giovedì 9 giugno 2016

Classe 4 Modulo 7 S

CLASSE QUARTA - MODULO 7 - STORIA
L’età degli imperialismi europei e la "crisi di fine secolo" (1870-1900)

IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE TEDESCA
LA POLITICA DI OTTO VON BISMARCK

1 - DOPO IL CONGRESSO DI VIENNA

Il 9 giugno 1816 fu creata una Confederazione Germanica di 39 stati, geo-politicamente schiacciata tra l'Impero austriaco, guidato dal Metternich, e la Prussia. Le politiche dei due stati erano molto diverse: l'Austria si opponeva a una unificazione degli stati tedeschi, mentre la Prussia, che perseguiva una spregiudicata politica economica, auspicava l'unificazione, incoraggiata anche dalla unificazione delle dogane (Zollverein). A spingere politicamente per una riunificazione era sopratutto la nascente borghesia industriale, che sognava di dare al liberalismo tedesco lo stesso lustro di quello inglese. Tra il 1847 e il 1849 si riunì a Francoforte un'Assemblea Costituente (il cosiddetto Parlamento di Francoforte). Alla richiesta di libertà costituzionali, peraltro concesse dai principi tedeschi, il Parlamento guardava all'unifica89!3 da due prospettive: una parte propendeva per la Grande Germania, un grande impero che avrebbe dovuto includere anche le province austriache di lingua tedesca, mentre un'altra fetta di Parlamento propendeva per la Piccola Germania, limitata ai soli stati tedeschi esclusa l'Austria e guidata politicamente dalla Prussia. I liberali chiedevano sopratutto un governo unitario e rappresentativo di tutti gli stati aderenti allo Zollverein e un potere centrale che, nella bozza della Carta Costituzionale, sarebbe stato affidato al re di Prussia Federico Guglielmo IV. Il re, celebre per il suo rigido conservatorismo, rifiutò una corona assegnata da un'Assemblea e cercò l'appoggio dei principi tedeschi, che tuttavia gliela negarono. Arrivati a una vera e propria guerra civile il re fu obbligato ad accettare le imposizioni austriache con il trattato di Olmuz e a rinunciare alle sue aspirazioni alla corona imperiale. Nonostante la sconfitta la Prussia non si dette per vinta, cercando di coinvolgere gli stati tedeschi in una presa di posizione contro l'Austria.

2 - L'EGEMONIA DELLA PRUSSIA

Nel 1859 sale al trono di Prussia Guglielmo I. La sua ascesa segna un decisivo punto di svolta per la causa dell'unificazione tedesca, sopratutto grazie al cancellierato di Otto von Bismarck nel 1862. I liberali tedeschi guardavano con molto interesse al nuovo re di Prussia, che avrebbero voluto alla guida di uno stato unitario e parlamentare, mentre guardavano con molto sospetto a Bismarck, dichiaratamente un anti-liberale. Nonostante le sue idee Bismarck era tuttavia convinto della necessità di unificare gli stati tedeschi, sopratutto per garantire alla Prussia l'influenza politica su di essi e sull'Austria (che odiava). Grazie a un'abilissima e incessante attività diplomatica e alla riorganizzazione dell'esercito prussiano, Bismarck portò a compimento il progetto di unificazione nel giro di pochi anni. Le fasi salienti che condussero a questo traguardo furono delle grandi campagne militari:
innanzitutto contro la Danimarca per riappropriarsi dello Schleswig-Holstein;
l'alleanza con l'Italia;
la sconfitta dell'Austria a Sadowa e la cessione coatta del Veneto alla Francia (poi donato all'Italia);
la definitiva sconfitta austriaca: la sua espulsione dalla Confederazione.
la suddivisione della Confederazione in due zone, una a nord e una a sud del fiume Meno, con una evidente egemonia prussiana (1866).
Col Trattato di Praga l'Austria accetto definitivamente le condizioni della Prussia.

3 - L'UNIFICAZIONE E LA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA

Nel 1867 nasce la Confederazione Tedesca del Nord, con un Reichstag (parlamento) e la guida della Sassonia e della Prussia.  Bismarck fu nominato cancelliere con l'appoggio di tutti i nazionalisti e iniziò le manovre per l'annessuone degli stati a sud del Meno. La strategia fu quella di provocare una guerra con la Francia mediante un documento diplomatico falsificato, il cosiddetto Telegramma di Ems. La superiorità dell'esercito prussiano costrinse la Francia a capitolare: Napoleone III, sconfitto a Sedan, fu costretto a firmare la resa e gli stati del sud, che erano accorsi a fianco della Prussia, aderirono spontaneamente alla Confederazione. Il 18 gennaio 1871, nella Galleria degli Specchi del Palazzo di Versailles, nasceva l'Impero Tedesco la cui corona, su proposta di Luigi III di Baviera, fu offerta a Guglielmo I.

4 - LA POLITICA INTERNA DI OTTO VON BISMARCK

Dopo la nascita dell'Impero Tedesco Bismarck fu nominato Cancelliere, pur mantenendo le cariche di Primo Ministro e di Ministro degli Esteri della sua Prussia. Il Kaiser Guglielmo I lo insignì del titolo di principe e gli conferì la Gran Croce dell'Ordine degli Hohenzollern. La carriera politica di Bismarck durò dal 1862 al 1890, influenzando di molto la politica europea. Bismarck era orgogliosamente prussiano e protestante, caratteristiche che orientarono la sua azione politica. Già dopo la sua nomina a Cancelliere si impegnò nel KULTURKAMPF (Battaglia della Civiltà) contro il partito filocattolico dello Zentrum: li chiamava Reichfeinde, nemici dell'impero, per le loro idee antiunioniste. Contro di loro promosse le Leggi di Maggio, secondo cui la nomina degli ecclesiastici doveva essere sottoposta al veto dello Stato.  A queste leggi ne seguirono altre: l'imposizione del matrimonio civile, la legge dell'espatrio contro gli ecclesiastici dissidenti (minacciati di essere rpivati della cittadinanza) e la legge del paniere, per la cessazione dei finanziamenti statali al clero. Sopratutto Bismarck cercò in tutti i modi di alimentare, a proprio vantaggio, l'opinione pubblica contro il pericolo pubblico dello Zentrum. Tuttavia alle successive elezioni lo Zentrum vide aumentare ul numero dei suoi deputati. Nacque un clima di tensione culminato con il tentativo di attentato allo stesso Bismarck, che gettò la colpa sui cattolici dello Zentrum. Il Kaiser iniziò a questo punto a nutrire qualche perplessità sulla politica bismarckiana: Bismarck cercò invano un accordo diplomatico del papa Pio IX in cambio della revoca delle leggi di maggio, ma il papa rifiutò.
Un altro nemico di Bismarck erano i socialisti. Bismarck aveva più volte cercato di far approvare in Parlamento delle leggi contro la propaganda socialdemocratica, senza mai riuscirci. Dopo una serie di attentati, uno dei quali ferì gravemente lo stesso Guglielmo I, nel 1878 Bismarck sciolse il Reichstag e indisse il Congresso Internazionale di Berlino, in attesa delle nuove elezioni. Il Congresso rappresentò un successo per Bismarck, che riuscì a portare avanti le sue tesi anti-socialiste ma le elezioni videro un rafforzamento proprio dei partiti a lui ostili. Nonostante ciò il Parlamento - forse influenzato dagli attentati - approvò le leggi eccezionali invano proposte dallo statista negli anni precedenti, ma la loro attuazione fu bloccata per tre anni dai liberali nazionalisti. Sfruttando il loro interesse per la politica protezionista, nel 1879 Bismarck cercò e ottenne i consensi dello Zentrum contro i liberali.

