venerdì 4 marzo 2016

58 - Hegel

HEGEL - LEZIONE 58
La Scienza della Logica

58.1 - La Scienza della Logica è l’opera scritta da Hegel successivamente alla Fenomenologia dello Spirito. Chiamata anche Logica di Norimberga nella sua formulazione originale, poiché fu scritta durante il periodo in cui Hegel insegnava a Norimberga, consiste di tre libri (Dottrina dell’Essere, Dottrina dell’Essenza e Dottrina del Concetto) che videro la luce nell’arco di cinque anni. Di questi solo il primo fu sottoposto a revisione durante il periodo berlinese di Hegel e per questo motivo la Dottrina dell’Essere viene anche chiamata Logica di Berlino. I tre libri della Scienza della Logica sono ulteriormente organizzati in due volumi, la Logica Oggettiva che ricomprende le prime due dottrine, e la Logica Soggettiva che comprende la sola Dottrina del Concetto. La Logica Oggettiva parte dal sapere assoluto, il traguardo della pars destruens hegeliana formulata nella Fenomenologia dello Spirito, dispiegando l’identità di essere e pensiero nelle sue strutture oggettive. Hegel la considera la sostituzione della vecchia metafisica, in particolare l’ontologia. Il compito invece della Logica Soggettiva è quello di mostrare come dall’identità di essere e di pensiero nasca la soggettività, e ovviamente l’oggettività a essa correlata. 
Si tratta evidentemente della pars construens hegeliana, che completa il percorso già iniziato nella Fenomenologia: mediata la contrapposizione tra soggetto e oggetto, Hegel intende mostrare il modo in cui si istruisce un processo conoscitivo, spiegando perché esiste il soggetto e il modo in cui si struttura oggettivamente e soggettivamente la conoscenza del reale. Quello della Scienza della Logica Hegeliana è un compito ambizioso che distingue la logica di Hegel da tutte le altre, infatti egli intende rifondare sostanzialmente lo stesso concetto di logica, mostrando la verità come appare in sé e per sé, cioè senza veli. Lo stesso Hegel scrive coloritamente di voler mostrare Dio come appare nella sua essenza, prima della creazione della natura e dello spirito finito: questo fa della logica hegeliana non semplicemente una scienza del pensiero, ma una scienza della ragione pura, in cui la deduzione delle categorie non riguarda più il solo pensiero, ma le determinazioni fondamentali del reale. 

