domenica 27 marzo 2016

2B - U10

2B - U10
Hegel

HEGEL - LEZIONE 55
Introduzione al pensiero hegeliano
Gli scritti giovanili

55.1 - Elemento chiave del pensiero hegeliano non è la sua caratteristica sistematica quanto la dialettica, che mette in risalto l’unitarietà del movimento, connaturato sia al pensiero che al reale, permettendo quindi una visione complessiva della ragione, che, in quanto spirito, si dispiega nelle forme relazionali della natura, della storia e della cultura. Il soggetto di un celebre dipinto di Magritte ben rappresenta la sintesi hegeliana, che abbraccia le due polarità positiva e negativa, tesi e antitesi, del motore dialettico, quali limiti del reale determinato. La figura di Hegel all’interno dell’Idealismo è una figura estrema e allo stesso tempo di raccordo, poiché non solo sposa le tesi anti-dualistiche dei suoi predecessori, ma le porta alle conseguenze estreme, superando il concetto di idealismo trascendentale. Questo elemento ha garantito una certa longevità del suo pensiero. La biografia hegeliana mostra un uomo abitudinario e ordinato, quasi banale, e uno studioso dalla tempra decisa, elementi che conferiscono al suo pensiero i canoni tipici della scienza e della ricerca. Cresciuto in una famiglia piuttosto rigorosa, il giovane Hegel coltiva un particolare metodo di studio basato su una specifica classificazione in schede, materiale che poi lo stesso filosofo avrà modo di riutilizzare, attraverso un’impostazione che caratterizza il suo approccio alla speculazione come scientifico. Gli anni giovanili sono contraddistinti dal suo inserimento nella enclave romantica - grazie all’amicizia con Schelling e Holderlin - e dall’interesse politico verso gli sviluppi della Rivoluzione Francese. Nel periodo bernese inizia a interessarsi della figura di Gesù, ma la svolta critica della sua attività si presenta nel periodo di Jena: è in questa città che il sistema hegeliano inizia a prendere forma. Nel 1807 viene pubblicata la Fenomenologia dello Spirito, che determina anche il suo distacco da Schelling. Altra tappa fondamentale della vita di Hegel fu il suo incarico ad Heidelberg, dove vede la luce nel 1817 l’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, sottoposta a ulteriori revisioni nei dieci anni successivi. Degni di nota sono anche i materiali delle sue lezioni raccolti e compilati in forma organica dai suoi studenti.

55.2 - Negli scritti giovanili emerge la figura di Gesù, ma il contesto è piuttosto differente dal dibattito teologico, collocandosi piuttosto in un chiaro progetto di rinnovamento politico e culturale, forse ispirato dai temi rivoluzionari. Hegel elabora un concetto di religione popolare quale sintesi di sentimento e di ragione, che incarna una rinnovata libertà dal soggettivismo e  dal razionalismo per restituire all’uomo una nuova identità a partire proprio dalla sua vita spirituale. Da uomo del suo tempo, Hegel è molto attento a ricercare nella sintesi un ponte che riesca a mediare la distanza irriducibile creatasi tra uomo e comunità, uomo e religione. Nella Vita di Gesù Hegel rielabora la vita del Cristo alla luce della morale kantiana, presentandoci un Gesù quasi socratico, inserito nella vita pubblica, quasi a volerne allontanare la figura dagli stereotipi tipicamente esteriori delle religioni positive. Appunto in Positività della religione cristiana Hegel mette in evidenza questo aspetto, mostrando un Gesù tradito dalla sua stessa chiesa, che ha finito con l’allontanarsi dal vero senso del messaggio cristico per tornare all’esteriorità del culto. Hegel infatti è molto attento a distinguere la religione naturale dalle religioni positive: il Cristianesimo nasce come religione dell’amore, ma è stato trasformato in una serie di culti basati sul principio dell’autorità. Hegel opera nella figura del Cristo una sintesi necessaria tra essere e dover essere, tra materiale e spirituale, che mancava di fatto nel contesto tradizionale di religione positiva. Hegel si appropria di un concetto caro alla religione della Grecia antica, in cui arte, religione, filosofia e politica condividevano lo stesso territorio; per contro nell’Ebraismo si registra la tendenza opposta, quella della scissione tra Dio e il suo popolo, ossia una scissione tra uomo e natura: per questo la figura del Cristo sviluppata dal giovane Hegel è molto rappresentativa poiché incarna ancora una volta quella sintesi operata dal filosofo tra reale e spirituale, sintesi rappresentata dal concetto di amore (ciò che unisce, l’elemento aggregante) esaltato dal messaggio di Gesù. Nel 1800 Hegel scrive il Frammento di sistema, opera in cui abbandona la tematica religiosa per abbracciare una prospettiva più filosofica. Hegel però continua a sottolineare l’importanza della religione come strumento per cogliere il Tutto e per superare le scissioni, seppur affidando questo compito alla ricerca come mediatrice tra finito e infinito.

HEGEL - LEZIONE 56
La struttura della dialettica hegeliana

56.1 - Hegel compie un percorso inverso rispetto agli altri due esponenti dell’Idealismo, assegnando dapprima un ruolo centrale alla religione, per poi attribuire alla filosofia il compito scientifico di comprensione dell’Assoluto. La svolta decisiva del pensiero hegeliano prende forma nel periodo ienese, grazie anche alla sua amicizia con Schelling - che lo introduce nell’ambiente idealistico - e alla rilettura di Kant, da cui il giovane Hegel prende subito le distanze. A separarlo da Kant è sicuramente la distinzione kantiana tra intelletto e ragione, che vede quest’ultima assumere la funzione di una macchina dei sogni, riconducendo l’intelletto alla drastica impossibilità di conoscere il noumeno, separandolo dal fenomeno. Kant è considerato da Hegel erede naturale di quell’atteggiamento scissorio caratteristico della cultura religiosa ebraica, che Kant manifesta proprio nella morale, in cui essere e dover essere sono separati, con il dover essere che non sarà mai essere, tanto che Kant usa la morale solo come ragione pratica, svuotandola di ogni presupposto scientifico. Questo dualismo, anche se in modo diverso, torna nella filosofia di Fichte, laddove il non io, non potendo essere ricompreso nell’io, resta un orizzonte astratto, e il processo di risoluzione del finito nell’infinito non si compie se non attraverso un’astrazione, uno sforzo che a nulla conduce, lasciando dietro di sé un’infinità praticamente irrisolta. Perciò l’esigenza primaria del giovane Hegel è il superamento di questo dualismo che lascia la totalità altrimenti irrisolta e incompleta. Ma Hegel non si presta a soluzioni irrazionalistiche tipicamente romantiche, opponendo la tesi che la totalità non si può cogliere immediatamente: non possiamo cogliere l’Assoluto alla maniera di Jacobi, come una specie di salto mortale. La critica alla non scientificità del modus romantico di risolvere il Tutto investe inevitabilmente anche Schelling - compromettendo il sodalizio con Hegel - in quanto Schelling aveva sostenuto una risoluzione senza mediazioni tra sapere e sapere assoluto. Il carattere scientifico della ricerca conduce Hegel a individuare nella DIALETTICA e nella SISTEMATICA i muri maestri della comprensione della totalità.

56.2 - Il sodalizio tra Hegel e Schelling è interessante per capire il ruolo che assumerà la dialettica hegeliana, nella sua duplice accezione di procedimento discorsivo e metodo conoscitivo della realtà, della cosa in sé intesa kantianamente come noumeno, e del suo movimento. Molteplicità e movimento sono gli elementi caratterizzanti della realtà, quale si presenta al soggetto conoscente. Tale frammentarietà del reale non consente di giungere immediatamente alla comprensione dell’Assoluto. Il processo di comprensione dell’Assoluto non può non essere frutto di una mediazione: il finito, dice Hegel, è ideale. Infatti, se consideriamo la realtà come un infinito, non possiamo ammettere dualismi, ossia, non possiamo immaginare che esista un qualcosa al di fuori, esterno, alla realtà. Hegel considera l’Assoluto  una continua attività, in quanto spirito: all’inizio questa autoproduzione appare inconsapevole (in sé) per poi appropriarsi di ciò in cui essa si manifesta e che prima percepiva come estranea (fuori da sé): il risultato mediato di questa risoluzione è una realtà in sé e per sé. La mediazione dell’essere in sé e dell’essere per sé completa il percorso di comprensione del Tutto attribuendo all’Assoluto quell’autoconsapevolezza delle proprie manifestazioni e della propria attività. Tale autoconsapevolezza si estrinseca nel percorso che porta l’Assoluto a passare dall’essere in sé inteso come idea (la logica) all’essere fuori di sé (la natura) per poi completarsi nell’essere in sé e per sé (lo spirito). Malgrado Schelling tenti la strada della mediazione dialettica nel superamento del dualismo tra natura e spirito, soggetto e oggetto, la sua resta una semplice unificazione che lascia indistinti gli elementi polari della mediazione dialettica. Nella dialettica hegeliana assistiamo per contro a un processo di identificazione che fa coincidere gli elementi mediati. Proprio per questo motivo Hegel nega sia all’arte, sia alla religione, il ruolo di accesso alla mediazione dialettica, che riserva esclusivamente alla filosofia.

