giovedì 10 marzo 2016

47 - Kant

KANT - LEZIONE 47
La libertà morale e i postulati della ragion pratica

47.1 - Il concetto di autonomia della volontà è il culmine della ragion pratica. Quando Kant parla di autonomia della volontà si riferisce alla possibilità di darsi da sé la norma del proprio agire. Kant oppone al concetto di autonomia quello di eteronomia, ossia derivato da altro. Una volontà è autonoma quando trae il proprio principio dalla norma che la stessa ragione si dà, mentre è definita eteronoma quando deriva questo principio da fini empirici o da inclinazioni personali. Questo aspetto richiama il problema della libertà, già considerato nella terza antinomia della cosmologia razionale, nella Dialettica Trascendentale: il mondo è soggetto a una causalità libera oppure a leggi necessarie e inderogabili? Ora, se si rifiuta la tesi dell’antinomia viene meno il principio di autonomia della volontà. Kant stesso sottolinea come una coesistenza tra libertà e necessità è possibile, riferendo la prima al mondo noumenico, e la seconda a quello fenomenico, unico oggetto possibile della conoscenza scientifica. Nelle opere dedicate alla morale Kant sostiene che la moralità postula necessariamente la libertà come sua condizione obbligatoria in quanto se la volontà non fosse libera la legge morale non sarebbe reale. Ma questo concetto di libertà è sopratutto un fatto della ragione: la libertà non è un dato empirico, e non può essere dimostrata. Kant definisce la libertà la RATIO ESSENDI della legge morale, ossia la sua condizione, e la legge morale la RATIO COGNOSCENDI della libertà, ossia il suo fondamento.
L’uomo, dice Kant, è libero in quanto segue la legge morale. Ogni individuo ha la possibilità di adeguare la volontà alla legge morale in modo autonomo o eteronohomo, conformandosi cioè alla legge morale oppure seguendo le proprie inclinazioni. Ma la libertà umana non si ferma qui: la volontà infatti ha la possibilità di essere stessa una legge. Questa autonomia, che si concilia con il dovere per il dovere, mostra l’uomo in bilico tra due mondi, quello empirico, fenomenico ed esteriore, alle cui leggi è inevitabilmente soggetto, e quello interiore e intelligibile.

47.2 - Per sanare l’inevitabile conflitto tra i due mondi Kant ritiene necessarie delle asserzioni, ossia dei POSTULATI DELLA RAGION PRATICA, a cui è affidato un utilizzo pratico e non teoretico, così chiamati poiché non devono essere dimostrati, ma servono solo a soddisfare le esigenze della legge morale. Il primo postulato è quello già visto della LIBERTA’ o causalità libera, da cui Kant fa conseguire altri due postulati, l’IMMORTALITà DELL’ANIMA e l’ESISTENZA DI DIO.Poichè l’uomo vive una vita limitata empiricamente, non sarebbe possibile un perfetto adeguamento della volontà alla legge morale, che deve essere totale, se la vita morale finisse con la morte del corpo. Appare necessario quindi che la vita morale continui anche dopo la morte, affinché si compia la felicità, che non deve essere il movente delle azioni conformi alla legge morale ma il compimento naturale delle azioni dell’uomo virtuoso. La prosecuzione della vita morale è un cammino verso la santità, verso il sommo bene: perché questo si realizzi è necessario postulare anche l’esistenza di un Essere Supremo, cioè Dio, che distribuisca in maniera equa i premi e i castighi, facendo da unificatore tra volontà e moralità. La sua esistenza resta sconosciuta alla ragione teoretica, ma deve essere postulata, non in maniera oggettiva, dalla ragione pratica. Questi tre postulati sono oggetto di quella che Kant chiama una FEDE RAZIONALE, fede proprio perché non sono elementi fondati teoreticamente e razionale proprio perché la volontà deriva dalla ragione. Gli elementi che erano stati esclusi dalla gnoseologia pura sono riabilitati dalla ragione pratica e usati per soddisfare le esigenze della moralità. Questo aspetto conduce Kant a parlare di PRIMATO DELLA RAGION PRATICA, ossia il prevalere dell’interesse pratico su quello teoretico.

47.3 - La trattazione del problema morale sconfina nella tematica religiosa. Nell’opera LA RELIGIONE NEI LIMITI DELLA RAGIONE Kant fonda la religione sulla morale, spiegando che non potrebbe essere il contrario, in quanto se così fosse la morale sarebbe qualcosa di coercitivo e di imposto dall’esterno, e priva dell’autonomia della volontà del soggetto. La legge morale coincide qui con la legge divina, che non è data in modo arbitrario: la volontà divina non fa altro che adeguarsi alla legge morale, indicando all’uomo quei precetti pratici che sono già stati prescritti dalla legge stessa. Kant distingue una RELIGIONE RIVELATA dalla RELIGIONE NATURALE: la differenza consiste che nella religione rivelata il dovere viene conosciuto dagli uomini attraverso un comandamento divino, mentre nella religione naturale la conoscenza del dovere prescinde dall’ordine divino. La seconda forma di religione è la più pura e costituisce il fondamento di tutte le manifestazioni della vita religiosa.
Da qui Kant esamina due dogmi, ill PECCATO ORIGINALE e la ffigura del Cristo come mezzo di REDENZIONE. La libertà della volontà umana porta inevitabilmente l’uomo a peccare, ossia a seguire le proprie inclinazioni sensibili; si tratta di una caratteristica connaturata alla volontà umana che porta Kant a parlare di un MALE RADICALE. Ma nonostante la corruttibilità del male, è presente nella nostra natura un principio opposto a quello del male radicale rivolto a un’idea di perfezione morale, incarnata dalla figura del Cristo.
La religiosità kantiana è dunque una religiosità etica, che porta il filosofo a concepire una sorta di chiesa invisibile, costituita dalla comunità degli uomini di buona volontà e guidata da Dio quale signore morale del mondo.
Kant distingue la religione naturale, basata sulla semplice fede, da quella STORICA e STATUTARIA, fatta cioè di riti, dogmi e precetti, e la suddetta chiesa invisibile dalla chiesa VISIBILE, che tende a rappresentare in modo sensibile il regno morale di Dio. La chiesa visibile è in realtà solo un veicolo per raggiungere quella invisibile, ma la presenza di riti e precetti allontana l’uomo dal vero significato della religiosità naturale. Tuttavia la centralità dei valori morali avvicina le due forme.