sabato 5 marzo 2016

57 - Hegel

HEGEL - LEZIONE 57
La Fenomenologia dello Spirito

57.1 - Scritta nel 1806 e pubblicata un anno dopo, la Fenomenologia costituisce la prima parte del sistema hegeliano, come chiaramente indicato nel frontespizio del testo dell’opera, il cui sottotitolo non a caso riporta la dicitura “Sistema della scienza”. Coerentemente con il suo pensiero Hegel rifiuta di scrivere una parte introduttiva, poiché ritiene che sia del tutto inutile: se essa fosse estranea al contenuto risulterebbe non filosofica e perciò non pertinente, se risultasse invece relativa al contenuto sarebbe sicuramente già compresa in esso e quindi ancor più inutile. Predisporre degli strumenti di conoscenza prima della conoscenza significa mettersi a nuotare prima di essere entrati in acqua. Quest’opera hegeliana può essere quindi vista in un duplice aspetto, sia come introduzione al sistema vero e proprio, sia come una filosofia, poiché nella trattazione emergono i canoni del sistema compilato nell’Enciclopedia. Appare stridente il confronto con Schelling. 
La concezione dell’Assoluto schellinghiano viene ironicamente paragonata a una notte in cui tutte le vacche sono nere, con l’intento di voler significare la disindividualizzazione dei due elementi polari di sapere e sapere assoluto, unificati da Schelling, senza però coglierne la genesi fenomenologica, identificati in un tutto indistinto e immediato. Per questo il compito della Fenomenologia dello Spirito è quello di presentare attraverso un itinerario lo sviluppo storico della filosofia partendo dal gradino più basso della conoscenza, la rappresentazione sensibile, per giungere a una comprensione del ruolo FORMATIVO della coscienza, ed è appunto in questo senso che l’opera potrebbe definirsi quasi una storia romanzata della coscienza, o meglio, un Bildungroman (romanzo di formazione). La definizione non è casuale, Bild in tedesco significa appunto forma o immagine, e questa definizione affida in modo esplicito al testo il ruolo di spiegare la funzione formale della coscienza. Un aspetto peculiare di questo compito formale è la coesistenza, nel dispiegamento dell’itinerario fenomenologico, di due tendenze di sviluppo, una individuale (che conduce allo spirito e al sapere assoluto) e una universale (che presenta la storia dello spirito come una storia dell’umanità): coesistenza che appare evidente quando Hegel utilizza nel corso dell’argomentazione il riferimento a figure e situazioni relative alla storia dell’umanità. Si tratta di un compito espressamente chiarito da Hegel come pedagogico, in quanto il singolo deve ripercorrere le tappe di formazione dello spirito universale seguendo la strada già tracciata attraverso le figure della storia dell’umanità. Queste tappe sono distinguibili in coscienza, autocoscienza, ragione e spirito.

57.2 - Prima tappa del percorso è la coscienza, e il momento zero del sapere, è ovviamente la certezza sensibile. Si tratta della forma più immediata e istintiva di conoscenza e anche la più modesta, perché risulta estranea alla coscienza. La conoscenza sensibile sfrutta le sole determinazioni generiche dell’oggetto, colto nel suo momento presente, con una precisa collocazione spaziale e temporale e quindi slegato dalla dimensione atemporale della coscienza. Nella filosofia empirista assistiamo a una contrapposizione tra soggetto e oggetto, in cui l’oggetto non può mai essere veramente conosciuto, essendo determinatamente uno, ma anche molteplice. Questa visione conduce alla separazione kantiana tra fenomeno e cosa in sé, ossia la dimensione autonoma di un oggetto a prescindere dalla coscienza esistente. La sola possibilità di mediare questo conflitto è data dall’intelletto, che si preoccupa di cogliere la connessione tra gli aspetti relazionali e modali dell’oggetto percepito per “presentarlo” così alla coscienza (mediante gli strumenti delle categorie e dell’io penso).