58.2 - La domanda che costituisce il punto di partenza della Dottrina dell’Essere è: come può cominciare una scienza? La questione sarebbe facilmente risolvibile se ci trovassimo nell’ambito di un’altra logica in cui si parte sempre dall’oggetto percepito quale determinazione finita di un reale, ma il compito della logica hegeliana è quello di mettere in evidenza non tanto come nascono le varie determinazioni del reale, quanto il principio stesso della determinazione, ovvero il modo in cui è possibile determinare il contenuto del pensiero e del reale. Proprio per questo motivo Hegel ritiene necessario partire dal “momento zero” del processo conoscitivo, un gradino prima che qualcosa sia determinato, che però paradossalmente deve già essere perché altrimenti non lo si potrebbe pensare. Il senso di questo inizio, di questo cominciamento, è racchiuso nell’indeterminazione di qualcosa che non è più ciò che era prima e non è ancora quello che sarà, ma va comunque ad essere, come quando sul fare dell’alba si fa giorno e ancora non è giorno, ma allo stesso tempo non è più notte: non è ancora un giorno determinato, ma va a diventare tale. Ciò che é già e non è ancora, è descritto da Hegel come una IMMEDIATEZZA NON DETERMINATA. Non potrebbe affatto esistere una mediazione prima dell’inizio poiché la mediazione risolve una contrapposizione tra due polarità contrapposte e, se fosse così, sarebbe un falso inizio, e si dovrebbe continuare a cercare il principio, ossia il motore di quella determinazione. L’immediatezza non determinata corrisponde per Hegel all’essere in generale, cioè all’essere privo di qualsiasi determinazione. Si tratta in pratica di un essere vuoto, di cui possiamo solo dire eleaticamente che esiste, ma di cui non possiamo sapere altro. E questo essere inevitabilmente trapassa nel nulla, ossia l’affermazione della sua vuotezza. L’oscillazione tra essere e nulla costituisce il vero inizio della logica hegeliana. Appare infatti evidente che nel momento in cui l’essere muore nel nulla, cioè nel non essere, comincia paradossalmente la sua vera nascita. Parmenide sosteneva che il non essere non potesse venire pensato, mentre il nulla hegeliano dev’essere pensato come immediatezza indeterminata di qualcosa che va verso l’essere. Essere e nulla, nella loro assoluta indeterminazione, sono principi che si esigono a vicenda: va sottolineato che tra essi non esiste una vera contrapposizione, ma una complementarità rivelata dai rispettivi ruoli non determinati. La loro verità è data dal successivo superamento nel divenire, ossia il momento in cui essere e nulla si separano nella determinazione di qualcosa che, allo stesso tempo, è “questo” e non è più “altro”, una differenza che però, allo stesso tempo, non genera una vera contrapposizione in quanto è immediatamente risolta. Essere, nulla e divenire sono gli elementi che costituiscono la prima triade della Scienza della Logica.
Il divenire non va inteso come un continuo fluire. Hegel lo considera infatti come un luogo di mediazione tra l’essere e il nulla non determinati, da cui scaturisce l’essere determinato, non più in generale, quindi dotato di qualità. La qualità è la prima categoria a essere dedotta, nel senso proprio di determinatezza esistente. Essa è negazione poiché rappresenta la differenza tra ciò che adesso è e ciò che non è più, ma è una negazione che non annulla, bensì determina. Il suo togliersi consiste nella determinazione dell’essere, che non è più un essere in generale, ma diventa un esserci e successivamente un ens, ossia un qualcosa che esiste e possiede delle attribuzioni qualitative. Questo ens è finito, ossia è diverso da tutti gli altri, ha un valore negativo poiché un ente determinato qualitativamente, non è uguale a un altro. L’elemento che contraddistingue questa diversità è il concetto di LIMITE, inteso non tanto staticamente nella sua accezione di confine, quanto dinamicamente nel senso di CONTRADDIZIONE. Coerentemente con la sua opposizione a ogni filosofia scissoria della relazione tra infinito e finito, Hegel ribadisce nel principio di contraddizione l’intima unità dialettica degli opposti, in cui l’infinito diventa negazione della negazione, ossia annullamento del limite del finito e perciò l’infinito è esso stesso la vera natura del finito. L’infinito è veramente reale poiché si basa sulla negazione di qualsiasi limite, mentre il finito è ideale e astratto, proprio perché limitato dalla contraddizione e quindi non mediato. Il rapporto tra uno e molti è espressione della negazione contraddittiva presente nella determinatezza, e consente ad Hegel di dedurre la seconda categoria, quella della quantità, che rappresenta la negazione della qualità, in quanto, come scrive Hegel, è una determinatezza che prescinde dal contenuto, cioè dalla qualità: la qualità è la determinatezza prima, cioè immediata, mentre la quantità è la determinatezza seconda che è indifferente all’essere qualitativo. Questo passaggio però comporta un problema: la quantità, come negazione della qualità, è un limite e allo stesso tempo un non limite, poiché è indifferente all’essere e risulterebbe per questo motivo estranea al reale. Per ripristinare la categoria della qualità Hegel ha bisogno di un ulteriore elemento negativo, una negazione della negazione della negazione, che è la MISURA. La misura è per Hegel l’unica categoria nel senso proprio del termine, poiché supera il concetto di variabilità della qualità e della quantità, anzi, la misura conferisce proprio il valore di questa variabilità, ponendo però la necessità di una ricerca della ragion d’essere di questa variazione. Infatti nella realtà la qualità sussiste sempre in un certo grado, e la quantità determina il grado in cui sussiste una qualità: la misura invece supera la contrapposizione tra quantità e qualità.