5 - LA POLITICA ESTERA DI OTTO VON BISMARCK

Il sistema di alleanze tessuto da Bismarck aveva carattere difensivo ma mirava anche a conservare la leadership tedesca in Europa. Nel 1879 viene costituita la Duplice Alleanza con l'Austria. Guglielmo I non era d'accordo poichè diffidava dell'Austria e non voleva andare contro gli antichi vincoli di amicizia che legavano gli stati tedeschi alla Russia, ma Bismarck, dopo aver provocato lo zar Alessandro II rendendogli nota una dichiarazione del Kaiser con la data falsificata, cercò di convincere l'impertore tedesco della necessità di un patto con l'Austria. Guglielmo I non credeva però all'eventualità di una guerra, e oppose ancora resistenza all'accordo, costringendo il Cancelliere a minacciare le dimissioni per convincerlo. Il vero grande successo della politica estera bismarckiana fu però il Patto dei Tre Imperatori, un accordo di neutralità che coinvolgeva oltre Germania e Austria anche la Russia, nemica storica dell'Austria. L'accordo, formalizzato nel 1881, costituiva un efficace blocco antifrancese, ma sopratutto copriva di fatto le spalle alla Germania in caso di un ipotetico tentativo di invasione orusso-francese. L'anno successivo Bismarck - accogliendo le richieste italiane contro la mianaccia francese - coinvolse l'Austria in una nuova alleanza difensiva a tre insieme all'Italia, impegnandosi a difendere il territorio italiano dalla Francia. Sul fronte coloniale Bismarck mirava all'isolamento della Gran Bretagna, cercando l'appoggio francese. Dopo aver costituito diverse colonie tedesche in Africa, le fece riconoscere durante la Conferenza di Berlino (1884), proprio grazie all'appoggio francese.

6 - LA DECADENZA DEL SISTEMA BISMARCKIANO

Nell'ultima fase del suo incarico Bismarck si era impegnato in una serie di riforme sociali: innanzitutto il primo sistema previdenziale al mondo, seguito poi dall'istitutzione di una serie di assicurazioni, contro le malattie, gli infortuni e la vecchiaia. Tuttavia queste misure non bastarono a scongiurare la crisi. Un primo sentore della crisi fu causato dal cambio di governo francese, con un nuovo esecutivo non molto favorevole a conservare l'alleanza con la Germania stipulata a Berlino.  In occasione della crisi diplomatica tra Russia e Austria Bismarck spinse l'Austria a riconciliarsi proprio con la Granz Bretagna e abbandonò il suo sogno imperialista per non distrubare il colonialismo inglese in Africa, non potendo più contare sull'appoggio francese. La seconda avvisaglia di crisi proveniva dal front politico interno. Paventando un imminente attacco francese Bismarck cercò invano di far approvare in Parlamento la legge sul riarmo: non riuscendoci, scuolse il Reichstag e indisse nuove elezioni, riottenendo la maggioranza e riuscendo a far approvare la legge. In questo frangente Bismarck fu aiutato da una lettera di papa Leone XIII che confermava ufficialmente il suo appoggio al Cancelliere, appoggio in cambio del quale Bismarck revocò molte delle Leggi di Maggio con una conseguente moderazione del Kulturkampf. Sul fronte internazionale Germania e Russia firmano il Trattato di contro-assicurazione. Si trattava di un patto di non belligeranza, che impegnava la Germania a non dichiarare guerra alla Russia se non in caso di un attacco russo all'Austria e vincolava la Russia a non attaccare la Germania se non in caso di attacco tedesco alla Francia. Questo accordo sancisce anch la fine del Patto dei Tre Imperatori.
La crisi del sistema bismarckiano si acuisce con la morte di Guglielmo I. Dopo una breve parentesi di regno dell'erede Federico, alla morte di questi sale al trono Guglielmo II. Il giovane Kaiser non aveva intenzione di lasciarsi guidare dal Cancelliere e lo scontro tra i due si fece aspro nel 1890, quando Guglielmo II fece approvare una serie di riforme sociali senza l'approvazione di Bismarck. Alle successive elezioni si affermano i socialdemocratici, mentre i conservatori filo-bismarckiani e i nazionalisti liberali ottengono un consenso inferiore. Bismarck restò isolato: molti suoi ministri lo abbandonarono e anche il tentativo di un'alleanza coi cattolici dello Zentrum fallì, sia a causa della netta opposizione dei conservatori sia per l'opposizione di molti cattolici. Bismarck fu costretto a rassegnare le sue dimissioni: al suo posto Guglielmo II nominò cancelliere Leo von Caprivi.

LA TERZA REPUBBLICA FRANCESE
DALLA COMUNE ALL'AFFARE DREYFUS

1 - LA FINE DEL SECONDO IMPERO E LA COMUNE

Il 3 settembre del 1870 arriva a Parigi la notizia della sconfitta di Sedan e della cattura di Napoleone III. Approfittando del vuoto di potere il generale orleanista Adolphe THIERS tenta, il giorno seguente, un colpo di stato con l'appoggio del Parlamento, che però fallisce. Viene quindi costituito un governo provvisorio, di difesa nazionale, guidato dal generale TROCHU, col compito di guidare le ultime fasei della guerra con la Prussia, in assenza dell'imperatore. Il 19 settembre l'esercito prussiano aveva ormai accerchiato Parigi e i membri dell'esecutivo erano stati costreti alla fuga. Il 28 gennaio 1871 fu firmato l'armistizio tra Francia e Prussia, ma Bismarck non voleva trattare con un esecutivo provvisorio, così impose alla Francia l'elezione di una nuova Assemblea Nazionale: le elezioni furono vnte dalla destra orleanista. La nuova Assemblea affidò a Thiers il compito di presiedere l'esecutivo e votò a favore della pace con il neocostituito Reich, a cui furono cedute Alsazia e Lorena unitamente al pagamento di 5 miliardi di franchi come debito di guerra. La reazione popolare alla sconfitta fu però violentissima. Infatti l'armistizio con la Prussia e la pace con la Germania avevano acuito la crisi sociale e politica, che sfociò in una sommossa popolare il 18 marzo del 1871, quando il governo cercò di prendere il controllo dei cannoni nel terrapieno di Montmartre: i ribelli - nel timore di un ritorno dell'ancien règime - costrinsero con le armi il Governo orleanista e filo-monarchico a lasciare la capitale, esautorarono il Parlamento e sostiuendolo, il 26 marzo, con un nuovo governo cittadino chiamato La Comune, che adottò al posto del tricolore francese la bandiera rossa. Si trattò di un governo dichiaratamente socialista ed egualitario, che durò solo 54 giorni. Tra le novità introdotte si ricordano:
1) l'abolizione dell'esercito permanente sostituito dai cittadini armati;
2) la separazione tra Stato e achiesa e la completa laicizzazione dello Stato;
3) la gratuità e la laicità della pubblica istruzione;
4) l'elettività dei magistrati;
5) la promozione dell'associazionismo operaio e la retribuzione dei pubblici funzionari con un salario minimo.
L'esperienza comunarda fu interrotta dalla feroce repressione dell'esercito, guidato dal generale MAC MAHON, che il 21 maggio entrò a Parigi. Circa ventimila parigini furono massacrati con processi sommari e fucilazioni indiscriminate, molti riuscirono a fuggire all'estero, altri furono catturati e condannati finche l'ordine non fu ristabilito. Il successivo 2 luglio furono indette nuove elezioni che videro la vittoria dei repubblicani, scongiurando così definitivamente il timore di un possibile ritorno della monarchia.