56.3 - Dunque secondo Hegel il pensare filosofico ha un’intrinseca struttura dialettica, che unifica e distingue nella sintesi le due polarità astratte della tesi e della antitesi. Tale processo ha carattere risolutorio ed è intrinseco alla stessa realtà, perciò non si può assolutamente pensare di tenere in piedi il dualismo di razionale e reale. Il pensiero è realtà e la realtà è spirito. Nei Lineamenti di filosofia del diritto Hegel esprime questo concetto nella celebre frase “ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”. La razionalità scientifica e filosofica si identifica dunque con la trama concreta della realtà, che a sua volta non deve essere percepita come un insieme confuso di avvenimenti, ma come necessaria unificazione dei suoi elementi. Dialettico è il modo in cui le connessioni causali tra gli eventi si costituiscono nel reale, dialettico è il metodo attraverso cui vengono colte. Razionale e reale dunque coincidono in uno sviluppo processuale e in una articolazione dinamica dell’Assoluto. 
Si deve notare come Hegel insiste sull’aspetto metodologico della dialettica, oltre a quello di carattere ontologico, per distinguersi dalla dialettica di Kant intesa come esposizione delle antinomie sottese alla ragione pura nei termini dualistici di tesi e antitesi, che non giunge ovviamente mai a risoluzione. Altro elemento fondamentale è la visione dell’Assoluto come pura soggettività. Essenza del motore dialettico hegeliano è il concetto, non correttamente traducibile, di Aufheung (superamento), rappresentato concettualmente come un’azione che conserva l’elemento precedente nella rimozione di esso, per consentirgli di continuare a vivere. Questa conservazione ci consente di capire il motivo per cui la dialettica non sia semplicemente un metodo per Hegel, poiché la filosofia non ha bisogno di un metodo, come le altre scienze, dato che in essa metodo e contenuto sono coincidenti. Hegel descrive bene questo aspetto mettendo in evidenza come la filosofia rappresenta di fatto una risoluzione del particolare nell’universale, allontanando quindi la dialettica da qualsiasi altro metodo di natura astrattiva. Proprio il concetto di superamento rivela il passaggio dall’intelletto, che irrigidisce gli elementi nella frammentarietà dell’essere intuito, alla ragione, che rende comprensibile il movimento attraverso la negazione.

HEGEL - LEZIONE 57
La Fenomenologia dello Spirito

57.1 - Scritta nel 1806 e pubblicata un anno dopo, la Fenomenologia costituisce la prima parte del sistema hegeliano, come chiaramente indicato nel frontespizio del testo dell’opera, il cui sottotitolo non a caso riporta la dicitura “Sistema della scienza”. Coerentemente con il suo pensiero Hegel rifiuta di scrivere una parte introduttiva, poiché ritiene che sia del tutto inutile: se essa fosse estranea al contenuto risulterebbe non filosofica e perciò non pertinente, se risultasse invece relativa al contenuto sarebbe sicuramente già compresa in esso e quindi ancor più inutile. Predisporre degli strumenti di conoscenza prima della conoscenza significa mettersi a nuotare prima di essere entrati in acqua. Quest’opera hegeliana può essere quindi vista in un duplice aspetto, sia come introduzione al sistema vero e proprio, sia come una filosofia, poiché nella trattazione emergono i canoni del sistema compilato nell’Enciclopedia. Appare stridente il confronto con Schelling. 
La concezione dell’Assoluto schellinghiano viene ironicamente paragonata a una notte in cui tutte le vacche sono nere, con l’intento di voler significare la disindividualizzazione dei due elementi polari di sapere e sapere assoluto, unificati da Schelling, senza però coglierne la genesi fenomenologica, identificati in un tutto indistinto e immediato. Per questo il compito della Fenomenologia dello Spirito è quello di presentare attraverso un itinerario lo sviluppo storico della filosofia partendo dal gradino più basso della conoscenza, la rappresentazione sensibile, per giungere a una comprensione del ruolo FORMATIVO della coscienza, ed è appunto in questo senso che l’opera potrebbe definirsi quasi una storia romanzata della coscienza, o meglio, un Bildungroman (romanzo di formazione). La definizione non è casuale, Bild in tedesco significa appunto forma o immagine, e questa definizione affida in modo esplicito al testo il ruolo di spiegare la funzione formale della coscienza. Un aspetto peculiare di questo compito formale è la coesistenza, nel dispiegamento dell’itinerario fenomenologico, di due tendenze di sviluppo, una individuale (che conduce allo spirito e al sapere assoluto) e una universale (che presenta la storia dello spirito come una storia dell’umanità): coesistenza che appare evidente quando Hegel utilizza nel corso dell’argomentazione il riferimento a figure e situazioni relative alla storia dell’umanità. Si tratta di un compito espressamente chiarito da Hegel come pedagogico, in quanto il singolo deve ripercorrere le tappe di formazione dello spirito universale seguendo la strada già tracciata attraverso le figure della storia dell’umanità. Queste tappe sono distinguibili in coscienza, autocoscienza, ragione e spirito.

57.2 - Prima tappa del percorso è la coscienza, e il momento zero del sapere, è ovviamente la certezza sensibile. Si tratta della forma più immediata e istintiva di conoscenza e anche la più modesta, perché risulta estranea alla coscienza. La conoscenza sensibile sfrutta le sole determinazioni generiche dell’oggetto, colto nel suo momento presente, con una precisa collocazione spaziale e temporale e quindi slegato dalla dimensione atemporale della coscienza. Nella filosofia empirista assistiamo a una contrapposizione tra soggetto e oggetto, in cui l’oggetto non può mai essere veramente conosciuto, essendo determinatamente uno, ma anche molteplice. Questa visione conduce alla separazione kantiana tra fenomeno e cosa in sé, ossia la dimensione autonoma di un oggetto a prescindere dalla coscienza esistente. La sola possibilità di mediare questo conflitto è data dall’intelletto, che si preoccupa di cogliere la connessione tra gli aspetti relazionali e modali dell’oggetto percepito per “presentarlo” così alla coscienza (mediante gli strumenti delle categorie e dell’io penso).

57.3 - Passiamo alla seconda tappa di formazione, l’autocoscienza. Questa  seconda tappa dello sviluppo si rende necessaria proprio a causa della scissione tra soggetto e oggetto, che obbliga la coscienza a riflettere sulla conseguenza di tale separazione. L’aspetto della molteplicità non riguarda infatti soltanto gli oggetti, ma anche i soggetti, ognuno dei quali entra in relazione col mondo oggettuale, con le medesime peculiarità coscienziali. Per spiegare le nuove tappe di formazione dello spirito universale, Hegel si avvale di alcune figure della storia dell’umanità. La prima dimensione dello sviluppo dell’autocoscienza è tipicamente conflittuale, ed è legata alla concezione estranea dell’alterità, risolta con un rapporto di schiavitù. Nella dialettica servo-padrone Hegel rappresenta la lotta per la sopravvivenza delle diverse autocoscienze, che sono entrate in conflitto. Solo una può vincere e le autocoscienze hanno due alternative, o morire o essere ridotte in schiavitù.  Il soggetto padrone riconosce il proprio oggetto come cosa sua, mentre l’oggetto servo vive per il proprio altro, cioè il padrone. Ma proprio in questa contrapposizione emerge un rovesciamento dialettico: il servo lavora, e col lavoro acquista coscienza di sé stesso e del proprio valore, il padrone invece no. Questo significa che il vero schiavo è il padrone, che deve dipendere dal proprio servo. Prendendo coscienza della propria soggettività, l’autocoscienza prende le distanze dall’oggetto e dalla staticità della certezza sensibile, per emanciparsi. Si tratta di una vera e propria liberazione dalla cosa, cioè dalla dimensione oggettiva a cui la coscienza era relegata nella contrapposizione tra soggetto e oggetto, e caratterizzata dalla molteplicità. Ma questa liberazione non è così scontata come si potrebbe immaginare, e questo appare nella seconda figura che Hegel prende in considerazione, quella dello Stoicismo e dello Scetticismo. Lo schiavo che prende coscienza della propria soggettività non é detto che si debba liberare, potrebbe comunque decidere di conservare la propria condizione, pur non rinunciando alla propria soggettività. Questo è il caso del filosofo stoico, ma il vero compimento della libertà autocosciente sembra essere rappresentato dallo scettico, che si libera dal reale attraverso la negazione e il dubbio. Ma anche questa strada non soddisfa l’autocoscienza, che continua a perseverare nella ricerca illusoria di un affrancamento dalla realtà che conduce solo alla tristezza. Questo è il caso della coscienza infelice, che si manifesta nella religiosità medioevale quale terza figura dell’autocoscienza. Qui si può notare una chiara influenza del pensiero giovanile hegeliano, con preciso riferimento alla critica della religiosità ebraica e al suo aspetto scissorio tra Dio e uomo, in particolare Hegel fa riferimento al ruolo dell’asceta medievale, che cerca l’unione mistica con Dio: ma questa unione non si potrà mai compiere poiché l’atteggiamento dell’asceta parte da una visione separata tra uomo e Dio, tra soggettività e oggettività, atteggiamento che compromette la risoluzione del rapporto. La coscienza è infelice poiché ancora ignora l’assenza di una separazione del soggetto dall’oggetto e cerca nella trascendenza una impossibile mediazione tra due elementi che risultano già separati. Questa condizione però induce l’autocoscienza a riflettere sulla propria condizione e a elevarsi ancora.

