martedì 12 aprile 2016

25 - Platone

PLATONE - LEZIONE 25
L’idea: la sua esistenza, la sua forma logica e i suoi rapporti col mondo sensibile. Il Parmenide.

25.1 - Nei dialoghi fino ad ora presentati abbiamo ricostruito le condizioni soggettive della conoscenza: 1) i concetti a priori tramite la reminiscenza (anamnesi) e l’immortalità dell’anima; 2) la motivazione alla conoscenza  attraverso l’amore (eros); 3) la dimostrazione e l’intuizione attraverso i gradi della conoscenza che portano all’intellezione (noesis). Adesso passiamo alla definizione del vero oggetto della conoscenza, ossia l’idea. Le domande che si pone Platone sono: 1) in che modo le idee sono pensate? 2) in che modo esistono rispetto alle cose? 3) come sono fatte? e 4) qual è il loro rapporto con il cosmo e la sua generazione? Alle prime due domande risponde il Parmenide, dialogo della vecchiaia, forse il dialogo più complesso e difficile della letteratura platonica, che racconta dell’incontro - molto improbabile - avvenuto ad Atene, in occasione delle Grandi Panatenee, tra l’allora giovane Socrate e i due maestri della Scuola di Elea Parmenide e Zenone. La prima parte del dialogo si apre con una dichiarazione polemica di Zenone che condanna la molteplicità degli enti. Se gli enti fossero molteplici, afferma Zenone, sorgerebbero infinite contraddizioni, poiché di ogni ente si dovrebbe dire che al tempo stesso è uno e molteplice, simile e dissimile, e via dicendo. Socrate interviene, obiettando che i molti possono certamente esistere, se però "partecipano" di certe "unità" da cui prendono il nome (per esempio chiameremo simili tutte le cose che "partecipano" all'idea della somiglianza). Non ci si deve perciò stupire se molte cose sono simili tra loro, continua Socrate, anzi, ci si dovrebbe invece stupire quando non lo sono. Ma Parmenide obietta al giovane interlocutore che la sua teoria mostra alcune difficoltà, e la prima riguarda proprio la natura stessa delle idee: le idee sono concetti elevati, assiologici, relative quindi a grandezza, bene, uguaglianza, o possiamo riferirle anche a cose ordinarie, tipo acuq, uomo, fango, e così via? Socrate appare perplesso. Parmenide continua, esponendo tre obiezioni:
1) una cosa che partecipa di un'idea partecipa di tutta l'idea o di una sola parte di essa? Socrate risponde che come il giorno illumina diverse terre e come un lenzuolo copre diversi uomini, così anche l'idea copre diverse cose, dividendosi in più parti.
2) se tutte le cose grandi sono simili poiché partecipano all'idea di grandezza, allora dobbiamo pensare che le cose grandi hanno qualcosa in comune, oltre  che tra di loro, anche con la stessa idea di grandezza? Se così fosse, continua Parmenide, ci dovrebbe essere sempre una nuova idea di grandezza che comprenda la cosa e le varie idee di grandezza che si succederebbero, in un processo all'infinito. Socrate risponde prima che le idee esistono solo nei pensieri, poi che sono solo dei modelli fissi di cui le cose sono copia, ma non riesce a evitare il paradosso.
3) come facciamo a conoscere le idee se noi possiamo pensare, attraverso l'esperienza, il solo piano sensibile, mentre le idee hanno natura ontologica? Se così fosse nessuno potrebbe conoscerle, neanche gli stessi dei.
La seconda parte del dialogo comprende l'indagine ipotetica sull'uno. Parmenide infatti accerta che la dottrina delle idee presenta diverse difficoltà, non ultima quella di non poter essere mai conosciute dagli uomini, e per questo motivo egli chiama in causa la giovane età di Socrate e il suo scarso allenamento filosofico. A tale proposito delinea un metodo argomentativo, per ipotesi, che presenta per ogni argomento due ipotesi, appunto, una affermativa e una negativa, di cui valuta tutte le conseguenze, allo scopo di evidenziare l'ipotesi vera da quella falsa. A fare da cvia a questo metodo è il giovane Aristotele, da non confondere con il filosofo omonimo, brillante giovinetto che diventerà uno dei Trenta Tiranni ateniesi. Il dialogo fra Parmenide e Aristotele, in forma diretta, verte sulle diverse conseguenze dell'esistenza o della non esistenza dell'uno, senza però approdare a nessuna conclusione. La conclusione del dialogo è perciò aporetica, come già accaduto nel Teeteto, e non giunge a una soluzione definitiva. Vediamo di seguito di trovare una risposta al problema della natura delle idee rispondendo dapprima a queste tre domane:
le idee sono cose?
le idee sono pensieri?
le idee sono modelli?