2 - LA PRIMA FASE (1871-1879)

Il 31 agosto 1871 al generale Thiers, orleanista, già capo dell'esecutivo, vengono attribuiti dal Parlamento anchei poteri di Presidente della Repubblica. Thiers esordisce con una politica rassicurante, volta a ristabilire l'immagine del Paese a livello internazionale. Tuttavia le sue dichiarazioni di volere una repubblica conservatrice provocarono una caduta del consenso e fu battuto in Parlamento. Dopo la sua destituzione, avvenuta il 24 maggio 1873, fu nominato Presidente il comandante dell'esercito, Patrice Mac Mahon, legittimista. Al contrario degli orleanisti, che pur essendo filo-monarchici erano comunque fedeli alla forma repubblicana, i legittimisti erano sostenitori della restaurazione monarchica. Convinto assertore del ruolo centrale della Chiesa Cattolica e del ruolo delle classi dirigenti, Mac Mahon si impegnò subito sul fronte internazionale allo scopo di riaccreditare l'immagine della Francia. I suoi poteri furono prolungati di sette anni, ma una serie di accordi interni tra repubblicani e bonapartisti, vincitori delle elezioni, con le altre forze parlamentari, portarono alla vittoria - per un solo voto - della repubblica, che fu proclamata il 30 gennaio 1875, a cui seguì una serie di leggi costituzionali per supportare la forma repubblicana. Nelle successive elezioni legislative i repubblicani ottennero la maggioranza, e la posizione di Mac Mahon fu compromessa. Mac Mahon cercò invano di sciogliere la Camera dei Deputati ma l'ulteriore raggiungimento della maggioranza repubblicana al Senato lo costrinse definitivamente alle dimissioni il 30 gennaio 1879. Al suo posto fu nominato presidente Jules GREVY, che il successivo 4 febbraio nominò a capo dell'esecutivo William Henry Waddington.

3 - LA SECONDA FASE (1879-1889)

L'affermazione repubblicana alle successive elezioni del 1881 conferirono una maggiore stabilità alla presidenza Grevy. Con la collaborazione del primo ministro Jules FERRY, Grevy dette il via a un grande disegno riformistico, che era iniziato già al suo insediamento con alcune disposizioni atte a rinsaldare le fondamenta della Repubblica: il ritorno delle due Camere nella Capitale, l'adozione della Marsigliese come inno nazionale e l'introduzione della data dell'assalto alla Bastiglia come giorno di festa nazionale, oltre all'amnistia per gli ex-comunardi. A queste riforme di carattere istituzionale ne seguirno altre più radicali, volte a fare della Francia un paese laico e anticlericale: innanzitutto la promozione dei diritti dell'uomo, la libertà di pubblica assemblea, la libertà di stampa e di associazione sindacale; quindi l'espulsione dei Gesuiti e delle congregazioni maschili non autorizzate, il ripristino del divorzio, la laicizzazione di ospedali e scuole, la gratuità e l'obbligatorietà dell'istruzione primaria e la separazione dell'insegnamemto religioso dalle altre materie. Grevy fu rieletto nel 1885 e la sinistra repubblicana e radicale continuarono a rafforzarsi, tanto da consentire la formazione di ulteriori esecutivi col medesimo orientamento politico. In questi esecutivi il dicastero della Guerra fu affidato al generale Georges BOULANGER. Era molto stimato dalla sinistra radicale da quando, in occasione di uno sciopero di cui si chiedeva una repressione forzata, dichiarò che l'esercito non era al servizio dei borghesi. Alfier del nazionalismo, Boulanger si trovò coinvolto in una crisi con la Germania, risolta poi in modo diplomatico da Grevy, che rischiò di provocare una nuova guerra con i Tedeschi. Constatando l'incapacità dei radicali di gestire una situazione di questo tipo, il Parlamento votò la sfiducia al Governo per destituire forzatamente Boulanger dal suo incarico. Boulanger perse dunque il ministero ma anche il comando dell'esercito con l'accusa di insubordinazione. Tuttavia il generale raccolse intorno a sè un gran numero di fanatici nazionalisti: nonostante le sue scarse capacità di oratore fu eletto alla Camera, dove cercò di avviare una serie di riforme, monarchici e bonapartisti lo appoggiarono. Nel 1887 Grevy si dimise - per motivi non legati alla politica - e fu eletto Sadi CARNOT, ma il timore era quello di un possibile colpo di stato. Boulanger era infatti molto popolare poiché cavalcava il revanscismo anti-tedesco (gli fu dedicata anch una canzone "C'est Boulanger qu'il faut", C'è bisogno di Boulanger) e gli fu proposta la presidenza, che Boulanger accettò. L'intenzione del generale non era però quella di attendere le successive elezioni ma di tentare un vero e proprio colpo do stato: questo gli alienò il sostegno dei repubblicani, mentre resisteva quello monarchico, anche se i monarchici sapevano ch Boulanger non avrebbe restaurato la monarchia. Il gennaio 1889 sembrava il mese giusto per il colpo di stato ma il generale perse tempo. Colpito da un mandato di arresto per tradimento fu costretto alla fuga e proprio la fuga compromise la sua immagine agli occhi dei seguaci. Privo di sostenitori e in esilio, Boulanger si suicidò nel 1891.