58.3 - Si profila adesso il passaggio all’essenza. Nella prima parte della Scienza della Logica, relativa alla Dottrina dell’Essere, l’essere viene considerato in sé. Nel libro della Dottrina dell’Essenza invece prendiamo in considerazione le relazioni intrinseche all’essere. L’essenza è la riflessione che l’essere fa su se stesso, una riflessione interna, come precisa Hegel, ben diversa dalla riflessione esterna tipicamente intellettuale e astratta. Per suo tramite l’essere esce dalla sua immediatezza per diventare oggetto del pensiero, che cerca di coglierlo nella sua verità. L’essenza rappresenta la verità dell’essere. La riflessione interna va alla ricerca di un nucleo ontologico che va oltre la contrapposizione tra qualità e quantità. Mentre nell’essere abbiamo visto un essere generico, che diventa nell’immediatezza, ens, cioè ente determinato dai predicati di qualità e quantità mediati dalla misura, nell’essenza è un movimento ulteriore di ripiegamento, la riflessione che l’essere compie al suo interno alla ricerca del suo fondamento, Hegel dice proprio che si interna in un gesto simile alla conoscenza. In poche parole l’essenza rivela ciò che sta dietro all’essere. In quanto verità dell’essere, l’essenza segue un percorso riflessivo che porta alla concretezza, conformemente alla coincidenza di razionale e reale. L’essenza viene indagata prima nel suo momento in sé, ossia come appare essa stessa al pensiero; in un secondo momento viene indagata in relazione all’esistenza di cui l’essenza è negazione determinata, ossia il modo in cui essa si manifesta in quanto fenomeno; infine l’essenza viene indagata nell’ambito della realtà  quale sintesi di pensiero e di esistenza.
Nella prima parte della Dottrina dell’Essenza Hegel fa i conti con i due pilastri della logica aristotelica, che poi sono i pilastri della logica classica, ossia il principio d’identità e quello di contraddizione, di cui critica il formalismo astratto e meramente intellettualistico. Il principio d’identità aristotelico (a è uguale ad a) è viziato dalla mancanza, nell’identità dei due elementi, della differenza dal non a. In questo senso il principio d’identità non esclude la contraddizione, anzi, trova il suo vero significato proprio in essa. Infatti è proprio da questa contraddizione che si rivela l’elemento centrale della Dottrina dell’Essenza, ossia il FONDAMENTO, che pone l’essenza come la verità dell’essere. Il fondamento nasce proprio dalla fusione dei due elementi contraddittori, positivo e negativo, che rovinano, “precipitano” come scrive Hegel, sul fondo dell’essenza, costituendone la base. Si noti come Hegel attribuisce al fondamento il ruolo di mediatore e unificatore dei due contraddittori, ritenendo falsa la contraddizione che si limita a separare, negando. Non basta infatti dire che a è uguale ad a, ma bisogna dire anche che a, essendo uguale ad a, è diverso da b, c e d: l’essenza è uguale a sé stessa e diversa da tutte le altre essenze. Nella dialettica del fondamento si oppongono due FIGURE, una di natura formale, la FORMA, e una di natura reale, la CONDIZIONE. Queste due figure si alternano, fino a quando il possesso della condizione di una cosa, non fa entrare la cosa nell’esistenza, cioè nella REALTA’ EFFETTUALE, che poi è l’ultima categoria individuata da Hegel nella Logica Oggettiva.

58.4 - Alla Dottrina del Concetto spetta il compito di rivelare l’intero. Il concetto non va confuso con il significato attribuito dalla logica tradizionale, dove risulta prodotto del pensiero astratto, il concetto hegeliano è prodotto della ragione ed esso stesso Assoluto soggettivo. Nasce quale risultato del processo logico iniziato con l’essere, e proseguito con la sua riflessione interna dell’essenza, e risulta preesistente al processo stesso, proprio in virtù dell’identità di essere e pensiero che qui si rivela. Anche questa parte della Scienza della Logica viene sviluppata in tre momenti:
- il primo riguarda l’aspetto soggettivo, e qui Hegel ripercorre i passaggi tipici della logica formale, che distingueva il pensiero dal suo contenuto, ossia il concetto logico, il giudizio e il sillogismo;
- il secondo riguarda l’oggettività e concerne il tentativo d’interpretare dal punto di vista concettuale la natura, studiata nei suoi tre aspetti, meccanismo, chimismo e finalismo;
- il terzo infine riguarda la sintesi della soggettività e dell’oggettività nell’idea, tappa conclusiva della conoscenza e nel traguardo dell’idea assoluta raffigura la logica stessa nella sua interezza.
Quello della logica hegeliana è quindi un percorso circolare in cui cominciamento e compimento sono coincidenti: dall’essere genericamente assoluto all’idea assoluta. Non si tratta di un giro vano, ma strutturato nell’articolazione degli aspetti triadici sintetizzati nell’identità di pensiero e di realtà: il concetto in sé (tesi) quale pensiero irriflessivamente posto, il concetto per sé (antitesi) quale pensiero che riflette se stesso, e infine il concetto in sé e per sé (sintesi) cioè il pensiero che torna a se stesso nella mediazione, dopo aver superato i momenti dell’essere e dell’essenza. Acquisita la realtà, il concetto muove verso le successive estrinsecazioni della natura, della storia e del sapere.

