venerdì 11 marzo 2016

46 - Kant

KANT - LEZIONE 46
La fondazione critica della morale

46.1 - Kant perviene a una formulazione della morale in due opere, LA FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI COSTUMI  e la CRITICA DELLA RAGION PRATICA. Come già nel caso dei Prolegomeni e della Critica della Ragion Pura la differenza tra queste due opere è in sostanza metodologico, di natura analitica la Fondazione, di natura sintetica la Critica. Le due opere sono accomunate dall’impostazione critica, che muova nella prima dalla coscienza e dai giudizi morali, allo scopo di mostrarne gli elementi costitutivi e definirne le condizioni a priori, mentre la seconda segue il processo inverso e parte proprio da queste condizioni. Occorre sottolineare che la moralità kantiana è un’attività pratica che ha un valore universale e necessario, che esula da qualsiasi elemento empirico. La fondazione della morale kantiana si caratterizza per formalità, universalità, autonomia e sopratutto razionalità: le azioni morali sono infatti volontarie e dettate dalla ragione, unica legislatrice. La ragione trova infatti il suo campo  di applicazione proprio sul pratico e morale, in cui la legge morale universale seguita dagli uomini appartiene all’incondizionato e non viene legittimata dalle azioni degli stessi uomini, a differenza del campo conoscitivo in cui la realtà del fenomeno dipendeva dal  soggetto e non poteva quindi avere ragione di esistere in sé. Si deve osservare prima di tutto che il concetto di moralità di Kant si oppone a quelli di santità, di legalità e di ricerca della felicità. L’adeguamento alla legge morale non deve infatti contenere uno scopo, un fine ultimo: non possiamo definire morale un adeguamento spontaneo alla moralità senza un conflitto tra la ragione e la volontà sensibile, e neanche un comportamento che contrasta con la propria indole, e che viene forzato perché non si deve violare la legge; sopratutto non si deve definire morale un comportamento basato sull’amore per sé stessi, relativo cioè alla propria felicità, poiché ridurrebbe la morale a una dimensione “fisica” e variabile da individuo a individuo. La legge morale deve avere carattere UNIVERSALE  e NECESSARIO e deve essere pertanto costituita A PRIORI.

46.2 - L’indagine kantiana della morale parte dalla FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI COSTUMI, in cui Kant procede dalla tenedenza degli uomini ad assegnare giudizi di natura morale: certi comportamenti sono buoni, altri non lo sono. Ora, dice Kant, non esiste un concetto di buono in sé stesso, ma solo in riferimento agli scopi della volontà buona. Kant chiama  volontà buona l’agire per dovere, che deve essere animato da una intenzione: non basta infatti semplicemente comportarsi bene, in conformità  alla legge, questa sarebbe legalità ma non moralità, poiché lo scopo è quello di non trasgredire e quindi di non finire, per esempio, in prigione. Un uomo potrebbe agire anche perché costretto o per secondi fini: la volontà buona esige invece il dovere per il dovere. Un’azione morale è infatti disinteressata. Essa prescinde da qualsiasi scopo, ed esclude assolutamente la ricerca della felicità. Questo aspetto della morale kantiana - cioè il dovere per il dovere - si chiama RIGORISMO. A questo si accompagna un altro aspetto che si chiama FORMALISMO. La legge morale infatti non prescrive il contenuto di una certa azione - ossia il cosa dobbiamo fare - ma solo la sua forma, ossia il come dobbiamo agire. Questi aspetti allontanano quindi la morale kantiana da altre dottrine che basano iil principio della legge morale sul piacere (edonismo), sull’utile (utilitarismo) o sulla felicità (eudemonismo), ma anche sull’altruismo, sulla benevolenza. o addirittura sulla concezione che la moralità sia innata nell’essere umano, tutte dottrine che fanno del principio della legge morale un elemento empirico e di soggettivo, ovvero contingente e variabile da soggetto a soggetto. La legge morale trova infatti il suo oggetto nella ragione e deve essere UNIVERSALE e  e NECESSARIA.