57.3 - Passiamo alla seconda tappa di formazione, l’autocoscienza. Questa  seconda tappa dello sviluppo si rende necessaria proprio a causa della scissione tra soggetto e oggetto, che obbliga la coscienza a riflettere sulla conseguenza di tale separazione. L’aspetto della molteplicità non riguarda infatti soltanto gli oggetti, ma anche i soggetti, ognuno dei quali entra in relazione col mondo oggettuale, con le medesime peculiarità coscienziali. Per spiegare le nuove tappe di formazione dello spirito universale, Hegel si avvale di alcune figure della storia dell’umanità. La prima dimensione dello sviluppo dell’autocoscienza è tipicamente conflittuale, ed è legata alla concezione estranea dell’alterità, risolta con un rapporto di schiavitù. Nella dialettica servo-padrone Hegel rappresenta la lotta per la sopravvivenza delle diverse autocoscienze, che sono entrate in conflitto. Solo una può vincere e le autocoscienze hanno due alternative, o morire o essere ridotte in schiavitù.  Il soggetto padrone riconosce il proprio oggetto come cosa sua, mentre l’oggetto servo vive per il proprio altro, cioè il padrone. Ma proprio in questa contrapposizione emerge un rovesciamento dialettico: il servo lavora, e col lavoro acquista coscienza di sé stesso e del proprio valore, il padrone invece no. Questo significa che il vero schiavo è il padrone, che deve dipendere dal proprio servo. Prendendo coscienza della propria soggettività, l’autocoscienza prende le distanze dall’oggetto e dalla staticità della certezza sensibile, per emanciparsi. Si tratta di una vera e propria liberazione dalla cosa, cioè dalla dimensione oggettiva a cui la coscienza era relegata nella contrapposizione tra soggetto e oggetto, e caratterizzata dalla molteplicità. Ma questa liberazione non è così scontata come si potrebbe immaginare, e questo appare nella seconda figura che Hegel prende in considerazione, quella dello Stoicismo e dello Scetticismo. Lo schiavo che prende coscienza della propria soggettività non é detto che si debba liberare, potrebbe comunque decidere di conservare la propria condizione, pur non rinunciando alla propria soggettività. Questo è il caso del filosofo stoico, ma il vero compimento della libertà autocosciente sembra essere rappresentato dallo scettico, che si libera dal reale attraverso la negazione e il dubbio. Ma anche questa strada non soddisfa l’autocoscienza, che continua a perseverare nella ricerca illusoria di un affrancamento dalla realtà che conduce solo alla tristezza. Questo è il caso della coscienza infelice, che si manifesta nella religiosità medioevale quale terza figura dell’autocoscienza. Qui si può notare una chiara influenza del pensiero giovanile hegeliano, con preciso riferimento alla critica della religiosità ebraica e al suo aspetto scissorio tra Dio e uomo, in particolare Hegel fa riferimento al ruolo dell’asceta medievale, che cerca l’unione mistica con Dio: ma questa unione non si potrà mai compiere poiché l’atteggiamento dell’asceta parte da una visione separata tra uomo e Dio, tra soggettività e oggettività, atteggiamento che compromette la risoluzione del rapporto. La coscienza è infelice poiché ancora ignora l’assenza di una separazione del soggetto dall’oggetto e cerca nella trascendenza una impossibile mediazione tra due elementi che risultano già separati. Questa condizione però induce l’autocoscienza a riflettere sulla propria condizione e a elevarsi ancora.