APPROFONDIMENTO SULLA DOTTRINA DEL CONCETTO

La Logica Oggettiva prendeva dichiaratamente le distanze dalla metafisica precedente, quella wolffiana e quella kantiana, articolata in methaphysica generalis o ontologia, che ruota intorno all’ens in generale, e methaphysica specialis o ontologia razionale, relativa alla partizione utilizzata da Kant nella Dialettica Trascendentale. Quella hegeliana è essa stessa un’ontologia ma, supportata dal pilastro dialettico della coincidenza tra realtà e pensiero, la Logica Oggettiva hegeliana giunge, in un processo circolare, a far emergere dalla realtà effettuale il traguardo successivo, quello del concetto, a cui viene dedicata la Logica Soggettiva. Se la Logica Oggettiva muove sul percorso tracciato dalle ontologie platonica e aristotelica, la Logica Soggettiva muove sul percorso tracciato da Kant. Hegel però non si limita a seguire il percorso kantiano, ancora chiuso nella scissione irrisolta di fenomeno e cosa in sé: la soggettività hegeliana ha un carattere comprensivo, che si traduce proprio nella seconda parte della Scienza della Logica con la Dottrina del Concetto, nel senso dell’etimo latino del concipere (racchiudere), e del corrispettivo tedesco begreifen, da cui Begriff, concetto.

La prima parte della Dottrina del Concetto, dedicata alla soggettività, intende mettere in luce proprio la struttura stessa del concetto. Si tratta di una prospettiva molto diversa, soggettiva appunto, rispetto a quella oggettiva e formale della logica aristotelica nella sua articolazione in principi primi, concetto, giudizio e sillogismo. Il concetto soggettivo è il dapprima indagato in sé stesso, nella sua immediatezza (CONCETTO LOGICO), e articolato nei tre aspetti: universalità, particolarità e singolarità. Si deve ovviamente notare che rispetto alla logica tradizionale, caratterizzata dalla prospettiva scissoria dell’intelletto, è assente la disgiunzione tra universale e particolare e tra particolare e generale. Se nella prospettiva del Verstand, l’intelletto, questi tre elementi sono disgiunti, nella prospettiva hegeliana, dal punto di vista del Vermunt, la ragione, restituisce concretezza all’universale, in dichiarato dissenso dalla logica formale, essendo l’universale intrinsecamente determinato come particolare e come singolare, in una sintesi indissolubile. La seconda parte della struttura del concetto è relativa al GIUDIZIO. La logica tradizionale considera il giudizio come la facoltà per eccellenza del pensiero, che media la relazione tra un soggetto e il suo predicato. Nella logica hegeliana il giudizio (in tedesco Urteil) è la “partizione originaria” (Ur-Teil) del concetto. Nella logica hegeliana il giudizio assume un valore disgiuntivo, sdoppiando il concetto in due e creando i presupposti per una antinomia tra soggetto e predicato. Questa separazione scompare annullando il giudizio nel terzo momento del concetto soggettivo, ossia nel SILLOGISMO. Mentre il giudizio contrappone nella logica hegeliana due opposti, rispettivamente soggetto e predicato disgiunti dalla copula e, il sillogismo può vantare uno sviluppo triadico. L’unità di soggetto e predicato, smarrita nel giudizio, viene ristabilita dal termine medio, che ricompone così la contrapposizione. Per questo motivo il concetto, ristabilita la sua natura unitaria, ricostituisce sé stesso, abbandonando l’immediatezza per una forma finalmente mediata. 
Nella storia della logica si sono affermati tre modelli di sillogismo, quello categorico di Aristotele (tutti gli uomini sono animali, tutti gli animali sono mortali, tutti gli uomini sono mortali), quello ipotetico, tipico dello Stoicismo (o  è giorno o è notte), e quello disgiuntivo espresso dalla logica più recente. Solo nel sillogismo di tipo disgiuntivo esiste secondo Hegel una mediazione perfetta. Si articola in questo modo: a) premessa maggiore: A è B o C o D; b) premessa minore: A non è né C né D; c) conclusione: A è B. Secondo Hegel la disgiuntiva è la forma di sillogismo più corretta, poiché il concetto ritrova la sua unità superando la scissione del giudizio.