57.4 - La ragione rappresenta il punto di svolta Fenomenologia dello Spirito, incarnando l’abbandono della ricerca della libertà e della mentalità scissoria che aveva caratterizzato le due tappe precedenti, determinata dalla distanza tra soggetto e oggetto. Ma la ragione non è ancora una vera conquista della libertà, poiché si presenta come una certezza e non come verità. 
Hegel descrive la ragione come certezza di ogni realtà. Questo aspetto però necessita di essere ancora suffragato dal rapporto con le cose ed è appunto a queste che la coscienza deve rivolgersi per ritrovarvi sé stessa. Il primo gradino è quello passivo della RAGIONE OSSERVATIVA, tipica delle scienze empiriche, che lascia la coscienza insoddisfatta e bramosa di un maggiore coinvolgimento. La ragione osservativa, infatti, è caratterizzata dalla necessaria schiavitù della coscienza dall’oggetto, legame che alla coscienza stà stretto. Si passa quindi alla RAGIONE ATTIVA. Qui passiamo da un contesto empirico a un contesto edonistico, quasi sentimentale, come nel percorso che dal Faustismo conduce al Romanticismo. Il mito di Faust è un mito che risale al XIV° secolo e simboleggia il rischio che l’uomo corre di perdere la propria anima in cambio di un sapere assoluto: proprio come fa Faust che vende la sua anima a Mefistofele. Nella trasposizione di Goethe compare la figura femminile di Margherita, che è una figura di redenzione. Nel racconto goethiano sono ben evidenti le polarità dialettiche che caratterizzano il percorso della coscienza alla ricerca di se stessa. Per superare la sua insoddisfazione la soggettività deve liberarsi del legame che allo stesso tempo la unisce all’oggetto e la separa da esso. La passione edonistica lascia il posto alla VIRTU’ quando la soggettività si rende conto di non essere schiava dell’oggetto e si impone su di esso. Hegel fa riferimento alla morale kantiana in cui solo una legge morale universale può imporsi alla dimensione oggettiva. Ma l’essere non può essere assoggettato al dover essere, e il dover essere non è a sua volta l’essere. Diventa quindi necessario un ulteriore innalzamento, il passaggio allo SPIRITO.

57.5 - Lo spirito è la quarta tappa del processo di ricongiungimento della coscienza alla dimensione oggettiva. In questa fase il traguardo consiste nell’abbandonare una prospettiva chiaramente soggettiva per evolversi in quello che Hegel definirà in seguito come spirito oggettivo, ossia una dimensione universale dell’oggettività. 
Il rigorismo etico non poteva prescindere, come si è visto, da una scissione tra essere e dover essere. Qui però Hegel non parla più di una ragione individuale, ma di un’etica comunitaria e statuale che sostituisce, alla moralità soggettiva, la bella vita etica del mondo greco. Anche in questo caso però il discorso non esula da un aspetto scissorio, quello tra le leggi divine e le leggi umane, come raffigurato dall’Antigone di Sofocle (di cui Hegel opera nella sua Estetica un’interessante rilettura critica). Antigone rifiuta di obbedire alle imposizioni del nuovo re di Tebe, Creonte, che le impedisce di dare sepoltura al fratello Polinice. Scoperta, viene relegata in una grotta, dove si impiccherà. Nonostante l’intervento dell’indovino Tiresia e le suppliche del coro, Creonte non sembra intenzionato a perdonare Antigone: lo farà troppo tardi, causando la morte del figlio, promesso sposo di Antigone, e di sua moglie Euridice. Hegel usa questa storia per spiegare l’insanabile conflitto tra le leggi della famiglia e quelle dello stato assoluto. Nella scissione Hegel però attribuisce maggior valore alle leggi dello stato, ritenendo la famiglia un’istituzione meno evoluta. A dare una precisa collocazione ad Antigone è la separazione etica tra essere e dover essere, ancora tipica di una morale soggettiva.
Questa scissione diventa irreversibile nel mondo romano, con l’affermazione del diritto e la riduzione della soggettività a persona, nel senso letterale di maschera. A soffrire maggiormente questo sdoppiamento è lo sviluppo della cultura, intesa come coesistenza di spirito individuale e spirito comune. Hegel vede nella cultura illuministica il primo esempio storico di cultura astratta, sterilmente irrigidita nell’erudizione empirico-scientifica, a cui si contrappone la fede religiosa, che in sostanza è un rovesciamento simmetrico della vita spirituale. Questa contrapposizione riflette per Hegel l’incapacità della scienza e della religione di cogliere in maniera complessa l’Assoluto, senza più scissioni tra soggettività e oggettività. Il passo successivo è dato quindi dal sapere assoluto, il grado più alto del sapere, che poggia sulla verità della coincidenza di soggetto e oggetto. Questo traguardo conclude di fatto la “pars destruens” hegeliana, da cui si evolve la sistematica successiva.   

HEGEL - LEZIONE 58
La Scienza della Logica

58.1 - La Scienza della Logica è l’opera scritta da Hegel successivamente alla Fenomenologia dello Spirito. Chiamata anche Logica di Norimberga nella sua formulazione originale, poiché fu scritta durante il periodo in cui Hegel insegnava a Norimberga, consiste di tre libri (Dottrina dell’Essere, Dottrina dell’Essenza e Dottrina del Concetto) che videro la luce nell’arco di cinque anni. Di questi solo il primo fu sottoposto a revisione durante il periodo berlinese di Hegel e per questo motivo la Dottrina dell’Essere viene anche chiamata Logica di Berlino. I tre libri della Scienza della Logica sono ulteriormente organizzati in due volumi, la Logica Oggettiva che ricomprende le prime due dottrine, e la Logica Soggettiva che comprende la sola Dottrina del Concetto. La Logica Oggettiva parte dal sapere assoluto, il traguardo della pars destruens hegeliana formulata nella Fenomenologia dello Spirito, dispiegando l’identità di essere e pensiero nelle sue strutture oggettive. Hegel la considera la sostituzione della vecchia metafisica, in particolare l’ontologia. Il compito invece della Logica Soggettiva è quello di mostrare come dall’identità di essere e di pensiero nasca la soggettività, e ovviamente l’oggettività a essa correlata. 
Si tratta evidentemente della pars construens hegeliana, che completa il percorso già iniziato nella Fenomenologia: mediata la contrapposizione tra soggetto e oggetto, Hegel intende mostrare il modo in cui si istruisce un processo conoscitivo, spiegando perché esiste il soggetto e il modo in cui si struttura oggettivamente e soggettivamente la conoscenza del reale. Quello della Scienza della Logica Hegeliana è un compito ambizioso che distingue la logica di Hegel da tutte le altre, infatti egli intende rifondare sostanzialmente lo stesso concetto di logica, mostrando la verità come appare in sé e per sé, cioè senza veli. Lo stesso Hegel scrive coloritamente di voler mostrare Dio come appare nella sua essenza, prima della creazione della natura e dello spirito finito: questo fa della logica hegeliana non semplicemente una scienza del pensiero, ma una scienza della ragione pura, in cui la deduzione delle categorie non riguarda più il solo pensiero, ma le determinazioni fondamentali del reale. 