57.4 - La ragione rappresenta il punto di svolta Fenomenologia dello Spirito, incarnando l’abbandono della ricerca della libertà e della mentalità scissoria che aveva caratterizzato le due tappe precedenti, determinata dalla distanza tra soggetto e oggetto. Ma la ragione non è ancora una vera conquista della libertà, poiché si presenta come una certezza e non come verità. 
Hegel descrive la ragione come certezza di ogni realtà. Questo aspetto però necessita di essere ancora suffragato dal rapporto con le cose ed è appunto a queste che la coscienza deve rivolgersi per ritrovarvi sé stessa. Il primo gradino è quello passivo della RAGIONE OSSERVATIVA, tipica delle scienze empiriche, che lascia la coscienza insoddisfatta e bramosa di un maggiore coinvolgimento. La ragione osservativa, infatti, è caratterizzata dalla necessaria schiavitù della coscienza dall’oggetto, legame che alla coscienza stà stretto. Si passa quindi alla RAGIONE ATTIVA. Qui passiamo da un contesto empirico a un contesto edonistico, quasi sentimentale, come nel percorso che dal Faustismo conduce al Romanticismo. Il mito di Faust è un mito che risale al XIV° secolo e simboleggia il rischio che l’uomo corre di perdere la propria anima in cambio di un sapere assoluto: proprio come fa Faust che vende la sua anima a Mefistofele. Nella trasposizione di Goethe compare la figura femminile di Margherita, che è una figura di redenzione. Nel racconto goethiano sono ben evidenti le polarità dialettiche che caratterizzano il percorso della coscienza alla ricerca di se stessa. Per superare la sua insoddisfazione la soggettività deve liberarsi del legame che allo stesso tempo la unisce all’oggetto e la separa da esso. La passione edonistica lascia il posto alla VIRTU’ quando la soggettività si rende conto di non essere schiava dell’oggetto e si impone su di esso. Hegel fa riferimento alla morale kantiana in cui solo una legge morale universale può imporsi alla dimensione oggettiva. Ma l’essere non può essere assoggettato al dover essere, e il dover essere non è a sua volta l’essere. Diventa quindi necessario un ulteriore innalzamento, il passaggio allo SPIRITO.

57.5 - Lo spirito è la quarta tappa del processo di ricongiungimento della coscienza alla dimensione oggettiva. In questa fase il traguardo consiste nell’abbandonare una prospettiva chiaramente soggettiva per evolversi in quello che Hegel definirà in seguito come spirito oggettivo, ossia una dimensione universale dell’oggettività. 
Il rigorismo etico non poteva prescindere, come si è visto, da una scissione tra essere e dover essere. Qui però Hegel non parla più di una ragione individuale, ma di un’etica comunitaria e statuale che sostituisce, alla moralità soggettiva, la bella vita etica del mondo greco. Anche in questo caso però il discorso non esula da un aspetto scissorio, quello tra le leggi divine e le leggi umane, come raffigurato dall’Antigone di Sofocle (di cui Hegel opera nella sua Estetica un’interessante rilettura critica). Antigone rifiuta di obbedire alle imposizioni del nuovo re di Tebe, Creonte, che le impedisce di dare sepoltura al fratello Polinice. Scoperta, viene relegata in una grotta, dove si impiccherà. Nonostante l’intervento dell’indovino Tiresia e le suppliche del coro, Creonte non sembra intenzionato a perdonare Antigone: lo farà troppo tardi, causando la morte del figlio, promesso sposo di Antigone, e di sua moglie Euridice. Hegel usa questa storia per spiegare l’insanabile conflitto tra le leggi della famiglia e quelle dello stato assoluto. Nella scissione Hegel però attribuisce maggior valore alle leggi dello stato, ritenendo la famiglia un’istituzione meno evoluta. A dare una precisa collocazione ad Antigone è la separazione etica tra essere e dover essere, ancora tipica di una morale soggettiva.
Questa scissione diventa irreversibile nel mondo romano, con l’affermazione del diritto e la riduzione della soggettività a persona, nel senso letterale di maschera. A soffrire maggiormente questo sdoppiamento è lo sviluppo della cultura, intesa come coesistenza di spirito individuale e spirito comune. Hegel vede nella cultura illuministica il primo esempio storico di cultura astratta, sterilmente irrigidita nell’erudizione empirico-scientifica, a cui si contrappone la fede religiosa, che in sostanza è un rovesciamento simmetrico della vita spirituale. Questa contrapposizione riflette per Hegel l’incapacità della scienza e della religione di cogliere in maniera complessa l’Assoluto, senza più scissioni tra soggettività e oggettività. Il passo successivo è dato quindi dal sapere assoluto, il grado più alto del sapere, che poggia sulla verità della coincidenza di soggetto e oggetto. Questo traguardo conclude di fatto la “pars destruens” hegeliana, da cui si evolve la sistematica successiva.