lunedì 21 marzo 2016

18 - Leibnitz

LEIBNITZ - LEZIONE 18
I principi della logica e la libertà dell’uomo

18.1 - A differenza di Descartes che ripudia la sua formazione aristotelica e scolastica, Leibnitz predica proprio il ritorno a quelle FORME SOSTANZIALI proprie della logica aristotelica e che ritroviamo nei suoi principi logici. Tutto il sistema leibnitziano non parte da singole idee o semplici concetti, bensì dal GIUDIZIO che ne costituisce la loro unità ORGANICA  e INDISSOLUBILE: se viene meno questa unità, vengono meno le sue componenti. A differenza di Descartes, interessato al significato di singoli termini, Leibnitz è interessato al giudizio, espresso nella tradizionale forma “S è P” dove S è il soggetto, P il predicato e la copula “è” rappresenta l’unità della forma giudicativa. Secondo il rigido determinismo causale logico, come quello di Spinoza, l’attribuzione di un predicato al soggetto risponde a una naturale conseguenza, come nelle relazioni di causa ed effetto (per esempio: il corpo è pesante): ciò significa che un predicato è necessariamente proprio di quel soggetto (per esempio la pesantezza che appartiene all’essere corpo, e per questo un giudizio è vero o falso. Se una cosa accade, accade perché doveva accadere, se non accade non doveva accadere. Il predicato si deduce quindi dal soggetto secondo un ordine causale rigoroso: cil che non può essere attribuito è impossibile. Anche l’uomo è soggetto di giudizio, soggetto per eccellenza essendo egli stesso depositario della facoltà di giudizio, ma è evidente che un sistema così chiuso precluderebbe all’uomo quella spontaneità che caratterizza la facoltà di giudicare. Leibnitz individua due tipi di verità, le verità di RAGIONE e le verità di FATTO, che appartengono ai due principi logici, quello di IDENTITA’ e quello di RAGION SUFFICIENTE.

VERITA’ DI RAGIONE - sono le verità logico-matematiche (per esempio: ogni parte è minore del tutto o 7+5=12), il loro prodotto è finito e la garanzia della predicazione è fondata sul principio di identità. Si tratta di verità eterne, e, a differenza di Descartes, Leibnitz afferma che non possono essere modificate neanche da Dio.
VERITA’ DI FATTO - sono le più complesse, poiché date da una infinita serie di predicati attribuibili al soggetto, che li deve contenere tutti perché siano possibili (per esempio: Cesare passò il Rubicone implica che il soggetto Cesare deve contenere tutti i possibili eventi oltre all’evento accaduto). In questo caso la garanzia della relazione predicativa col soggetto è garantita dal principio di ragion sufficiente, che funziona “a posteriori”. A differenza di Dio che è in grado di stabilire “a priori” una relazione di identità, all’uomo è consentito individuare la “buona ragione”, tra tutte le altre, che ha portato Cesare a maturare la decisione di varcare il Rubicone per attaccare Pompeo. Questa buona ragione esprime una libertà: data la natura finita dell’uomo non serve un infinito numero di possibilità a motivare l’evento, ma servono quelle sufficienti a determinare “perché” è accaduta quell’azione. In questo caso la scelta di Cesare non è necessaria ma libera.

18.2 - Leibnitz ammette nella sua logica la possibilità. Dio ha un intelletto, in cui sono contenute le idee, relative alle verità di ragione, che hanno carattere necessario, e alle verità di fatto, che hanno carattere possibile. Le sole idee che la mente di Dio non contiene sono quelle impossibili, per esempio il ferro di legno o il quadrato rotondo. Tutte le idee possibili stanno tra loro in rapporti reciproci secondo la compossibilità’ che evita l’inganno della contraddizione: per esempio è possibile cj Cesare adotti Ottaviano ma non il contrario. Accanto alla compossibilità Leibnitz pone la volontà stessa di Dio, che mette insieme le idee compossibili per creare il migliore dei mondi possibili. Tra tutti i mondi che Dio poteva creare questo è il migliore: si tratta di un principio applicato ovviamente alle sole verità di fatto e non a quelle di ragione, che rivela il traguardo finalistico del pensiero leibnitziano. Questa posizione, che di fatto non prevede una finalità etica, pone due ordini di problemi, il primo riguardante Dio e il secondo l’uomo.
Primo problema è quello della TEODICEA: se è vero che Dio ha creato il migliore mondo possibile come mai questo mondo non è veramente migliore di altri e sopratutto contiene il male? In realtà Dio non ha creato il migliore mondo possibile ma il migliore tra i mondi possibili: nessuno avrebbe potuto o potrebbe fare meglio di Dio, perché il mondo è come un complesso algoritmo costituito da tutte le idee compossibili che devono essere combinate tra di loro. Solo Dio può fare una cosa del genere, mentre gli uomini, dalla loro posizione limitata e finita, non sono in grado di capirne la complessità.
Da questo primo problema deriva il secondo, quello della LIBERTA’: è libero l’uomo? Le azioni umane sono libere nel migliore dei mondi possibili creato da Dio? Il problema scaturisce dal fatto che nella realtà effettiva ogni azione è  determinata da una serie di fattori e produce una serie di conseguenze. Da qui la natura causale della libertà dell’uomo, inserita nella complessa rete di predicati che caratterizza ogni azione. Leibnitz sostiene che Cesare passa il Rubicone liberamente, nel senso che Dio ha disposto che egli liberamente agisse in questo modo per dichiarare guerra a Pompeo. Si tratta quindi di una libertà vincolata dall’ordine finalistico del mondo effettivamente scelto da Dio e contro questa concezione di libertà si opporrà Kant rivolgendosi alla legge morale universale e incondizionata racchiusa dall’imperativo categorico.