58.2 - La domanda che costituisce il punto di partenza della Dottrina dell’Essere è: come può cominciare una scienza? La questione sarebbe facilmente risolvibile se ci trovassimo nell’ambito di un’altra logica in cui si parte sempre dall’oggetto percepito quale determinazione finita di un reale, ma il compito della logica hegeliana è quello di mettere in evidenza non tanto come nascono le varie determinazioni del reale, quanto il principio stesso della determinazione, ovvero il modo in cui è possibile determinare il contenuto del pensiero e del reale. Proprio per questo motivo Hegel ritiene necessario partire dal “momento zero” del processo conoscitivo, un gradino prima che qualcosa sia determinato, che però paradossalmente deve già essere perché altrimenti non lo si potrebbe pensare. Il senso di questo inizio, di questo cominciamento, è racchiuso nell’indeterminazione di qualcosa che non è più ciò che era prima e non è ancora quello che sarà, ma va comunque ad essere, come quando sul fare dell’alba si fa giorno e ancora non è giorno, ma allo stesso tempo non è più notte: non è ancora un giorno determinato, ma va a diventare tale. Ciò che é già e non è ancora, è descritto da Hegel come una IMMEDIATEZZA NON DETERMINATA. Non potrebbe affatto esistere una mediazione prima dell’inizio poiché la mediazione risolve una contrapposizione tra due polarità contrapposte e, se fosse così, sarebbe un falso inizio, e si dovrebbe continuare a cercare il principio, ossia il motore di quella determinazione. L’immediatezza non determinata corrisponde per Hegel all’essere in generale, cioè all’essere privo di qualsiasi determinazione. Si tratta in pratica di un essere vuoto, di cui possiamo solo dire eleaticamente che esiste, ma di cui non possiamo sapere altro. E questo essere inevitabilmente trapassa nel nulla, ossia l’affermazione della sua vuotezza. L’oscillazione tra essere e nulla costituisce il vero inizio della logica hegeliana. Appare infatti evidente che nel momento in cui l’essere muore nel nulla, cioè nel non essere, comincia paradossalmente la sua vera nascita. Parmenide sosteneva che il non essere non potesse venire pensato, mentre il nulla hegeliano dev’essere pensato come immediatezza indeterminata di qualcosa che va verso l’essere. Essere e nulla, nella loro assoluta indeterminazione, sono principi che si esigono a vicenda: va sottolineato che tra essi non esiste una vera contrapposizione, ma una complementarità rivelata dai rispettivi ruoli non determinati. La loro verità è data dal successivo superamento nel divenire, ossia il momento in cui essere e nulla si separano nella determinazione di qualcosa che, allo stesso tempo, è “questo” e non è più “altro”, una differenza che però, allo stesso tempo, non genera una vera contrapposizione in quanto è immediatamente risolta. Essere, nulla e divenire sono gli elementi che costituiscono la prima triade della Scienza della Logica.
Il divenire non va inteso come un continuo fluire. Hegel lo considera infatti come un luogo di mediazione tra l’essere e il nulla non determinati, da cui scaturisce l’essere determinato, non più in generale, quindi dotato di qualità. La qualità è la prima categoria a essere dedotta, nel senso proprio di determinatezza esistente. Essa è negazione poiché rappresenta la differenza tra ciò che adesso è e ciò che non è più, ma è una negazione che non annulla, bensì determina. Il suo togliersi consiste nella determinazione dell’essere, che non è più un essere in generale, ma diventa un esserci e successivamente un ens, ossia un qualcosa che esiste e possiede delle attribuzioni qualitative. Questo ens è finito, ossia è diverso da tutti gli altri, ha un valore negativo poiché un ente determinato qualitativamente, non è uguale a un altro. L’elemento che contraddistingue questa diversità è il concetto di LIMITE, inteso non tanto staticamente nella sua accezione di confine, quanto dinamicamente nel senso di CONTRADDIZIONE. Coerentemente con la sua opposizione a ogni filosofia scissoria della relazione tra infinito e finito, Hegel ribadisce nel principio di contraddizione l’intima unità dialettica degli opposti, in cui l’infinito diventa negazione della negazione, ossia annullamento del limite del finito e perciò l’infinito è esso stesso la vera natura del finito. L’infinito è veramente reale poiché si basa sulla negazione di qualsiasi limite, mentre il finito è ideale e astratto, proprio perché limitato dalla contraddizione e quindi non mediato. Il rapporto tra uno e molti è espressione della negazione contraddittiva presente nella determinatezza, e consente ad Hegel di dedurre la seconda categoria, quella della quantità, che rappresenta la negazione della qualità, in quanto, come scrive Hegel, è una determinatezza che prescinde dal contenuto, cioè dalla qualità: la qualità è la determinatezza prima, cioè immediata, mentre la quantità è la determinatezza seconda che è indifferente all’essere qualitativo. Questo passaggio però comporta un problema: la quantità, come negazione della qualità, è un limite e allo stesso tempo un non limite, poiché è indifferente all’essere e risulterebbe per questo motivo estranea al reale. Per ripristinare la categoria della qualità Hegel ha bisogno di un ulteriore elemento negativo, una negazione della negazione della negazione, che è la MISURA. La misura è per Hegel l’unica categoria nel senso proprio del termine, poiché supera il concetto di variabilità della qualità e della quantità, anzi, la misura conferisce proprio il valore di questa variabilità, ponendo però la necessità di una ricerca della ragion d’essere di questa variazione. Infatti nella realtà la qualità sussiste sempre in un certo grado, e la quantità determina il grado in cui sussiste una qualità: la misura invece supera la contrapposizione tra quantità e qualità.

58.3 - Si profila adesso il passaggio all’essenza. Nella prima parte della Scienza della Logica, relativa alla Dottrina dell’Essere, l’essere viene considerato in sé. Nel libro della Dottrina dell’Essenza invece prendiamo in considerazione le relazioni intrinseche all’essere. L’essenza è la riflessione che l’essere fa su se stesso, una riflessione interna, come precisa Hegel, ben diversa dalla riflessione esterna tipicamente intellettuale e astratta. Per suo tramite l’essere esce dalla sua immediatezza per diventare oggetto del pensiero, che cerca di coglierlo nella sua verità. L’essenza rappresenta la verità dell’essere. La riflessione interna va alla ricerca di un nucleo ontologico che va oltre la contrapposizione tra qualità e quantità. Mentre nell’essere abbiamo visto un essere generico, che diventa nell’immediatezza, ens, cioè ente determinato dai predicati di qualità e quantità mediati dalla misura, nell’essenza è un movimento ulteriore di ripiegamento, la riflessione che l’essere compie al suo interno alla ricerca del suo fondamento, Hegel dice proprio che si interna in un gesto simile alla conoscenza. In poche parole l’essenza rivela ciò che sta dietro all’essere. In quanto verità dell’essere, l’essenza segue un percorso riflessivo che porta alla concretezza, conformemente alla coincidenza di razionale e reale. L’essenza viene indagata prima nel suo momento in sé, ossia come appare essa stessa al pensiero; in un secondo momento viene indagata in relazione all’esistenza di cui l’essenza è negazione determinata, ossia il modo in cui essa si manifesta in quanto fenomeno; infine l’essenza viene indagata nell’ambito della realtà  quale sintesi di pensiero e di esistenza.
Nella prima parte della Dottrina dell’Essenza Hegel fa i conti con i due pilastri della logica aristotelica, che poi sono i pilastri della logica classica, ossia il principio d’identità e quello di contraddizione, di cui critica il formalismo astratto e meramente intellettualistico. Il principio d’identità aristotelico (a è uguale ad a) è viziato dalla mancanza, nell’identità dei due elementi, della differenza dal non a. In questo senso il principio d’identità non esclude la contraddizione, anzi, trova il suo vero significato proprio in essa. Infatti è proprio da questa contraddizione che si rivela l’elemento centrale della Dottrina dell’Essenza, ossia il FONDAMENTO, che pone l’essenza come la verità dell’essere. Il fondamento nasce proprio dalla fusione dei due elementi contraddittori, positivo e negativo, che rovinano, “precipitano” come scrive Hegel, sul fondo dell’essenza, costituendone la base. Si noti come Hegel attribuisce al fondamento il ruolo di mediatore e unificatore dei due contraddittori, ritenendo falsa la contraddizione che si limita a separare, negando. Non basta infatti dire che a è uguale ad a, ma bisogna dire anche che a, essendo uguale ad a, è diverso da b, c e d: l’essenza è uguale a sé stessa e diversa da tutte le altre essenze. Nella dialettica del fondamento si oppongono due FIGURE, una di natura formale, la FORMA, e una di natura reale, la CONDIZIONE. Queste due figure si alternano, fino a quando il possesso della condizione di una cosa, non fa entrare la cosa nell’esistenza, cioè nella REALTA’ EFFETTUALE, che poi è l’ultima categoria individuata da Hegel nella Logica Oggettiva.

58.4 - Alla Dottrina del Concetto spetta il compito di rivelare l’intero. Il concetto non va confuso con il significato attribuito dalla logica tradizionale, dove risulta prodotto del pensiero astratto, il concetto hegeliano è prodotto della ragione ed esso stesso Assoluto soggettivo. Nasce quale risultato del processo logico iniziato con l’essere, e proseguito con la sua riflessione interna dell’essenza, e risulta preesistente al processo stesso, proprio in virtù dell’identità di essere e pensiero che qui si rivela. Anche questa parte della Scienza della Logica viene sviluppata in tre momenti:
- il primo riguarda l’aspetto soggettivo, e qui Hegel ripercorre i passaggi tipici della logica formale, che distingueva il pensiero dal suo contenuto, ossia il concetto logico, il giudizio e il sillogismo;
- il secondo riguarda l’oggettività e concerne il tentativo d’interpretare dal punto di vista concettuale la natura, studiata nei suoi tre aspetti, meccanismo, chimismo e finalismo;
- il terzo infine riguarda la sintesi della soggettività e dell’oggettività nell’idea, tappa conclusiva della conoscenza e nel traguardo dell’idea assoluta raffigura la logica stessa nella sua interezza.
Quello della logica hegeliana è quindi un percorso circolare in cui cominciamento e compimento sono coincidenti: dall’essere genericamente assoluto all’idea assoluta. Non si tratta di un giro vano, ma strutturato nell’articolazione degli aspetti triadici sintetizzati nell’identità di pensiero e di realtà: il concetto in sé (tesi) quale pensiero irriflessivamente posto, il concetto per sé (antitesi) quale pensiero che riflette se stesso, e infine il concetto in sé e per sé (sintesi) cioè il pensiero che torna a se stesso nella mediazione, dopo aver superato i momenti dell’essere e dell’essenza. Acquisita la realtà, il concetto muove verso le successive estrinsecazioni della natura, della storia e del sapere.

APPROFONDIMENTO SULLA DOTTRINA DEL CONCETTO

La Logica Oggettiva prendeva dichiaratamente le distanze dalla metafisica precedente, quella wolffiana e quella kantiana, articolata in methaphysica generalis o ontologia, che ruota intorno all’ens in generale, e methaphysica specialis o ontologia razionale, relativa alla partizione utilizzata da Kant nella Dialettica Trascendentale. Quella hegeliana è essa stessa un’ontologia ma, supportata dal pilastro dialettico della coincidenza tra realtà e pensiero, la Logica Oggettiva hegeliana giunge, in un processo circolare, a far emergere dalla realtà effettuale il traguardo successivo, quello del concetto, a cui viene dedicata la Logica Soggettiva. Se la Logica Oggettiva muove sul percorso tracciato dalle ontologie platonica e aristotelica, la Logica Soggettiva muove sul percorso tracciato da Kant. Hegel però non si limita a seguire il percorso kantiano, ancora chiuso nella scissione irrisolta di fenomeno e cosa in sé: la soggettività hegeliana ha un carattere comprensivo, che si traduce proprio nella seconda parte della Scienza della Logica con la Dottrina del Concetto, nel senso dell’etimo latino del concipere (racchiudere), e del corrispettivo tedesco begreifen, da cui Begriff, concetto.