La prima definizione che Platone tenta di dare della natura dell’idea è che l’idea sia un oggetto, una cosa. Il titolo del dialogo non è casuale, il nome di Parmenide è infatti legato alla dottrina dell’ISOMORFISMO, dottrina secondo cui essere e pensiero corrispondono. Il problema di Platone è quello di individuare la natura delle idee attraverso il chiarimento del loro rapporto con le cose. Viene dunque formulata l’ipotesi secondo cui le cose sono partecipi delle idee, come se queste ultime si distribuissero sugli oggetti  e sui fenomeni “come delle lenzuola”, dando loro l’essere, ossia la possibilità di esistere, e accordando anche i nomi alle cose. Questo aspetto però fa emergere alcuni problemi. Il primo problema a emergere è il paradosso della cosiddetta REIFICAZIONE delle idee (da res, cioè cosa) secondo cui noi usiamo nel linguaggio comune dei concetti che non hanno un valore veramente universale, poiché la loro esistenza dipende dal linguaggio. Da questo problema ne emergono altri due. Il secondo problema è il paradosso dell’idea divisibile, secondo cui l’idea dovrebbe appartenere interamente a una cosa altrimenti la sua essenza non potrebbe esserle attribuita. Il terzo problema, che poi Aristotele chiamerà argomento del terzo uomo, riguarda la difficoltà di mettere in relazione idee e cose sensibili, per la presenza sempre di una terza idea a cui fare riferimento, in un processo all’infinito. In sostanza, il problema della partecipazione delle cose alle idee implica un doppio canale: non solo le cose partecipano alle idee ma anche il contrario. Questo aspetto però compromette la conoscenza della natura delle idee stesse.

25.2 - Dunque le idee non sono delle cose superiori alle altre. Si potrebbe dire che sono allora dei pensieri, quindi solo oggetti immateriali, non reali, della mente, usati per identificare le cose. In questo caso possiamo dire che il nome, che usiamo per classificare le cose, è solo uno strumento utile, che serve appunto solo per comodità a questo scopo. Il problema di questa affermazione è che se noi consideriamo le idee come dei pensieri, cioè come dei contenuti mentali, significa che esse hanno un carattere soggettivo e non oggettivo, ossia hanno valore solo per chi le pensa, valore che decade ovviamente appena noi smettiamo di pensarle. In questo caso allora se io chiamo un oggetto con il nome che io penso, questo nome vale solo per me stesso e non per tutti gli altri uomini che entrano in contatto con lo stesso oggetto. Verrebbe quindi a mancare la denotazione, cioè la possibilità di definire una classe di oggetti con lo stesso nome. Inoltre, considerare le idee come dei semplici prodotti della mente pone altre difficoltà. Infatti non possiamo considerarle in sé stesse, slegate cioè come estranee agli oggetti, e neanche staccate dagli oggetti a cui partecipano: innanzitutto non si può pensare il pensiero, e poi si pensa sempre un oggetto reale. 