4 - GLI SCANDALI DI FINE SECOLO

Nell'ultimo decennio del XIX secolo la Terza Repubblica fu scossa da due grandi scandali: lo scandalo del Canale di Panama e l'Affare Dreyfus, entrambi Connotati da un forte sentimento di antisemitismo. Del primo furono protagonisti alcuni deputati, accusati di aver concesso un prestito obbligazionario alla compagnia che gestiva in quel periodo - fine anni Ottanta - l'apertura del Canale di Panama. L'accordo sotterraneo, che metteva in evidenza il collegamento tra il mondo politico e quello degli affari, fu smascherato da un giornalista, Dumont, e dal giornale di fede boulangista La Cocarde, che dettero il via a una campagna stampa violentissima, il cui esito fu il necessario ricambio di buona parte della classe politica dell'epoca. Il caso Panama scoppiò proprio nel momento in cui i repubblicani e i radicali avevano raggiunto un consenso molto elevato, tanto da avviare un comune progetto economico di ispirazione protezionista. Il nuovo esecutivo nominato dal parlamento aveva una connotazione filo-cattolica, e questo consentì una nuova politica sociale oltre a una mitigazione delle precedenti riforme. Nel 1894 scoppiò però un nuovo caso. Ne fu protagonista un ufficiale ebreo dell'esercito francese, Alfred FREYFUS, accusato di alto tradimento. La notizia sarebbe passata quasi inosservata se non fossero stati presenti due elementi importanti: Dreyfus era non solo ebreo ma anche alsaziano, e questo aspetto finì col riaccendere il snetimento nazionalosta anti-tedesco, considerato che l'Alsazia era stata ceduta da più di 20 anni al Reich. Dreyfus fu processato frettolosamente e condannato all'ergastolo. Due anni dopo un altro ufficiale dell'esercito, il colonnello Picquart, scoprì che il documento che accusava Dreyfus era inrealtà un apocrufo. Picquart informò ripetutamente i suoi superiori, che non solo lo ignorarono, ma, dopo avergli intimato di tacere, lo trasferirono in Tunisia. Per mettere a tacere la cosa furono prodotte altre false prove contro Dreyfus ma nel 1897 Picquart riuscì a diffondere le notizie in suo possesso, scatenando così l'opinione pubblica, che si divise da subito in dreyfusiani e anti-dreyfusiani. I maggiori sostenitori di Dreyfus furono gli scrittori e giornalisti Emile ZOLA de L'Aurore e Jean JAURÈS de La Petite Republique. Zola pubblico sul auo giornale il famoso editoriale intitolato "J'accuse", una lettera aperta al preidnete della Repubblica Felix FAURE in cui si denunciavano le illegalità e le irregolarità del processo. Zola fu esiliato, la stampa antisemita, specie i giornali La Croix e LmIntransigente, si scagliarono contro Dreyfus con una campagna diffamatoria che accusava gli ebrei di un complotto internazionale. Nonostante le diffamazioni il fronte anti-dreyfusisno sembrava in minoranza, tuttavia la richiesta di una revisione del processo non venne accolta. La notizia dava il colpo di grazia alla situazione di disordine sociale del Paese che culminò in un tentativo di colpo di stato nel 1899 - pochi giorni dopo la morte improvvisa del presidente Faure - che però fallì. Il gesto convinse le autorità alla decisiva revisione del caso Dreyfus: dopo una prima riduzione della pena dell'ergastolo a dieci anni di reclusione, l'ex ufficiale fu riabilitato nel 1906. Conseguenza del caso fu la riunificazione delle sinistre e la ripresa della politica anticlericale.

L'INGHILTERRA VITTORIANA DOPO IL 1870
GLADSTONE, DISRAELi E SALISBURY

1 - GLI ASPETTI CONTROVERSI DEL VITTORIANESIMO

L'epoca vittoriana copre tre quarti del XIX secolo e coincide con il grande sviluppo economico, culturale, industriale e coloniale del Regno Unito. A dispetto dell'apparente benessere del paese e del forte impatto culturale, bisogna sottolineare che il vittorianesimo ebbe come conseguenze gravi forme di disagio sociale, basate soprattutto sul pauperismo delle classi inferiori, sul progressivo allargamento della forbice sociale tra le classi e sull'impiego di manovalanza minorile nelle fabbriche. Lo sviluppo economico del Regno Unito, anche grazie alla se onda rivoluzione industriale, aveva visto un profondo mutamento degli assetti istituzionali. Il potere politico e le banche condizionavano e gestivano lo sviluppo delle industrie: ormai le banche si erano ttasformate in istituti di credito che non si limitavano all'investimento di capitali ma estendevano i propri servizi alla concessione di prestiti alle imprese, entrando di diritto nella gestione economica delle industrie stesse.  Il capitale eccedente veniva reinvestito all'estero, spesso in zone sottosviluppate: il governo fu molto attento a non lasciarsi coinvolgere nella Guerra di Secessione americana, mentre concedeva prestiti a paesi in via di sviluppo, che erano obbligati poi a comprare i macchinari industriali inglesi, creando una dipendenza commerciale che si distingueva dal commercio triangolare del XVIII secolo. Infatti anche gli altri inperi europei erano interessati ai nuovi mercati, e questa nuova politica coloniale finì col dividere in mondo in zone economiche sfruttate dai diversi paesi. La "questione sociale" interna al paese riguardava sopratutto tre piaghe: il lavoro minorile, la prostituzione e la povertà. I bambini erano impiegati frequentemente negli opifici tessili - data la loro conformazione fisica servivano a raccogliere le spolette di cotone che eventualmente cadevano sotto i telai - e nelle miniere - per la stessa ragione, perchè potevano infilarsi in tunnel strettissimi dove un adulto non avrebbe potuto muoversi - ma anche come domestici. La propaganda mostrava all'opinione pubblica che il proletariato era felice, ma nella seconda metà del secolo vennero denunciati i maltrattamenti e il forte senso di disagio del ceto popolare, escluso dalla vita politica e privato di qualsiasi privilegio. Nel 1832 una riforma elettorale aveva esteso il diritto si voto anche all'alta borghesia terriera e industriale ma escludendo la media borghesia e il proletariato. Nel 1866 William GLADSTONE aveva proposto una nuova riforma che estendeva di poco il limite di reddito necessario per essere ammessi alle urne. Gladstone era pero anche dichiaratamente favorevole a concedere il diritto di voto alla classe operaia. La cosa non piacque all'opposizione che bocciò la proposta, sostenendo che la classe operaia non possedesse le necessarie qualità morali e intellettuali per godere di tale diritto. La reazione popolare divampò, dapprima in tono moderato, poi diffusa ai vari "borough" e coinvolgendo un sempre maggior numero di lavoratori. Nel timore che  la protesta si trasformasse in insurrezione un altro statista, Benjamin DISRAELI, promosse un nuovo progetto di riforma che estendeva il diritto si voto a tutti i cittadini maschi legalmente residenti nei borghi. La proposta, che escludeva di fatto i lavoratori agricoli, passò.