La prima parte della Dottrina del Concetto, dedicata alla soggettività, intende mettere in luce proprio la struttura stessa del concetto. Si tratta di una prospettiva molto diversa, soggettiva appunto, rispetto a quella oggettiva e formale della logica aristotelica nella sua articolazione in principi primi, concetto, giudizio e sillogismo. Il concetto soggettivo è il dapprima indagato in sé stesso, nella sua immediatezza (CONCETTO LOGICO), e articolato nei tre aspetti: universalità, particolarità e singolarità. Si deve ovviamente notare che rispetto alla logica tradizionale, caratterizzata dalla prospettiva scissoria dell’intelletto, è assente la disgiunzione tra universale e particolare e tra particolare e generale. Se nella prospettiva del Verstand, l’intelletto, questi tre elementi sono disgiunti, nella prospettiva hegeliana, dal punto di vista del Vermunt, la ragione, restituisce concretezza all’universale, in dichiarato dissenso dalla logica formale, essendo l’universale intrinsecamente determinato come particolare e come singolare, in una sintesi indissolubile. La seconda parte della struttura del concetto è relativa al GIUDIZIO. La logica tradizionale considera il giudizio come la facoltà per eccellenza del pensiero, che media la relazione tra un soggetto e il suo predicato. Nella logica hegeliana il giudizio (in tedesco Urteil) è la “partizione originaria” (Ur-Teil) del concetto. Nella logica hegeliana il giudizio assume un valore disgiuntivo, sdoppiando il concetto in due e creando i presupposti per una antinomia tra soggetto e predicato. Questa separazione scompare annullando il giudizio nel terzo momento del concetto soggettivo, ossia nel SILLOGISMO. Mentre il giudizio contrappone nella logica hegeliana due opposti, rispettivamente soggetto e predicato disgiunti dalla copula e, il sillogismo può vantare uno sviluppo triadico. L’unità di soggetto e predicato, smarrita nel giudizio, viene ristabilita dal termine medio, che ricompone così la contrapposizione. Per questo motivo il concetto, ristabilita la sua natura unitaria, ricostituisce sé stesso, abbandonando l’immediatezza per una forma finalmente mediata. 
Nella storia della logica si sono affermati tre modelli di sillogismo, quello categorico di Aristotele (tutti gli uomini sono animali, tutti gli animali sono mortali, tutti gli uomini sono mortali), quello ipotetico, tipico dello Stoicismo (o  è giorno o è notte), e quello disgiuntivo espresso dalla logica più recente. Solo nel sillogismo di tipo disgiuntivo esiste secondo Hegel una mediazione perfetta. Si articola in questo modo: a) premessa maggiore: A è B o C o D; b) premessa minore: A non è né C né D; c) conclusione: A è B. Secondo Hegel la disgiuntiva è la forma di sillogismo più corretta, poiché il concetto ritrova la sua unità superando la scissione del giudizio.

Dopo aver indagato la soggettività, la seconda parte della Dottrina del Concetto è dedicata al concetto oggettivo, il concetto che si è compiutamente realizzato nella forma del sillogismo. Hegel è molto attento a specificare il carattere concettuale dell’oggettività, proprio per non ingenerare confusioni. Nella filosofia kantiana l’oggettività è identificata con l’esperienza, frutto di un’attività concettuale ordinata dagli elementi puri a priori delle categorie. Hegel abbandona la concezione trascendentale kantiana, che pur sempre rivelava una realtà di tipo concettuale, che si oggettivava nell’esperienza possibile mediata dalle strutture dell’intelletto, per sposare una concezione dialettica in cui l’oggettività è la realizzazione di un’attività concettuale altrimenti prigioniera della sola soggettività. Il concetto, in parole povere, deve uscire da sé stesso e realizzarsi. Questa realizzazione si sviluppa in tre momenti: MECCANISMO, CHIMISMO, FINALISMO o TELEOLOGIA. Questi  tre elementi sono già presenti nel kantismo, in cui però la realtà si dispiegava secondo la relazione di causa-effetto, riducendo la comprensione della realtà a un rigido meccanicismo. In Hegel invece abbiamo la suddivisione in meccanismo e chimismo, e l’elemento finalistico della teleologia. Hegel attribuisce a Kant la distinzione tra finalità interna e finalità esterna, e la teleologia, quale aspetto conclusivo del concetto oggettivo, riguarda proprio la finalità esterna, ossia la realizzazione del concetto nell’oggettività. Il concetto hegeliano di finalismo però ha un significato differente rispetto alla prospettiva scissoria della logica kantiana. La logica hegeliana sostituisce infatti alla figura duale del giudizio, caratterizzata da una opposizione, quella triadica del sillogismo. Mentre la realizzazione della logica formale kantiana, dominata dal giudizio come disgiuntore di soggetto e predicato, si dissolve nella (inevitabile) contrapposizione di causa ed effetto, la realizzazione concettuale hegeliana viene mediata da un termine medio. Hegel usa l’esempio dell’aratro che serve a coltivare un campo. Nell’esempio ci sono tre elementi: il contadino, il campo da arare e l’aratro, che media tra il contadino che vuole coltivare il suo campo e il campo stesso da arare. L’esempio hegeliano evidenzia chiaramente la funzione di mediazione tra i due elementi, rispetto alla sterile relazione di causa-effetto, unidirezionale e irreversibile: l’aratro infatti nell’esempio non è solo l’azione conclusiva, ma anche l’inizio, congiungendo nella sintesi i due elementi del contadino e del campo. Nella circolarità dialettica causa ed effetto coincidono. Nella Critica del Giudizio di Kant, la parola giudizio (Urteil) diventa attività giudicativa (Urteilskraft) declinata nella duplice funzione determinante e riflettente, dove la riflettente procede inversamente a quella determinante, tipica della logica deduttiva, cogliendo immediatamente il particolare e ricavando l’universale in un secondo momento. Il giudizio teleologico kantiano esplica proprio questa riflessione sul particolare. A differenza di Kant Hegel ritiene invece che anche l’attività teleologica svolga una funzione determinante e non semplicemente riflettente. Nel precedente esempio dell’aratro è evidente che la funzione strumentale predispone a un’azione, quindi la finalità dello strumento è  concettualmente determinante essa stessa. Si tratta, specifica Hegel, di una finalità ancora esterna, dato che i tre termini del sillogismo, nel caso di questo esempio, non sono intercambiabili tra loro. Se Kant aveva una prospettiva unilaterale, caratteristica di una logica rigorosa, Hegel cerca una soluzione di interscambio tra i termini del sillogismo, attraverso il passaggio dalla finalità esterna a quella interna. L’esempio è quello dell’organismo, in cui ogni parte vive in funzione del tutto e il tutto stesso non potrebbe prescindere dalle sue parti. Hegel infatti non si ferma al rapporto tra causa ed effetto, che prelude a una finalità esterna, ma va oltre cercando una mediazione e uno scambio tra gli elementi del sillogismo. A questo punto si entra nell’ultima parte della Dottrina del Concetto dedicata all’Idea.

Si intende per idea l’assoluta sintesi di concetto e oggettività. 
Rispetto agli altri significati di idea presenti nello sviluppo storico-filosofico (forma metafisica per Platone, elemento non oggettivo per Kant), il termine  idea assume nella filosofia hegeliana un ruolo concreto e reale. Essa significa il compiersi mondano del concetto. La Dottrina dell’Idea, che chiude di fatto la Scienza della Logica, dispiega il percorso dell’idea nelle tre forme: immediata, mediata e assoluta. In un primo momento abbiamo il concretarsi dell’unità tra concetto e oggettività (FORMA IMMEDIATA), poi la nascita delle idee di bene e di vero, nella vita pratica e in quella teoretica (FORMA MEDIATA) e quindi si ha il passaggio all’IDEA ASSOLUTA, che è il compimento della logica hegeliana.

HEGEL - LEZIONE 59
 Il sistema filosofico hegeliano
Le Lezioni sulla filosofia della religione

59.1/2 - La caratteristica sistematica della filosofia hegeliana appare in tutta la sua complessità sopratutto nell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, ma contraddistingue inevitabilmente diverse opere di Hegel. Non si tratta di una novità, dato che anche Schelling adotta una prospettiva analoga, sebbene quella hegeliana sia più completa. La sistematica è una prassi consolidata nello studio della metafisica, al fine di presentare un percorso attraverso le diverse diramazioni della conoscenza, anche se spesso non viene sviluppata appieno perché sconfina spesso nell’ontologia, al fine di offrire una visione complessiva della realtà. Questo compito viene portato avanti nella filosofia hegeliana proprio dall’Enciclopedia, dove logica e metafisica trovano un ideale punto d’incontro. Va detto però che la ragione principale che porta Hegel, docente ad Heidelberg, a scrivere la sua Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in compendio, è di natura didattica e accademica, poiché era usanza nelle università tedesche offrire agli studenti un compendio del contenuto delle discipline impartite. Per questo motivo il contenuto dell’opera, originariamente molto schematico, evidentemente arricchito in aula dalle spiegazioni di Hegel, è stato riscritto diverse volte fino alla forma attuale, dato che probabilmente le necessità didattiche avevano costretto Hegel a una estensione prematura del suo sistema.
L’opera è realmente sistematica e non parte dal presupposto fenomenologico, bensì dall’idea in sé, ossia dalla Logica. Nella Logica è possibile vedere l’idea quale sostanza che ancora non si è concretizzata nella realtà, a cominciare dal suo inizio, l’essere indeterminato. Le due tappe successive sono rappresentate dall’alienazione dell’idea nella natura (Filosofia della Natura) e dal ritorno a sé stessa come spirito (Filosofia dello Spirito). La prima parte è in pratica un riassunto dei contenuti già trattati nella Scienza della Logica, mentre è nella natura che cominciamo a vedere il movimento dell’idea, che si aliena, ossia che diventa altro da sé, per poi riconciliarsi all’idea originaria nello spirito. Lo spirito è la vera realtà per Hegel, in cui la natura e l’idea sono i momenti interni, colti astrattamente solo nella trattazione filosofica.

