica, poiché il potere era nelle mani della nobiltà. Le altre repubbliche non potevano vantare la stessa stabilità di Venezia. La neonata repubblica di Firenze è in mano ai Grandi, ma le pessime qualità amministrative del  Gonfaloniere Soderini fanno vacillare l’istituzione repubblicana, soprattutto per la pressione esercitata dalla Francia.
I Principati locali non possono dirsi più fortunati e inizia una nuova grande crisi istituzionale per lo Stato Pontificio. A minarne la funzione sono i potentati locali, disordinati e incontrollabili, governati dai feudatari dell’hinterland romano e laziale, e la sempre minore attenzione dedicata dai papi all’espletamento dei loro uffici, sostituita da una politica centralista e arrivista e spesso accompagnata da favoritismi e nepotismi. I cattolici stranieri si allontanano sempre più da Roma e iniziano a costituirsi le Chiese nazionali, legate al potere della corona.
Nell’Impero asburgico vanno affermandosi dei principati locali che danno vita agli Stati Regionali. In Italia questo status viene affermato nella transizione delle Signorie ai Principati, ma la corona imperiale asburgica regnava su un effettivo marasma autonomistico, dove si intrecciavano potentati laici e religiosi. Mentre Massimiliano d’Asburgo non riesce a contrastare la tendenza regionale del suo impero, in Inghilterra Enrico VII Tudor non ha problemi nell’affidare le cariche più alte del Consiglio del re a funzionari di strettissima nomina regia; il potere è inoltre affermato dal Parlamento, fedele al sovrano. In Francia la tendenza all’autonomismo è limitata dai successori di Carlo VIII che danno sempre minor spazio agli Stati Generali e avviano una intensa funzione di centralizzazione del potere; l’esecutivo è affidato ai nobili e all’alto clero che siedono nel Consiglio del re, non così fedele al sovrano come quello omonimo inglese e per questo affiancato da un Consiglio Segreto, di stretta nomina regia. Nella Spagna unita dal matrimonio dei re cattolici le istituzioni sono conservate inalterate ma si delinea subito una prevalenza delle politiche castigliane. Anche qui perdono importanza le Cortes mentre il potere legislativo e giudiziario viene affidato al Consiglio Reale e quello amministrativo alla Camera di Castiglia e al Consiglio delle Finanze.

L’ETA’ DELLA RIFORMA

Carlo V, nipote di Massimiliano d’Asburgo, eredita nel 1519 la corona imperiale dopo aver indossato tre anni prima quella di re di Spagna, e unifica le due corone, con tutti gli immensi domini. L’impero di Carlo V voleva rappresentare una potenza non solo politica ma anche religiosa, quasi un ritorno all’impero cristiano di stampo medioevale; eppure sotto il regno di Carlo si consuma la separazione tra le due Chiese, quella tedesca e riformata e quella di Roma. Leggenda vuole che il movimento protestante abbia preso il via dalle 95 tesi che il frate agostiniano Martin Lutero espose nel castello di Wittenberg in Sassonia per contrastare la predicazione del domenicano Giovanni Tetzel; in realtà la riforma protestante approda solo in ultimo a Lutero ed è espressione di un radicale movimento di rinnovamento della cultura spirituale che parte dal Quattrocento con i Lollardi, Jan Huss, Wycliff, e si esprime nel secolo sedicesimo con la predicazione di Girolamo Savonarola. Lutero condanna la vendita delle indulgenze promossa dal papa per la riedificazione di San Pietro e dibatte a Lipsia le sue teorie col teologo Giovanni Eck, insistendo sulla necessità di una moralizzazione dei costumi del papato, oramai corrotto, simoniaco, e inutile. Il papa Leone X lo scomunica come eretico con la bolla Exurge Domine del 1520 e viene bandito dall’impero nel 1521 con l’Editto di Worms, ma ottiene la protezione dei principi tedeschi, in particolare di quello di Sassonia che lo ospita nel suo castello facendo credere un finto rapimento. La protesta luterana trova subito molti aderenti, in particolare tra i principi tedeschi stanchi delle ingerenze del clero romano, a cui vengono confiscate le proprietà. Ma l’intrecciarsi della protesta sociale con quella religiosa finisce con l’irritare Lutero. Le due guerre, quella dei Cavalieri e quella, di matrice anarchica, dei Contadini, vengono deplorate da Lutero, che condanna ogni ricorso alla violenza gratuita, e lo stesso Lutero plaude all’intervento armato dell’esercito dei principi tedeschi che massacra i contadini.
Nel 1521 scoppiava la Guerra Franco-Asburgica per il controllo dell’Italia. La guerra si apre quando Carlo V si impossessa del ducato milanese restaurando il legittimo erede Francesco II Sforza, provocando la reazione della Francia che, occupate Savoia e Piemonte, riesce a rientrare in possesso di Milano.