2 - IL PRIMO GOVERNO GLADSTONE

Le elezioni del 1868 videro l'affermazione dei liberali. La working class che votava per la prima volta non espresse dei propri rappresentanti, In quanto si sentiva già soddisfatta del miglioramento delle sue condizioni. L'esecutivo fu quindi affidato a GLADSTONE che vi fuse liberali e radicali. La prima priorità di Gladstone era l'istruzione. Prima del 1870 non esisteva infatti nel Regno Unito una scuola pubblica  e aconfessionale, le scuole erano infatti private e da sempre in mano alla Chiesa d'Inghilterra, e ricevevano un sussidio. Con l'introduzione del suffragio universale maschile diventava però urgente  che gli aventi diritto al voto sapessero leggere e scrivere: solo la metà dei bambini sapeva effettivamente farlo e la qualità dell'insegnamento era piuttosto mediocre. Nel 1870 viene dunque varata la proposta di una Legge sull'Educazione. Il disegno di legge prevedeva l'istituzione di scuole pubbliche e laiche, suscitando la netta opposizione del Partito Conservatore. Per evitare un annoso conflitto con la Chiesa Anglicana fu deciso l'aumento dell'indennità in favore delle scuole confessionali per garantirne la sopravvivenza; tuttavia fu aggiunto un emendamento che vietava l'insegnamento strettamente religioso, anche nelle scuole anglicane. Nel 1880 l'istruzione primaria fu resa ufficialmente obbligatoria e nel 1891 diventò gratuita. La riforma fu estesa presto anche all'istruzione di grado superiore. Le università avevano infatti gli stessi problemi relativi alla qualità della didattica delle scuole primarie. La riforma incontrò la resistenza degli atenei più blasonati come Oxford e Cambridge, gelosi della loro indipendenza e autonomia, tuttavia anche l'insegnamento universitario fu reso aconfessionale e furono emanate le Leggi di Prova che avolivano le prove  religiose imposte dalla Chiesa Anglicana per l'ammissione ai corsi. Furono inoltre ammesse anche le donne, anche se non tutte le università ne riconoscevano l'appartenenza. Quella dell'istruzione fu sicuramente la riforma più importante del primo ministero Gladstone ma non l'unica:
a) contro il clientelismo, che permetteva l'accesso ai ruoli impiegatizi dei funzionari "appoggiati" da membri del Parlamento, fu emanato un progetto di abolizione dell'ingresso di favore, sostituito dai liberi concorsi;
b) contro la compravendita delle cariche dell'esercito  fu proposta una legge di abolizione, duramente osteggiata, che passò solo per ordine reale;
c) nel 1871 vengono legalmente riconosciute le associazioni dei lavoratori, anche se col veto sulle manifestazioni, veto che fu abrogato quattro anni dopo dal governo di Disraeli.

3 - DISRAELI

Nel 1874 la coalizione liberal-radicale che sosteneva Gladstone fu sconfitta alle elezioni - le prime a scrutinio segreto - e a Gladstone succedette Benjamin DISRAELI. La a onfitta di Gladstone è da attribuirsi a molte cause, probabilmente l'esaurimento di quella spinta riformista che aveva contraddistinto il suo mandato, ma anche la contrarietà di buona parte dell'elettorato, sia quello dell'upper class che non aveva visto di buon occhio l'ammodernamento istituzionale, sia quello della working class che era rimasto deluso per i limiti imposti alle associazioni sindacali, legalmente riconosciute ma col divieto di manifestare. Disraeli si impegnò subito a migliorare proprio le condizioni, soprattutto quelle igienico-sanitarie, della classe operaia, oltre a una Legge sulla Sanità Pubblica nel 1875. In politica estera Disraeli fu uno dei massimi protagonisti del colonialismo inglese: nel 1875 nominò la regina Imperatrice d'India, tre anni dopo invece acquistò diverse azioni del Canale di Suez per garantire al suo paese uno sbocco privilegiato sull'Oceano Indiano, quindi si impegnò nel conflitto tra Russia e Turchia. Nonostante i successi in campo internazionale proprio la spregiudicata politica coloniale gli causò un calo di popolarità, aggravata dalla crisi dell'agricoltura, eventi che lo portarono alla sconfitta elettorale nel 1880. Il governo passò dunque per la seconda volta in mano a Gladstone.

4 - IL SECONDO GOVERNO GLADSTONE

Gladstone era salito al potere senza un programma ben preciso, basando la sua campagna elettorale solo sulla critica alla politica estera di Disraeli.  Era un momento piuttosto difficile a causa della divisione all'interno dei conservatori, spaccati in una corrente  tradizionalista, a cui apparteneva lo stesso Gladstone, una di ispirazione quasi socialista capeggiata da Chamberlain e una democratica di cui era capo Lord Churchill (padre di Winston Churchill), quarto partito del Regno Unito. Il vero successo del secondo mandato di Gladstone fu la Terza Legge Elettorale del 1884 che estese il suffragio anche ai lavoratori reaidenti nelle campagne, quindi alla manovalanza rurale e ai minatori. Occorre sottolineare che questo fu reso possibile non da una richiesta dei lavortori, incapaci di darsi ancora una vera organizzazione sindacale unitaria, ma dalle stesse organizzazioni industriali. La decisione fu presa sopratutto per dare una nuova spinta all'agricoltura, settore in crisi a causa del progressivo avanzare dell'industrializzazione, che richiamava nelle città un sempre maggior numero di lavoratori rurali, col conseguente abbandono delle campagne, l'ulteriore assenza di misure protezionistiche ne aveva accelerato la decadenza. La Legge Elettorale fu appeovata senza difficoltà alla Camera dei Comuni, mentre incontrò diversi ostacoli alla Camera dei Lord, risolte grazie all'abilità diplomatica di Gladstone.
L'anno successivo tuttavia Gladstone fu costretto alle dimissioni dopo che la coalizione che lo aveva sostenuto fu travolta dal problema delle colonie e dalle proteste sempre crescenti dei dissidenti irlandesi  dell'Home Rule: al suo posto fu eletto Lord SALISBURY.

5 - lA DECADENZA DELL'EPOCA VITTORIANA

Durante il governo di Salisbury il Paese fu scosso da forti tensioni sociali che sfociarono in diversi scioperi. I lavoratori non avevano infatti ancora raggiunto una solida organizzazione, e le Unioni erano ancora frammentate e prive di un valido progetto. Nel 1884 si costituisce a Londra un'associazione culturale di ispirazione socialista, la Fabian Society, a cui aderirono siversi intellettuali. Il socialismo fabiano non fu un vero movimento rivoluzionario, come espresso dall'etimologia del nome, che traeva origine da quello di Quinto Fabio Massimo detto il Temporeggiatore na un movimento di idee volte al progressivo miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice. Tra le maggiori proposte della Fabian Society quella di un'alternativa ai mezzi di produzione per sottrarre il controllo dell'industria alla borghesia capitalista, e misure straordinarie per l'educazione e la sanità in favore delle classi lavoratrici. Il suo declino coincise con la formazione del Labour Party nel 1906. Nel corso del decennio 1880/1890 erano nate anche altre organizzazioni a tutela dei lavoratori poveri e sindacati per la manodopera non qualificata. A questo punto iniziarono diversi scioperi che coinvolsero diversi settori produttivi, destando l'interesse dei ceti agiti. Dopo una crisi di governo nel 1892 per il basso consenso, Salisbury tornò al potere anche grazie alla progressiva decadenza dei liberali, che privarono il suo governo di una solida opposizione.. Rassegnò le sue dimissioni nel 1901, anno della morte della Regina Vittoria, e morì l'anno successivo. 

