giovedì 21 aprile 2016

6 - Parmenide

PARMENIDE - LEZIONE 6
Parmenide e le caratteristiche dell’essere

6.1 - Dopo l’ontologia fondamentale, Parmenide prende in esame l’essere e il non essere in quanto relativi: si tratta del mondo dell’opinione e dell’apparenza, strada percorribile ma che non porta al vero per la contemporanea presenza di essere e di non essere in contrapposizione. Questa via ha due conseguenze, sul piano conoscitivo e su quello logico. Sul piano conoscitivo si tratta di un mondo falso, ma allo stesso tempo utile, in quanto è possibile, ammette Parmenide, usare le opinioni più convincenti per fini pratici - per esempio quando si vede il cielo a pecorelle e ci si aspetta che piove, perciò si esce con l’ombrello - anche se non sono supportate dalla verità. Al posto dell’identità e della contrapposizione dell’essere puro, all’essere relativo appartiene la gradualità, quindi la possibilità dell’opinione: il suo metodo di indagine non è logico ma analogico. Sul piano logico Parmenide non si occupa tanto del falso perché tanto il vero quanto il falso sono relativamente possibili. Questo ovviamente dà luogo a due soluzioni, una in cui una cosa è un po’ vera e un po’ falsa (secondo una logica di tipo bivalente), l’altra in cui qualcosa potrebbe essere vera (secondo una logica polivalente).

6.2 - La seconda parte dell’ontologia descrittiva riguarda l’essere assoluto. La domanda che si pone Parmenide è in che modo l’essere si presenta nella realtà. Affermare che qualcosa è in una logica arcaica e ancora nominalistica (per esempio: il fiore è rosso) significa indicare che questo qualcosa non è (il fiore non è giallo) ma questo ci riporterebbe nel mondo dell’opinione a una coesistenza di essere e di non essere. Dunque per descrivere l’essere assoluto occorre procedere negativamente e spogliarlo di tutti gli attributi, caratteristici del mondo sensibile. Qui il non essere assoluto - cioè il nulla - è già fuori gioco, e l’essere assoluto può essere conosciuto in maniera indiretta: possiamo conoscere l’essere assoluto in modo diretto solo ammettendo il non essere come contrasto. Per fare ciò è necessario che la negazione sia già contenuta nell’attributo sensibile del giudizio che esprime l’esistenza di una cosa: a = non b. Solo così non si corrompe l’essere col non essere. L’essere assoluto è così descritto:
a) non nasce e non muore (E è non-N e non-M): esso è INGENERATO e IMPERITURO: se così non fosse nascerebbe dal non essere e morirebbe nel non essere;
b) non ha passato né futuro, cioè è ATEMPORALE ed eternamente presente, per le stesse ragioni descritte in precedenza;
c) NON E’ FINITO - poiché ciò che è finito è destinato a finire, cioè a non essere più (si tratta di una infinità quantitativa) - ma DEFINITO ossia perfetto è completo, nel senso che non gli manca nulla in quanto se gli mancasse qualcosa sarebbe fuori dall’essere (si tratta di una finitezza qualitativa); Parmenide paragona l’essere a una sfera per descrivere il suo concetto di infinito che è da intendersi senza fine ma non in un senso spaziale quanto temporale;
d) è CONTINUO, non ha fratture, interruzioni, confini, è UNICO, ossia non molteplice, ed è FERMO, immobile, in pura quiete, in assenza di movimento.

6.3 - Nella filosofia parmenidea si ha il passaggio da una semantica nominale di derivazione eraclitea a una semantica PROPOSIZIONALE. Nella filosofia di Eraclito il nome aveva un valore univoco e indicava l’oggetto (N = O) tanto che il il discorso aveva per Eraclito un carattere contraddittorio. Nella filosofia parmenidea invece il nome è ridotto a una semplice apparenza: esso presuppone infatti una negazione Iil tavolo non è la sedia) in un modo perciò equivoco. Al contrario di Eraclito, che considerava il logos come parola elemento ultimo di una realtà in divenire, Parmenide non ammette un essere mutevole e per questo motivo afferma il primato del logos sull’epos, ossia del discorso sulla parola. Il logos eracliteo era il nome, quello parmenideo è invece la proposizione o giudizio, espresso nella forma “A è B” (soggetto + predicato). A differenza della semantica eraclitea il significato del nome non è dunque più legato all’oggetto ma dipende dalla proposizione. La differenza da  una semantica nominale è evidente: i nomi non appartengono alle cose ma sono usati per convenzione in modo biunivoco (per esempio: il fiore è quella cosa con i petali, il gambo e le foglie): la realtà non si mostra mai nelle singole parole ma a partire dalla loro unità proposizionale. Per comprendere il vantaggio di questa semantica occorre evidenziare alcuni aspetti.
Nella semantica nominale di Eraclito l’elemento - il nome - è univoco mentre l’intero - il discorso - è equivoco: tra nome e discorso esiste una distinzione di tipo qualitativo. Eraclito deve perciò individuare un principio immateriale che possa garantire la coerenza del discorso. Nella semantica proposizionale invece tra l’elemento - la proposizione - e l’intero - il discorso - esiste una distinzione quantitativa: il discorso è infatti un’articolazione complessa della proposizione e se questa è univoca tutto il discorso sarà univoco e viceversa.
Nella semantica nominale abbiamo dualità mentre in quella proposizionale abbiamo dualismo. In Parmenide esiste una netta separazione tra struttura superficiale e struttura profonda del linguaggio, che a sua volta riproduce la stessa separazione tra opinione e verità, una che proviene dai sensi e l’altra dal pensiero. Parmenide separa la percezione sensibile (il tavolo è verde) di ciò che è soggetto quindi alla negazione (se il tavolo è verde NON è rosso) dal pensiero (il tavolo è il tavolo), a differenza della semantica eraclitea in cui  ogni elemento fa parte del tutto e il tutto si trova in ogni elemento, senza  distinzione. Per questo motivo l’impostazione proposizionale è alla base della filosofia scienza moderna.