59.3 - La natura è l’alienarsi dell’idea, ossia il suo farsi altro da sé, il suo esteriorizzarsi. Proprio questo aspetto determina la caduta dell’idea, cioè la perdita della sua necessità, a causa della natura accidentale dei fenomeni della natura che la scienza non può assolutamente controllare, e questo conduce Hegel a mostrare un marcato disinteresse per gli studi naturali, piuttosto che per le cose umane. Anche nell’esame della natura Hegel procede dialetticamente esponendo i tre gradi dello sviluppo interno cioè la natura meccanica, fisica e organica. La MECCANICA è la dimensione della materia inerte; la FISICA è la relazione polarizzata in base al nesso attrazione-repulsione, tipico del magnetismo, dell’elettricità e del chimismo; il terzo momento, l’ORGANISMO, è invece il grado della vitalità. A sua volta la vita si divide in altrettanti tre momenti, vita GEOLOGICA, vita VEGETALE e vita ANIMALE. Proprio nella animalità si genera una contraddizione, quella tra individuo (mortale) e specie (resa immortale dalla riproduzione) che viene sanata passando al superamento successivo nello spirito. Il passaggio a un livello più alto si rende necessario a causa della caratteristica imperfetta della natura, che contraddice la sua essenza perfetta, e questo fatto di essere tutta esteriore rende preminente a Hegel il recupero dell’idea, che avviene nella Filosofia dello Spirito. Qui l’idea torna a se stessa corroborata dall’essersi estrinsecata nell’esteriorità naturale, e perciò in grado di contemplare la totalità. Anche nella Filosofia dello Spiro Hegel adotta un procedimento dialettico che articola lo spirito in tre momenti: lo SPIRITO SOGGETTIVO o individuale, lo SPIRITO OGGETTIVO o sociale, e lo SPIRITO ASSOLUTO che sintetizza soggettività e oggettività negli aspetti dell’arte, della religione e della filosofia.

59.4 - La prima parte della Filosofia dello Spirito si concentra sullo spirito individuale o soggettivo, e mette in evidenza la differenza tra essere naturale ed essere spirituale. Perciò Hegel comincia dall’ANTROPOLOGIA, cioè dal manifestarsi nell’uomo dell’anima, che lo differenzia da tutti gli altri esseri naturali. Questo è il momento della psichicità oscura dell’uomo, di una soglia della coscienza, in cui possiamo vedere i primi segni di una teoria dell’inconscio luogo della vita onirica e dei comportamenti automatici legati a quanto depositato nella memoria. Il grado successivo dello spirito soggettivo è la FENOMENOLOGIA che descrive l’evoluzione della coscienza, dal suo grado più basso, cioè la certezza sensibile, a quello più alto, il sapere razionale. Terzo e ultimo grado dello spirito soggettivo è la PSICOLOGIA, il grado psichico più elevato, che riguarda la complessità della mente umana nel processo di conoscenza. Emerge qui una forma embrionale di libertà, che si traduce nella forma imperfetta dell’arbitrarietà del soggetto: proprio questo aspetto fa emergere l’insufficienza della dimensione soggettiva, rendendo quindi obbligatorio il passaggio a una dimensione oggettiva e sociale. Questo passaggio si attua negando l’arbitrio individuale, condannato dalla sua stessa contingenza, realizzando la vera libertà spirituale nella dimensione oggettiva e sociale. Lo spirito oggettivo si concretizza nelle strutture sociali e nelle istanze storiche, corrispondenti alle istanze razionali in cui si incarna, in modo imperfetto, la volontà di libertà del soggetto. Pertanto lo spirito oggettivo si volge proprio al terreno ideale dove appare l’identità di razionale e reale, non a caso il principio dell’identità di razionale e reale viene presentato da Hegel nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto. Lo spirito oggettivo si articola in tre momenti: il DIRITTO ASTRATTO, la MORALITA’ e l’ETICITA’ (si rimanda all’approfondimento successivo sullo spirito oggettivo che tratterà nello specifico questi temi). Proprio nell’eticità si rivela l’esigenza spirituale di una ricomposizione della soggettività e dell’oggettività nello spirito assoluto, ossia l’acquisizione da parte dello spirito della coscienza della propria assolutezza, che viene condivisa nelle tre forme di ARTE, RELIGIONE e FILOSOFIA. Queste tre dimensioni dello spirito assoluto pur condividendo lo stesso contenuto si presentano in forme diverse e con un diverso grado di adeguatezza al contenuto stesso: l’assoluto si offre infatti come intuizione nell’arte e come rappresentazione nella religione, solo nella filosofia si offre come concetto puro. Occorre sempre tenere presente che la struttura triadica non deve essere interpretata come una sequenza ma come una successione logica, infatti la dimensione dialettica dello spirito assoluto non potrebbe prescindere dai due termini polari sintetizzati nella filosofia. Nell’arte lo spirito vive la ricomposizione del soggettivo e dell’oggettivo ma solo a livello intuitivo, mentre nella religione si ricompone la scissione tra finito e infinito che però viene solo rappresentata e non pensata. Solo nella filosofia si ha però il pieno raggiungimento del grado di autocoscienza veramente adeguato allo spirito assoluto. Solo la filosofia è infatti in grado di conoscere se stessa oltre le altre due forme polari che ne costituiscono la dialettica. La filosofia, dice Hegel, costituisce essa stessa il sistema della sua propria necessità che è anche allo stesso tempo la sua libertà. La filosofia è ASSOLUTAMENTE LIBERA, poiché non è condizionata da nessun altro sapere, anzi, essa stessa contiene gli altri saperi: per questo motivo Hegel identifica la filosofia con la STORIA DELLA FILOSOFIA perché lo sviluppo del sapere filosofico è fatto di momenti che concorrono a formare il vero nell’intero.

59.5 - La posizione di Hegel nei confronti della religione ha una determinata rilevanza nel dibattito filosofico a lui contemporaneo.Infatti lo stesso Hegel si interessa di religione in età giovanile allontanandosi poi da questo ambito ritenendo insufficiente il compito della religiosità di mediare quel carattere scissorio che separava la filosofia dall’esistenza umana e che Hegel aveva riscontrato nella cultura ebraica sopratutto. Nelle Lezioni di filosofia della religione, opera non direttamente scritta da Hegel - si tratta di appunti raccolti dai suoi studenti e pubblicati postumi - appare chiara la concezione della religione come problema di Dio, e non dell’esistenza storica di un culto in particolare. La religione rappresenta l’insoddisfazione verso il finito che sfocia  in una ricerca dell’infinito quale mediazione tra l’umano e il divino. Ma l’assenza di qualsiasi concettualità nella religione fa in modo che questa unione sia solo rappresentata e non pensata. Ed è proprio per questo motivo che la religione ha bisogno di forme di culto, ossia di manifestazioni esteriori. Anche in questi aspetti ritroviamo un continuo volgersi della religione verso la storia della filosofia, infatti nei tempi antichi il rito sacro era caratterizzato da pratiche efferate e sacrifici umani, mentre col passare dei secoli il culto si è trasformato in un atto simbolico basato sull’offerta del proprio cuore a Dio.
Il primo grado della vita religiosa è secondo Hegel quello della naturalità del sentimento di fede, a cui corrisponde la credenza in un Dio commisto agli enti di natura, in prospettiva panteistica; a questo grado segue la religione della libertà e quindi la religione dell’individualità spirituale, basato sul Dio come persona, prospettiva tipica dei culti greci e romani come di quello ebraico. Il grado più evoluto di religione è per Hegel quello del Cristianesimo, religione assoluta, che, pur restando in una dimensione sempre rappresentativa, realizza il proprio concetto nei gradi di sviluppo dialettico dell’Assoluto raffigurati dalle persone della Trinità: Dio prima della creazione (corrispondente all’Idea), quindi la sua estrinsecazione materiale nel Figlio (la Natura) e quindi il ricongiungimento al Padre (Spirito). Questo contenuto è solo rappresentato nella religione e viene quindi pensato concettualmente dalla filosofia, che si pone dunque come superamento della religiosità.

HEGEL - LEZIONE 60
Approfondimenti sullo Spirito Oggettivo.
Lo Stato e la Storia.

60.1 -  Il milieu argomentativo dello spirito oggettivo riguarda la sfera sovra-individuale, legata alla società, alla storia e alla politica, tematica sviluppata da Hegel in un periodo storico delicato, caratterizzato da insurrezioni - i moti liberali - e dal processo di definizione degli Stati europei nel corso della fase di denapoleonizzazione. Legatissimo allo stato prussiano, Hegel è però anche molto consapevole dei cambiamenti epocali, data la sua concezione di filosofia della storia: il proprio tempo appreso attraverso il pensiero. I tre momenti in cui si articola lo spirito oggettivo, il diritto astratto, la moralità, l’eticità, non sono infatti tre momenti di sviluppo sequenziale, temporale, ma sono tre momenti contemporanei visti in uno sviluppo unitario e in prospettiva di dipendenza gli uni dagli altri, in accordo col carattere unitario del movimento dialettico.