L'ITALIA UMBERTINA
LA CRISI DI FINE SECOLO

1 - IL PRIMO GOVERNO CAIROLI

Il 1878 si apre con la scomparsa di due grqndi protagonisti del Risorgimento, il re d'Italia, Vittorio Emanuele II, a cui succedette il iglio zumberto I, e il papa Pio IX, a cui fece seguito l'elezione di Leone XIII. Il retno di Umberto si apriva con diverse questioni ancora aperte: la questione romana, la presenza di schieramenti repubblicani e anti-unitari, l'irredentismo dei patrioti che rivendicavano alcuni territori ancora in mano agli austriaci, la situazione economica  stagnate, lo scarso prestigio internazionale di cui godeva l'Italia e la questione sociale che richiedeva riforme urgenti per le classi meno abbienti. È importante sottolineare come Umberto fosse molto diverso dal padre, in quanto giurò sullo Statuto Albertino impegnandosi a rispettare la Costituzione, violando quel principio di "non est potestas nisi a Deo" che caratterizzava quasi tutte le corone europee. Il suo insediamento coincise con le dimissioni del leader della sinistra storica, Agostino Depretis, a cui succedette nell'incarico il leader della sinistra moderata, Benedetto Cairoli. 
Il primo intervento diplomatico del nuovo esecutivo fu in merito alla crisi balcanica che si era aperta a causa della guerra tra Russia e Tuechia, in seguito alla quale Bismarck aveva promosso il Congresso di Berlino. Cairoli intendeva approfittare dell'occupazione austriaca in Bosnia per riottenere dall'Austria il Trentino, disegnando due diverse strategie di negoziazione a seconda delle de isioni del Congresso: nel caso in cui l'occupazione fosse stata infatti ratificata, il ministro degli Esteri Corti avrebbe do uto perorare la causa per la cessione del territorio irredento, mentre in caso contrario l'Italia avrebbe dovuto votare a favore dell'occupazione temporanea. Il Congresso affidò la Bosnia all'Austria ma i delegati italiani non avevano scelta: infatti tutti i delegati europei avevano votato a favore del provvedimento e una ricusazione avrebbe significato innescare una crisi internazionale. Così il governo si limitò a una semplice richiesta di chiarimenti, che confermò l'egemonia austriaca: a questo punto, per non compromettere le relazioni diplomatiche con Vienna e con gli altri paesi europei, l'Italia fu costretta a recedere ai suoi propositi. Il Congresso pensava di risarcire comunque l'Italia con Tripoli ma la delegazione italiana non accettò in quanto si trattava di una proposta inferiore e che avrebbe potuto creare una crisi con altre potenze: l'insuccesso fu accolto da manifestazioni di piazza che degenerarono in tumulti. Il clima di ostilità era ben testimoniato dai due tentativi di regicidio, il primo sventato sul nascere, il secondo effettivamente tentato, che erano stati organizzati negli ambienti anarchici. Il più pericoloso fu quello di Napoli, del 17 novembre 1878, di cui fu protagonista il giovane anarchico lucano Luigi Passannante, il quale durante la visita dei reali a bordo di una carrozza scoperta (in cui sedeva anche Cairoli) si lanciò verso il re armato di coltello gridando "viva la repubblica universale! " e inneggiando al patriota Felice Orsini, che aveva tentato di uccidere Napoleone III. L'attentato fu applaudito da molti socialisti e anarchici del periodo, tra cui anche il poeta Giovanni Pascoli. Passannante fu condannato a morte ma il re commutò la pena in un ergastolo, in quanto la condanna a morte doveva applicarsi solo in caso di un effettivo regicidio. Cairoli, che aveva cercato di fare da scudo al sovrano nel tentativo di assassinio, fu insignito della medaglia al valor militare, ma in realtà l'episodio di Napoli finì col peggiorare la sua posizione  per l'assenza di sicurezza e Cairoli fu costretto a dimettersi. Umberto affidò l'incarico di Primo Ministro a Depretis.

2 - IL SECONDO GOVERNO CAIROLI

Il nuovo governo durò pochi mesi: battuto alla Camera nel luglio 1879, Depretis fu costretto a dimettersi e la guida dell'esecutivo fu nuovamente affidata a Cairoli. Cairoli tuttavia fu costretto, in quanto privo della maggioranza necessaria, a chiedere aiuto proprio a Depretis, che fu nominato ministro dell'Interno. Primo provvedimento del secondo governo Cauroli fu la revoca della tassa sul macinato, che aveva permesso di raggiungere il pareggio di bilancio ma che aveva gravato i generi di prima necessità come il pane di un costo insopportabile per la popolazione, creando forti tensioni sociali. Era stato lo stesso re Umberto ad auspicare la revoca della tassa oltre che di altri provvedimenti. Il Parlamento approvò quindi  nel 1880 la riduzione progressiva della tassa sul macinato, che fu poi  definitivamente abolita nel 1884. In politica estera invece il vero obiettivo di Cairoli era la partecipazione dell'Italia alla campagna di colonizzazione, allo scopo di rilanciare la sua immagine a livello internazionale. La colonia su cui l'Italia aveva investito le sue aspettative era la Tunisia, che era stata già vincolata dalla Francia. Cairoli, che era contrario a una strategia di occupazione, aspettava il "placet" della Gran Bretagna, interessata a limitare lo strapotere francese nell'Africa del Nord, ma mentre l'Italia attendeva la Francia occupava forzatamente il territorio tunisino. L'ennesimo fallimento denotava la scarsa considerazione di cui il Paese godeva a livello internazionale. 
Era dunque necessario un cambiamento politico, di cui Cairoli era consapevole, sia in ambito internazionale, con un avvicinamento a Germania e Austria, sia in ambito locale con un nuovo esecutivo. Cairoli rassegnò le sue dimissioni nel 1881 e prese le distanze dalla vita politica. Il governo tornò ancora nelle mani di Depretis.

3 - L'ULTIMO GOVERNO DEPRETIS

Il nuovo governo Depretis aveva due obiettivi: continuare la serie di riforme sociali introdotta dal precedente esecutivo e portare l'Italia fuori dall'isolamento politico internazionale. Anche Depretis come Cairoli non godeva di una maggioranza piena: per questo motivo fu costretto alla spregiudicata politica del trasformismo, che finì non solo per annullare la differenza ideologica tra Destra e Sinistra Storica ma limitò l'efficacia delle riforme portate avanti dalla coalizione. In politica interna la riforma più importante fu quella elettorale, che estese il suffragio ai maschi sopra i 21 anni (invece che 25) e con un reddito di 19 lire annue (invece che 40). In politica estera le priorità di Depretis erano il rilancio della politica coloniale italiana, fallimentare dopo lo "schiaffo di Tunisi" e la ricerca di un'alleanza con Germania e Austria. 
A interessare Depretis era sopratutto l'Austria, in quanto Leone XIII stava facendo pressioni su diverse monarchie europee per un'alleanza diplomatica anti-italiana, allo scopp di ripristinare il vecchio Stato Pontificio. Depretis suggerì dunque ai reali una necessaria visita alla corte viennese. L'alleanza con un paese cattolico e conservatore come l'Austria era fondamentale e avrebbe messo l'Italia al riparo da insidie separatiste e irredentiste, oltre a costituire una valida sponsorizzazione politica in Europa. L'incontro tra i reali fu positivo: lo stesso zumberto fu insignito da Francesco Giuseppe di un titolo simbolico a comandante onorario del 28esimo Reggimento di Fanteria - che gli causò un calo di popolarità in patria, essendo il reparto in questione il protagonista della battaglia di Novara e dell'occupazione di Brescia. Il primo ministro austriaco, KALNOKY, di idee conservatrici e molto legato al papa, non vedeva di buon occhio la possibilità di un accordo tra Austria e Italia, accordo che era invece caldeggiato da Bismarck, preoccupato della - non remota - eventualità che l'Italia entrasse nell'alleanza tra Gran Bretagna, Francia e Russia. L'influenza di Bismarck convinse quindi Francesco Giuseppe e il suo cancelliere a iniziare le trattative con la diploma8- italiana: il primo atto di quella che sarà la Triplice Alleanza fu firmato il 20 maggio 1882. L'accordo prevedeva un reciproco soccorso tra le tre potenze, allontanando l'Italia dalla Francia e frenando in un qualche modo l'irrednrtismo anti-austriaco. Tuttavia l'accordo scatenò una nuova serie di tensioni sociali, che culminarono in un attentato, fallito, all'imperatore Francesco Giuseppe durante una sua visita a Trieste.
Contemporaneamente il governo italiano rilanciava la politica coloniale in Africa, con l'occupazione di Eitrea e Somalia e l'acquisto della baia di Assab dall'armatore Rubattino, a cui sarebbe dovuta seguire l'occupazione di Massaua, utile avamposto per iniziare l'avanzammo nell'entroterra sudanese: la Gran Bretagna però si oppose fermamente, bloccando di fatto l'Italia nel Corno d'Africa. L'Italia cercò tuttavia ancora un'ulteriore occupazione forzata di Asmara ma le truppe italiane furono sconfitte nel gennaio 1887 a Dogali dall'esercito etiope. La sconfitta in Abissinia fece crollare le quotazioni della sinistra, ma Depretis riuscì comunque a ricostruire una maggioranza (la cosiddetta Pentarchia) con l'aiuto di Crispi e Zanardelli.  Depretis morì proprio quell'anno e a succedergli fu Francesco Crispi.