Prima fase (1521/1530) - Le truppe imperiali, di stanza a Pavia e in attesa di rinforzi, vengono  sorprese dall’esercito francese nel 1525: arrivati i rinforzi, l’esercito di Francesco I è stretto in una morsa e, sconfitto, lo stesso re viene catturato e condotto a Madrid dove nel 1526 è costretto a firmare, su ricatto, pesanti condizioni di resa, tra cui i ducati di Milano e di Borgogna. Tornato libero il re francese rifiuta di cedere alla pace e costituisce la Lega di Cognac, sobillando vari stati italiani e lo stesso papa Clemente VII contro lo strapotere di Carlo V. Questa lega era debole. Nel 1527 le truppe spagnole e tedesche assoldate da Carlo V scendono indisturbate in Italia e saccheggiano Roma, facendo prigioniero il papa (Sacco di Roma). Lo stesso anno Firenze caccia i Medici e restaura la repubblica. I francesi riprendono Milano e dilagano al sud e solo il passaggio della repubblica genovese alle sorti imperiali cambia l’assetto della contesa. Carlo V cerca allora di recuperare l’alleanza col papa e tenta di mediare il conflitto con la Francia. Accetta così di liberare i figli di Francesco I, che teneva in ostaggio, dietro versamento di una modesta somma di riscatto e rinuncia alle pretese sulla Borgogna, concludendo nel 1529 la pace di Cambrai e riottenendo il ducato di Milano. Al congresso di Bologna si riconcilia col papa e poco dopo espugna Firenze dove restaura la signoria medicea.

Seconda fase (1535/1544) – La contesa non era affatto sopita e riprende quando, dopo la morte del duca Francesco II Sforza, la Francia riannette Milano e invade la Savoia che era alleata di Carlo V. Il conflitto come al solito si internazionalizza e tocca tre diverse aree europee, la Provenza dove combatte la Spagna, il Piemonte dove campeggia la Francia e le Fiandre dove opera l’esercito di Carlo V. Nonostante la mediazione del papa paolo III le ostilità proseguono fino alla pace di Crepy del 1544 che riassegna a Carlo V il ducato di Milano e a Francesco I il Piemonte.

Terza fase (1552/1559) – Sospesa la guerra con la Francia, sul cui trono siede ora Enrico II di Valois, Carlo V deve fronteggiare la rivolta dei principi tedeschi, sobillati dal nuovo monarca francese. Sconfitto nel Tirolo, Carlo V è costretto con la pace di Augusta del 1555 a liberare il culto luterano nell’Impero. Il principio del cuius regio eius religio deroga al principe locale la facoltà di scegliere la confessione religiosa da adottare nel proprio principato, e il reservatum ecclesiasticum impone ai neoconvertiti al protestantesimo la restituzione delle terre e dei benefici avuti in concessione dalla Chiesa di Roma.

