giovedì 7 aprile 2016

30 - Aristotele

ARISTOTELE - LEZIONE 30
La Logica come scienza: dalle idee alle classi.
Le categorie tra logica e realtà.

30.1 - La filosofia aristotelica tende a un sapere unitario. La conoscenza per Aristotele si sviluppa come un organismo vivente, formato da tante scienze particolari che ruotano attorno alla metafisica, o filosofia prima, che si occupa dell’essere. A mantenere unite queste scienze particolari è un filo conduttore comune, costituito dalla LOGICA o ANALITICA, che si incarica di garantire lo stesso procedimento pur nella diversità dei contenuti. La logica funziona come il sistema nervoso di un organismo, ha cioè il compito di preservare la correttezza del ragionamento e delle dimostrazioni, che sono le condizioni formali di ogni conoscenza, ma non prescrive un contenuto, così come i nervi recano la sensazione al cervello ma non sono essi stessi la sensazione. Per questo la logica ha una funzione preliminare alla conoscenza, anzi, come la definisce Aristotele, di strumento (organon). I termini utilizzati - logica e organon - non sono propriamente aristotelici ma più recenti, risalirebbero il primo a Cicerone e il secondo ad Alessandro di Afrodisia; tuttavia sono usati comunemente dal VI secolo d.C. per designare il complesso degli scritti aristotelici sull’argomento. Il termine corretto è ANALITICA, che indica il metodo di risoluzione di una conclusione sulla base delle sue premesse fondanti, ossia che ne accertano la validità. La logica aristotelica ha degli aspetti innovativi e degli aspetti comuni alla logica antica. Tra gli aspetti comuni ricordiamo:

il carattere ONTOLOGICO della logica, relativo all’essere, un ragionamento dimostrativo conforme alla realtà che ci dice “com’è” una cosa; 
i PRINCIPI LOGICI, non semplici regole ma proposizioni vere o false; quando una proposizione è vera, ciò che viene asserito esiste realmente;
la corrispondenza tra grammatica, logica e psicologia, in quanto i principi logici sono LEGGI DI NATURA  e REGOLE DEL PENSIERO, dato che non vi è differenza tra l’ENUNCIATO (la lingua) e la PROPOSIZIONE (il linguaggio).

Accanto a questi aspetti Aristotele ne introduce due, atti a dare una rigorosità scientifica e una maggiore sistematicità alla logica:

lo sviluppo e la critica della dottrina delle idee di Platone, che arriva a una rinnovata concezione delle idee non più come enti intelligibili ma come generi e specie;
l’approfondimento della forma e delle relazioni, sintattiche e semantiche, che si istituiscono all’interno del linguaggio ordinario.

A tal proposito distinguiamo una PRIMA LOGICA, in cui sono assenti formule sillogistiche e variabili, una SECONDA LOGICA di transizione, caratterizzata dall’uso iniziale di sillogismi e variabili, e infine una TERZA LOGICA, che contiene una sillogistica modale e una metalogica dei sillogismi. La logica si sviluppa dunque in modo complesso e sistematico partendo da una struttura che si potrebbe definire atomica - relativa cioè alle parti semplici - per giungere a una struttura di tipo molecolare - relativa ai giudizi - e molare - relativa ai ragionamenti - dando luogo a una compagine articolata come segue:

CATEGORIE - i termini, le parole e i concetti, come soggetti e come predicati;
SULL’INTERPRETAZIONE - l’enunciato, la proposizione e il giudizio;
ANALITICI PRIMI - la struttura generale del ragionamento sillogistico;
ANALITICI SECONDI - il sillogismo apodittico, scientifico e dimostrativo;
TOPICI - sillogismo dialettico e ipotetico;
ELENCHI SOFISTICI - il sillogismo sofistico o fallace.

Nel sistema aristotelico sussiste, come si può notare, una stretta correlazione tra pensiero e linguaggio. Il discorso di cui si occupa la logica si articola dunque in:
 
(secondo una prospettiva psicologica)
CONCETTI, semplici rappresentazioni di cose o situazioni;
GIUDIZI, concetti dotati di posizione di realtà, in grado di motivare l’esistenza o la non esistenza di una cosa in un dato contesto;
RAGIONAMENTI, concatenazioni di giudizi formate da due proposizioni, un presupposto e una conseguenza.