4 - L'ITALIA CRISPINA E LA CAMPAGNA D'AFRICA

La politica interna del Crispi coincideva con uno dei periodi più difficili della storia italiana, poi culminato nella crisi di fine secolo. È importante sottolineare come per la prima volta il capo del governo è un effettivo Presidente del Consiglio dei Ministri, consiglio che non viene più presieduto dal re, il quale si limita a ricevere il capo del gabinetto al termine della riunione dell'esecutivo. Durante il governo crispino scoppia la rivolta dei Fasci Siciliani dei Lavoratori e i Moti Insurrezionali della Lunigiana, che indussero il governo alla cosiddetta "svolta radicale" con la proclamazione dello stato d'assedio e lo scioglimento di tutte le organizzazioni sospette: il Partito Socialista, le Camere del Lavoro e le Leghe Operaie.
Crispi era, a differenza di Depretis, un convinto sostenitore della politica coloniale africana, tanto da inviare subito in Eritrea un corposo contingente di ventimila uomini al comando del generale Baldissera. Crispi intendeva approfittare della lotta per il potere tra il Negus Giovanni IV e Menelik. Alla morte del Negus nel 1889 Menelik salì sul trono, destituendo il legittimo ras, e si autoproclamò Imperatore d'Etiopia, perorando l'aiuto italiano. Il 2 maggio 1889 fu firmato il Trattato di Uccialli, che riconosceva di fatto i territori italiani in Eritrea ma imponeva anche - grazie a una traduzione non corretta dell'art. 17 - il protettorato italiano sull'Etiopia in cambio di 4 milioni di lire. La cosiddetta beffa di Uccialli era destinata a essere scoperta quando, nel 1893, Menelik - ignaro del falso accordo - aveva trattato con la Francia ricevendo una perentoria richiesta di chiarimento da parte del govenro italiano. Per tutta risposta l'imperatore iniziò la guerra all'Italia. Crispi inviò subito in Africa un nuovo esercito, guidato stavolta dal generale Baratieri, che si unì alle truppe locali di ascari ma che sottovalutò la forza dellmesercito etiope. Nel 1895 l'esercito italiano fu sterminato nelle battaglie di Amba Alagi e Macallè e successivamente nella battaglia di Adua (1896). La sconfitta di Adua costò l'incarico a Crispi che fu sostituito da Di Rudinì: fu Di Rudinì a firmare la Pace di Addis Abeba che annullava il Trattato di Uccialli restituendo la sovranità all'Etiopia ma riconosceva i possedimenti italiani precedentemente occupati. La sconfitta di Adua segnava in definitiva la fine della sinistra storica al governo del Regno d'Italia.

5 - LA CRISI DI FINE SECOLO

Gli ultimi due governi dell'Italia umbertina furono quelli presieduti da Di Rudinì e da Pelloux. La monarchia era in crisi già dalla fase crispina, sia a causa del disastro di Adua sia a causa di uno scandalo, quello della Banca Romana, scoppiato nel 1893, che aveva visto il coinvolgimento dello stesso Umberto I, accusato di aver cntratto diversi debiti coperti attraverso i fondi dell'ex Banca dello Stato Pontificio. Spia della tensione sociale era stato anche il secondo attentato subito da Umberto nel 1897 ad opera dell'anarchico Pietro Acciarito. Malgrado Acciarito avesse confessato di aver agito da solo, il tentato regicidio fu ancora una volta attribuito a un complotto nato in ambienti anarco-socialisti e repubblicani. Il 7 maggio 1898 a Milano il popolo manifestò pubblicamnete il proprio disagio per il rincaro del prezzo dei cereali e sopratutto del grano, manifestazione che passò alla storia come protesta dello stomaco. Il generale Fiorenzo Bava Beccaris ordinò ai soldati, intervenuti per reprimere la manifestazione, di sparare ad alzo zero sulla folla inerme. Per ul massacro compiuto il generale ricevette anche un'onorificenza da parte del re, che acuì ulteriormente la tnsione sociale. Il governo Pelloux rispose quindi con una Politica più autoritaria che limitava le libertà di stampa e di riunione, e scioglieva di fatto diverse organizazioni socialiste, cattoliche e radicali. Ne fecero le spese anche politici come Turati e Costa, incarcerati per aver appoggiato e difeso la manifestazione di Milano. In Parlamento i socialisti - applicando la tecnica dell'ostruzionismo - sfiduciarono il governo Pelloux, obbligandolo allo sciogliemmo delle Camere e a indire nuove elezioni. La netta vittoria della sinistra indusse il re ad affidareil nuovo esecutivo nelle mani di Saracco. Il 29 luglio 1900, mentre si trovava in visita a Monza per presenziare a una cerimonia di premiazione, il re Umberto I subì l'attentato fatale che gli costò la vita, per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. L'attentato fi accolto cn molto scalpore dal Paese, tanto che i circoli anarchici e socialisti si affrettarono subito a prendere le distanze da Bresci, lasciando intendere che si trattava di una sua iniziativa personale e non collegabile a nessun gruppo politico attivo in Italia.