46.3 - All’inizio della CRITICA DELLA RAGION PRATICA Kant divide i principi pratici in MASSIME e LEGGI, le prime di natura soggettiva, valide cioè solo per il singolo individuo, le seconde di natura oggettiva, valide cioè per tutti i soggetti pensanti. Poiché l’uomo è un essere razionale finito, e le sue azioni sono spesso deviate da esigenze esterne, è necessario che le leggi abbiano il carattere di IMPERATIVI, che consistono cioè di obbligazioni per la nostra volontà, espresse col verbo dovere. Gli imperativi si distinguono in imperativi IPOTETICI, che contengono un fine ultimo da raggiungere (esempio: se vuoi essere promosso allora devi studiare), e CATEGORICI, che non hanno uno scopo ma un obbligo preciso (esempio: devi studiare!).
Gli imperativi ipotetici sono caratterizzati da uno scopo ultimo, che influenza l’azione e quindi sono condizionati da una volontà. Kant li divide ulteriormente in REGOLE DELL’ABILITA’  e  CONSIGLI DELLA PRUDENZA: le prime sono più che altro delle norme tecniche, i secondi rappresentano i mezzi necessari per raggiungere uno scopo, e quindi il proprio benessere. 
Ovviamente nessuno dei due può essere considerato un principio morale, essendo appunto condizionati a un fine. Solo l’imperativo categorico vale come principio, poiché incondizionato. Esso coincide col concetto di buono in sé: non dipende infatti da un fine e non riguarda un contenuto, ma adegua la massima delle nostre azioni alla legge morale. Nonostante sia un obbligo morale il dovere dell’imperativo categorico non è da intendersi come una necessità, nel senso che non è detto che “deve accadere” e che “non può non accadere”, esso infatti può essere anche contraddetto, lasciando alla libertà del soggetto il compito di scegliere come agire. In questo senso la necessità della legge morale viene vista da Kant come un DOVER ESSERE   e non come un essere, una legge di natura, per cui le cose accadono perché devono accadere, come nel meccanismo razionalistico cartesiano.

46.4 - Nella Fondazione della Metafisica dei Costumi Kant distingue tre formule dell’imperativo categorico, strettamente collegate tra di loro,.
Tutti e tre dipendono dalla formula principale, AGISCI SEMPRE SECONDO QUELLA MASSIMA CHE AL TEMPO STESSO VUOI CHE DIVENTI UNA LEGGE UNIVERSALE. Il significato è chiaro: le azioni del soggetto devono rispecchiare il valore di questa massima e quindi essere valide per qualsiasi soggetto razionale, in modo universale. Perché sia considerata morale un’azione non deve contrastare con questa massima. Ma come si fa a sapere se un soggetto vuole davvero questo? Se io faccio una promessa già con l’intenzione di non mantenerla non vorrei che questo mio comportamento venisse elevato al rango di legge universale, poiché a questo punto cadrebbe lo stesso significato di promessa. Ugualmente possiamo applicare questo sistema ad altre situazioni, per esempio la facoltà di suicidarsi quando si hanno problemi, lasciare la mente incolta, oppure disinteressarsi dei problemi degli altri. Come si vede la riflessione etica di Kant non si discosta da ciò che la coscienza già prescrive: di fatto egli non intende certo riformulare una nuova legge morale quanto fondare i principi che la regolano. Per Kant la legge morale è un fatto della ragione ma sta alla base di tutti quei giudizi che la coscienza esprime.
Nella seconda formula dell’imperativo categorico Kant mette in evidenza i fini che una volontà pura deve perseguire. La formula recita AGISCI SEMPRE IN MODO DA TRATTARE L’UMANITA’ COME UN FINE E NON COME MEZZO. Un imperativo categorico non può avere certamente fini di natura empirica, altrimenti sarebbe ipotetico; deve avere solo dei fini in sé, che abbiano un valore assoluto e incondizionato, e l’unico fine in sé è l’uomo. La seconda formula si rivolge direttamente all’uomo in quanto fine della volontà pura. mai mezzo per il raggiungimento di fini empirici.
Da qui deriva la terza formula dell’imperativo categorico. Se l’uomo in quanto fine è destinatario della legge morale questa legge non può trovarsi fuori di lui come qualcosa di esterno che viene imposto all’uomo come obbligo, ma deve essere l’uomo stesso l’autore di questa legge. La terza formula quindi recita: AGISCI SEMPRE IN MODO CHE LA MASSIMA DELLA TUA VOLONTA’ POSSA COSTITUIRE UN PRINCIPIO DI LEGISLAZIONE UNIVERSALE. Il mondo morale è dunque per Kant un regno dei fini, come ideale regolativo a cui deve conformarsi l’agire umano, individuale e collettivo.