Dopo aver indagato la soggettività, la seconda parte della Dottrina del Concetto è dedicata al concetto oggettivo, il concetto che si è compiutamente realizzato nella forma del sillogismo. Hegel è molto attento a specificare il carattere concettuale dell’oggettività, proprio per non ingenerare confusioni. Nella filosofia kantiana l’oggettività è identificata con l’esperienza, frutto di un’attività concettuale ordinata dagli elementi puri a priori delle categorie. Hegel abbandona la concezione trascendentale kantiana, che pur sempre rivelava una realtà di tipo concettuale, che si oggettivava nell’esperienza possibile mediata dalle strutture dell’intelletto, per sposare una concezione dialettica in cui l’oggettività è la realizzazione di un’attività concettuale altrimenti prigioniera della sola soggettività. Il concetto, in parole povere, deve uscire da sé stesso e realizzarsi. Questa realizzazione si sviluppa in tre momenti: MECCANISMO, CHIMISMO, FINALISMO o TELEOLOGIA. Questi  tre elementi sono già presenti nel kantismo, in cui però la realtà si dispiegava secondo la relazione di causa-effetto, riducendo la comprensione della realtà a un rigido meccanicismo. In Hegel invece abbiamo la suddivisione in meccanismo e chimismo, e l’elemento finalistico della teleologia. Hegel attribuisce a Kant la distinzione tra finalità interna e finalità esterna, e la teleologia, quale aspetto conclusivo del concetto oggettivo, riguarda proprio la finalità esterna, ossia la realizzazione del concetto nell’oggettività. Il concetto hegeliano di finalismo però ha un significato differente rispetto alla prospettiva scissoria della logica kantiana. La logica hegeliana sostituisce infatti alla figura duale del giudizio, caratterizzata da una opposizione, quella triadica del sillogismo. Mentre la realizzazione della logica formale kantiana, dominata dal giudizio come disgiuntore di soggetto e predicato, si dissolve nella (inevitabile) contrapposizione di causa ed effetto, la realizzazione concettuale hegeliana viene mediata da un termine medio. Hegel usa l’esempio dell’aratro che serve a coltivare un campo. Nell’esempio ci sono tre elementi: il contadino, il campo da arare e l’aratro, che media tra il contadino che vuole coltivare il suo campo e il campo stesso da arare. L’esempio hegeliano evidenzia chiaramente la funzione di mediazione tra i due elementi, rispetto alla sterile relazione di causa-effetto, unidirezionale e irreversibile: l’aratro infatti nell’esempio non è solo l’azione conclusiva, ma anche l’inizio, congiungendo nella sintesi i due elementi del contadino e del campo. Nella circolarità dialettica causa ed effetto coincidono. Nella Critica del Giudizio di Kant, la parola giudizio (Urteil) diventa attività giudicativa (Urteilskraft) declinata nella duplice funzione determinante e riflettente, dove la riflettente procede inversamente a quella determinante, tipica della logica deduttiva, cogliendo immediatamente il particolare e ricavando l’universale in un secondo momento. Il giudizio teleologico kantiano esplica proprio questa riflessione sul particolare. A differenza di Kant Hegel ritiene invece che anche l’attività teleologica svolga una funzione determinante e non semplicemente riflettente. Nel precedente esempio dell’aratro è evidente che la funzione strumentale predispone a un’azione, quindi la finalità dello strumento è  concettualmente determinante essa stessa. Si tratta, specifica Hegel, di una finalità ancora esterna, dato che i tre termini del sillogismo, nel caso di questo esempio, non sono intercambiabili tra loro. Se Kant aveva una prospettiva unilaterale, caratteristica di una logica rigorosa, Hegel cerca una soluzione di interscambio tra i termini del sillogismo, attraverso il passaggio dalla finalità esterna a quella interna. L’esempio è quello dell’organismo, in cui ogni parte vive in funzione del tutto e il tutto stesso non potrebbe prescindere dalle sue parti. Hegel infatti non si ferma al rapporto tra causa ed effetto, che prelude a una finalità esterna, ma va oltre cercando una mediazione e uno scambio tra gli elementi del sillogismo. A questo punto si entra nell’ultima parte della Dottrina del Concetto dedicata all’Idea.

Si intende per idea l’assoluta sintesi di concetto e oggettività. 
Rispetto agli altri significati di idea presenti nello sviluppo storico-filosofico (forma metafisica per Platone, elemento non oggettivo per Kant), il termine  idea assume nella filosofia hegeliana un ruolo concreto e reale. Essa significa il compiersi mondano del concetto. La Dottrina dell’Idea, che chiude di fatto la Scienza della Logica, dispiega il percorso dell’idea nelle tre forme: immediata, mediata e assoluta. In un primo momento abbiamo il concretarsi dell’unità tra concetto e oggettività (FORMA IMMEDIATA), poi la nascita delle idee di bene e di vero, nella vita pratica e in quella teoretica (FORMA MEDIATA) e quindi si ha il passaggio all’IDEA ASSOLUTA, che è il compimento della logica hegeliana.