60.2 - Hegel considera l’individualità come un elemento astratto dalla totalità e quindi di conseguenza considera astratta anche la volontà di libertà che si materializza nello spirito soggettivo. Per questo motivo Hegel sottolinea la differenza tra la vera libertà e il semplice arbitrio, che ha sempre un carattere astratto, cioè legato alla sfera della persona. Hegel dunque presenta il processo di concretizzazione della libertà che deve cominciare dalla materia per potersi manifestare oggettivamente, e quindi dal DIRITTO, ossia dal concetto di proprietà. Infatti è nella molteplicità delle cose che sorge la necessità della regolazione giuridica dei rapporti intersoggettivi. Emerge qui una triade costituita da tre elementi cioè CONTRATTO, DELITTO e PENA: il contratto costituisce appunto la regolamentazione dei rapporti, il delitto la sua infrazione e la pena la sanzione comminata al trasgressore. Ma a differenza del Giusnaturalismo rinascimentale Hegel considera la contrattazione un ufficio privato e non pubblico, quindi non sufficiente a fondare uno Stato, e la stessa triade sopra considerata non può costituire una legislazione. Il motivo di questa insufficienza, spiega Hegel, è dato dal carattere vendicativo della pena, che nell’orizzonte astratto del diritto equivale a una ritorsione per la trasgressione effettuata, implicando quindi non già un pentimento e la comprensione della colpevolezza ma il conseguente sentimento contrario che implicherà un nuovo delitto. A tal proposito diventa necessario passare a un livello successivo caratterizzato da un minor grado di astrattezza, ossia alla MORALITA’. Qui passiamo dal carattere individuale e astratto del semplice arbitrio a una libertà più concreta, che si basa sull’emancipazione dalle cose, abbandoniamo il terreno del benessere personale per dimensionarci in una concezione orientata al bene comune. Si inserisce in questo ambito la critica della concezione kantiana di bene universale, che conduce secondo Hegel a una morale astratta. Infatti la legge morale universale individuata da Kant è un fine concettuale distante dall’uomo, che riporta alla scissione tra essere e dover essere, destinata a non essere mai ricomposta: lo stesso Kant è costtretto a usare i postulati della ragione pratica per poter presentare agli uomini un concetto di bene che funge solo da indicatore ma destinato a non essere mai realizzato nella sua pienezza. 

60.3 - Questa distanza è la stessa che il giovane Hegel aveva fatto emergere negli scritti sul Cristianesimo a proposito della religiosità ebraica che allontanava di fatto l’uomo da Dio, ma è anche la separazione tra il soggetto e l’oggetto di cui Hegel parla a proposito della coscienza infelice, nel momento dell’l’autocoscienza. Diventa necessario quindi passare da un concetto soggettivo di volontà a un concetto oggettivo, perché la libertà possa veramente compiersi, e quindi si passa all’ETICITA’. Si tratta della sfera più alta dello spirito oggettivo, dove si ha il compimento del passaggio dalla morale individuale a quella sociale. Qui si ricompone la frattura tra individualità e universalità, e Hegel dimensiona questa riconciliazione nelle istituzioni sociali e nello Stato. L’eticità si articola in tre momenti che sono poi le istituzioni della comunità, ossia la FAMIGLIA, la SOCIETA’ e lo STATO. La famiglia è il primo momento della vita etica, ed è un rapporto intersoggettivo costituito su basi naturali e spirituali. Hegel definisce la famiglia come sostanza etica, poiché abbiamo la prima oggettivazione dell’isolamento dell’individualità nella sfera relazionale intersoggettiva. Ma la famiglia è destinata a una inevitabile dissoluzione, poiché la prole crescendo formerà altre famiglie. Questa emancipazione conduce alla società civile, dove si stabiliscono nuove relazioni e nuove parentele, oltre a differenti forme di aggregazione. Anche la società viene divisa da Hegel triadicamente, in tre momenti che sono l’ECONOMIA, la GIUSTIZIA e la SICUREZZA. La prima è legata al sistema dei bisogni, e quindi alla divisione del lavoro e alla struttura della società, la seconda riguarda il diritto e quindi l’ordinamento della società, mentre la terza riguarda il funzionamento della società attraverso la polizia e le istituzioni civili. Hegel attribuisce molta importanza agli organi rappresentativi che però nella concezione politica hegeliana, tipicamente assolutista, non hanno un valore democratico. Questo aspetto emerge nel terzo momento dell’eticità ossia lo stato, che Hegel considera un Dio reale, il cui fondamento è la potenza della ragione che si realizza come volontà. Si deve notare però che Hegel non propende affatto per una concezione dispotica dello Stato, in quanto nega agli uomini la facoltà di esercitare un potere personale, ma ritiene che il vero potere sia quello delle leggi. Le leggi e la Costituzione, scrive Hegel, non sono frutto dell’opera dei legislatori ma emergono dallo spirito del popolo: qui la filosofia politica hegeliana fa emergere chiaramente l’idea di uno stato di diritto, che realizza la vera libertà dei cittadini tutelando il loro diritto alla proprietà. La totalità statale porta quindi al compimento della realizzazione della libertà della persona, nella sfera più alta dell’eticità. Ma ciò non deve essere confuso con una difesa delle ideologie totalitarie: Hegel, che aveva come modello la polis greca, guarda a uno stato che realizzi perfettamente una comunione col cittadino, dove deve essere assente qualsiasi scissione nella realizzazione del pubblico interesse, e quindi supera il concetto di volontà personale per delegare l’arbitrio individuale, soggettivo e astratto, del privato al bene comune. Nello Stato la soggettività dell’individuo e la collettività della società trovano la loro comunione. Per questo Hegel precisa che la sovranità statuale è una proprietà dell’ente e per questo motivo non è il popolo che assegna allo Stato la sovranità, come nel contratto sociale ma bensì è lo Stato a detenere la sovranità come suo predicato essenziale. In questo senso il potere consegue proprio dall’idea di Stato e non dalla volontà dei singoli: Hegel ritiene impossibile l’azione di una comunità senza Stato, assolutamente incapace di delegare e perciò resta solo una vuota astrazione. Una società, sottolinea Hegel, deve necessariamente avere un governo.

60.4 - Come quella degli individui anche la vita degli stati deve cedere il passo al movimento della verità, cioè alla storia. In questa prospettiva Hegel attribuisce un ruolo necessario alle guerre, espressioni di dinamismo e utili a evitare la stagnazione etica. Diventa necessario che la storia dello spirito si accompagni alla storia dei popoli e degli stati: in questo ambito hanno importanza anche gli individui che perseguono un interesse personale, quelle individualità cosmico-storiche come Cesare e Napoleone, che, guidate  a loro insaputa dall’astuzia della ragione, realizzano il compimento della necessità storica. Tutti i popoli, dice Hegel, vivono nel corso della loro storia fasi alterne di egemonia e subalternità; il loro momento più alto è quello del loro apogeo, quando realizzano la piena consapevolezza di sé come avviene nella storia dello spirito. Nell’età moderna questo traguardo è stato raggiunto secondo Hegel dal popolo tedesco, nel cui alveo culturale è sbocciato l’Idealismo, il momento di maggiore consapevolezza della storia dello spirito. La storia ha appunto lo scopo di arrivare alla piena consapevolezza del sé e della tradizione di questo attraverso la creazione di un mondo esistente che ne rispecchi il modello e lo manifesti nelle epoche successive. La domanda che ne scaturisce è: ma dove conduce il movimento storico? Scopo di ogni civiltà è quello di pervenire alla coscienza della libertà, non alla libertà in se stessa, essendo lo spirito assolutamente eteronomo la libertà è già di per sé una sua norma intrinseca, mentre la coscienza della libertà deve ancora essere acquisita: Questa acquisizione procede attraverso tre fasi che Hegel fa coincidere con altrettante epoche storiche: l’apogeo del mondo orientale, in cui uno solo era libero, l’apogeo delle civiltà di Grecia e di Roma, in cui la libertà era riservata a pochi, e il periodo contemporaneo a Hegel dell’epoca dorata del mondo germanico in cui tutti sono liberi e IDEALISTICAMENTE CONSAPEVOLI DI ESSERLO. Questa peculiarità è ben presente nel concetto romantico di VOLKSGEIST o SPIRITO DEL POPOLO, concezione  originariamente di carattere universale - in Herder che ne fu ideatore - ma attribuita al solo popolo tedesco nella filosofia politica di Fichte. Hegel è infatti assolutamente consapevole di vivere una fase epocale decisiva, in cui il riappropriarsi di sé da parte della coscienza è il momento più alto della storia dello spirito che conduce al superamento dello spirito del proprio tempo e del tempo stesso: per questo motivo si configura il passaggio dallo spirito oggettivo allo spirito assoluto.