Si può anche dire che un discorso è logico quando è costituito da:

(secondo una prospettiva linguistica)
ARGOMENTI, a loro volta in funzione delle 
PROPOSIZIONI, a loro volta in funzione del significato di
TERMINI o ESPRESSIONI che costituiscono l’enunciato.

30.2 - Primo requisito di un discorso logico è quello dell’UNIVOCITA’ DEL LINGUAGGIO ovvero l’eliminazione di qualsiasi fraintendimento nella misura in cui un termine o concetto pul avere più significati. Si tratta di una condizione fondamentale per la chiarezza dell’argomentazione. A questo proposito Aristotele delinea una sua concezione circa il rapporto semantico tra nome e oggetto, cioè la relazione tra il segno e ciò che con questo segno viene designato, che si articola in tre forme correlative:

uno-uno: a ogni nome corrisponde un unico oggetto, come nel caso del nome proprio di un individuo, per esempio Mario Rossi;;
uno-molti: a ogni nome corrispondono più oggetti; qui si può verificare il caso dell’OMONIMIA, ASSOLUTA se relativa agli individui e alla specie, come per esempio dire “leone” che può riferirsi a un animale o a una costellazione, e RELATIVA se relativa ai soli individui ma non alla specie, come per esempio dire “animale” che può essere riferito a un uomo o a un bue;
molti-uno: è la cosiddetta relazione di SINONIMIA, ossia molti nomi per un solo individuo.

A queste tre forme correlative Aristotele ne aggiunge una quarta, quella della PARONIMIA, ossia la relazione molti-molti, una sintesi verticale di omonimia (diversità) e sinonimia (identità) che corrisponde all’accidente grammaticale della FLESSIONE del nome: in questa quarta forma il rapporto tra nome e oggetto non è diretto ma indiretto, ossia ricaviamo il suo significato da una radice (la flessione appunto) per esempio: medico, medicamento, medicale, medicina, medicinale hanno in comune la stessa radice. Si tratta di una forma molto importante per Aristotele poiché la userà per definire il rapporto uni-equivoco tra la sostanza e i suoi attributi.

Secondo requisito di un discorso logico è la CONNESSIONE PREDICATIVA. I nomi, presi da soli, non hanno senso rappresentativo, cioè non sono veri o falsi, lo acquistano in una connessione semantica. Non tutte le connessioni sono però semantiche, ossia rappresentative: la sola e unica connessione sintatticamente corretta e quindi avente senso rappresentativo è quella che comprende un soggetto e un predicato, poiché riproduce la stessa struttura ontologica del rapporto tra sostanza e attributo. Occorre però sottolineare che la connessione predicativa più consueta, quella sostenuta dalla copula “è” (per esempio: Socrate è un uomo) non è tipica della logica aristotelica: Aristotele usa infatti la connessione nella funzione di “appartenenza a qualcosa o qualcuno” (per esempio: l’umanità è di Socrate)  piuttosto che in quella di “essere qualcosa”: questo rende ancora più evidente l’esistenza di un criterio formale di oggettività che altrimenti non traspare dalla semplice relazione copulativa tra soggetto e predicato. Questo aspetto vale sia in una connessione di tipo affermativo sia di tipo negativo (per esempio nella frase “l’essere quadrupede non è di Socrate”). Va detto che l’attributo non indica  un “essere in” ma un “essere di”: tra il soggetto e l’attributo sussiste infatti un’ASIMMETRIA FUNZIONALE che rende non solo impossibile uno scambio tra la funzione soggettiva e quella predicativa ma anche la conversione dei due termini. Si tratta di una modalità che supera chiaramente l’accezione eleatica secondo cui ogni predicazione deve avere valore d’identità e che corrisponde alle relazioni di inclusione  e di appartenenza, che a differenza delle relazioni di identità non sono simmetriche.