Carlo V abdica in favore del fratello Ferdinando a cui riserva la corona imperiale e del figlio Filippo II che eredita la corona spagnola, le Fiandre e i domini italiani e le isole, e si ritira nel monastero spagnolo di Yuste dove morirà di lì a poco; la guerra franco-asburgica diventa guerra franco-spagnola e si conclude con la battaglia di San Quintino del 1557 in cui l’esercito di Filippo II costringe i francesi alla resa e alla firma, nel 1559, della pace di Cateau-Cambresis che assegna definitivamente l’Italia alla Spagna. Chiusa l’epopea di Carlo V si consuma il distacco della Chiesa di Inghilterra da quella romana. Enrico VIII Tudor, inizialmente avverso a Lutero, entra in conflitto col papa Clemente VII che gli nega il divorzio da Caterina d’Aragona, incapace di dare un erede maschio al re, e di sposare Anna Bolena. Per tutta risposta Enrico VIII separa nel 1531 le due chiese e si pone a capo della chiesa d’Inghilterra. Anche qui va detto che l’episodio è solo l’ultimo atto di un processo di nazionalizzazione delle chiese locali, iniziato già dal secolo scorso, e che aveva progressivamente allontanato i vescovi stranieri dalla corte corrotta del pontefice romano. Nel 1534 il Parlamento ratifica il provvedimento con l’Atto di Supremazia che nazionalizza ufficialmente la chiesa anglicana. Alla morte di Enrico VIII sale al trono il giovanissimo Edoardo VI, che favorisce con l’aiuto dei reggenti il diffondersi del protestantesimo in Inghilterra; alla sua morte prematura sale però al trono la cattolica Maria, moglie morganatica di Filippo II, che restaura il cattolicesimo sottoponendo i protestanti a una feroce repressione che le valse l’appellativo di Bloody Mary, Maria la Sanguinaria. La chiesa anglicana riprende la sua vita regolare con la regina Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena.

POLITICA E SOCIETA’

Si è dunque visto come il carattere dominante della società asburgica fosse il particolarismo politico e amministrativo che di fatto obbligava Carlo V a fare i conti con una situazione di fondo assolutamente instabile: gli stessi principi tedeschi, passati alla religione luterana, rifiutano l’imposizione del cattolicesimo da parte imperiale e obbligano Carlo V a firmare la pace di Augusta, che imponeva il principio del cuius regio eius religio. Nonostante tutto le monarchie europee, e anche quella asburgica, riescono ad affermare una sorta di centralismo politico e amministrativo, che si rende necessario data la vastità dei territori. Questa politica trova espressione nella formazione di un Consiglio, costituito da funzionari di strettissima nomina regia, che in breve tempo assurge a guida dell’apparato burocratico nazionale. Per operare meglio il suo disegno accentratore, Carlo V si trasferisce con la sua corte fiamminga in Spagna, dove dà vita a un contestatissimo progetto di riforma fiscale, che incontra subito lo sfavore delle borghesie urbane. Il malumore si esprime nella rivolta dei Comuneros di Castiglia, poi domata, che chiedevano al sovrano un regno meno assolutista e più liberale.
Tra le innovazioni del secolo c’è la presenza della diplomazia, i cui appartenenti vivono a corte con garanzie di assoluta inviolabilità. Se però le monarchie europee viaggiano verso la costituzione dei grandi stati nazionali, gli stati italiani vivono una fase di declino, e si avviano a entrare nell’orbita della monarchia di Filippo II.
In Inghilterra la scissione tra le due chiese acuisce l’ingerenza assolutista dei sovrani Tudor. L’Atto di Supremazia consente infatti a Enrico VIII di incamerare i beni ecclesiastici e soprattutto di nominare personalmente i vescovi. Nel secolo successivo si formerà una corrente di pensiero religioso puritana, legata al protestantesimo delle origini, che contrasterà duramente il regime illiberale della monarchia anglicana.