HEGEL - LEZIONE 61
Approfondimenti sull’arte

61.1 - Il metodo dialettico consente a Hegel di partire dal pianto interno alla cosa stessa, della cosa in sé, per giungere alla comprensione dell’Assoluto in senso dinamico. Lo studio dei fenomeni, di quelli naturali e di quelli spirituali, è quindi il punto di partenza della ricerca hegeliana, che culmina nella Filosofia dello Spirito e nella sua ultima parte, lo spirito assoluto, di cui l’arte è  uno dei momenti con la religione e la filosofia. L’Assoluto si manifesta nell’arte in una forma IMMEDIATA, caratterizzata dalla presenza di un aspetto spirituale e di uno sensibile, attraverso quella che Hegel chiama INTUIZIONE SENSIBILE. La trattazione dell’arte si delinea su due piani d’indagine, uno filosofico-sistematico, l’altro storico-artistico, non in contrapposizione ma anzi integrati e complementari. L’approccio dialettico della filosofia hegeliana non può infatti prescindere dall’analisi delle manifestazioni artistiche della storia, allo stesso modo in cui Hegel tratta i diversi livelli di sviluppo etico-politico riguardo la religione. L’arte e la bellezza non sono un argomento nuovo nella ricerca hegeliana, presente fin dai primissimi scritti. Già esaminando le differenze tra il pensiero di Fichte e quello di Schelling in uno dei suoi scritti pre-sistematici Hegel paragona l’arte a un culto divino. Nella Fenomenologia dello Spirito l’arte ha di nuovo un carattere religioso, emergente nella religione artistica del mondo greco. Ovviamente Hegel dedica un ampio spazio all’arte nella sua Enciclopedia delle Scienze Filosofiche. Ma occorre dire che rispetto alle opere ufficiali l’indagine hegeliana intorno all’arte si evidenzia meglio dalle lezioni di estetica tenute ad Heidelberg e a Berlino e specificatamente dedicate dal filosofo all’argomento e poi pubblicate come successo per gli scritti hegeliani sulla filosofia della religione e sulla filosofia della storia.
L’arte è quell’attività umana in cui lo spirito si svela nella forma dell’intuizione sensibile. Rispetto alla religione e alla filosofia, gli altri due momenti dello spirito assoluto, l’arte è il solo momento ad avere una caratterizzazione sensibile, a causa del materiale colto dai sensi che costituisce le opere, e che costituisce la vera limitazione dell’arte, ingabbiandola concettualmente nell’impossibilità di una liberazione e costringendola quindi alla sola istanza intuitiva. Nonostante questa imprenscindibile alienazione nella sensibilità l’arte resta per Hegel una forma di conoscenza, sebbene di grado inferiore rispetto alla religione e alla filosofia. Infatti questi tre momenti, arte, religione e filosofia, condividono come si era già detto lo stesso contenuto, cioè l’acquisizione da parte dello spirito della coscienza della sua assolutezza, ossia del suo essere allo stesso tempo soggetto e oggetto di sé. Questo contenuto è unico ma viene manifestato secondo tre forme diverse, ossia l’intuizione, la rappresentazione e il concetto. Per questo motivo Hegel descrive l’arte come il dispiegarsi della verità, uno degli aspetti essenziali dell’auto-conoscenza dello spirito, ma questo ruolo non viene scoperto dall’arte stessa quanto dalla filosofia, che, potendo contare sul metodo dialettico, ha la possibilità di compiere quella visione d’insieme altrimenti impossibile alla religione e alla stessa arte. Infatti per quanto l’arte sia già una forma dello spirito assoluto risulta incompiuta, cioè non è ancora una forma spirituale, poiché compromessa dalla sensibilità. In questa sede Hegel eleva l’arte a semplice PARVENZA, collocandola tra la sensibilità e il pensiero: essa sta nel mezzo, non essendo ancora pensiero puro cioè concetto ma non essendo più nemmeno una semplice esistenza materiale. Si tratta di una forma sensibile che è già ideale ma che non ha ancora l’idealità del pensiero, essendo legata alla cosa: qui Hegel parla di ideale nel senso di forma dell’idea, e definisce la bellezza come la apparizione sensibile dell’idea. Rispetto alla riflessione estetica kantiana, la bellezza, in quanto spiritualmente connotata, nell’estetica hegeliana viene messa in relazione non alla natura ma all’arte, ed è tale connotazione spirituale a mettere l’opera d’arte su un gradino superiore a qualsiasi prodotto naturale.

61.2 - Dopo aver concluso il momento filosofico-sistematico, relativo cioè a evidenziare l’essenza dei fenomeni artistici, passiamo a esaminare il secondo momento, quello storico-artistico. Nelle Lezioni di Estetica viene tracciata una storia filosofica dell’arte, non una storia dell’arte erudita, di tipo empirico, ma proprio basata sull’approccio filosofico e dialettico, volto a mostrare come i fenomeni artistici, osservati nel loro significato empirico e teoretico, abbiano una rilevanza più profonda che li collega direttamente alla storia universale. In coerenza con i suoi principi Hegel chiarisce che il principio di sviluppo e il criterio di partizione della storia dell’arte vanno ricercati nella relazione dinamica - e soggetta alle trasformazioni storiche - tra significato (interno) e forma o apparenza (esterno). 
Esaminando i diversi gradi di adeguatezza tra forma e contenuto, Hegel giunge a individuare tre STADI o FIGURE fondamentali: l’arte SIMBOLICA, l’arte CLASSICA e l’arte ROMANTICA. L’arte simbolica è quella che ha accompagnato lo sviluppo della civiltà dell’antico Egitto e di quelle orientali, civiltà accomunate sul piano filosofico-sistematico dall’incapacità di manifestare lo spirituale attraverso il medium della sensibilità. Qui il pensiero umano non ha ancora raggiunto la piena consapevolezza dell’universalità e del concetto, e artisticamente questo si traduce in una fondamentale inadeguatezza tra forma e contenuto, in una sproporzione che emerge significativamente anche nelle forme dell’arte orientale, a testimonianza di una incompiutezza e di una problematicità dello spirito che non è ancora consapevole di sé stesso. In un dipinto di Moreau raffigurante la Sfinge, il gigantesco animale è mostrato con la testa cinta da una corona, a simboleggiare la vittoria della natura sullo spirito, come l’irrazionale che sconfigge la consapevolezza di sé. In un altro dipinto di Ingres, raffigurante Edipo sottoposto al famoso quesito della Sfinge, è chiaro che il saggio indica sé stesso (l’uomo) come risposta all’enigma propostogli: quale animale cammina al mattino con quattro gambe, al pomeriggio con due e alla sera con tre? Si noti che il famoso quesito propone innanzitutto il termine animale, a voler significare una non ancora adeguata percezione del Sé ma sopratutto si noti la consapevolezza di Edipo, che rappresenta l’uomo greco. Passiamo dunque al secondo stadio, quello dell’arte classica, ossia quella che accompagna lo sviluppo della civiltà dell’antica Grecia. In questa fase forma e contenuto coincidono perfettamente. Dal punto di vista filosofico-sistematico la civiltà della Grecia, a differenza di quella dell’antico Egitto e delle civiltà orientali, aveva raggiunto un livello di adeguatezza tra il pensiero universale e la sua estrinsecazione nelle forme sensibili, le stesse opere d’arte sono caratterizzate da una perfezione che rivela l’artista, dice Hegel, come un profeta del divino. Ma il dinamismo dello spirito, che contraddistingue la storia umana, spezza questo equilibrio, facendo ripiombare l’arte nello squilibrio della terza fase, quella romantica, storicamente riconducibile all’Europa cristiana, medievale e moderna. Dal punto di vista filosofico-sistematico ritroviamo la stessa inadeguatezza, la sproporzione tra forma e contenuto che aveva caratterizzato l’arte simbolica, in una nuova frantumazione della relazione tra l’idea e la sua espressione sensibile. In questa fase però non prevale il contenuto quanto la forma, incapace di essere tradotta in una adeguata espressione sensibile, nonostante il grado di elevata maturazione della consapevolezza dello spirito, incompiuta perché incapace di giungere a un pensiero concettuale e universale, e quindi ancora presente nella sola forma individuale. A differenza dell’arte classica, in grado di adeguare il contenuto spirituale a una forma finita, l’arte romantica cerca un impossibile adeguamento all’infinito, e questa ricerca rende evidenti i limiti dell’arte, oramai inadatta a manifestare lo spirito, e questo rende necessario il ruolo della religione e della filosofia. Questa inadeguatezza conduce Hegel a mettere in risalto l’inattualità dell’arte, tematica che verrà ripresa dalle filosofie del secolo successivo fino alla formula provocatoria di “morte dell’arte”.

61.3 - L’ultima parte della filosofia dell’arte è dedicata a definire un complesso sistema delle arti, in cui Hegel prende in esame le caratteristiche delle arti principali: architettura, scultura, pittura, musica e poesia. Coerentemente con quanto espresso fino a questo punto, Hegel presenta le arti alla luce di un’interpretazione basata sul carattere intuitivo dell’arte, seguendo le tappe della storia dell’arte precedentemente delineate. Ogni arte caratterizza un’epoca. L’architettura fa parte dell’arte simbolica, ed è solo un riflesso esteriore dello spirito, poiché il suo scopo è quello di plasmare la materia pesante in accordo con le leggi naturali. La scultura rappresenta un felice superamento dell’arte classica, una vera evoluzione: qui abbiamo infatti l’incontro tra esterno e interno, ossia tra il materiale e lo spirituale. Infine pittura, musica e poesia sono le tre attività artistiche proprie dell’arte romantica, in grado di dare forma all’interiorità del soggettivo. Si tratta di un progressivo allontanamento dalla sensibilità e dalla concretezza materiale che ha il suo culmine nella poesia. Ma proprio in questa ultima tappa appare evidente la critica hegeliana all’arte del suo tempo, in cui si evince quello che Hegel chiama il CARATTERE DI PASSATO, ossia l’incapacità dell’arte romantica, pur essendo il gradino più alto della storia spirituale dell’arte, a rappresentare l’infinito, e perciò oramai inattuale. L’assenza di concretezza, se da un lato rappresenta il massimo traguardo delle attività artistiche, è anche il segno dell’impossibilità per le attività artistiche di continuare a svolgere il proprio compito, demandando questo ruolo alla filosofia.