L'IMPERO AUSTRO-UNGARICO (1867-1900)
L'IMPERO RUSSO DAL 1870 AL 1900

1 - L'UNIFICAZIONE DI AUSTRIA E UNGHERIA

Dopo la guerra austro-prussiana del 1866 e la sconfitta austriaca a Sadowa - vittoria politica di Bismarck che di fatto sottraeva agli austriaci l'egemonia nella Confederazione - Francesco Giuseppe sentì la necessità di un avvicinamento all'Ungheria, sopratutto dopo l'invasione prussiana della Boemia. Così il 1867, dopo diverse trattative, vede siglato il cosiddetto AUSGLEICH (compromesso) tra le due corone, che formavano un unico Impero, suddiviso però in due autonomie territoriali, la CISLEITANIA (Austria) e la TRANSLEITANIA (Ungheria), separate dal punto di vista amministrativo. Con la pace di Praga l'Austria rinunciava quindi a ogni progetto espansionistico verso gli stati tedeschi, che nel 1871 avrebbero dto vita alla Germania, ripiegando verso i Balcani, area contesa dalla Russia. L'occupazione della Bosnia fu il primo atto dell'avanzata austriaca, ratificata dal Congresso di Berlino. Tuttavia, nel timore di un attacco russo, l'Austria fu costretta ad allearsi proprio con la Germania, dando vita nel 1879 alla Duplice Alleanza - estesa nel 1882 anche all'Italia come Triplice Alleanza - che avrebbe protetto l'Impero Austro-Ungarico in caso di invasione russa. Un altro importante passo fu nel 1881 l'alleanza con la Serbia, che chiese la protezione austro-ungarica. Nello stesso anno, il patto fa i tre imperatori riconosceva la zona di influenza austro-ungarica sui Balcani occidentali e divideva di fatto tra Russia e Austria le aree di influenza territoriale, con un accordo preventivo di consultazione sull'eventuale espansione nel decadente Imepro Ottomano; per contro alla Russia fu riconosciuta la sua posiziona negli Stretti del Bosforo, dei Dardanelli, e del Mar di Marmara, sbocchi strategici sul Mediterraneo. Bismarck intendeva evitare che l'Austria fosse coinvolta in controversie territoriali, alimentate dagli irredentismi locali: per questo convinse Vienna a estendere la Duplice Alleanza all'Italia, malgrado la diffidenza del primo ministro Kalnoky, e a un accordo con la Romania. Tuttavia gli accordi tra Austria e Italia risultarono generici e molto ambigui, e l'Italia riuscì a strappare una preziosa clausola che avrebbe dovuto garantire all'Italia un risarcimento in caso di un cambiamento nella situazione balcanica: fu probabilmente il mancato rispetto di questa clausola - inserita di fatto nel 1887 al rinnovo della Triplice Alleanza - a determinare gli attriti tra i due paesi prima della Grande Guerra. Sul fronte balcanico i rapporti tra Austria e Russia si raffreddarono a causa dei deu Accordi Mediterranei, che avevano precluso alla Russia l'accesso agli Stretti. Nel tentativo di evitare una crisi internazionale il nuovo primo ministro Goluchovski, succeduto a Kalnoky, avviò le trattative bilaterali con la Russia, che ebbero come conseguenza l'esclusione dell'Italia dai Balcani e la garanzia della neutralità russa in caso di conflitto tra Italia e Austria..

2 - LA CRISI DELl'IMPERO RUSSO

Il 1870 segna l'inizio della decadenza dell'Impero Russo. La mutata geografia politica europea, la presenza di tendenze anarchiche e populiste, i forti contrasti etnico-religiosi, e soprattutto una profonda depressione sociale ed economica, avevano finito col determinare la crisi che avrebbe portato l'impero alla dissoluzione. L'assassinio dello zar Alessandro II nel 1881 era la spia del malessere sociale che coronava una linea politica autoritaria ma incerta  sui propri obiettivi. Il disagio si era diffuso in Russia già negli anni Venti del XIX secolo, con la formazione di circoli culturali - la cosiddetta "intelligencja" - costituiti dapprima da giovani aristocratici, e poi estesi anche ai giovani borghesi, con idee progressiste e con una marcata preoccupazione per la situazione del loro paese. Negli anni Tenta si forma il circolo degli Slavofili di Mosca, espressione della nobiltà terriera russa, costituito da diversi intellettuali dell'epoca: l'obiettivo era quello di tutelare il patrimonio culturale russo, avviando un programma di riforme che discostasse la Russia dai modelli liberali delle corti europee, che gli slavofili disprezzavano. Pur essendo contrari alla servitù della gleba essi riconoscevano l'autocrazia dello zar, a cui spettava il compito di realizzare queste riforme sociali, preservando la tradizione della "obscina" ossia la comunità rurale russa, che ancora credeva in una sorta di agricoltura nomade: tale pratica, che escludeva ogni pretesa di privatizzazione delle terre, era stata soppressa quando il feudalesimo russo aveva introdotto profonde modifiche nel lavoro contadino, rendendo stanziali i contadini e obbligandoli a prestazioni gratuite e all'esazione delle decime. Questa consuetudine era stata ripresa nel progetto di riforme degli slvofili che pensavano in questo modo di arginare eventuali ventate rivoluzionarie del mondo agricolo. Contrapposti agli slavofili erano gli occidentalisti, favorevoli a uno sviluppo capitalistico del paese, che caldeggiavano un programma di riforme che abolisse il feudalesimo e l'autocrazia zarista, e che garantisse le libertà individuali. Parallelamente a questi circoli si sviluppò una corrente democratica e rivoluzionaria, sostenuta da diversi intellettuali che chiedevano la liberazione dei contadini e sposavano la prassi rivoluzionaria. La diffusione delle idee del socialismo utopistico in Francia, negli anni Quaranta, ebbero quindi una risonanza presso i circoli radicali che guardavano a un rinnovamento sociale. Il movimento si fece sentire maggiormente dopo il 1855, concluso il regno di Nicola I, all'avvento del figlio Alessandro. Nel 1861 fu emanato un nuvo Statuto che di fatto aboliva la servitù della gleba ma vincolava i contadini al villaggio, attraverso una serie di obbloghi che ricalcavano lo stesso schema del sistema feudale, con decime e corevèe, senza che la posizione economica dei lavoratori fosse effettivamente migliorata. Lo scopo della riforma era quello di liberare formalmente i contadini ma di evitare ogni tipo di organizzazione e di disordine sociale. Nelle campagne finì per ricrearsi lo stesso meccanismo di stratificazione tipico della società urbana, con una borghesia terriera, i kulaki, una media borghesia contadina e un proletariato rurale. Diversi giovani intellettuali russi si trasferivano nlle campagne per fare la vita dei contadini, allo scopo di essere identificati come guide delle masse rurarli. Ma il progetto non attecchì e il Governo iniziò una serie di azioni repressive volte a contenere un eventuale rigurigito rivoluzionario. Le misure repressive però inasprirono ancora di più il clima politico, fino a renderlo instabile, tanto che nel 1881 lo stesso zar fu messo a morte. 
La risposta del nuovo zar, Alessandro III, fu una decisa svolta autoritaria che compromise per sempre la stabilità dell'istituzione imperiale.  Oltre a rafforzare i controlli nelle campagne, il Governo aumentò ulteriormente la burocrazia e il potere del capitale. La situazione divenne irreversibile alla fine del secolo quando salì al potere l'ultimo zar, Nicola II, che sarà rovesciato nel 1917 durante la Rivoluzione Russa. Appena insediato sul trono il nuovo zar dovette fare i conti con una serie di scioperi degli operai e con diverse manifestazioni studentesche. In questo periodo si diffondono le idee di Marx grazie a Plechanov, che però spostò l'assetto rivoluzionario sul movimento operaio piuttosto che sul versante rurale, comsiderando l'industria il vero motore del paese. Nel 1898 si forma il Partito Operaio Socialdemocratico, seguito due anni dopo dal Partito Socialista Rivoluzionario, che diventerà il primo partito del paese. Ogni tentativo di protestare veniva represso duramente  dalla guardia imperiale.