25.3 - Scartiamo quindi sia la possibilità della reificazione (le idee sono cose), sia della idealizzazione (le idee sono pensieri). Se non sono né cose né pensieri potremmo avanzare l’ipotesi che siano dei modelli fissi. a cui le cose si riferiscono, degli archetipi. Dunque le cose sono copie delle idee? Non possiamo affermarlo: infatti se una cosa fosse copia dell’idea dovrebbe essere uguale all’idea stessa e non vi sarebbe ragione di distinguerla da essa. Se così fosse ogni volta che metteremo in relazione una cosa e la sua idea di riferimento dovremmo sempre trovare una nuova idea a cui riferire entrambe, in un processo all’infinito. Queste tre difficoltà dipendono però soprattutto dalla natura dualistica della filosofia platonica, che divide idee e cose in due mondi separati. Questa divisione ci porta a pensare che se tra idee e cose non ci fosse una relazione sarebbe inutile cercarla, poichè la natura di esse apparterrebbe a questo o all’altro mondo.

25.4 - Le idee non sono cose, non sono pensieri, non sono modelli. A questo punto sembrerebbe confermata la tesi di Parmenide, secondo cui la molteplicità non esiste, e davanti a noi si presentano due strade, o scegliamo la molteplicità, i sensi e l’opinione, e quindi l’impossibilità di conoscere per davvero, poiché la pluralità ci condanna all’errore, oppure scegliamo l’unità, le idee, che la perfezione, però è talmente elevata da allontanarci dalle cose sensibili. Appare chiaro che tra i due mondi ci DEVE essere una relazione. Ma in quale rapporto stanno questi due mondi? Che relazione c’è tra unità e molteplicità? In questa seconda parte del dialogo Platone presenta nove ipotesi, che riguardano la relazione fra uno e molti, e che sono in pratica una successiva articolazione delle tre possibili  relazioni tra uno e molti:
relazione tra uno e uno (tra uno e sé stesso)
relazione tra uno ed essere
relazione tra uno ed essere e non essere
La prima relazione mette l’uno in rapporto con sé stesso, e non può avere un carattere risolutivo poiché rende l’uno inconoscibile. A questa ipotesi, sterile, segue la seconda, più produttiva, che mette in relazione l’uno con l’essere. Questa ipotesi è feconda e produttiva perché l’unità non è più staccata dal molteplice, che anzi accoglie, permettendo il divenire (la generazione). La terza ipotesi è quella più perfetta, poichè introduce il tempo, ossia il momento in cui una cosa diventa un’altra cosa, assumendo il passaggio da ciò che era a ciò che è diventato un oggetto, e superando qui il non essere parmenideo, che non esisteva e non poteva essere pensato.

25.5 - L’argomentazione delle nove ipotesi conduce Platone a una soluzione, quella di considerare le idee in modo UNIVOCO sul piano ONTOLOGICO, , in cui tutto l’essere è riconducibile all’unità, e in modo EQUIVOCO sul piano LOGICO in cui l’essere si “frammenta” in essenza ed esistenza. L’idea platonica non ha infatti a che fare con il semplice aspetto formale, ma bensì è una vera e propria STRUTTURA, presente sia sul piano formale come eidos, cioè immagine, sia sul piano logico come idein, cioè funzione del pensiero. L’idea rappresenta dunque l’essenza di più cose simili tra loro, e allo stesso tempo esiste: quindi va considerata su due piani, quello univoco, in quanto cosa in sé e non conoscibile nella sua stessa essenza - piano ontologico - e quello equivoco della molteplicità, in cui svolge la funzione di raccordo - piano logico - tra più cose accomunate dalla medesima essenza. Per esempio: tutte le sedie - esistenti sul piano logico - sono accomunate dalla stessa essenza di sedia, cioè possono essere pensate come sedie, in base all’idea di sedia che “in sé stessa” - cioè sul piano ontologico - non può essere conosciuta. Quindi l’idea è non solo la rappresentazione di una certa cosa particolare, ma anche la rappresentazione di molte altre cose simili. La soluzione del dialogo è una conclusione ancora una volta aporetica, in quanto Platone chiarisce che non esiste una simmetria tra i due piani e quindi va a caolpire quell’identità di essere e pensiero che caratterizzava l’isomorfismo parmenideo: ma in questo modo non si svolge un corretto processo logico, che non potrebbe andare oltre i limiti del ragionamento per analogia, in cui i due termini modali di necessità e contingenza si sostituiscono ai concetti di universalità e particolarità, poiché lo stesso Platone chiude la possibilità di cogliere l’idea in sé stessa.