Il terzo requisito di un discorso logico è costituito dal LIMITE SUPERIORE E INFERIORE DELLA CONNESSIONE PREDICATIVA. A definire la funzione di soggetto e predicato in una connessione predicativa è la struttura della realtà, in base alla gerarchia di generi e specie, o SOSTANZE SECONDE (che nella relazione predicativa possono avere carattere relativo, potendosi scambiare la funzione di soggetto e predicato: il bue è un animale) e degli individui, o SOSTANZE PRIME, che non possono MAI essere predicati. 
Le sostanze prime corrispondono all’uso DENOTATIVO del significato, ossia il nome proprio di un oggetto o il nome comune a un insieme di oggetti, le sostanze seconde corrispondono all’uso CONNOTATIVO, cioè l’attributo descrittivo di una qualità o di un insieme di qualità. I termini denotativi, individui o gruppi di individui, hanno valore estensionale e possono fungere solo da soggetti: essi costituiscono il limite inferiore della connessione predicativa. I termini connotativi, qualità o proprietà comuni a più individui,  hanno valore intensionale e possono fungere solo da predicati. Se il limite inferiore della relazione predicativa è costituito dalle sostanze prime, il limite superiore coincide con le CATEGORIE o GENERI SOMMI, i predicati ultimi e termini primitivi di un sistema, indefinibili, e indicate da Aristotele in numero di dieci: sostanza, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, situazione, abito, azione e passione. In alcuni scritti Aristotele ne indica solo otto, includendo abito e situazione sotto altre categorie.

Il quarto requisito di un discorso logico è rappresentato dalla SOSTANZA e dai RAPPORTI TRA LE CATEGORIE. Qui sono due gli aspetti degni di nota: la trascendentalità dell’essere rispetto alle categorie, ossia il presupposto necessario dell’esistenza e la sua realtà o immanenza, e la primalità della sostanza nei confronti dei suoi accidenti. Le ragioni di questa primalità sono:

1 - La sostanza è al tempo stesso attributo (ESSENZA) e soggetto, sostegno delle attribuzioni (SOSTRATO): in quanto essenza è CAUSA FORMALE di un fatto, ossia condizione della sua intelligibilità;  in quanto sostrato è CAUSA MATERIALE, ossia condizione della sua esistenza; la correlazione tra i due aspetti porta a identificare le sostanze prime come SINOLO, ossia unione indissolubile di materia e forma.

2 - La sostanza non può essere predicata di altre categorie ma solo di sé stessa, a differenza delle categorie che possono essere predicate della sostanza.

3 - Le relazioni tra le categorie sono garantite dalla sostanza (RELAZIONE INTERNA) mentre le relazioni tra le sostanze sono garantite solo dalla loro comune partecipazione alla stessa categorie (RELAZIONE ESTERNA) come conoscenza ma non come esistenza.

4 - Solo la sostanza può essere individuale, mentre le categorie non individuano il loro oggetto, solo la sostanza ha infatti un significato reale: poiché esse presuppongono la conoscenza ne deriva che gli individui, o sostanze prime, siano inconoscibili.

5 - Le sostanze seconde, GENERI e SPECIE, non possono includere, quanto a esistenza, le sostanze prime: un concetto per quanto ricco non rivela una POSIZIONE DI REALTA’ ossia non ci dice se qualcosa “esiste”. L’esistenza non può essere predicata dell’essenza.

6 - Il rapporto tra le categorie non è quindi di natura inclusiva o identitaria ma esclusiva: non si può dunque passare da un genere all’altro (METABASI).

7 - Tutti i termini compresi tra i due limiti indefinibili degli individui e delle categorie sono conoscibili attraverso la DEFINIZIONE, ossia il discorso che esprime l’essenza, formato dalla somma di genere prossimo e differenza specifica. In questo tipo di discorso soggetto e predicato sono interscambiabili.

Occorre infine sottolineare che i singoli termini non sono mai veri o falsi, in quanto questo implica unificazione o separazione, che sono caratteristiche solo del giudizio e della proposizione.